4 - ℓυкє
Il tempo si fermò per un istante.
Guardai i miei fratelli e sorelle.
Eravamo tutti radunati in soggiorno, chi in piedi, chi seduto sul divano, proprio come durante i giorni piovosi o durante le festività di qualche anno fa, quando eravamo ancora piccoli e le uniche persone con cui volevamo passare le giornate era la nostra famiglia.
Ora era tutto diverso.
Quei momenti felici non erano altro che un ricordo.
Riuscii a sentire ogni singola emozione che i miei fratelli stavano provando: tristezza, confusione, ansia, paura,...
Quelle semplici parole avevano cambiato in un solo instante, non soltanto la giornata, ma tutte le nostre vite.
Da quel momento in avanti, niente sarebbe più stato lo stesso.
Riuscivo a vedere l'infanzia rovinata nei grandi occhi lucidi di Matey e Cecil.
Le lacrime cominciarono a salire e a inumidirmi gli occhi ma le ricacciai subito indietro.
Non potevo demoralizzarmi del tutto, dovevo essere forte per la mia famiglia.
Incrociai lo sguardo di Elisabeth per qualche secondo, ma bastò per farle capire che non era sola e che poteva contare su di me.
Non avrei lasciato che tutto il peso ricadesse sulle sue spalle.
Avremmo mantenuto la promessa fatta ai nostri genitori insieme, come quando eravamo piccoli.
Guardai Juliette. Fissava il pavimento come se stesse ragionando su ogni singola parola che ci aveva detto Elsie nella speranza di trovare un altro significato.
Cass invece aveva gli occhi lucidi e stingeva Tillie e Lily a sè con tutta la forza che aveva. La sua luce, che la faceva notare anche da lontano, si era come spenta.
Abbracciai Cecil, Matey e Cass e poi mi avvicinai a Elsie.
<< Supereremo anche questo, insieme. Nessuno verrà lasciato indietro, non più. >> le dissi con la voce più ferma che potevo, toccandole una spalla.
Lei annuì. Le sue guance erano umide e rigate dalle lacrime.
La strinsi forte a me e lei fece lo stesso.
Restammo così per qualche secondo poi Elisabeth si sciolse dal mio abbraccio.
Guardai mia sorella Charlotte, seduta sul divano. Aveva lo stesso sguardo duro perso nel vuoto di Juliette.
<< Charlie... >> la chiamai avvicinandomi a lei.
Di colpo si alzò in piedi e a grandi passi veloci salì le scale e andò in camera sua sbattendo la porta.
Charlie aveva sempre avuto un carattere molto forte e irrequieto e aveva un modo tutto suo di reagire al dolore: chiudersi in se stessa creando una corazza di spine impenetrabile attorno a lei e diventando più scontrosa del normale
<< Vado io. >> disse Cassidy con un filo di voce, seguendo Charlie su per le scale.
<< Vado a chiamare Dot, in un modo o nell'altro lo deve sapere. >> disse Juliette con un tono fin troppo secco e sparì nell'altra stanza con il telefono in mano.
Juliette era sempre stata così: appena le accadeva qualcosa di brutto o che non le piaceva si chiudeva in uno stato quasi apatico, molto pratico e brusco.
Era convinta che se una cosa faceva male era meglio dirla subito.
Sotto un certo punto di vista aveva ragione, ma come per ogni cosa, Juliette esagerava e non pensava minimamente alle conseguenze delle sue parole.
Certe volte lei e Charlie si somigliavano molto.
Asciugai le lacrime di Tillie, che aveva cominciato a singhiozzare, e le sussurrai:
<< Ce la faremo. >>
~~~
Quella notte non riuscii a dormire.
Avevo troppi pensieri che mi giravano per la testa.
Era successo tutto così in fretta che non avevo avuto tempo di digerire ogni pezzo.
Dot era tornata in casa già in lacrime. Ovviamente Juliette, da brava insensibile, le aveva detto tutto al telefono mentre lei era a lavoro, invece che a faccia a faccia.
Charlie si era chiusa in camera e non c'era verso di farla uscire.
Cecil, Tillie e Cass non riuscirono a mangiare niente.
Elsie aveva deciso di rimanere con noi e di non tornare al suo appartamento almeno per un po' di tempo.
Io mi rigirai nel letto per un ora.
Dovevo rilassarmi e staccare i pensieri.
Decisi di andare in veranda per fumare una sigaretta.
Passai davanti alle camere dei miei fratelli minori.
Dormivano tranquilli; sembravano quasi sereni.
Nessuno avrebbe mai detto che avevano appena vissuto la giornata più brutta delle loro vite.
Quando uscii dalla porta d'ingresso, il freddo mi morse i muscoli che si irrigidirono sotto la maglietta.
Mi sedetti su una delle poltrone bianche della veranda e mi accesi una sigaretta.
Quando aspirai, un'ondata di calore mi attraversò il petto, calmandomi subito.
Mi appoggiai allo schienale lasciando che il mio sguardo si perdesse nella notte.
Dale Wood di notte era affascinante. Il silenzio rotto soltanto dai grilli, le luci calde e suffuse dei lampioni, la lieve brezza che muoveva le foglie, le poche luci tenui che provenivano dalle case, la luna che splendeva in cielo solitaria e si rifletteva nelle pozzanghere.
Adoravo la notte, era il mio stato ideale: pace e silenzio.
Sembrava che ci fossi soltanto io, Dale Wood era tutta mia. Niente problemi sentimentali, familiari o scolastici, c'eravamo solo io e il silenzio.
La quiete fu interrotta dal suono della porta che si apriva.
Mia sorella Dorothy uscì sulla veranda stringendosi una coperta rossa sulle spalle.
Sobbalzò leggermente quando mi vide; non si aspettava di vedermi lì.
<< Non riesci a dormire? >> le chiesi.
<< No. >> rispose sedendosi sul divanetto davanti a me.
Dot fissò la mia sigaretta e poi me con uno sguardo quasi di rimprovero.
Da quando aveva cominciato il volontariato al reparto "malattie respiratorie" dell'ospedale era diventata parecchio pignola riguardo la salute mia e dei miei fratelli e aveva cercato più volte di farmi smettere di fumare.
In fondo non potevo biasimarla. Da quando Matey aveva cominciato a mostrare i primi segni di un sistema immunitario debole, lei si preoccupò subito per la salute di tutti noi.
Sfortunatamente fumare era l'unica cosa che mi rilassava veramente.
Aspirai un'ultima boccata e spensi la sigaretta nel posacenere sul tavolino davanti a me.
L'espressione giudicante sul viso di Dorothy non cambiò.
Io e lei non avevamo mai avuto un vero legame. Viaggiavamo sempre su binari differenti; io avevo la mia vita e lei la sua.
Quando ero piccolo andavo d'accordo con le mie sorelle ma lei è sempre rimasta in disparte.
Le uniche persone a cui rivolgeva volentieri la parola erano Cecil, Cassidy e Amber, la sua migliore amica.
La cosa, sinceramente, non mi stupiva, visto il suo brutto vizio di giudicare subito chiunque le si avvicinasse.
<< Come faremo adesso? >> chiese lei rompendo il silenzio.
Sospirai.
<< Dobbiamo solo sostenerci e andare avanti. >>
<< E come? Come possiamo andare avanti? >> il suo tono stava diventando sempre più tagliente.
<< Siamo solo dieci ragazzini di cui cinque con un'età inferiore ai 14 anni. Come puoi essere sicuro che riusciremo ad andare avanti solo con il supporto reciproco? >>
<< Non lo so! >>
Lei si bloccò di colpo.
Le mie parole rimasero nell'aria come un eco.
<< Non lo so come faremo. >> dissi guardandola negli occhi.
<< Anche io sono confuso; anche io ho paura; anche io non so come faremo o cosa succederà in futuro ma di una cosa sono sicuro... dobbiamo restare uniti. >>
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