𝔖𝔴𝔢𝔢𝔱 𝔪𝔬𝔪𝔢𝔫𝔱𝔰
Passarono lentamente due giorni. Due giorni in cui attesi il ritorno di Akira. Da quando mi aveva preso la mano, da quando il suo sguardo-imperterrito- aveva accarezzato la mia figura, da quando aveva rosseggiato le mie guance sistemandomi quella ciocca dietro l'orecchio, avevo desiderato che tornasse.
Mi concentravo, convergevo le mie energie, i miei sogni sulla sua voce impastata e spavalda, che ululava nella mia testa simile alle onde agitate dell'Oceano. Nel sonno, avvertivo l'odore intenso di pesce e reti fini impresse nella pelle di lui. La volevo, io la volevo. Non sapevo spiegarmi per quale motivo pretendessi quegli elementi come un bambino capriccioso.
Io volevo Akira.
Eppure, impallidito per le grida silenziose della mia anima, fuggivo da quei desideri. Mi rimproveravo, sentenziando che noi divinità non dovevamo confrontarci con mendicanti, pescatori, ballerini e oiran . Eravamo superiori di loro e, se mai avessimo osato sfiorare questi esseri, potevamo metterci in ridicolo.
Al risveglio, sorridevo e rincuoravo i miei sentimenti, sminuiti dagli eterni rimproveri che solevo farmi. Pian piano, la mia coscienza si era disgregata in due frammenti importanti. Il mio primo frammento era quello razionale, il quale biasimava i miei sogni e, a malo modo, cercava di trascinarmi nel gelo dell'indifferenza. Il secondo era dolce, ardente. Sussurrava alle mie orecchie consigli su come gestire perfettamente il rapporto che io e il giovane pescatore avremmo concepito. Mi spronava a mostrare il lato sensuale, accomodante che nascondevo con la mia infantile gioia e il mio pudore.
Questi due frammenti lottavano e si uccidevano e si ferivano e si riunivano e si abbracciavano e si acarezzavano. Non potevo fermare il loro irrequieto flusso.
Finalmente, Akira tornò nella mia radura. Il sole danzava nello sfondo calmo del cielo. Gli alberi di ciliegio erano fermi. Il vento non li sferzava.
Tutto, i fiori, le foglie verde chiarissimo, le gru che tingevano di nero le nuvole, i pesci che dormivano dentro di me avevano perso i loro suoni. Era come se stessero rispettando il dolce momento che era appena giunto: il ritorno del mio amico.
I suoi sandali in legno cozzavano contro la tenera erba. I suoi occhi, coraggiosi e pronti a vivere alla giornata, andavano errabondi in cerca di qualcosa o qualcuno.
Quel qualcuno ero io. Il ragazzino effeminato che aveva difeso i pesci e minacciato gli altri pescatori.
Ci incontrammo di nuovo. Non eravamo su una barca. L'acqua non scorreva sotto di noi. Eravamo in una distesa pianeggiante. Attorno aleggiava una pausa, la quale osservava il nostro destino.
Portava larghi pantaloni, il torso nudo e l'amore per la vita. Akira era la felicità in persona.
-Ehi Kohaku, è da tanto che non ci vediamo. Scusami se sono sparito, ma ho dovuto aiutare mio padre a vendere i pesci. Non preoccuparti, quei pesci li abbiamo presi nel mare.-
Sorrisi dolcemente. Ascoltai la sua voce, rozza ed energica, mi abbandonai alle sue parole, senza protestare.
-Sono felice di incontrarti di nuovo. Pensavo che due giorni prima mi avessi rivolto la parola per semplice rispetto. Sembra che non sia così.- replicai lentamente.
-Te l'ho detto che voglio essere un amico, non solo un tuo devoto. I devoti pregano e supplicano, nient'altro. Voglio che tra noi esista soltanto una vera amicizia.- ribattè Akira, appoggiando una mano sulla spalla. Lo fece con accortezza, temendo di farmi male.
-Oh, ti credo, non temere. Ho fiducia nelle tue parole.-risposi, rassicurando le sue pene.
-Comunque, sdraiamoci. Sono esausto. Voglio riposarmi.-
Entrambi camminammo verso un punto imprecisato. Il mio essere esaltava. Io ero con lui. Mi aveva parlato, mi stava seguendo.
Sentivo che la nostra amicizia sarebbe rinata sotto le sembianze di un dolce amore. Non sapevo se il nostro sarebbe stato un amore platonico o sessuale.
Io ero innamorato di lui e chiedevo al suo cuore di ricambiare i miei sentimenti.
Ci sdraiammo sotto un acero. Le sue foglie eclissarono la luce, dandoci ristoro e ombra. Il terreno ci proteggeva dalle formiche, le quali potevano rovinare quella atmosfera felice. Il verso delle cicale stava echeggiando allegramente.
Non proferrimo parole. Come potevamo? Eravamo immersi nel miele della serenità. Ci eravamo incontrati. Avevamo paura-specialmente io- che un suono esalato dalle nostre bocche avrebbe rotto quel silenzio immemore.
Akira si avvicinò a me, dandomi la mano. Brividi di piacere si arrampicarono sulla mia schiena. Arrosendo, gliela strinsi.
Oh, avrei voluto baciarlo.
-Ehi, Kohaku. Puoi farmi un favore?- mormorò il ragazzo
-Ben volentieri- non seppi dire altro
-Ti va di toglierti la casacca?-
Se fossi rimasto lucido mi sarei arrabbiato e avrei punito quella richiesta insolente. Tuttavia ero sotto l'incantesimo di Amore, non osai disobbedire.
Lentamente, sciolsi il nastro e levai la mia giubba, mettendola in in un angolo.
Il figlio del pescatore sfiorò il mio torso sinuoso e esangue. Quelle dita...quel palmo disegnavano immagini non materiali sul mio petto. Si muovevano lentamente e d'in volta in volta acceleravano.
Improvvisamente, il giovane mi prese una mano, guidandola dentro i suoi pantaloni. In una frazione di secondo, sentii una cosa viva, minuscola venir stretta dalle mie dita.
-Ahhh...Kohaku....masturbami....
....masturbati....non ti devi vergognare...-
I suoi sospiri erano le immagini del suo piacere.
Cessai le mie carezze. Avevo commesso un peccato di lussuria. Ora, sarei stato costretto a commettere un'altra malefattta.
-Kohaku, verresti con me ad un bordello?-
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