Capitolo 7
Y/N'S POV:
Sono arrivata presto in ufficio questo lunedì. Ero ansiosa di sapere se Namjoon si sarebbe fatto vivo oggi. Temevo che stesse ancora male, ma evidentemente ieri ha avuto il tempo per riprendersi ed è già al lavoro. E a quanto pare è qui dall'alba. Scruto la sua immagine dalla finestra divisoria.
Si direbbe in splendida forma anche. Si direbbe cattivo come sempre, ora che ci penso, osservando il suo sopraciglio nero.
È al telefono con qualcuno, e ha un'aria parecchio seccata. Non invidio per niente il suo interlocutore.
«Y/n!» tuona infine sbattendo la cornetta. «Invece di spiarmi vedi di renderti utile!»
Ah, a quanto pare è stra-guarito.
«Non ti stavo spiando» dico a voce bassa, alzandomi dalla sedia e affacciandomi alla sua porta. Non ho molta voglia di entrare nella tana del lupo, ma a quanto pare sono costretta.
«Guarda che vedo la tua immagine riflessa anche se sono con la schiena voltata, quindi non raccontarmi frottole. Sto meglio comunque, grazie per non averlo chiesto.» Sorriso odioso.
E come si fa a chiedere una cosa del genere ad un cretino simile? Decido di non abboccare alla provocazione.
«Cosa posso fare per te?» domando in maniera molto innocente. «Per iniziare ho bisogno quanto prima dei bilanci a cui state lavorando, mi servono le previsioni per i prossimi tre anni e mi servono per ieri» dice rimettendosi a sedere con grande agilità.
Come se questa fosse una novità, tutto qui è da fare ieri.
«Muoversi!» mi intima agitando la mano nella mia direzione.
Perché mai sono venuta sabato a dargli da mangiare! Magari, se non avessi suonato alla sua porta non si sarebbe svegliato, non avrebbe mangiato e non avrebbe preso le medicine, magari oggi sarebbe ancora costretto a starsene a casa a curare la sua malattia... che sbaglio che ho fatto!
Mi alzo dalla sedia su cui mi ero timidamente appoggiata solo un secondo prima e faccio un passo quando mi richiama di nuovo.
«Y/n!»
Non sono mica un cane! La mia espressione non deve essere delle più simpatiche in questo momento.
«Sì?» dico acida.
«Dimenticavo, ho una buona notizia per te.»
«Ti trasferiscono?» dico e quasi sorrido all'idea.
«Non sognare cose impossibili ad occhi aperti» mi risponde per niente colpito da quello a cui stavo pensando. «Nuovo viaggio di lavoro, andiamo a New York. Partiamo mercoledì. E questa volta camere separate» mi dice serio, anche se cerca di nascondere un mezzo sorriso.
«E io che pensavo che ti piacesse tanto la mia compagnia notturna...» lo stuzzico, ma ormai non lo sento nemmeno. Tutto quello a cui riesco a pensare è che vado a New York! Io vado nella grande mela! Beh, sì, peccato che ci vada con lui... ma in fondo cosa importa? Posso sempre seminarlo.
«Decido di non rispondere a questa provocazione, se posso.» Ma ormai non m'importa niente delle sue risposte. Faccia quello che vuole.
«Non mi stai ascoltando affatto, vero?» mi dice.
«Se proprio vuoi saperlo, no.» Sorrido soddisfatta.
«Bene, allora vedi di tornare alla tua scrivania, perché deve essere tutto pronto prima del nostro viaggio.»
«Sì. Ho capito padrone.»
«Sei ancora qui?»
«Vado, vado.»
Sono fuori dal suo ufficio in un secondo.
New York, capitale dello shopping, arrivooooo!!!!!!
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Siamo appena atterrati all'aeroporto JFK di New York. Sono così eccitata che ho rimosso l'orrore che provo ogni volta che volo nel momento stesso in cui l'aereo è atterrato.
Questa volta non ci sono state molte turbolenze, ma ciò nonostante non sono mai riuscita a rilassarmi del tutto. Sento il collo ancora parecchio rigido. Con una mano cerco di massaggiare un punto particolarmente dolente.
In realtà sono anche un po' seccata per il fatto che il grande capo bastardo ha volato in business mentre la sottoscritta in economica, ma il sedile scomodo in realtà è un prezzo che ho pagato volentieri pur di non vedere la sua espressione accigliata durante questo lungo volo.
Al momento del check-in, Namjoon ha farfugliato qualcosa del tipo «se vuoi rinuncio alla business e volo in economica anch'io», ma l'unico suggerimento che avrei accettato sarebbe stato quello di far volare me in business e lui prendersi il mio posto in economica.
E siccome questo pensiero non gli è passato neanche per l'anticamera del cervello ho negato con molta convinzione. Francamente cosa può esserci di peggio che passare 15 ore a stretto contatto con Namjoon?
Deve aver intuito il mio pensiero perché ha lasciato perdere subito il discorso e si è saggiamente rifugiato in un pesante mutismo. Vuoi vedere che adesso si è anche offeso? Ma se dovrei essere io la parte lesa! Che razza di gentleman non offre alla povera damigella il sedile più comodo?
Sì, probabilmente lui è quanto di più lontano possa esserci da un gentleman e io sono probabilmente la fanciulla meno indifesa che lui conosca, ma avrei comunque apprezzato il gesto.
Va be', lasciamo perdere il discorso.
«Ti fa male il collo?» mi domanda Namjoon mentre ci stiamo incamminando verso il controllo dei passaporti. Almeno mi ha aspettato all'uscita dall'aereo, visto che i signori della business escono per primi. Molto magnanimo da parte sua.
Gli lancio un'occhiataccia come per dire "secondo te?".
«Certo, tutto questo tempo compressa come una sardina bene non mi ha fatto di certo...» inizio, ma poi mi ricordo che sono a New York quindi al diavolo Namjoon e il torcicollo.
Ad un certo punto di fronte a noi si aprono due file: una è immensa ed è per gli stranieri, l'altra è per i cittadini americani.
«Io vado da questa parte» mi dice indicando la fila degli US only.
Certo, mi ero dimenticata che ha la cittadinanza americana. Per lui questa è casa sua.
«Ci vediamo allora tra un po'... io ne avrò per un po', temo.»
«Ok, ti aspetto al recupero bagagli» dice e se ne va.
Io ci metto una mezz'ora buona a passare i controlli. Gli americani hanno l'ossessione della sicurezza a quanto pare.
Mi dirigo rapidamente verso i nastri su cui scorrono i bagagli quando vedo in lontananza che Namjoon ha già recuperato anche la mia valigia e che sta parlando al telefono. Non si è accorto della mia presenza e ha una voce stranamente gentile. Ora ride. Un'amica, penso subito. Probabilmente ha un sacco di amiche da questa parte dell'Oceano.
Tossisco lievemente per svelare la mia presenza.
«La mia collega è arrivata. Devo andare ora. Allora domani a cena? Affare fatto» conclude Namjoon troncando la telefonata.
Sono curiosa, è più forte di me. «Un'agenda piena?» stuzzico.
Lui alza un sopracciglio e mi lancia un'occhiata divertita. «Questa curiosità tipicamente femminile...» dice lasciando la frase in sospeso.
E questo cosa dovrebbe mai significare? Avrei gradito qualche indizio più succulento.
Lo guardo delusa, e lui ride della mia espressione.
«Forza curiosona, i taxi sono da questa parte.»
Dopo qualche attimo di fila entriamo in uno di quei taxi gialli che ho visto tante volte nei film, e anche l'autista è indiano. Fa così folclore, penso sorridendo.
«Allora non mi merito qualcosa per averti permesso di accompagnarmi a New York?» chiede Namjoon.
Lo guardo seria. «Non mi sembrava che si trattasse di un gesto magnanimo, non sono qui per lavorare come una matta?» domando.
Ride guardando fuori dalla finestra. «Certo, ma sei pur sempre a NYC e lo devi a me.»
Adesso... non esageriamo. Azzardo un'occhiataccia abbastanza eloquente.
Stranamente Namjoon sembra di ottimo umore e non ci fa troppo caso.
Il resto del viaggio lo passiamo in un silenzio piacevolmente rilassante: io sono completamente rapita dalla vista con la faccia appiccicata al finestrino.
Dopo circa mezz'ora scendiamo dal taxi, Namjoon paga l'autista e vedo che siamo in una bella zona a pochi minuti da Central Park.
«Bello!» esclamo semplicemente guardando i palazzoni alti.
«Sì, hai decisamente ragione.»
Il tassista tira fuori le nostre valige e ci saluta in una lingua sconosciuta. Ah, l'America.
L'usciere dell'albergo si precipita subito in nostro soccorso e ci fa strada verso il bancone della reception. È tutto molto lussuoso, osservo felice. Stringo in mano la mia chiave elettronica e rifletto su dove posso andare non appena avrò mollato le valigie nella mia stanza.
Namjoon mi guarda preoccupato mentre saliamo in ascensore. «Lo sai, vero, che dobbiamo andare in ufficio ora?»
«Cosa?» domando come se avessi sentito male. Non può essere, speravo almeno di avere questa mezza giornata.
«Abbiamo una riunione tra circa mezz'ora» dice piano.
«Davvero?» chiedo. Sembrerò stupida ai suoi occhi. Ma questa non è propriamente una novità.
«Davvero» dice solo.
«Ah...» sono un po' a corto di parole. Ma come ha fatto a fissare una riunione così presto?
Mi sento così delusa. Ma pazienza, vuol dire che aspetterò questa sera. New York non dorme mai, avrò tempo dopo.
Le nostre camere sono attigue, ognuno entra nella propria. Prima di richiudere la porta Namjoon aggiunge solo: «Tra dieci minuti giù nell'atrio.»
Sospiro rassegnata. Forza, forza, devo farmi forza, mi ripeto. Butto la valigia sul letto, e che letto, ora che lo guardo meglio. Un meraviglioso letto matrimoniale dorato, immerso in un'ampia camera con mobili neri di ottimo gusto. Questa sì che è vita. Anzi, questa sì che sarebbe vita se Namjoon non avesse fissato immediatamente una pallosa riunione.
Cerco di ricordarmi che sono qui per lavorare... lo sapevo che sarebbe finita così. Ma non c'è niente da fare, la mia delusione è forte.
Mi cambio velocemente e mi dirigo decisa nell'atrio. Sono una ragazza in carriera a New York, indosso un meraviglioso completo nero con una fantastica camicia di seta rosa, sono molto glamour, e i miei tacchi alti non fanno che completare il quadro. Eccomi, sono una donna di successo, mi dico.
Che palle però, forse sarebbe stato meglio essere una normale turista. Butto un'occhiata invidiosa su una signora che esce dall'albergo con in mano una macchina fotografica. Io mi sono persino dimenticata di metterla in valigia. Una sorta di sesto senso?
«Cos'è quell'aria abbattuta?» mi chiede una voce ben familiare alle mia spalle.
Sussulto per lo spavento. «Namjoon, ti dispiacerebbe non farmi prendere certi colpi?»
Mi guarda dubbioso. «Veramente ho solo parlato. Pensavo aspettassi me. O forse qualcun altro?»
«Ma certo che aspettavo te!» gli rispondo spazientita.
Adesso vuoi vedere che sono io dalla parte del torto.
«Forza, abbiamo fretta o sbaglio?» gli domando incamminandomi verso l'uscita.
«Certo che abbiamo fretta» risponde Namjoon seguendomi.
Una volta fuori scopro che la sede della banca è a solo pochi passi dall'albergo. Camminiamo velocemente, io provo di nuovo quel brivido di eccitazione guardando le strade di NYC gremite di gente.
«È bellissimo qui» sospiro mentre aspettiamo ad un semaforo.
«Sì, lo vedo che ti piace.»
«Tu hai vissuto qui?» domando.
«Sì, da ragazzo, e poi quando ho iniziato a lavorare» mi informa.
«E te ne sei andato? Io non lascerei mai un posto simile...»
«Anche Londra è una città meravigliosa, sotto certi aspetti ancora più bella» dice.
«Sì, ma guarda quanta vita che c'è qui» gli rispondo, indicando il fiume di persone attorno a noi.
«Anche troppe persone, se è per quello.» Ride. «Forza, ora si inizia a lavorare. Sei pronta?» mi domanda, indicandomi l'ingresso di un elegantissimo edificio su cui vedo il logo dell'Investment Bank per cui lavoriamo.
Per una volta mi verrebbe da fare una battuta. «Pensavo che ormai lo sapessi: io sono nata pronta» gli dico convinta.
Namjoon cerca di nascondere una sonora risata. Rido anch'io.
E poi entriamo a passi decisi dentro l'edificio.
◦•●◉✿✿◉●•◦
Sono le 21:30. Non è possibile. Non è assolutamente possibile.
Il tempo passa con una lentezza allucinante, sembra non succedere niente.
Guardo per la millesima volta il tizio che sta parlando da decisamente troppo tempo proiettando una serie di dati barbosissimi. Accanto a me la faccia di Namjoon è invece perfettamente professionale. Ma come fa? Io sto per tagliarmi le vene dalla noia. Senza contare che ormai tutti i negozi hanno chiuso e non sarò in grado di vedere un bel niente.
Il mio stomaco emetto un lamento. Poco tempo fa le segretarie della notte ci hanno servito del tè con dei biscotti, ma io ho fame! Io non voglio un pasticcino, voglio un hamburger! E lo voglio grosso, succulento e con un mare di patatine fritte. A quest'immagine il mio stomaco si fa nuovamente vivo, questa volta ancora più rumorosamente. Namjoon dirige il suo sguardo nella mia direzione e si rende conto di cosa mi stia capitando.
Aspetta ancora qualche minuto e poi interrompe il tizio soporifero. «Scusami David, ma credo che per oggi dovrà bastare. Sai, il fuso mi sta letteralmente uccidendo.»
L'ominide annuisce senza troppa convinzione ma molla il colpo. Ma secondo loro uno deve anche dare delle giustificazioni perché è stanco e affamato quasi alle dieci di sera? Ma questa gente ce l'ha una vita?
In meno di dieci minuti siamo fuori dal malefico edificio. L'aria della sera è frizzante, ma le strade sono luminose e ancora piene di gente.
«Hai fame presumo» mi dice Namjoon piazzandosi davanti a me.
«Ho super-fame!» dico convinta.
«E cosa ti andrebbe di mangiare?»
«Un hamburger!» rispondo senza nemmeno rifletterci.
«E la linea?» mi domanda Namjoon.
«Ma che linea, a Seoul muoio di fame, ho bisogno di riprendermi. Non avrei mai pensato che fosse possibile, ma sono quasi troppo magra.»
Namjoon mi scruta attentamente. «Troppo non direi...» butta lì quasi casualmente.
Adesso non gli sembra di esagerare? Gli lancio solo un'occhiataccia. Coglie immediatamente. «E hamburger sia, allora.»
Con un gesto teatrale mi indica la strada e mi porge il braccio. Sono indecisa sul da farsi ma poi mi ci appoggio. Sono veramente stanca, questa giornata è stata interminabile.
In pochi minuti arriviamo al delì prescelto, ordiniamo i nostri panini e ci infiliamo ad un tavolino.
«Sai, saremmo potuti andare anche in un posto un po' più raffinato» dice Namjoon.
«Mica vorrai cenare in un ristorante stile novelle cousine dove le porzioni sono invisibili?» ribatto davvero convinta.
«No, ma potevamo davvero scegliere qualcosa di più adatto all'occasione.»
«E che occasione sarebbe?» domando curiosa. «Non è mica un appuntamento questo.»
«Perché, ad un appuntamento non mangi hamburger?» domanda.
«Certo che no. Non posso mica far vedere al possibile fidanzato quanto mangio realmente» gli rispondo seria, addentando ferocemente il mio panino.
«Così fingi?» chiede colpito.
«Cielo Nam, tutte le donne fingono! Pensavo lo sapessi! L'avrai pur avuto qualche appuntamento. In genere le fanciulle quanto mangiano quando le porti fuori?»
«Molto poco in effetti» constata massaggiandosi la mascella.
«Chiaro, mica possiamo spaventare il pretendente facendogli vedere quanto mangiamo realmente... le brave signorine muoiono di fame piuttosto, dovresti saperlo.»
Ride, colpito dalla mia affermazione. «Mi sa che hai ragione.»
«Certo che ho ragione, so bene come ragionano le donne.»
«E invece ora stai mangiando peggio di un camionista perché...» dice solo lasciando la frase in sospeso.
«Perché con te non devo fingere. C'è un lato positivo nel tuo essere odioso» gli confesso.
Namjoon stringe le labbra incredulo. «Ti sembra politicamente corretto definire il tuo capo odioso in sua presenza?» chiede canzonandomi.
«Sì, se il mio scopo è essere rimandata indietro quanto prima.»
«Ah, già, la storia che non volevi partire per Seoul... ma ora sei a New York, quindi il tuo trasferimento non è stato del tutto sprecato, no?»
Lo osservo mentre mangia il suo panino con perfetta eleganza. Il mio non fa che colare.
«Non penserai mica di raddolcirmi con un due giorni chiusa in un ufficio a NYC?» gli chiedo.
«Vedrò mai la luce del sole finché sarò qui?»
«Forse, se fai la brava, domani ce la filiamo via presto» promette.
«Quanto presto?» chiedo bramosa. Mi sto già immaginando le vetrine della quinta strada.
«Mah... diciamo verso le 18?»
Ma sta scherzando? Mi ha preso per una disperata? Lo osservo con poca convinzione.
«Allora magari verso le 17?» rilancio.
«Stai tirando la corda, ma va bene, facciamo le 17. Ti lascerò scappare, anche se io devo rimanere.»
Non mi interessa molto di quello che farà lui. Evidentemente lui lo coglie dalla mia espressione e sospira. «Ah Y/n, Y/n... cosa mi toccherà fare con te?»
«Lasciarmi fare shopping?» azzardo con un sorrisetto furbo.
Namjoon inarca le sopracciglia, ma so che ho vinto dal sorrisetto divertito che sta spuntando sulla sua bocca.
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Devo ammettere che è stato di parola. Sono uscita alle 17:04 precise dall'ufficio newyorkese. L'unico inconveniente è che oggi il problema del fuso si sta facendo sentire molto più di ieri. Ad essere sincera prima ero talmente stanca che per un brevissimo istante ho anche preso in considerazione l'ipotesi di andarmene dritta in albergo a dormire. Ma è stato solo un battito di ciglia: mi trovo a NYC e io sto andando a fare shopping! Mi sento subito meglio.
Sto girando per i negozi da circa tre ore. Sono piena di sacchetti e sono felicissima perché ho trovato un sacco di cose davvero carine.
Guardandomi intorno mi rendo conto che mi sono spinta parecchio a sud. Per tornare in albergo dovrò prendere la metropolitana. Così mi armo di pazienza ed inizio a scendere una scalinata infinita. Uno si aspetterebbe una metropolitana più pulita in una città così all'avanguardia, a Seoul per esempio è tutto uno specchio. Qui invece tutto è abbastanza uno schifo. Ma cerco di non pensarci mentre mi siedo su un'orribile panchinetta di plastica.
Non appena mi siedo mi rendo conto dell'immensa stanchezza che mi rapisce. Chiudo gli occhi solo per un secondo, solo che non deve essere esattamente un secondo, perché quando rialzo le palpebre mi rendo conto di aver clamorosamente mancato la mia fermata. Oh cazzo!
Mi precipito fuori dal vagone senza neanche riflettere su cosa fare. Qualche attimo dopo sono in strada. Il sole è tramontato, tutto è buio, la strada è deserta. Ma dove diavolo sono finita?
Mi incammino alla ricerca di un incrocio con un'indicazione della strada. Poco male, vuol dire che fermerò un taxi e me ne tornerò in albergo.
Sto ancora cercando qualche indicazione su dove possa trovarmi quando squilla il mio cellulare.
«Dove diavolo sei?» tuona Namjoon dall'altro capo del telefono. «È mezz'ora che cerco di chiamarti! Dove cazzo sei finita?»
Nonostante tutto non ho mai sentito Namjoon dire parolacce. Ora gliene escono a fiotti.
«Vuoi calmarti?» gli urlo nella cornetta. «Devo essermi addormentata nella metropolitana. Sto cercando di capire dove sono finita. Tu non mi stai aiutando.»
«Cosa? Non sai neanche dove caspita ti trovi?!» il suo tono è quasi isterico. Poi sospira e cerca di riprendere il controllo. «Allora guarda cosa c'è scritto ad un maledetto incrocio!»
«È esattamente quello che stavo cercando di fare!» ribatto. «Allora, vediamo un po'... sono, sono tra la 135esima e la quinta.»
«Che cosa?!» Di nuovo un urlo. Cerco di allontanare la cornetta dall'orecchio, non voglio davvero rimanere sorda dopo questa conversazione.
«Mi hai sentito: mi trovo sulla 135esima, angolo quinta» ripeto come se avessi a che fare con un deficiente, tono piatto.
«E dimmi, come cazzo ci sei finita ad Harlem, Y/n?» mi incalza.
«Mi sono addormentata in metropolitana! Mi sembrava di avertelo già detto!» Questo suo tono sta incominciando a infastidirmi parecchio.
Lo sento imprecare qualcosa. «Ora ascoltami bene: non ti muovere da dove sei. Non osare muoverti. Non troverai mai un taxi ad Harlem, se era quello il tuo brillante piano. E non rientrare in metropolitana. Dio santo, una donna bianca, bionda per di più, di notte ad Harlem... non ti muovere, arrivo.»
Poi aggancia senza aggiungere altro. Io mi appoggio con le spalle all'edificio che avevo di fronte poco prima. In effetti ora che mi sto guardando in giro questo posto ha un che di sinistro. Ogni tanto passa qualcuno, sempre uomini di colore che mi lanciano brutte occhiate. Qui gli edifici sono decisamente meno alti, parecchio degradati, c'è sporcizia in giro e il fiume di persone che avevo incontrato oggi pomeriggio in centro è del tutto svanito. Mi stringo nel mio cappotto nero. Non vorrei, ma inizio ad avere paura. Ma non dicevano che Harlem era stato ripulito?
Per fortuna dopo dieci minuti vedo comparire all'orizzonte un magnifico taxi giallo. In mezzo a questo buio sembra quasi una stella cometa. L'auto accosta e Namjoon esce più inviperito che mai.
«Sali!» tuona nero.
Il suo è un ordine secco. Io abbasso lo sguardo ed entro velocemente in macchina.
«Grazie» sussurro.
Namjoon si passa una mano tra i capelli stranamente scompigliati. «Non osare farmi mai più una cosa simile, chiaro?» Il suo tono è durissimo.
«Non l'ho proprio fatto apposta... a te...» dico piano, cercando di far valere il mio punto di vista.
Lui solleva un sopracciglio irato e io mi zittisco. Ma poi ci rifletto: ma che cavolo, mi sono solo appisolata in metropolitana e mi sono persa in una città che non conosco. Non ho mica ucciso nessuno!
«Senti un po' Namjoon» gli dico con voce decisamente più elevata di prima, «vediamo di chiarirci una volta per tutte. Non sei mio padre, non sei mia madre, non sei il mio fidanzato...»
«Dio me ne scampi!» dice in fretta con una mezza risata ironica.
«...sei solo il mio dannatissimo capo, quindi vediamo di ridimensionare questo dramma. Mi sono addormentata, e che tu ci creda o no non l'ho fatto per dispetto a te. Ti sono molto grata dell'aiuto, ma non ho intenzione di autoflagellarmi per quello che è successo.» Sono molto fiera del mio discorsetto.
Namjoon però non sembra altrettanto colpito. «Sei un'incosciente, dannazione! Lo sai! Questo è solo l'ennesimo caso che lo prova. Devi crescere una volta per tutte e prenderti le tue stramaledette responsabilità!»
«Sto cercando di prendermele!» gli urlo in faccia. «Sono volata in una paese nuovo dove non conosco nessuno, dove non parlo la lingua, dove non mangio neanche il cibo... e tutto questo per crescere! Quindi non venire a farmi ramanzine, perché tutto questo è già abbastanza difficile anche senza di te. Ma con te... con te sta diventando invivibile!»
Per qualche attimo ci osserviamo come due combattenti in un ring. Mi sento sfinita. Mi volto dall'altra parte per non guardarlo. Ma poi qualcosa mi torna in mente. «Oh cazzo, tu avevi un appuntamento questa sera!»
Mi osserva stupito domandandosi probabilmente come diavolo faccio a saperlo. «Sì...» dice piano, «e ho mollato la compagna per venirti a prendere.»
«Cielo Namjoon, mi dispiace. Non dovevi lasciare la tua ragazza per venirmi a prendere!» gli dico improvvisamente molto dispiaciuta.
«La mia ragazza?» chiede. Poi ride. «Hmm, la mia ragazza. Sì, forse hai ragione, è la mia ragazza.»
Lo squadro come se stesse vaneggiando. In ogni caso vedo che si è ammorbidito.
«Scusami Nam, non volevo farti preoccupare.» E mentre lo dico mi rendo conto per la prima volta del motivo della sua rabbia: era davvero preoccupato per me.
«Scusami tu se ho urlato» mi dice, «non avrei dovuto farlo. Ma tu mi hai fatto prendere un colpo. Mi sono spaventato.»
«Pace?» gli dico porgendogli la mano.
«Pace» dice afferrando il mio palmo. Le nostre mani rimangono incatenate per un istante di troppo. Sollevo lo sguardo e incontro i suoi occhi scuri. Mi sta osservando curioso, ma senza lasciarmi andare.
«Namjoon? Questo sarebbe un buon momento per lasciare la mia mano...» dico titubante.
«Trovi?» dice ridendo ma tenendomi ancora per mano.
«Hmm, sì.» Mi sta facendo confondere, mi sento lentamente arrossire. Con uno strattone libero la presa. Ma cosa diavolo gli prende?
«Puoi tranquillamente scaricarmi in albergo e proseguire per la tua cena» gli dico, cercando di cambiare argomento.
«Tu hai già cenato?» mi chiede.
«Io... io no.»
«Allora avrai fame. Ti unisci a noi?» domanda innocente.
«Vuoi portarmi ad un appuntamento con una donna?» chiedo costernata. «Ma, lei... cosa mai potrebbe pensare?»
«E chi lo sa...» mi dice sibillino.
«E andiamo, Y/n, accetta» mi istiga. «Sarà divertente.»
Ma è davvero serio? «Dove?» Sento che sto cedendo.
«Ristorante francese» mi dice con voce seducente. Bastardo.
Il mio stomaco borbotta. «Potrei... forse potrei venire. Un rapidissimo salto.»
Namjoon sorride come un predatore. «Eccellente risposta, signorina Jones.»
In pochi attimi arriviamo al ristorante, io scendo ancora un po' incerta. Un posticino extra-lusso a giudicare dall'aspetto.
«Forza» mi incita Namjoon.
Mi decido ad entrare e mi faccio condurre al tavolo incriminato. E qui... sorpresa, sorpresa... ehhh?
«Avete fatto in fretta Namjoon» gli dice una signora anziana seduta di fronte a noi. Si alza e mi porge la mano. «Piacere, sono Kim Yuri, la nonna di Namjoon.»
La nonna??? Cena con la nonna??? Sono per caso ad una puntata di candid camera?
«Piacere, Y/n Jones» balbetto stringendo la sua mano ferma e decisa. Si tratta di una donna alta, con i capelli bianchi e meravigliosi occhi azzurri. Caspita che nonna, mi viene da pensare. Ma nella sua famiglia sono tutti bellissimi?
«Sono colpita, Nam» dice sua nonna mentre ci sediamo tutti quanti. Io devo avere un aspetto ancora molto stupito.
«E da cosa?» chiede il nipote mentre mi porge un menù.
«Quando avevi detto che andavi a salvare una collega di Seoul mi aspettavo una ragazza coreana. Invece Y/n mi sembra molto inglese dall'accento.»
Ma è un segugio? Avrò detto sì e no tre parole in croce.
«Inglesissima» confermo.
«Una sorpresa piacevole per te» aggiunge Namjoon con sicurezza senza alzare lo sguardo dal menù.
«Piacevolissima» dice la signora con un sorrisetto impudente.
Ho come l'impressione di non comprendere a pieno quello che sta succedendo.
«Sei sposata, Y/n?» mi chiede la signora sorseggiando del vino rosso.
«No» dico solo, temendo quasi di rispondere in maniera articolata.
«Fidanzata?»
«Hmm, no.» Ma è un interrogatorio? Cerco di nascondermi anch'io dietro le pagine.
«Ottimo!» esclama soddisfatta. «E tua madre lo sa?» dice con un ulteriore sorrisetto al nipote.
Namjoon muove la testa in segno di diniego. «Ero certo di farti felice nonna» dice poi con una risata.
«Cosa mai ho fatto per meritarmi un tale angelo di nipote!» esclama sua nonna poi con eccitazione.
Mi sento come un burattino le cui corde sono mosse da qualcun altro.
Il cameriere passa a prendere le nostre ordinazioni e ci versa del vino. Forse è meglio bere per cercare di dimenticare il tutto.
«E ti trovi bene a Seoul, Y/n?»
«Non particolarmente. Voglio dire, Seoul è una bella città moderna, ma io non parlo la lingua ed ho sempre l'impressione di non essere del tutto a mio agio» rispondo sincera.
La signora Kim mi guarda con simpatia. «Capisco molto bene cosa vuoi dire.»
Improvvisamente il cellulare di Namjoon squilla impietoso. Lui lo recupera dalla tasca e guarda il numero. «Devo rispondere, è una telefonata di lavoro» dice allontanandosi dal tavolo.
«È sempre lavoro» mi dice la signora Kim. «Un ragazzo così bello e non fa che lavorare. Non capisco proprio. Ma allora ho pensato che, visto che vive per il lavoro e non si muove dall'ufficio, forse potrebbe conoscere qualcuno in ufficio...» mi dice speranzosamente.
Questa conversazione sta prendendo una brutta piega.
«Signora Kim, Namjoon è il mio capo...» dico sulla difensiva.
«E allora?» chiede, come se non capisse assolutamente la domanda.
Come e allora?
«Allora io non sono il tipo che se la fa con il capo...»
«Ma chi parlava di una tresca, io miravo ad una relazione!»
Ah... Ma Namjoon quando diavolo torna?
«Mio nipote è un bel ragazzo, non trovi?» mi domanda incalzandomi.
«Immagino di sì, se a qualcuno piace il genere.» Non so davvero cosa dire per non ingarbugliare ancora di più la situazione. Non vorrei offenderla, ma nemmeno incitarla.
«E a te il genere piace?» mi domanda diretta, con un luccichio divertito negli occhi azzurrissimi.
Ma non faccio in tempo a rispondere perché alle mie spalle sento una voce dire: «Non credo proprio di corrispondere ai gusti di Y/n, nonna. Sono desolato di darti questo dispiacere.»
«Sciocchezze. Certo che le piaci. Tu piaci a tutte!» esclama convinta sua nonna. «Non è forse vero, Y/n?»
Cosa diavolo devo dire? Ammettere o negare? La verità è che su questo argomento sono un po' confusa anch'io: Namjoon non è assolutamente il mio genere di uomo, eppure... eppure... è assolutamente magnetico. Forse sua nonna ha perfettamente ragione: lui potrebbe davvero piacere a tutte. Ma è meglio non aumentare ulteriormente l'ego del signor so tutto io e strego tutti io.
«Io preferisco i biondi con gli occhi azzurri» oso dire.
«Lo pensavo anch'io prima di conoscere suo nonno. Eppure, come vedi le cose cambiano, si evolvono...»
«Nonna, sono davvero un caso così disperato che devi cercare di piazzarmi a tutti i costi?» domanda ridendo Namjoon.
«Tu non sei affatto disperato, ma solo maledettamente ostinato. E lo hai anche preso da me» gli dice secca sua nonna.
«Quindi è una buona caratteristica...» sottolinea Namjoon.
«Non cercare di cavartela in questo modo, mio caro. Sai bene che non mi fregherai con qualche complimento. Allora, cos'ha questa ragazza che non va?» gli domanda.
Già, cos'ho che non va? Ci voltiamo entrambe nella sua direzione, sguardo da guerriere.
«La serata non è abbastanza lunga per elencare tutti i suoi difetti» risponde.
«Ah-ha!» esclama trionfale la signora Kim. «Lo sapevo! Lo sapevo!»
Io non ho capito, ma Namjoon evidentemente ha colto il significato sibillino della frase perché pare quasi arrossire. Credo abbia fatto un errore a dare quella risposta, ma ancora non so quale.
«È questo il ringraziamento che mi merito per averti portato Y/n questa sera a cena?» le chiede dopo un generoso sorso di vino rosso. Vedo che anche lui sta optando per la mia strategia: ubriacarsi per dimenticare.
«Va bene, se vuoi lasceremo stare il discorso» dice sua nonna saggiamente facendogli l'occhiolino, «Comunque sappi che Y/n ha la mia completa approvazione.»
«Perché?» chiedo improvvisamente come ridestandomi da un lungo sonno.
Namjoon mi guarda in maniera penetrante. «Perché non piaceresti a mia madre, e questo divertirebbe molto la nonna. Non è forse così?»
La signora non conferma, ma nemmeno smentisce. Saggia. Poi mi si avvicina all'orecchio e mi sussurra: «Mi dicono che baci benissimo, dovresti provare mia cara.»
Riprendo il mio bicchiere e mando giù un altro sorso importante.
«Perché non piacerei a tua madre, Nam?» gli chiedo curiosa dopo qualche attimo. Lo sapevo che non dovevo chiederlo, ma non ho resistito. Qualsiasi cosa pur di non pensare ai baci.
«Perché lei approverebbe solo una ragazza coreana, e tu sei quanto di più lontano deve esserci...» mi dice la nonna di Namjoon pazientemente. «Non ho mai capito perché tuo padre l'ha sposata» aggiunge secca.
«Nonna...» l'ammonisce Namjoon con un tono molto severo.
«Lo so, lo so... è tua madre, ma davvero... sposare una ragazza coreana... pensavo di averlo educato diversamente.»
«Tu hai sposato un uomo coreano» le fa notare Namjoon.
«Esatto, una cosa molto scandalosa all'epoca. Tuo padre ha fatto una scelta molto banale invece» dice quasi rassegnata. «Ecco perché nutro la massima speranza che anche tu farai una scelta scandalosa come la mia.»
«E io che m'illudevo che ti stesse a cuore il mio bene, nonna. Tu miri solo allo scandalo.»
Sua nonna ride impertinente. «Vedrai che essere scandalosi farà esattamente al caso tuo.»
«Namjoon? Scandaloso?» chiedo inserendomi nella discussione per un attimo.
Namjoon mi guarda sornione. «Non mi trovi scandaloso?» domanda con un'espressione da predatore.
«Hmmm, no, no... credo di no.» Ma se mi guarda così potrei non esserne più tanto sicura. Riapro nervosamente il menù, ma è in francese e non ci capisco niente. Così lo richiudo altrettanto velocemente.
Namjoon mi sta osservando, ha capito perfettamente il problema.
«Signore, mi permettete di ordinare per voi?» dice solenne.
Sua nonna lo guarda curiosa. «Se proprio insisti...»
«Insisto.» E poi mi sorride e, santo cielo, mi sento quasi persa.
◦•●◉✿✿◉●•◦
La cena è passata tranquilla. Roba da pazzi, se uno pensa a com'è cominciata. Namjoon ed io stiamo tornando in albergo a piedi, in fondo la serata è molto bella e sarebbe un peccato non sfruttare l'occasione per dare un'occhiata a NYC di sera. Domani torniamo a Seoul, il nostro tempo è quasi scaduto, quindi voglio godermi ogni istante.
Lui porta generosamente parte dei miei sacchetti, io ho in mano solo quelli più leggeri.
«Mi dispiace, pensavo che sarebbe stata più discreta» si scusa Namjoon.
«Figurati, in realtà la serata è stata divertente.» Stranamente lo penso davvero.
«Beh, sì, immagino sia divertente se non si è coinvolti.»
«Guarda che ero coinvolta eccome!» gli faccio notare. «Non sai cosa mi ha suggerito...»
Namjoon emette uno strano sbuffo. «Conoscendola immagino ti abbia detto che a letto sono bravissimo e che dovresti provare.»
Lo guardo imbarazzata. «Non mi ha assolutamente suggerito una cosa simile!» dico con violenza. «Veramente ha solo parlato di un bacio...» gli faccio notare con una tono di voce molto più basso.
«Allora questa volta si è trattenuta, sta quasi migliorando...» dice ridendo.
«Comunque lo sei?»
«Cosa?» chiede stupito.
Non so assolutamente come mi sia scappata una domanda simile.
Lui si ferma e mi osserva, poi scoppia a ridere rumorosamente. «Dico, mi stai davvero chiedendo se sono bravo a letto?»
In effetti, è una cosa un po' ridicola, questo glielo devo. Non so da dove mi sia uscita una domanda simile.
«Era solo per fare conversazione...» rispondo sulla difensiva.
«E che razza di conversazione sarebbe quella sulla mia vita sessuale? Perché non parliamo della tua allora, se ci tieni tanto?» Perché se la prende tanto?
«Non c'è bisogno di arrabbiarsi. Se non sei un bravo amante, poco male... ci sono altre cose...»
Namjoon però mi si piazza davanti. «Posto che non sono affari tuoi, vediamo di chiarire un concetto: io sono bravissimo in tutto. Nei baci, e anche a letto» dice solennemente.
«È un giudizio un po' di parte...» gli faccio notare ridacchiando.
«Io non sono mai di parte.»
«Tutti sono di parte quando si tratta di se stessi!»
Veramente, non penserà davvero di essere diverso dai comuni mortali?
«Io sono solo oggettivo» ribatte fermandosi. «Devo dare una dimostrazione?»
Mi sento avvampare in un secondo. Cielo, credo mi piacerebbe avere una dimostrazione. Scaccio violentemente il pensiero. «Non essere ridicolo» gli dico quasi convinta. Dentro di me prego affinché non si accorga della mia indecisione.
«Non sai cosa ti perdi...» dice ridendo.
«Pazienza, vivrò nell'ignoranza.»
Grazie a Dio siamo arrivati all'albergo. Ancora 5 minuti e avrei finito per ripensarci.
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