Capitolo 5

Y/N'S POV:


Il viaggio è stato piuttosto lungo: tre ore di macchina durante le quali Namjoon ha parlato esclusivamente di lavoro. Da spararsi. Se penso che oggi è domenica mi viene male. Il weekend è fatto per oziare e non per fare jogging e lavorare, qualcuno prima o poi glielo dovrebbe dire. Io ho cercato di distrarmi guardando il panorama, ma non c'è stato molto da vedere. Improvvisamente i grattacieli hanno lasciato il posto ad una landa semi-deserta e un po' triste che si è mantenuta immutata per oltre due ore.

Siamo arrivati davanti a quello che dovrebbe essere il nostro albergo. La struttura mi sembra una pagoda cinese antica, ma d'altronde io non capisco niente di architettura quindi potrebbe essere qualsiasi cosa.

Parcheggiata la macchina nello spiazzo davanti all'ingresso ci incamminiamo con le nostre valigie fino alla piccola reception in legno ornata con strani fiori mai visti. Una simpatica vecchietta ci saluta in coreano. Io non ho ancora imparato neanche una parola, quindi sorrido solamente. Namjoon attacca a parlare coreano con la signora che non fa altro che inchinarsi di fronte a noi. Non colgo niente di quello che avrebbe dovuto essere una conversazione molto più breve a mio avviso. Dallo sguardo accigliato di Namjoon mi accorgo che qualcosa non va'.

«Cosa c'è?» gli chiedo. Ha organizzato tutto lui, è impossibile che gli sia sfuggito qualcosa. A Namjoon non sfugge mai niente.

Lui sospira. «C'è stato un problema dopo il temporale che hanno avuto la notte scorsa da queste parti. Il tetto perde. Morale, hanno una sola camera libera che possa essere utilizzata.»

La cosa non mi sembra così drammatica. «Quindi torniamo a Seul?» gli chiedo con naturalezza.

Sembra esitare. «Non è proprio così facile. Domani mattina noi due dobbiamo incontrare la proprietà della società oggetto della ristrutturazione. Alle 8:00.»

«Sì, ma la camera è una sola. Cosa pensi di fare?» domando in maniera innocente.

«La signora proponeva di farci dormire nella stessa camera» ribatte serafico come se la cosa non lo riguardasse. Ha infilato le mani nella giacca e saltella da un piede all'altro.

Guardo davanti a me la signora che non fa altro che sorridermi. La cosa mi sta facendo innervosire, ma questo non era il paese più bigotto della terra?

«La vecchietta non può pensarlo seriamente» gli rispondo, «e se sapessi il coreano glielo spiegherei io stessa. Ma siccome non lo so tocca a te farlo. Forza.» Lo spingo di fronte alla reception.

Vedo che sta perdendo la pazienza. «Non penserai mica che io sia contento di dover dividere la camera con te?» chiede alzando leggermente la voce, come se fosse lui quello che potrebbe avere dei problemi. Ma cosa pensa, che gli salterò addosso durante la notte?

«Cosa ne so io di quello che ti passa per la testa...» mi difendo.

«Y/n, per favore, la situazione è già abbastanza esasperante anche senza il tuo contributo. Te lo chiedo per favore, chiudi quella bocca.» Il suo tono non ammette repliche, forse tacere per un attimo può essere saggio.

Namjoon pare riflettere per qualche attimo sul da farsi, quindi riprende a parlare con la signora a cui verrà una paresi a forza di inchinarsi. Le porge un documento e afferra la chiave che gli viene porta. «Andiamo» mi dice a malapena, incamminandosi dietro la signora che ci sta facendo strada.

Sono lievemente sbigottita: ha davvero deciso che divideremo la camera

Veniamo condotti in una grande camera con un bellissimo pavimento in legno. In mezzo alla stanza vedo una tavolino molto basso e due cuscini, qualche armadio, poche mensole e solo pochi quadri alle pareti.

«Mi sfugge qualcosa. Va bene che la camera è una sola, ma il letto dov'è?» chiedo buttando la mia borsa per terra.

«Non c'è» dice Namjoon senza neanche guardarmi. Ma si sbaglia se pensa di cavarsela con una frase simile.

«Questo lo vedo anch'io. Perché non c'è?» chiedo picchiando un piede per terra seccata.

Namjoon finalmente si volta e mi osserva con occhi minacciosi. «Perché questo è un dannatissimo albergo tradizionale coreano dove si dorme per terra.» I suoi occhi lanciano fulmini e saette. Speravo in una risposta più rassicurante.

La signora apre un armadio a muro e ci mostra i nostri letti, le coperti ed i cuscini. A quanto pare si dorme davvero per terra. Incredibile, contando che siamo nel ventunesimo secolo.

La signora si allontana per ricomparire poco dopo con un gigante vassoio pieno di mille ciotole, che appoggia sul tavolino. La cena, a quanto pare. Anch'essa tradizionale coreana.

La proprietaria ci sorride timidamente, sempre inchinandosi. Vedo che Namjoon la ringrazia e si inchina anche lui.

«Ringrazia» mi dice duro. Così anch'io mi inchino e le dico grazie in inglese.

Infine la padrona di casa se ne va, richiudendo la porta dietro di sé.

Per un tempo interminabile nessuno di noi due osa dire niente, Namjoon guarda fuori dalla finestra mentre io mi siedo sul cuscino accanto al tavolino. Mi fa male il sedere dopo qualche secondo appena. Mi sistemo allora sulle ginocchia, ma dopo poco anche loro iniziano a dolermi. Qui in Corea non sanno che nel frattempo hanno inventato le sedie?

Tanto vale mangiare qualcosa: prendo le mie bacchette e infilzo quello che mi pare un pomodoro. Lo assaggio e scopro che per fortuna è davvero un pomodoro, anche se cucinato con strane spezie, ma è meglio non pensarci troppo. Continuo con il riso presente nella ciotola e altre erbette verdi. Non sono troppo cattive, e io ho davvero fame. Non mi sono nemmeno accorta che Namjoon si è avvicinato al tavolo e che mi osserva ridacchiando.

«Cosa c'è?» gli chiedo alzando lo sguardo.

«Pensavo che non mangiassi queste cose...»

«Infatti. Ma sai com'è, quello che non uccide fortifica» gli ribatto saggiamente.

Anche lui si lascia cadere sul cuscino di fronte, si toglie la giacca e la cravatta, arrotola le maniche della camicia bianca ormai spiegazzata e si siede perfettamente diritto incrociando le gambe. Io invece sono quasi distesa, non ce la faccio proprio a starmene seduta in maniera simile.

«Elegante come sempre, miss Jones» mi rimprovera.

«Rompiballe come sempre, signor Kim» gli rispondo a tono mentre continuo a mangiare indisturbata.

«Se non altro i miei commenti non ti disturbano.» Strana affermazione la sua.

«Esatto, o forse sarebbe meglio dire che non mi toccano proprio. Mi scivolano di dosso.» Mi dipingo sul viso un sorriso furbetto. «Tutta questa cattiveria repressa, non ti farà male?» insisto.

Namjoon si ferma per un attimo e sollevando le bacchette da una strana ciotola contenente della carne a pezzetti mi guarda a lungo.

«Cosa c'è?» chiedo preoccupata.

«Hai del riso in faccia» dice sospirando.

«Pensavo avessi una tarantola in faccia dal tuo sguardo. Altro che riso...» Con una mano cerco di pulirmi velocemente e, individuato il chicco di riso, lo elimino prontamente.

«Per il tuo compleanno ti regalerò un'enciclopedia sulle buone maniere. Quando sei nata?»

«Il 15 aprile, ma non sprecare il tuo denaro, io conosco benissimo le buona maniere, ma in alcuni casi decido deliberatamente di ignorarle.» Che pensi pure quello che vuole il pallone gonfiato.

«Sempre con me?» chiede appoggiando un braccio perfettamente delineato sul tavolino.

«Sì, sempre con te. Sei il mio preferito.» Gli faccio l'occhiolino e lui mi guarda cupo. Io mi zittisco e riprendo a magiare.

◦•●◉✿✿◉●•◦

Questa notte non passerà mai. Sto contando di tutto, pecore, mucche e nuvole, ma non riesco proprio a chiudere occhio. Dormire accanto a Namjoon mi innervosisce e non so perché: non rischio assolutamente nulla con lui, so che non mi degnerebbe di uno sguardo neanche se fossi l'ultima donna al mondo, ma nonostante questo non riesco a rilassarmi abbastanza da addormentarmi.

Inoltre questo così detto letto è scomodissimo, la schiena mi fa male, il sedere pure e ho anche freddo. A Seul fa ancora caldo ad ottobre, ma a quanto pare qui siamo in collina e il clima è decisamente diverso, con una forte escursione termica. Di riscaldare la stanza naturalmente non se ne parla neanche. Mannaggia a me quando mi sono portata dietro una camicia da notte striminzita La verità è che io pensavo che avremmo alloggiato in un albergo di classe e per una volta ho lasciato a casa il pigiamone regalatomi dalla mamma. Ora naturalmente sono pentitissima. Senza contare il momento incredibilmente imbarazzante in cui dal bagno sono dovuta arrivare fino al giaciglio improvvisato per la notte. Namjoon mi ha guardato a lungo senza dire niente, e io sono arrossita fino alla punta dei capelli. Sono una ragazza timida! Non mi si deve mettere in imbarazzo!

Mi sollevo dalle coperte e mi metto a sedere osservando la stanza buia, inutile cercare di dormire se il sonno non vuole arrivare. Ma come cavolo ci sono finita qui? Qualcosa del mio fantastico piano post università deve essere andato molto storto. Eppure pensavo di aver fatto tutto correttamente!

Non troppo distante da me vedo una figura che non si muove. Che razza di persona il mio capo. Improvvisamente si gira nella mia direzione, io quasi sussulto sorpresa. «Cosa c'è Y/n?» Sempre acido quando pronuncia il mio nome, anche quando dovrebbe dormire.

«Non riesco a prendere sonno» dico semplicemente.

Anche lui si tira su e scopre un torace perfettamente scolpito, mentre io quasi arrossisco. Non avrei mai detto che fosse il tipo che dorme senza maglietta.

«Mangiato troppo?» domanda ironico. Gli faccio una smorfia.

«No, è che non sono abituata a dormire per terra. E poi fa freddo.»

Lo vedo sorridere nel buio. «Certo, con quella cosa addosso...»

«Da che pulpito...» rilancio.

«Ma io non mi sto lamentando che ho freddo» puntualizza.

«Sì, ma non stai neanche dormendo. Per quanto ne so potresti avere freddo anche tu.»

Sbuffa, ma poi si alza e si mette a cercare qualcosa nell'armadio. Anche se la stanza è immersa nel buio vedo distintamente che ha delle belle spalle. Prima che io possa pensare altro trova una coperta e me la butta addosso. «Copriti» dice solamente e si rimette a sedere nel letto.

Io sistemo alla bell'e meglio la coperta e sto quasi per rimettermi a dormire quando in un momento di estrema magnanimità gli dico: «E tu? Perché non dormi?»

«Perché il letto è davvero durissimo. Che tu ci creda o no lo stile tradizionale coreano non mi si addice.» Come lo dice si mette a ridere di se stesso. «E perché non sono abituato a sentire il respiro di un'altra persona nella mia camera da letto» conclude.

Questa affermazione è troppo allettante perché io non mi ci butti come un pesce. «In genere le rimandi a casa subito dopo?»

«Scusami?» domanda sorpreso.

«Sì, insomma, sei uno di quelli che non si ferma mai a dormire dopo?» Sta cercando di fare il finto tonto?

«Y/n, le signorine per bene non parlano di certe cose.» È divertito dalla mia domanda, lo vedo anche al buio. «E se vuoi proprio saperlo le ragazze coreane sono molto meno disinibite di quelle americane.»

«Chi ti dice che io sia una noiosa signorina perbene? Niente sesso da quando sei qui?» chiedo a bruciapelo.

«Ma che razza di domande mi fai!» Non sembra affatto uno timido, penso solo di averlo preso in contropiede.

«Ti sto solo prendendo in giro, rilassati. Buonanotte» gli dico e mi rimetto a dormire.

Sto cercando di pensare ai prati fiorite e alle montagne innevate che gli psicologi consigliano per rilassarsi nel tentativo di addormentarmi. Domani sarò uno straccio.

«E tu?» sento improvvisamente che mi domanda.

Mi rigiro seccata dalla sua parte in modo da vedere il suo volto, che però non svela niente. «Io cosa?»

«Tu sei abituata a dormire da sola oppure...» Non conclude neanche la frase che rimane in sospeso.

«Sei pazzo se pensi che ti risponda.» Mi sta tenendo sveglia con domande simili?

«Infatti non mi aspettavo una risposta vera e propria. Ma ti ho visto arrossire visibilmente anche se qui è tutto buio, e mi è bastato quello per capire tutto.» Si appoggia ad un gomito e si distende sopra le coperte.

«Capire cosa?»

Lui alza le spalle con fare da saputello.

«Ti diverti a mettermi in imbarazzo» lo sgrido.

«Cosa posso dirti, ho scoperto che è divertentissimo. Quasi meglio di certe cose che ti imbarazzano tanto.» Ha una certa faccia tosta, questo glielo devo.

«Sai che sei l'unico coreano cafone che conosco?» Mi rialzo a sedere per la seconda volta. A quanto pare non si dormirà ancora per un po'.

«Mi abbasso solo al tuo livello.»

Sentendo la sua risposta afferro la sottospecie di salsiccia che qui chiamano cuscino e cerco di colpirlo, ma lui para il colpo.

«Peccato. Sai, vero, che ora ti toccherà dormire senza?» Mentre lo dice infila il mio cuscino dietro la testa.

Sì, lo so benissimo. Mi era chiaro ancora prima di lanciarlo, ma non ho resistito lo stesso. Mi giro dall'altra parte e, cercando di fargli un dispetto, finisco anche per addormentarmi.

◦•●◉✿✿◉●•◦

La cosa più deprimente di questo viaggio non è il fatto che mi è toccato dividere la camera con Namjoon, o il fatto che ho dormito per terra al freddo e senza cuscino... no, la cosa più terrificante di tutte è la colazione che in questo momento si trova davanti a me. Vi giuro, in questo preciso istante c'è un gigantesco pesce alla griglia che mi guarda con i suoi occhi cotti dal vapore. Non possono fare una cosa simile ad una brava ragazza che ama la colazione alla francese. Questa è una tortura non ammessa dall'ONU. Anche i prigionieri politici hanno diritto a certi trattamenti umani.

Mi sono sentita impallidire nel momento in cui ho visto la gentile padrona di casa entrare con il vassoio. L'odore mi ha quasi già ucciso, ma la vista è il colpo che mi metterà definitivamente KO. Cielo, sento il mio stomaco contorcersi dall'orrore. Cerco di aguzzare la vista per vedere le altre ciotole, ma mi sembra di aver individuato del kimchi, e il cavolo fermentato di prima mattina non è esattamente indicato per farmi dimenticare una nottataccia.

Tra l'altro il mio collo è completamente indolenzito dalla mancanza di un cuscino su cui appoggiarlo. Distolgo lo sguardo e vedo gli occhi severi di Namjoon. Maledetto. Chiaramente lui sembra più riposato di una rosa, con la carnagione perfetta e nemmeno una traccia di occhiaie. Io sembro uscita da un film sui morti viventi. Mi sono cosparsa la faccia di cipria per quasi mezz'ora questa mattina, ma non è bastato assolutamente a rendermi presentabile. Sento che mi sta anche venendo un fastidiosissimo brufolo sul mento.

«La colazione non è di tuo gradimento?» mi domanda quasi sorpreso.

«Mangia pure» lo incito. «Spero che una grossa spina di questo pesce ti si conficchi in gola.»

«Di pessimo umore quando è appena sveglia» dice a se stesso, sospirando falsamente.

«No, di pessimo umore a vedere te e quel pesce appena sveglia» rispondo stizzita digrignando i denti ed indicando la colazione davanti a noi.

Lui mi sorride, falso come Giuda, e si mette a mangiare un poco di riso in bianco. Nonostante tutto so che questa colazione gli fa schifo tanto quanto a me, ma non può perdere l'occasione per denigrarmi, così si sforza di mangiare qualcosa per mostrare la sua superiorità.

«Buono vero? Mi raccomando, non esagerare con le quantità» lo canzono.

«Prometto che dopo ti troverò un caffè» mi dice ad un certo punto, guardandomi negli occhi. Per un attimo ha abbandonato il tono ironico ed è diventato quasi serio, «appena usciamo da qui.»

«Grazie» gli rispondo solo.

Effettivamente si è rivelato di parola. Mi ha trovato un posto dove prendere il caffè non appena usciti dal portone d'ingresso dell'albergo, cosa che lentamente mi ha rianimato. La caffeina è un tocca sana in queste occasioni. Ora sono seduta in questa sala riunioni che sogno di tornare a casa; mi sento davvero a pezzi e la testa inizia a farmi seriamente male.

Sono tutti molto gentili e si sforzano di parlare inglese mentre discutono del piano di rilancio della società, ma io faccio ugualmente fatica a seguire il discorso. Ammetto invece che Namjoon è completamente a suo agio nel ruolo, tutti pendono dalle sue labbra. Indubbiamente sta dicendo delle cose molto giuste, ma non è solo quello. È come le dice: visto così si capisce che è uno che sa fare il suo lavoro, sa come intrigare, sa quando spingere e come convincere. La sua presenza fisica gli è d'aiuto anche se lui non la usa troppo, giusto quel poco che serve.

La segretaria del Sig. Lee, padrone della società, non riesce quasi a staccargli gli occhi di dosso. È una ragazza carina, dalla statura minuta e magrolina, ma con un'espressione dolce. Sicuramente è il tipo di persona che non litiga con il proprio uomo ma lo venera, che gli prepara ottime colazioni coreane e che dorme per terra senza lamentarsi.

La presentazione è finita, è il momento della pausa caffè che ci hanno preparato.

«Direi che è andato tutto bene, vero?» mi si avvicina Namjoon senza che io me ne accorga. Anzi, quasi sussulto ritrovandomelo davanti.

«Hm, sì. Tutto bene.» Faccio fatica a dirgli che è stato bravo. Sono certa che si è già complimentato da solo con sé stesso.

«E indovina un po', il Sig. Lee è rimasto così favorevolmente colpito che la nostra presenza non è più richiesta domani. Quindi questa sera leviamo le tende.»

«Yesss!» Non riesco a nascondere il mio entusiasmo di fronte alla notizia.

«Ti vedo distrutta all'idea di non poter passare un'altra notte in camera con me...» dice ridacchiando.

Lo incenerisco con lo sguardo. «Niente di personale, ma io per terra e senza un cuscino normale non ci dormo più. Se proprio vuoi dividere la camera almeno procuraci qualcosa come un letto.»

«È un invito a dividere il letto?» chiede curioso.

«Era tanto per dire!» Effettivamente mi sono espressa male, ma come fa a pensare, anche solo scherzando, a certe cose? Per mascherare l'imbarazzo gli infilo un gomito nelle costole. Sussulta per il dolore, ma così impara a prendermi in giro. La segretaria osserva la scena sbigottita: sono sicura che lei non ha mai colpito nessuno in vita sua.

Il Sig. Lee si avvicina sorridente e si rivolge a Namjoon: «Le faccio i miei complimenti, ha una collaboratrice davvero molto bella.»

Per un attimo Namjoon mi pare riflettere, ma poi si sforza di sorridere. Ha capito anche lui che al sig. Lee non interesse niente delle mie capacità ma si interessa solo del mio aspetto. Al mio capo questa cosa da evidentemente fastidio ma non può dire niente. La cosa mi sorprende così tanto che non mi offendo neanche per quello che sta dicendo il sig. Lee, mentre per la prima volta sono piacevolmente sorpresa da Namjoon. Gli lancio un'occhiata furtiva che lui coglie al volo. Mi fa un piccolo sorriso.

«Y/n non è solo molto bella, è anche una grande lavoratrice» gli dice. Non sono sicura che lo pensi veramente, ma fa comunque piacere sentirlo.

«Ma certo...» si scusa subito il sig. Lee, «quello era sottinteso.» Mica tanto, vorrei ribattere. Ma è meglio non farlo; la giornata è andata bene e non c'è motivo per creare tensione.

Una volta che siamo in macchina sulla via del ritorno mi sono persino dimenticata dell'incidente.

«Ti chiedo scusa, ma non potevo dire altro senza offendere palesemente il sig. Lee» mi dice Namjoon.

Guardo nella sua direzione: sta guidando tutto concentrato sulla strada, il buio sta iniziando a calare intorno a noi. Il paesaggio è ovattato e silenzioso, siamo ancora lontani dal caos di Seoul.

«Ho apprezzato il tuo intervento, davvero. E non sono affatto offesa: ho troppa considerazione di me stessa per prendermela» rispondo sincera. Da quando mi sono allontanata da Londra mi sento davvero una persona nuova. Qualche volta mi chiedo cosa ne è stato della mia vecchia personalità. Si vede che situazioni nuove creano stimoli nuovi.

«Immagino che tu sia abituata a certi commenti.» Namjoon interrompe il flusso dei miei pensieri freudiani.

Da cosa lo ha dedotto? «Veramente no, affatto. Non sono mai stata una etichettata come bella: troppo alta e troppo comune per esserlo.» Non sono sicura dove voglia andare a parare con certe osservazioni così poco abituali per un tipo come lui.

«Non pensi di essere una bella ragazza?» chiede sorpreso.

«No, veramente no. Tu pensi di essere un bell'uomo?»

Ride divertito. «Io so di esserlo.»

Che risposta sfacciata, ma la cosa non mi sorprende. «E so anche come mi guardano tutte le donne» finisce. Avrebbe fatto una figura migliore se si fosse trattenuto dall'affermare una cosa simile.

«Veramente non proprio tutte» gli faccio notare in maniera elegante.

Si volta velocemente a guardarmi e mi fa l'occhiolino. «Hai ragione bionda, tu non mi guardi così. Ed è il motivo per cui con te riesco a scherzare su certe cose.»

«La segretaria del sig. Lee sembrava molto interessata a te. Potevi chiederle il numero di telefono.»

«Non fare anche tu come mia madre, non cercare di fissarmi appuntamenti.» La sua voce ora è più severa. Oh oh, abbiamo toccato un argomento dolente: anche lui ha dei problemi con la madre.

«Cosa c'è di male? Ogni tanto bisogna uscire a divertirsi.»

«Da che pulpito... vedo che hai un'agenda di appuntamenti molto piena.» Altra osservazione scorretta.

«Cosa c'entra, io mi trovo in un paese straniero, conosco poche persone... e a dirla tutta non vedo in giro molti ragazzi disposti ad uscire con me.»

«Non li vedi perché li intimorisci e quindi non osano avvicinarsi. Dai l'impressione di essere cattivissima.»

Davvero?

«Beh, non lo sono. Basterebbe che qualcuno me lo chiedesse e io non mi farei problemi ad accettare.» Più o meno corrisponde a verità.

Per un attimo tace, indeciso, prima di dire: «Allora esci con me una sera.»

Sono sicura che sta cercando solo di essere divertente, ma nonostante questo c'è nell'aria qualcosa di strano. Rido per alleggerire la tensione. «Che buffo che sei.»

«È un no?» chiede continuando a guardare la strada.

«È un non prendermi in giro.»

«Vabbè, lasciamo cadere l'argomento visto che non vuoi cogliere.»

La discussione si sposta su temi più neutrali durante il resto del viaggio, come se ci fossimo scottati con il fuoco prima e ora non osassimo più affrontare discorsi personali.

Siamo sul pianerottolo in attesa di infilare ognuno la propria chiave nella serratura, indecisi su come salutarci. «Beh, è stato sicuramente un viaggio di lavoro diverso dal solito» gli dico.

Lui annuisce ed azzarda un lieve sorriso. Non sforzarti troppo.

«Buona notte» concludo.

«Buona notte. Mi mancherà non poter dormire con due cuscini» mi dice e si infila velocemente dentro casa.

Io lo guardo mentre scompare dalla mia vista. Mah...

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