Capitolo 4
Y/N'S POV:
Finalmente la mia prima settimana lavorativa sta per concludersi. Oggi è venerdì!
Coordinare quattro persone è tutt'altro che facile, ma sono sopravvissuta. Devo ammettere che i miei ragazzi sono abbastanza ubbidienti. Sun Jung continua ad essere troppo timida e servile nei confronti dei suoi colleghi maschi ma sta pian piano imparando a relazionarsi maggiormente alla pari. Io cercherò di insegnarle quel poco che so. Forse non ho idea di come fare questo lavoro ma quando si tratta di far polemica non sono seconda a nessuno.
Namjoon è ufficialmente il capo tiranno che sospettavo fosse. Oltre al lavoro non credo abbia una vita. Fa orari allucinanti e costringe anche gli altri a fermarsi fino a tardi. Ho deciso di far passare la prima settimana ma dalla prossima io ho chiuso con le nottatacce in ufficio. Per quanto sia in terra straniera voglio pur sempre vivere. Alle sette io me ne vado fuori da questo ufficio, o finirò per mettere radici nella terra del mio ficus, che, per il momento, non dà alcun segno di cedimento. Anzi, oserei quasi azzardare che è migliorato da quando è con me. Ogni tanto quando non mi vede nessuno gli parlo. Jennie mi ha mandato un'e-mail dicendomi che parlare alle piante è molto importante. Sono così disperata che le provo tutte. Se il ficus muore, prima di tutto Namjoon mi farà a pezzi, e poi rimarrò senza ulteriore paravento dal suo sguardo indagatore. Manco fosse il tenente Colombo.
L'unica cosa positiva di questa trasferta per il momento è che mia madre mi chiama una volta a settimana e non tutti i giorni come invece faceva quando ero a Londra.
Al momento siamo tutti impegnati in una noiosa fusione di due acciaierie: la solita mega multinazionale che ci paga vuole acquisire una piccola società di nicchia coreana, ma per farlo ha bisogno di analizzare i bilanci, prevedere i business plan futuri e stabilire il prezzo equo per la transazione. I ragazzi stanno riclassificando gli ultimi 5 anni di bilanci mentre io sto cercando di mettere giù un'idea di business plan. Per la cronaca trovo che il nostro sia un lavoro noiosissimo. Siccome mi rendo conto di essere l'unica qui dentro a pensarlo, saggiamente taccio. Speravo veramente di trovare un alleato in questo posto, ma esattamente come a Londra sono tutti felicissimi di quello che fanno.
Il vero problema della mia prima settimana a Seoul è stato però il cibo: per il mio palato quello coreano è pessimo. Ho voluto aspettare qualche giorno prima di emettere una sentenza definitiva ma se vado avanti così in pochi mesi sarò magra come le modelle della pubblicità dei jeans di CK, cosa che non ero nemmeno a 18 anni.
Io e il kimchi non andiamo assolutamente d'accordo. Il riso scotto e senza sale che qui va per la maggiore è insopportabile, e il kimchi non riesco proprio a farmelo piacere in nessuna delle sue varianti. Qui amano anche mangiucchiare pezzettini di carne di maiale con una sospettosa verza scotta: non so cosa mi faccia più schifo. Senza contare che usano strane bacchettine di alluminio. L'unica funzione che potrebbero avere per me è quella di infilzare qualcuno in caso di necessità. Trovo sia pericolosissimo mangiare con qualcosa di simile, è una vera arma.
La buona notizia è che Adam non fa che girarmi intorno, e credo che stia meditando su come invitarmi fuori a cena. È sicuramente un bel ragazzo. Affascinante. Sì, decisamente troppo pieno di sé e probabilmente con un cervello piccolo, ma non si può avere tutto. Devo assolutamente dargli una possibilità, anche perché in giro non ci sono altri ragazzi biondi e a me sono piaciuti sempre e solo biondi.
Da quando sono arrivata dormo male, il fuso non l'ho ancora pienamente interiorizzato e il mio materasso serve più alla tortura che al riposo, quindi alle otto di sera del venerdì ho fame, ho sonno e sono ridotta uno straccio. Ne ho piene le scatole dei bilanci che devo finire di esaminare per la mia relazione. Aspetteranno lunedì.
Mi alzo con uno scatto abbastanza rumoroso e vedo che attorno a me tutti alzano lo sguardo. Faccio un sorrisetto e poi mi fiondo in ufficio da Namjoon, che naturalmente è al telefono con qualcuno dei soliti pezzi grossi. Mi siedo paziente sulla comoda poltrona davanti alla sua scrivania e aspetto silenziosa che finisca la sua conversazione. Sento che si sta mettendo d'accordo per un viaggio d'affari settimana prossima. Wow, si toglie dalle scatole. Ecco finalmente una buona notizia, visto che questi ultimi giorni non ha fatto altro che riprendermi. Sono ancora intenta nei miei ragionamenti che non mi accorgo neanche che ha finito di parlare e ha posato la cornetta.
«Avevi qualcosa da dirmi?» chiede destandomi.
«Ah sì. Me ne vado a casa. Sono stanca. Sono stufa. Non ce la faccio più.»
«Lo vedo anch'io che sei ridotta uno straccio» mi dice. Come dire che non resisto neanche a fare questo elementare lavoro...
«Dalla prossima settimana io cambio orario. Se vuoi sei libero di morire qui, ma io sono troppo giovane per farlo» gli comunico fredda.
«Cielo Y/n, ti ho chiesto io di rimanere a lavorare tutte le sere?» mi chiede alzandosi nervosamente dalla sedia.
«Effettivamente no, ma nessuno osa muoversi se il capo non se ne va. Capisci cosa intendo?» gli chiedo indicando i ragazzi nell'altra stanza.
«Sì, e proprio per questo tu sei qui. Se il loro capo, che ti ricordo sei tu, se ne va, anche loro saranno liberi di farlo. Non chiedo a nessuno di fare gli orari che faccio io.»
Fatemi capire, mi sta dicendo che devo andarmene a casa prima e che di fatto mi hanno preso perché sanno che sono una scansafatiche?
«Lo sai, vero, che non mi stai dicendo delle belle cose? Che potrei offendermi?» gli chiedo.
Lui cammina per la stanza avanti e indietro e nemmeno mi guarda. «Non c'è davvero motivo per offendersi. Anche se voi donne siete specialiste per farlo.»
«Siamo acidi oggi, eh? Non c'è motivo per generalizzare così su tutte le donne che incontri. Anche se voi uomini siete specialisti nel farlo.»
Per un attimo si ferma e finalmente mi guarda. Ha un aspetto sofferto. Cosa diavolo gli prende questa sera?
«Secondo te uno che lavora 12-14 ore al giorno può avere una vita al di fuori di qui?»
Non sono del tutto sicura che lo stia chiedendo a me, sembra più una domanda rivolta al mondo, ma visto che non ci sono altri in giro mi sento in dovere di rassicurarlo almeno io. «Sì, credo sia possibile. Ci sono i weekend, ci sono le notti» gli dico facendogli l'occhiolino cercando di risultare simpatica.
«Y/n, se anche le ragazze inglesi iniziano a fare battute sul sesso vuol dire che è il momento di staccare» mi dice serio.
Io lo guardo senza capire. «No sex, we're british, ricordi?»
Si affaccia alla porta dell'ufficio e dice agli altri ragazzi: «Siamo ufficialmente tutti scoppiati. Forza, andiamo a cena fuori.»
Gli altri tre scattano come foche ammaestrate, entusiasti della proposta. Vili traditori.
«Io vi abbandono...» inizio a dire cercando di scappare dalla prospettiva di altro kimchi.
Ma non mi è permesso. «Le cene del team sono sacre. Distendono i rapporti dopo giorni faticosi e ti aiutano a farti conoscere meglio dagli altri» sentenzia l'uomo che sa tutto.
«Namjoon, tu non hai capito: se mangio ancora una volta cibo coreano questi ragazzi non avranno più un capo, ma un ammasso di ossa alla mia scrivania.»
Ride. «Ma chi ha detto che si va a mangiare coreano?»
«E dove andiamo?» chiedo dubbiosa. Di lui non mi fido.
«Italiano» dice solo con voce suadente e prende la giacca grigia appoggiata allo schienale della sua sedia. «Ti potrebbe interessare?»
E come lo dice il mio stomaco inizia a brontolare. Vedo materializzarsi davanti a me enormi piatti di spaghetti al pomodoro.
Jimin ci viene incontro. «Capo, ha detto che si va al ristorante italiano? Ma noi non ci andiamo mai» si lamenta il solito guasta feste secchione. È tale e quale ad un mio compagno di classe delle superiori che non mi faceva mai copiare.
«Da adesso in poi ci andremo spesso» gli risponde Namjoon troncando qualsiasi ulteriore discussione. Per un brevissimo attimo, il tempo di un battito di ciglia, mi è stato quasi simpatico.
◦•●◉✿✿◉●•◦
Il ristorante italiano vicino al nostro ufficio si chiama Basilico Verde e comprendo il motivo della scelta del nome non appena ci metto piede: incredibilmente il locale è pieno di piante di basilico che emanano un profumo delizioso. La tavola è apparecchiata con tovaglie a quadretti bianchi e rossi, e finalmente vedo dopo tanto tempo una vera forchetta accanto al piatto al posto di quelle dannate bacchette e di strani cucchiaini dal manico lungo.
I camerieri sono però tutti coreani e pronunciano malissimo il nome dei piatti che in teoria dovrebbero conoscere alla perfezione, ma almeno il proprietario è davvero italiano e si aggira imponente tra i tavoli con la sua pancia e la sua barba da babbo natale.
La prospettiva di mangiare degli spaghetti deve avermi rianimato perché mi sento come rinata: non faccio altro che sorridere e credo persino di avere uno sguardo quasi felice la prima volta dopo molti giorni. Pancia mia finalmente si mangia!
Aprendo il menù la prima cosa che noto è che è in coreano e in inglese: evidentemente anche i ristoranti italiani devono adattarsi qui in Corea.
Gli altri studiano con attenzione cosa ordinare, Namjoon invece mi guarda in maniera strana.
«Cosa c'è?» gli chiedo. Questa sera neanche lui riuscirà a rovinare il mio umore.
«Sei strana» mi dice semplicemente, come se quelle parole spigassero tutto.
«Non sono strana, sono solo una donna affamata da una settimana, e se permetti questo incide non da poco sul mio umore.»
«Sei comunque strana» mi ripete con espressione misteriosa.
Alzo le spalle in segno di resa. Che pensi pure quello che vuole, tanto lo farà comunque.
Riesco a convincere tutti a provare un mix di paste diverse, che mi lasciano scegliere in quanto esperta di cucina italiana: spaghetti al pomodoro e basilico, penne al gorgonzola e tagliatelle al ragù. Estasi.
Sono così presa da quello che stiamo mangiando che tiro fuori una discussione strana: «Non credete che il cibo sia meglio del sesso?» chiedo alla mia tavolata che smette di mangiare nell'istante in cui sente le mie parole.
Tutti si sono fermati a guardarmi. Namjoon si sporge dall'altra parte del tavolo e mi sussurra «In Corea non si usa parlare apertamente del sesso, come invece succede in Europa o in America. Qui sono tutti più pudici» mi istruisce.
«Stai scherzando! Non solo mangiano male ma sono anche bigotti» esclamo forse troppo ad alta voce.
Tutti mi guardano nuovamente. Meglio cambiare argomento.
Sun Jung è entusiasta del cibo. Non fa che sorridermi e ringraziarmi di averle fatto provare un cibo così esotico (esotico l'italiano?). In maniera timida propone: «Andiamo al karaoke dopo?»
Per un attimo mi blocco sbalordita.
«Chiudi la bocca, Y/n» mi dice Namjoon ridendo. «Troppo stupore può nuocerti.»
Gli altri aderiscono felici. Dico io, felici di andare al karaoke? In Inghilterra nessuno mai oserebbe proporre una cosa simile.
Una volta fuori dal ristorante io voglio solo andare a casa a godermi il tanto meritato riposo e la meravigliosa sensazione di aver mangiato qualcosa di incredibile. Credo che questa notte sognerò cose bellissime.
«Io vi saluto qui ragazzi. Sono davvero troppo stanca per venire al karaoke con voi» cerco di giustificarmi.
Sun Jung non vuole però assolutamente farmi andare via. «Oh, no, proprio adesso che iniziava la parte più bella della serata! Ti prego, devi rimanere! Sig. Kim, glielo dica lei...» si rivolge ora a Namjoon che se ne sta in disparte. Namjoon sembra stupito di essere stato tirato in ballo, probabilmente preferiva di gran lunga liberarsi di me.
«Forza Y/n, niente storie. Rimani. Senza contare che non è il caso di farti girare da sola la sera. Meglio se torniamo insieme. Non faremo tardi» mi dice infine.
A questo punto sono in trappola, quindi, anche se a malavoglia, con un cenno del capo acconsento ad andare.
I coreani devono essere davvero pazzi per amare il karaoke, e a giudicare dalla folla presente nel locale lo sono tutti. Il posto è pieno di gente che sembra uscita dagli uffici. Probabilmente sono anche loro colleghi di lavoro esattamente come noi.
I ragazzi si lanciano sul piccolo palchetto cantando a turno canzoni coreane di cui non capisco una parola. La cosa che mi colpisce di più è che sembrano davvero divertirsi. Non comprendo cosa possa esserci di bello nell'umiliarsi davanti a tutti. A quanto pare avrò la scusa per non dover cantare anch'io: io non parlo nemmeno una parola di coreano.
Namjoon si è seduto sul divanetto nero davanti al palchetto, sembra rilassato e a suo agio.
«Non canti?» mi chiede canzonatorio mentre osserva gli altri tre.
«Certo che no. Se sono qui è solo colpa tua» gli rispondo.
«Non dirmi che non ti piace cantare?» chiede spostando il suo sguardo su di me.
«Io non so cantare, che è diverso. Sono stonata come una campana.»
Mi lancia un'espressione scettica. «Tutti sanno cantare, dipende solo come.»
Inutile che cerchi di fare il saggio, io faccio schifo come cantante e non ho intenzioni di umiliarmi questa sera. Vedo Sun Jung avvicinarsi minacciosa. «Y/n, ora tocca a te!»
Non ha proprio capito niente questa ragazza. Si siede docilmente sul divanetto e guarda timidamente Namjoon, che naturalmente non se ne accorge neanche. Ora che ci penso è tutta la sera che lo guarda di nascosto. Credo proprio di aver scoperto che la piccola Sun Jung ha un debole per il capo. Come d'altronde metà delle donne che lavorano nella nostra sede.
«Non posso proprio cantare. Non conosco niente in coreano» mi giustifico con soddisfazione.
«Sono sicura che ci sarà qualcosa anche in inglese» mi risponde lei convinta.
Tutti si mettono a scorrere l'elenco delle canzoni disponibili ed esultano. «C'è Endless Love!»
«Oh, ma è un duetto. Non posso cantarlo da sola.» Giuro, sono disposta ad attaccarmi a qualsiasi scusa.
«Forza. Alza il tuo pesante sedere dal divano e vieni a cantare con me» mi dice Namjoon che si è alzato di scatto e mi sta porgendo il microfono.
«Dovrei cantare Endless Love con te?» chiedo.
«Giuro che non mordo, almeno non mentre canto» mi risponde trascinandomi per un braccio sul palco.
«Sei un vile e sappi che questa me la paghi» gli dico tra i denti mentre sento che la canzone sta partendo.
«Cosa ci posso fare, mi diverto troppo quando ti vedo così...»
Il risultato è inizialmente grottesco ma inizia a migliorare verso metà. Namjoon è naturalmente molto intonato, ma di questo non ho mai dubitato. Mister perfezione probabilmente sa fare tutto. Io cerco di seguirlo come posso, canto a bassa voce i pezzi dove sono da sola e cerco di prendere in qualche modo la sua intonazione quando dobbiamo cantare insieme. Alla fine gli altri applaudono sinceramente.
«Wow, non male davvero!» mi dice Sun Jung.
Certo, come nooo. «Per me adesso è davvero il momento di andare a casa. Non riesco a tenere gli occhi aperti» mi scuso salutando tutti in fretta.
Gli altri protestano, ma dopo la mia performance pietosa sento davvero di aver toccato il fondo. Prendo la mia giacca e in men che non si dica scappo fuori dal locale. Per questa sera ne ho abbastanza.
Ora devo solo capire dove sono e come fare a tornare all'appartamento. Questi grattacieli sembrano tutti terribilmente uguali, ma se cammino un po' dovrò trovare prima o poi una stazione della metropolitana.
Improvvisamente sento una voce chiamarmi da dietro: «Y/n, hai sbagliato direzione!» Mi volto sapendo già che troverò Namjoon.
«Quale parte della mia frase non ti era chiara quando ti ho detto di non andartene in giro da sola?» mi chiede avvicinandosi. Non capisco mai quando è serio o quando è ironico.
«Non volevo rovinare la serata a nessuno» mi scuso. «Saresti dovuto rimanere.»
«Io non riesco più a stare dietro a quei ragazzini ventenni o poco più. Ricordi, sono vecchio come Gesù Cristo e quindi devo andare a casa» mi risponde accennando un sorriso. Incredibile, deve essere di buon umore. Cosa rarissima.
«Mi ero già scusata per averti dato del vecchio» mi giustifico.
«Ah, quindi implicitamente mi stai anche dicendo che sono vecchio! Non ho parole, come siete scortesi voi inglesi. E poi dite degli americani.» A questo punto mi prende la mano e inizia a trascinarmi nella direzione giusta.
«Non c'è bisogno di trascinarmi, cammino anche da sola» gli dico liberandomi dalla stretta.
Per fortuna la metro è vicina, i miei piedi sono davvero al limite della sopportazione.
«Perché mai ti ostini a camminare con scarpe così scomode?» chiede notando una mia smorfia di dolore mentre entriamo nella carrozza.
«Per la moda bisogna soffrire» gli dico con filosofia.
«Non nel paese dove tutti hanno in media 20 cm in meno di te. Niente più tacchi in futuro, per favore.»
«Scherzi, io ho solo scarpe con il tacco!» gli rispondo decisa.
«Possiedi per esempio delle scarpe da ginnastica?» chiede.
«Credo di sì, devo averle comprate nell'epoca in cui andavano di moda due anni fa, ma non le metto spesso» lo punzecchio.
«Ottimo, allora domani mattina jogging per smaltire la mangiata di questa sera.»
Sta scherzando? «Io non devo smaltire un bel niente» gli faccio notare.
«Dovrai farlo tra qualche anno se non fai un po' di moto» mi dice osservandomi critico.
Come osa! «Di sicuro questa trasferta mi sta aiutando già abbastanza a mantenere la linea» gli faccio notare.
«Domani alle 8:00 in punto.» A quanto pare non è uno che molla.
«Io non corro. Mai» rispondo incrociando le braccia cercando di fargli capire che la cosa è definitiva.
Ormai siamo arrivati al nostro palazzo e stiamo entrando nell'ascensore illuminato.
«Tu non canti, non mangi, non corri. E cosa fai a parte difendere il fatto che non vuoi fare niente?»
Crede forse di riuscire a fregarmi con i giochetti di parole? Lo guardo dubbiosa e nemmeno gli rispondo.
«È inutile, non abbocco alla tua provocazione. Buona notte» gli dico solo, infilando la chiave nella mia porta.
Lui si avvicina un attimo e mi dice solo: «E a quanto pare non fai nemmeno l'amore come si deve perché in quel caso sapresti che il sesso è molto meglio di qualsiasi cibo. Anche di quello italiano. Buona notte.»
L'impertinente entra poi velocemente dalla sua porta di casa e mi lascia di sasso sul pianerottolo. Ho sempre saputo che gli americani erano insolenti. Adesso ne ho anche le prove.
◦•●◉✿✿◉●•◦
Probabilmente sto ancora sognando. Ma a quanto pare deve trattarsi di un incubo. Mi sembra di sentire quasi qualcuno bussare alla mia porta. Che cosa assurda. Solo mia madre oserebbe svegliarmi all'alba, e per mia fortuna lei si trova a migliaia di chilometri dalla mia porta.
Mi rigiro dall'altra parte del letto e cerco di ricordare cosa stavo sognando pochi attimi prima. Ma ecco che il suono alla mia porta ritorna.
«Forza Y/n, alza il tuo pesante sedere dal letto e infila le scarpe da ginnastica» sento che mi dice Namjoon dall'altra parte della porta d'ingresso.
Sta scherzando, sono solo le otto di sabato mattina e io di qui non mi muovo!
Continua a colpire la porta. Conoscendolo un poco direi che è un tipo che non si arrende facilmente. Mi alzo barcollando dal letto e mi rendo conto che indosso un buffo pigiama con disegnato sopra pecorelle e mucche che volano. Poco male, vuol dire che capirà che non vengo a correre.
Con gli occhi ancora incollati dal sonno riesco in qualche modo ad aprire la porta. Namjoon è in tuta e mi osserva curioso mentre gli dico: «Non se ne parla, io torno a dormire.»
Sto per richiudere con decisione la porta quando lui la blocca con un piede. «Niente storie, forza, cambiati.»
«Lo so che mi conosci molto poco, ma ti do un consiglio Namjoon: non osare svegliarmi di prima mattina. Mordo.»
Lui solleva un sopracciglio con fare buffo. «Correrò il rischio. Su, lo sai che da qui non me ne vado finché tu non ti metti in tuta.»
Mi siedo sul divano del mini salotto e cerco di riflettere sul da farsi. Ormai sono sveglia. E il mio gentile vicino non ha l'aria di uno che se ne andrà da qui tanto facilmente.
«Facciamo un patto» gli propongo. «Vengo a correre oggi in cambio di mattinate tranquille almeno per un mese.»
Ci riflette un attimo prima di rispondermi. «Affare fatto. Forza adesso» mi dice indicando con la mano di spicciarmi.
In qualche modo riesco a trovare la mia tuta che sinceramente avevo portato con me per poter poltrire con qualcosa di comodo indosso in casa. Non ricordo invece l'ultima volta che ho infilato le mie scarpe da ginnastica. Se mai le ho messe prima d'ora. Hanno l'aspetto così perfetto che un sospetto mi viene. Voglio dire, se le ho comprate è perché avevo davvero in mente di iscrivermi in palestra, prima o poi. Ok, più poi che prima.
Con umore molto irritabile seguo Namjoon nel parco di fronte al palazzo, che, con mia grandissima sorpresa, è pieno di gente che fa jogging. Evidentemente soffrono tutti di disturbi del sonno.
Dopo i primi 200, massimo 300 metri inizio ad essere affaticata. Dopo circa 5 minuti di corsa continuativa sono del tutto stravolta. Devo avere il volto in fiamme per la fatica.
«Basta, io mollo» gli urlo mentre vedo la sua sagoma allontanarsi. E poi purtroppo tornare indietro.
«Non puoi avere il fiato di un settantenne» mi dice con rimprovero per nulla intenerito dal mio aspetto distrutto.
«Sì che posso» ribatto stizzita e mi siedo nell'erba accanto al sentiero.
«Forza, camminiamo allora» mi dice porgendomi una mano per farmi alzare da terra.
«Tu vai pure avanti. Io rimango qui» rispondo ignorando la sua mano. Mi sono appena seduta e avrò bisogno di moltissimo tempo prima di riprendere a respirare come un essere umano.
Ma lui non si scompone. Mi afferra il braccio e con uno strattone mi fa rialzare. «Adesso camminiamo» scandisce lentamente le parole.
Sono offesa, non può trattarmi come una bambina dispettosa, ma non mi rimane altro che seguirlo.
Ci incamminiamo con passo deciso. Io non ho intenzione di rivolgergli la parola.
«Fai l'offesa ora?» chiede. Sono contenta che il mio malessere lo renda così contento.
Lo incenerisco con lo sguardo.
«Il tuo fisico mi ringrazierà. E dopo pensavo di invitarti a pranzo.»
Il mangiare ha sempre effetto su di me. «Dove?» chiedo curiosa.
«Da me» dice semplicemente.
«Tu cucini?» Sono stupita.
«Certo che cucino. Chiunque viva da solo sa cucinare» mi risponde.
Questo non è proprio vero. Io vivo da sola da una vita e non cucino quasi niente, io mangio e basta. «Allora affare fatto. Ma niente coreano per favore» imploro.
«Bistecca e insalata vanno bene?»
«Vanno benissimo» dico colpita. La prospettiva di una vera bistecca mi ha fatto venire l'acquolina in bocca e poco alla volta riesco persino ad incamminarmi verso la meta.
Poche ore dopo sono seduta attorno all'elegante tavolo da pranzo di Namjoon, mentre mi domando come mai ho accettato di venire. Cibo a parte, non bisogna mai magiare con il nemico. E per quanto negli ultimi due giorni Namjoon cerchi di apparire un poco più simpatico la verità è che in fondo lui è sempre l'essere spregevole che non mi ha voluto aiutare per farmi rimanere a Londra, che mi ha deriso praticamente da quando ci conosciamo e che mi crede una sorta di testa vuota con i tacchi alti. Mi ripeto che devo sempre ricordarmi di queste cose perché la verità è che i tipi come lui sono insidiosi. Ti colpiscono quando meno te l'aspetti.
«Allora, cosa mi dici della corsa? Ti ho convinto?» mi chiede mentre finisce di cucinare le bistecche.
«Sia chiaro che oggi è stata la prima e l'ultima volta che ho corso in vita mia. Non voglio rifarlo mai più. Non capisco cosa c'è di tanto divertente, sudi e fai fatica senza avere niente in cambio.»
«E la mia bistecca non ti basta come premio?» Mentre lo dice mi posa sul piatto una vera bistecca americana di dimensioni incredibili.
«Senza offesa, ma no» gli rispondo e mi lancio a mangiare la meravigliosa carne che ho nel piatto. «Dimmi un po', come fai a procurarti carne simile qui a Seoul?» gli domando. Non ho visto nulla di simile al supermercato.
«Ho i miei informatori segreti» mi risponde soddisfatto di sé.
«Non che non apprezzi il pranzo, ma qual è il vero motivo dell'invito?» gli chiedo posando la forchetta e guardandolo seriamente.
Per un attimo si blocca anche lui. «Dici che ho un secondo fine?» domanda.
Annuisco con convinzione.
«Da cosa lo deduci?»
«Semplicissimo. Io non ti piaccio nemmeno un po', né come persona né come donna, quindi da qualche parte deve esserci la fregatura» gli dico.
«Cosa ti dice che tu non mi piaci?» chiede sorpreso.
La mia espressione dice più di mille parole, ma se vuole anche quelle non faccio fatica ad accontentarlo. «Andiamo, non mi offendo. Non posso mica piacere a tutti. E poi anche tu non mi piaci, quindi siamo pari.»
Mi guarda e ride. È una cosa positiva?
«Ti giuro, una come te non l'avevo mai conosciuta prima d'ora.» Insulto o complimento?
«Ti direi grazie, ma non sicura del significato della tua frase» gli dico dubbiosa.
«È un sincero complimento, davvero» si difende.
«Allora, questo motivo nascosto?» Non voglio sviare dall'argomento principe.
«Allora prepara una piccola valigia perché domani pomeriggio partiamo per Bung Ha» annuncia.
Dovrebbe dirmi qualcosa questo posto? Lo guardo dubbiosa senza dire niente.
«Cielo Y/n, Bung Ha!» enfatizza posando la sua forchetta e guardandomi incredulo.
«Non mi dice niente. Si va alle terme?» azzardo mentre lo vedo bere un po' di vino dall'elegante bicchiere. Peccato che gli vada di traverso nel momento in cui mi sente.
Cerca di riprendersi, ma non fa altro che tossicchiare. «Ma vuoi uccidermi? Le terme? Solo tu saresti in grado di dire una tale stupidaggine» mi dice riprendendosi. «Questa è la seconda volta che quasi muoio soffocato a causa tua.»
«È colpa mia se non sai bere?» Cerco di fare una faccia offesa. Non penserà mica di potermi insultare impunito.
«Niente terme. Industria metallurgica. Ricordi, l'hai fatto tu il report sulla zona di Bung Ha, e hai anche riclassificato i bilanci dell'omonima società» dice spazientito. Vedo che mi osserva dubbioso. «L'hai fatto davvero tu quel report?» chiede.
Ora ha davvero esagerato. «Certo che l'ho fatto io!» gli rispondo seccata, incrociando le braccia in segno di rabbia. Quel dannato lavoro mi è costato una fatica disumana, era la prima volta in vita mia che mi impegnavo tanto in qualcosa.
«Su, su, non fare la bambina. Ti credo, è tipico di te fare qualcosa senza neanche leggere le cose.»
Io strabuzzo gli occhi. Ma come fa a non rendersi conto della cattiveria di quello che dice? «Namjoon, posso chiederti una cosa prima di tornare alla metallurgia?»
Il suo sguardo mi invita a parlare.
«Sei così con tutti oppure sono solo io?»
Lui pare un po' sorpreso. «Sono troppo diretto?» chiede.
«No, non sei diretto. Sei cafone!» gli urlo in faccia.
«Non pensavo fossi permalosa» dice difendendosi.
«Non lo ero davvero prima di conoscerti, ma tu sei esasperante!» Mi alzo dallo sgabello decisa ad andarmene offesa.
«Forza, non fare così. Chiedo scusa, la prossima volta mi ricorderò di non dirti certe cose.»
Cosa crede, l'ho notato benissimo che non ha detto che non le penserà più, ma che non me le dirà più. Ma sono rassegnata, tanto cosa ci posso fare? «Torniamo alla metallurgia che è meglio» dico risedendomi.
«Dove eravamo rimasti?» domanda teatralmente.
«Domani si va a Bung Ha, paradiso dell'industria coreana» rispondo poco convinta.
«In effetti dubito sia un posto bellissimo. Non molto turistico. Credo che quello in cui abbiamo prenotato sia l'unico hotel della zona.»
«Allora speriamo bene» sospiro.
«Staremo via solo due notti, sopravviverai» mi dice Namjoon addentando l'ultimo boccone della sua bistecca. Il magiare è stato eccellente, ma la compagnia pessima, quindi non si merita alcun ringraziamento da parte mia.
«Mi chiedi quindi di lavorare anche di domenica» gli faccio notare.
«Non lavorerai mica, devi solo stare in macchina. Buona e zitta finché non arriviamo.»
«Posso guidare?» chiedo speranzosa.
Sul suo volto vedo terrore. «Senza offesa, ma tu non guiderai mai una macchina in cui ci sarò anch'io.» È ufficiale, in una vita passata è stato un diplomatico.
«Sono sicura che se ti pugnalassi a morte dopo quello che hai detto, qualsiasi giudice, anche quello coreano, non potrebbe non scagionarmi. Te ne rendi conto, vero?»
Ride. Ride tanto che quasi gli vengono le lacrime agli occhi.
«Hai sicuramente un primato» mi dice, «sei l'essere umano più comico che io abbia mai conosciuto.»
Io non posso fare altro che sospirare rassegnata.
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