•neøn gravestønes•

Era freddo quel giorno.

Il cielo sembrava incombergli sulla testa, grigio e minaccioso.

Un brivido gli scese lungo la colonna vertebrale quando una folata di vento lo investì in pieno.

Una grossa foglia secca gli finì in faccia, incastrandosi nei suoi occhiali.

Mentre lottava con la foglia, i suoi passi percorsero lo stretto vialetto di ghiaia, facendo scricchiolare i sassolini sotto gli scarponi.

Superò il cancello in ferro battuto non appena riuscì a vederci di nuovo.

Il posto in cui era entrato era il cimitero.

Vagò per un pochino in mezzo alle lapidi, intervallate solo da aiuole e colossali tombe familiari.

Osservò le foto, alcune in bianco e nero, altre più moderne, altre ancora sbiadite dal tempo.

Lesse i nomi scrostati su alcune lapidi.

Fece scorrere le dita sui muretti ruvidi e coperti di muschio e licheni.

Il marmo bianco rifletteva la luce fioca del sole e brillava, come a voler catturare a tutti i costi lo sguardo dell'unico spettatore presente quel giorno.

Da ogni angolo facevano capolino statue di santi e angeli.

I loro occhi vuoti e freddi sembravano osservarlo, le loro candide ali piumate lo distrassero dall'analizzare il motivo intricato di un cancelletto in ottone poco distante.

Si avviò verso il centro del cimitero: una semplice piazzola, con al centro l'imponente statua di un angelo.

I muscoli delle gambe tesi, le braccia alzare verso l'alto, le ali spalancate.

Come sul punto di prendere il volo.

E di lasciarsi alle spalle quella vita che sembrava andargli ormai troppo stretta.

Il ragazzo si ritrovò a fissare il volto di pietra della statua.

Immobile, eppure così viva...

L'aveva osservata da ogni angolo e da ogni punto consentitogli dalla sua modesta altezza.

L'aveva disegnata così tante volte da poterla riprodurre a memoria.

Eppure non se ne stancava mai.

Si sedette a terra, sotto alla statua, e frugò nello zaino.

Tirò fuori un pezzo di corda.

L'aveva arraffata al volo prima di uscire di casa, senza nemmeno farci caso.

Venti, venticinque centimetri circa, con i capi leggermente sfilacciati.

Andava bene comunque.

Incominciò a fare e disfare nodi.

Era insolito come passatempo, ma gli piaceva.

Piegò la testa all'indietro.

Fissando il cielo, prese a cantare sommessamente.

"What's my problem?

Well, i want you to follow me down to the bottom,

Underneath the same asylum, keep your wits about you while you got 'em 'cause your wits are first to go while you're problem-solvin'

And my problem? We glorify those even more when they-

My opinion: our culture can treat a loss like it's a win and right before we turn on them, we give 'em the highest of praise and hang their banner from the ceiling.

Communicating, further engraving, an earlier grave is an optional way.

No.

Neon gravestones try to call

Neon gravestones try to call for my bones

Call, call, call..."

Qualcosa si mosse nel cespuglio davanti a lui.

Il muso di una gatta, nera e magra, fece capolino dal fogliame e gli trotterellò incontro.

Il ragazzo sorrise e allungò il braccio.

Lei si arrampicò sulla manica del suo giubbotto e gli si sedette sulla spalla.

La sua coda gli solleticò il naso, facendolo starnutire.

"Find your grandparents or someone of age, pay some respect for the path that they paved, to life they were dedicated.

Now, that should be celebrated."

Ed entrambi rimasero a fissare il cielo che si tingeva dei colori del tramonto.






Yaaaaaaas, finalmente ho completato il capitolooo

*parte We Are The Champions*

Come al solito, un commento non mi dispiace mai, nemmeno se è una critica

Fatemi sapere se vi è piaciuto :D

E buh, niente, bye bellezze🏳️‍🌈

~mad skull

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