Stephanie Argent • Did You See The Flares?

(Vi consiglio di ascoltare "Flares" dei The Script in sottofondo mentre leggete la one-shot. Buona lettura!)

Stephanie Dubois, pronuncia francese. Nizza, Gallia.
La Leader delle fate del fuoco amava il suo paese, era patriottica; amava il suo nome e il suono soave che ne usciva quando lo proclamava, con quell'accento squillante sulla "i" che rallegrava chiunque.
Aveva dieci anni quando fu costretta a odiare sia il proprio nome che la propria nazione e cominciare a ripudiarla, perché il ricordo di come aveva vissuto sino a quella soleggiata mattina di giugno era troppo doloroso.

Stephanie era amata e ammirata alla follia dai suoi genitori; figlia unica, era il fiore all'occhiello dell'intera famiglia. Eppure, le cose erano destinate a cambiare e il fato aveva riservato alla mora tutt'altra casa.

Il sole di giugno in Francia non era mai particolarmente intenso, ma quello americano lo era, lo era eccome. E la bambina dai lunghi capelli castani e dagli occhioni azzurri quanto il cielo sopra di lei era entusiasta all'idea di passare una settimana negli Stati Uniti con sua madre, una donna estremamente gentile, e suo padre, un uomo molto umile. Stephanie era un misto perfetto tra le migliori qualità di entrambi e sin dalla più dolce età era stata notevolmente lodevole.

Ma c'era un potere, insido in lei, del quale i genitori avevano paura. Il dominio del fuoco, la capacità di sentirlo come un prolungamento dei suoi arti era forte, fortissimo, ma pericoloso, e Monique e Pierre Dubois ne erano spaventati.
Fu per questo che, quando per la prima volta colei che sarebbe diventata una dei quattro Leader manifestò le sue potenzialità come fata, la sua famiglia ne ebbe inquietudine e scelse di abbandonarla in paese straniero, alla strada, alla sorte. Decise che Stephanie Dubois sarebbe stata solo un vago pensiero in una famiglia perfetta, la quale non accettava "mostri" come la bambina.

Le riminiscenze della sedicenne erano confuse; era accaduto tutto così velocemente che quasi le era sembrato di essere spettatrice invece che protagonista di quelle scene che invece l'avevano designata come personaggio principale. Scene crudeli, tiranne, di una spietatezza disumana: una bambina di soli dieci anni che veniva abbandonata dai suoi stessi genitori dall'altra parte del mondo rispetto la sua città natia, che veniva lasciata al caso, in un vicolo buio e terribilmente freddo nonostante l'estate che iniziava a scaldare ogni animo.
Neppure la visuale del suo salvatore era nitida: Jacob Drake, colui che sarebbe diventato la famiglia della fragile francese, l'aveva sottratta a morte certa, tenendola al sicuro quel giorno - così come ogni altro - da uomini armati che cercavano di farle del male senza che Stephanie potesse capirne il motivo. Ma il motivo c'era, c'era eccome: il CEF era la più grande prova che l'essere umano è il peggiore dei mali, poiché provoca dolore per il solo piacere di farlo.

La Leader non ricordava cosa fosse successo: la sua mente, quando sfiorava i flashback di quel giorno triste, si ritrovava simile a un puzzle a cui mancavano diversi pezzi; pezzi andati bruciati nella speranza di non essere scovati, pezzi cruenti che era meglio non rammentare. Eppure, talvolta la ragazza si ricongiungeva a malincuore con il passato, il quale non aveva mai smesso di bussare alla porta della sua vita. E Stephanie si era sempre ripromessa di non aprire, di non lasciarlo entrare: ma come poteva, se esso era parte di lei? Be', semplicemente tentava di restare in silenzio dinnanzi a quelle memorie dannate. E ci riusciva, ci riusciva benissimo; peccato che tutto quel mutismo l'avesse portata poi, nel corso degli anni, a soffrire di scatti di rabbia a causa di tutta quella sofferenza che si era tenuta al suo interno senza proferire parola.

Sostituire la pronuncia francese del proprio nome con quella inglese e mutare il suo cognome da "Dubois" in "Argent", seppur non ufficialmente, era stato un esperimento, una prova: sarebbe stata capace di non angosciarsi più nella rievocazione delle proprie origini?

E ci pensava e ripensava mentre, con la sua calligrafia arrotondata e fiabesca, firmava un documento. "Stephanie Dubois", era quello il nome col quale siglava ogni suo volere.
Le strade di Nizza, i sorrisi della sua famiglia, l'approdo negli Stati Uniti, la luce e il calore del sole americano, ma allo stesso tempo il gelo di quel vicolo, la sua oscurità, il suono dei singhiozzi e la consistenza delle lacrime salate; i capelli azzurri di Jacob, il suo abbraccio che l'aveva protetta come uno scudo, gli spari degli affiliati del CEF; il fuoco, le ali fiammeggianti, il camerino che dava accesso al covo e lo scontro con quella fata del fuoco con i piercing, quella ribelle, quella che non voleva sottostare agli ordini neppure del suo stesso Leader; infine, il rammarico che aveva provato nel non riuscire a spegnere in alcun modo il fuoco che ella stessa aveva creato. Rammarico che si era tramutato in terrore, terrore nei confronti di quell'immenso potere. Un potere che, a quattordici anni, aveva imposto alla francese di prendere sulle sue esili spalle il carico di decine e decine di fate anche più grandi di lei di diversi anni.
Molte di quelle erano state piccole cose che l'avevano distrutta lentamente, senza però mai donarle il sollievo di ucciderla completamente.

Nello stesso momento in cui quelle immagini passarono fulminee davanti agli occhi della Leader, la penna dall'inchiostro plumbeo tremò, guidata dalla mano pallida della mora, e la firma sulla carta immacolata si trasformò in uno scarabocchio. Così Stephanie cominciò a fremere, a rabbrividire in continuazione, in preda a uno dei suoi attacchi.

Quando anni addietro la gallica aveva sbattuto il proprio gracile corpo contro quello robusto e già perfettamente formato di Alexander Brand, non avrebbe mai immaginato che i suoi scatti di rabbia potessero essere arrestati da un qualcosa che non fosse medicinale.
Non avrebbe mai potuto neanche solo lentamente pensare che quel ragazzino così irritante sarebbe stato l'unico in grado di alleviare tutta la sofferenza che si trascinava dietro da tempo.

Così, quando il braccio del diciannovenne le circondò le spalle ed egli la strinse a sé, Stephanie smise di tremare gradualmente, fino a tornare serena d'aspetto.
- Dovresti smetterla di firmare in quel modo. - La "rimproverò" con una dolcezza poco attribuibile a lui da chiunque lo conoscesse, il ragazzo.
- È il mio nome, Alex, è così che devo firmare. -
- Allora smetti di firmare e basta, che ci vuole? -

Un sorrisino appena accennato si formò sulle labbra rosee della sedicenne che, posando foglio e penna, nascose il viso nell'incavo del collo della fata.
- La tua maturità mi stupisce ogni volta di più. - Fu il commento sarcastico, ma scherzoso in modo bonario, che la mora rivolse al fidanzato, il quale sorrise a sua volta.

- Steph, qualunque sia la pronuncia del tuo nome, qualunque sia il tuo cognome... smettila di crearti così tanti problemi. Pensa solo che tra qualche anno non avrai più bisogno di un cognome! -
Stephanie guardò interrogativa Alex, piuttosto confusa da tanta allegria. Ma la risposta del castano non tardò ad arrivare:
- Ho intenzione di sposarti, Stephanie. E, quando sarai mia moglie, il mio cognome ti starà benissimo. -

Fu così, quando la Leader baciò il sorriso che si era formato sulle labbra del ragazzo che aveva accanto, che la sua sofferenza, ancora una volta, si annullò.

❝Ti prego

vieni qua

baciami

lentamente

fammi sentire

il profumo

della tua pelle

mentre mi addormento

al ritmo dei battiti

del tuo cuore.❞

#ANGOLOAUTRICEH
Val-J_, SonOfPoseidon06 amatemih! Jen, soprattutto tu!
Boh, non so che dirvi, amo Stephanie alla follia e volevo non solo raccontarvi la sua storia (anche se l'ho fatto molto sommariamente), ma soprattutto mostrarvi la sua fragilità. Spero vi sia piaciuto, anche il collage di fregnosità di Steph all'inizio HAHAHAHHA
Love you guys,

~Arianna🔥

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