| 𝙲𝚊𝚙𝚒𝚝𝚘𝚕𝚘 18 |

<<Schiavo non lo sarò mai
L'unico momento in cui mi piego è per allacciarmi le Nike>>



 Erano da poco passate le sette del mattino quando, assieme al suo braccio destro, Javier Romero, Ruben Perez stava finendo di preparare tutto il necessario per l'accordo coi messicani che, da lì a meno di settanta minuti, avrebbe dovuto avere.

L'obbiettivo dell'accordo col cartello messicano era semplice. O almeno era quello che, i Siervos del Diablo, speravano che fosse. Se fossero riusciti a raggiungere il giusto compromesso con Gomez, i loro affari si sarebbero ampliati maggiormente. Permettendogli, in tale modo, di entrare nel giro legato al traffico di armi.

"So già che, al novantanove per cento farai di testa tua ma..." Prese a parlare El Perro, mentre porgeva a suo fratello l'ultimo catalogo, così venivano definiti, dal cartello portoricano, gli album fotografici contenenti le foto ed alcune informazioni delle ragazze che lavoravano, per così dire, per loro. "...Sei proprio sicuro di volerlo fare?" gli chiese, costringendo il moro a fermarsi. "Abbiamo davvero bisogno di entrare anche nel giro delle armi? Col cartello di Gomez, per giunta?"

Le limpide iridi di Ruben saettarono ad osservare le scure perle che Javier possedeva come occhi. Si soffermò per degli interminabili secondi ad ammirare quegli occhioni scuri, voglioso quasi di ricevere, proprio da loro, una qualche risposta.

"Cos'ha il cartello di Gomez che non va?" pose quel quesito Perez, chiudendo subito dopo la ventiquattrore. "Pensi che non sia capace di gestire anche il traffico di armi?"

"¡Dios mío, Rubén!" esclamò El Perro nella loro lingua madre, facendo appena sorridere El Diablo per il tono esasperato che aveva usato. "Somos malos. ¡Gómez, por otro lado, es despiadado!" aggiunse, afferrando per il polso suo fratello.

"Estás haciendo demasiadas películas mentales, Javier." rispose l'altro, scuotendo il capo davanti alle paranoie di Romero. "El trato estará bien. Confía en mí" aggiunse, avviandosi subito dopo verso la porta finestra che dava proprio verso il suo Suv.

"¿Crees que no confío en ti?" gli chiese, sorpreso. L'osservò aprire la porta finestra, per poi uscire in giardino prima di dire qualcos'altro. "Sólo espera no saber nada de la niña" concluse, non permettendo al capo di dargli alcuna risposta.

Difatti, non appena Perez aveva udito quell'ultima frase, la sua possente figura si era arrestata di colpo. Ma, ahimè, solo quando si era voltato in direzione del suo secondo, pronto più che mai a dirgliene quattro, El Diablo si era reso conto che, El Perro, aveva lasciato il suo ufficio. Sicuramente se ne era andato in cucina, con l'intento di bersi un buon caffè prima recarsi nel luogo prestabilito per l'accordo coi messicani.

<Sólo espera no saber nada de la niña>

La frase che attimi prima Romero gli aveva detto, si insinuò nel cervello di Ruben, portandolo a chiedersi se, effettivamente, Gomez fosse venuto a conoscenza di chi, il noto capo del cartello portoricano, stesse ospitando alla villa.

Sapeva fin troppo bene che, il trafficante d'armi messicano, semmai fosse venuto a conoscenza che, nella vita di Perez, era entrata a farne parte una nuova ragazza, sicuramente avrebbe fatto di tutto per averla per sé. Anche se non gli interessava davvero, Gomez l'avrebbe voluta per sé, solo per indispettire Ruben. Perché questo era il modo di agire del messicano.

"Non l'avrà. Non lei" sussurrò muovendo appena le carnose labbra, mentre le nocche della sua mano sinistra diventavano sempre più bianche per la forza con cui, in quel frangente, stava stringendo il manico della ventiquattrore che teneva stretto in quella mano.

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Ruben, accompagnato da Javier e dalla propria guardia del corpo, Asier, era da poco entrato nella piccola sala riunioni che, Gomez stesso, aveva prenotato per l'incontro d'affari che avrebbe dovuto avere a breve coi Siervos del Diablo.

Si era soffermato ad ammirare la meravigliosa San Juan vista dall'alto, mentre la sua mente era rivolta da tutt'altra parte. Non era da lui, durante gli affari, avere i propri pensieri rivolti altrove.

Solo quando udì la porta della sala riunioni, cigolare appena, dopo esser stata aperta per permettere a Gomez ed ai suoi uomini di fare il loro ingresso, Perez sbatté un paio di volte le palpebre, uscendo da quel breve stato di trance in cui si trovava.

Lentamente girò i tacchi, ritrovandosi ad osservare quell'uomo basso e paffuto, e dal viscido aspetto. Lo guardò per alcuni lunghi ed interminabili secondi, chiedendosi tra sé e sé se, quella mattina, sarebbe finalmente riuscito a concludere questo dannato affare che si portava avanti da quasi un anno.

Gomez, nel vedere la statuaria figura di Perez, raddrizzò al meglio le proprie spalle, cercando di assumere, proprio come il portoricano, anche lui una postura distinta e di classe. Con passo felpato, l'uomo paffuto raggiunse Ruben, allungando successivamente la mano sinistra con l'intento di stringere quella dell'altro. Senza troppe cerimonie, il capo dei Siervos del Diablo protese in avanti la mano, finendo col stringere quella leggermente sudaticcia del messicano.

"E' un piacere rivederla, Signor Gomez" mentì spudoratamente il trentenne, sfoggiando uno dei suoi migliori e falsi sorrisi.

Non era affatto felice di vederlo, anzi. Meno aveva a che fare con Gomez ed il suo cartello, meglio stava. Ma, l'idea di ampliare i propri traffici, espandendosi ulteriormente anche al di fuori di Portorico, era troppo succosa ed allentante per farsela sfuggire di mano. Quindi, il famigerato capo del cartello portoricano, si era ritrovato ad accantonare i dissapori che, da troppo tempo, provava nei riguardi del messicano, con l'unico obbiettivo ben delineato davanti a sé. Ovvero diventare ancora più potente e spietato agli occhi di ogni men che minima organizzazione criminale portoricana.

Anche se, onestamente parlando, uno del calibro di Ruben Perez non aveva affatto bisogno di mostrare, al mondo criminale, non solo l'importanza ma anche il potere che possedeva tra le sue mani sporche di sangue e crimini. In fin dei conti, lui, era direttamente collegato ai misteriosi Dodici.

E, forse, era una pedina più preziosa di quanto volesse far credere.

"Il piacere è tutto mio, El Diablo" rispose il messicano, sfoggiando un viscido sorrisetto. "Da quanto tempo è, ormai, che ci portiamo dietro questo affare?" domandò dando le spalle al giovane ed andando successivamente ad accomodarsi su di una poltroncina in pelle nera. "Sette mesi?" chiese, dopo essersi seduto.

"In realtà, Gomez, è quasi un anno" parlò Ruben, andando a sedersi sulla poltroncina posta dall'altro lato del tavolo rispetto a quella occupata dall'altro criminale. "Penso di parlare a nome di entrambi quando dico che, francamente, spero che riusciremo ad arrivare ad un accordo quest'oggi"

"Beh, questo dipenderà esclusivamente da te, niñito" sputò risoluto Gomez, permettendosi di rivolgersi ad El Diablo con quell'appellativo carico di disprezzo, vista l'enorme differenza di età tra i due. "Cosa mi offri?" domandò, sollevando il sopracciglio sinistro.

Con un semplice cenno del capo, Ruben ordinò ad Javier di recuperare dalla ventiquattrore i tre cataloghi delle ragazze che prestavano i propri servigi ai Siervos del Diablo. Con passo deciso ma, soprattutto, con un'impeccabile compostezza, El Perro attraversò la stanza, fermando la sua snella figura poco lontano dal trafficante d'armi. Poggiò davanti alla paffuta figura dell'ispanico i cataloghi, tornando poi a posizionarsi alla destra de El Diablo.

"Quei cataloghi contengono foto ed informazioni di tutte le ragazze che, attualmente, lavorano per me" cominciò il suo discorso il portoricano, incrociando le mani sopra la liscia e fredda superficie del tavolo in vetro. I suoi freddi e calcolatori occhi verdi erano fissi nell'osservare come, con un piccolo accenno di interesse stampato in volto, Gomez stesse osservando le foto delle ragazze racchiuse in quei cataloghi. "In cambio delle tue armi, posso offrirti i servigi di venti delle mie ragazze per i prossimi due anni. Ovviamente sceglierai tu le ragazze che maggiormente ti piacciono"

"Mhn" mugugnò l'uomo sulla cinquantina, sfogliando l'ultimo catalogo. Oramai gli restavano da ammirare si e no quattro giovani donne. Voltò l'ennesima pagina plastificata, restando letteralmente di stucco nel ritrovarsi, proprio sotto al naso, la foto della giovane donna. "Sei pieno di sorprese, niñito" insistette nuovamente con quel ridicolo nomignolo. "Di certo non mi aspettavo di trovare, in mezzo a tutte queste donne, proprio la tua di donna" affermò mentre sollevava dal tavolo il catalogo, e voltava la pagina interessata proprio verso El Diablo.

Impercettibile agli occhi dei vari presenti, l'occhio destro di Ruben fu attraversato da un piccolo tic nervoso. Per dei brevi e veloci secondi, si concesse di abbassare le palpebre, inspirando a fondo.

Non appena aprì gli occhi, puntò nuovamente i suoi meravigliosi smeraldi verso l'uomo seduto dall'altra parte del tavolo. Evitando di far trapelare la men che minima emozione.

"Se l'ho aggiunta nuovamente al catalogo, significa che non è più la mia donna" spiegò, passandosi i polpastrelli dell'indice e del pollice sul leggero strato di baffetto situato sopra il labbro superiore. "Non che lo sia mai stata" aggiunse con voce dura.

"Quindi... Penelope Soler è di nuovo sul mercato?" chiese conferma Gomez, ricevendosi un cenno positivo del capo da parte di Perez.

"Puoi averla, se lo desideri"

"In realtà c'è qualcos'altro che desidero" ammise il messicano, richiudendo il catalogo. Per tutta risposta, Ruben sollevò un sopracciglio, leggermente confuso. "Sai, sono venuto a conoscenza delle voci che, nelle ultime settimane, circolano sul tuo conto, El Diablo" parlò, puntando i suoi occhi scuri nella statuaria figura del trentenne. "Mi è giunto all'orecchio che una nuova ragazzina ha attirato la tua completa attenzione. E, da quanto si dice, eri disposto a sborsare un sacco di soldi pur di averla" Nell'udire quelle parole, entrambe le mani di Ruben si serrarono con forza a pugno. Le strinse con talmente tanto vigore che le nocche gli divennero bianche e, involontariamente, le corte unghie finirono per conficcarsi nella carne dei palmi, sanguinando appena. "Ti darò le armi che desideri, Ruben" aggiunse poi, attirando nuovamente su di sé l'attenzione del trentenne. "In cambio voglio solamente Penelope... E, ovviamente, la ragazzina nuova" concluse. Non appena terminò di parlare, gli angoli delle sue sottili labbra si curvarono verso l'alto, creando un disgustoso e sinistro ghigno.

Accadde tutto così velocemente che, sia gli uomini di Perez, sia gli scagnozzi di Gomez, con estrema difficoltà si resero conto di cosa successe. Di scatto, Ruben si era sollevato dalla poltroncina sulla quale, fino a pochi attimi prima, si trovava seduto. E, con poche ed ampie falcate, aveva velocemente raggiunto la paffuta figura di Gomez. Con un rapido e deciso movimento, aveva afferrato per i brizzolati capelli l'uomo, facendogli successivamente sbattere il viso contro la superficie del tavolo. Il setto nasale di Gomez, a contatto con lo scrittoio, si ruppe. Producendo un fastidiosissimo crack di ossa rotte. Poi, tenendo sempre ben saldo per i capelli il messicano, Perez diede uno strattone alla chioma, obbligando l'uomo a sollevare il capo. E, solo quando fu nuovamente con la schiena poggiata contro lo schienale della poltroncina, ed il viso ricoperto di sangue, il famigerato El Diablo si chinò in avanti, fermando le sue carnose labbra a pochi millimetri di distanza dall'orecchio della sua vittima.

"Non riesco proprio a capire come possa, lui, permetterti ancora di fare affari in casa mia" sibilò, aumentando la presa sui capelli dell'uomo. "E, se te lo stai chiedendo, no. Non ho affatto paura di loro ne, tanto meno, di lui" aggiunse con voce tagliente. "Farò in modo che, a partire da oggi, i tuoi sporchi affari vengano controllati direttamente da me. Dopotutto, sono o non sono un diretto collegamento con lui?" domandò, conoscendo già la risposta. Lasciò andare la presa sulla chioma di Gomez, il quale subito prese a massaggiarsi la parte dolorante. "Non ho bisogno delle tue armi per poter rivendicare ciò che è mio di diritto" Si accucciò poi a terra, così da poter osservare l'uomo dal basso, senza il men che minimo timore. "Oh, un'ultima cosa, anciano" Questa volta fu lui a sfotterlo. "Non ti azzardare mai più, in vita tua, a desiderare ciò che è mio. Soprattutto lei"

*Poco più tardi alla villa*

I suoi occhi chiari erano fissi in un punto indefinito di quell'immenso giardino, ben curato, che circondava quella preziosa gabbia in cui era rinchiusa.

Sollevò, immersa nei suoi pensieri, la mano destra, andando ad accarezzare la catenina che portava al collo. Uno dei due oggetti, appartenenti al suo passato che, El Diablo, le aveva concesso di tenersi. Con l'indice, percorse le due lettere che abbellivano quella collanina argentata. Ed una solitaria lacrima le percorse lenta la guancia, rattristando ulteriormente la ragazza.

Fece un profondo respiro, cacciando via la lacrima.

In quel giorno, ricorreva il primo anniversario della morte di Shannon e Tyler.

<Controllati, Samantha> si disse mentalmente. <Non devi mostrarti debole a loro>

Sbatté le palpebre, cominciando ad osservare quel continuo via vai di uomini, armati di AK47, lungo tutto il perimetro del giardino. Poggiò una mano sulla maniglia della porta finestra che dava proprio sul gazebo, sperando, in qualche modo, di trovarla aperta.

<Chiusa, ovviamente>

Quella notte, infatti, non appena era rientrata nella propria stanza, dopo aver avuto quella strana conversazione con Romero e, nonostante l'allucinante dolore ad entrambe le caviglie, la destra slogata, la sinistra invece con una bruciatura fatta con fiamma e lama, la nostra protagonista aveva, ugualmente, tentato la fuga. Ma, purtroppo, non appena era riuscita ad uscire dalla porta finestra e compiere si e no cinquanta metri, l'imponente figura di Mateo Bravo l'aveva afferrata per il polso. E, una volta caricata in spalla, l'aveva riportata nella camera da letto, chiudendo a chiave la porta finestra. Portandosi, ovviamente, con sé la piccola chiave.

Stava per coricarsi a letto quando, il rumore di passi, provenienti dal corridoio, attirò la sua attenzione. Decise di rimanere voltata di spalle, aspettando che, lui, iniziasse a parlare.

"A minuti il capo sarà di ritorno" La possente voce di Luka riempì il silenzio che regnava in camera. "Arriverà assieme ad abuela" aggiunse, mentre si avvicinava a Samantha. "Samantha..." pronunciò il suo nome, osservandola.

"Voglio andare a casa" mormorò lei, abbassando il capo.

"Sei già a casa" disse Luka, poggiando la sua grande mano sulla spalla della bionda.

"Casa?" domandò lei, trattenendo una risata. "Se questa è casa, non immagino come sia una prigione" proseguì voltandosi. Sollevò lo sguardo, puntandolo dritto negli occhi scuri di Torres.

"L'accordo coi messicani è saltato" Torres cambiò argomento. "El Diablo è... Nervoso. Quindi, ti prego, almeno oggi asseconda le sue richieste" pronunciò quelle parole con gentilezza.

Samantha stava per rispondere quando, dal giardino, si sentì il rombo di un motore che si avvicinava. Puntò lo sguardo in direzione del rumore, scoprendo che, a bordo del suo Suv nero, El Diablo era rientrato. Si voltò per parlare con Luka ma, non appena lo fece, notò che, quest'ultimo, era uscito dalla stanza, lasciandola sola. Di nuovo.

"Assecondarlo, eh?" disse mentre raggiungeva il letto. "Piuttosto mi faccio tagliare un dito che assecondare qualsiasi richiesta da un membro dei Siervos del Diablo"

Si lasciò cadere nel letto, chiudendo gli occhi. Non avrebbe mai assecondato le richieste del Diablo.

Tanto meno in quel giorno. Lo stesso giorno in cui, qualche anno prima, la sua vita era cambiata. Da quando, una voragine le si era creata nel petto, portandola a non provare più nulla se non rabbia.

"Mi mancate così tanto" sussurrò, cercando di ricordare momenti felici.

Ma quel momento durò poco. Pochissimo. Difatti, la profonda voce de El Diablo, ruppe il silenzio che si era appena creato.

"Su su, Mija, tirati su" disse El Diablo, entrando nella camera di Samantha. "Abuela è qui. Non vorrai farla aspettare" aggiunse, mentre afferrava per le caviglie la bionda, tirandola poi verso i piedi del letto. "Alzati, Mija" ordinò, autoritario.

E, solo afferrandola per le caviglie poté scoprire che, anche l'arto sinistro, proprio all'altezza del tatuaggio che, giorni prima, la dottoressa gli aveva parlato, presentava una piccola fasciatura.

<Quindi è questo il modo in cui vuoi giocare con me?> chiese tra sé e sé il moro, osservando ancora per brevi attimi la fasciatura.

Non appena la Moretti si sollevò dal letto, l'anziana donna fece il suo ingresso in camera, portando con se alcuni vestiti. Gli occhi azzurri della bionda, rapidamente, si spostarono da abuela a El Diablo, e viceversa.

"Si può sapere che cazzo vuoi da me?" la Moretti quasi urlò, rivolgendosi a lui.

"Usciamo. Tu ed io" spiegò, sfoggiando un mezzo sorriso. "Abuela è stata così gentile da portarti qualche abito. Ti aiuterà a prepararti"

Samantha si passò una mano sul viso, trattenendo un ringhio di disappunto. "Abuela, per favore, ci lasceresti soli per un minuto?" Di certo non voleva che la donna assistesse allo scontro che, a breve, i due avrebbero tenuto. Con un cenno del capo, abuela lasciò la stanza, chiudendo la porta. "Non vengo da nessuna parte con te!" urlò, prendendo i vestiti dal bordo del letto e gettandoli in faccia al Diablo. "Sono segregata qui! Non ti basta?" chiese, non dando tempo a lui di rispondere. "Risparmiati qualsiasi parola e vattene. Lasciami sola" gridò poi, cercando di spingere il moro fuori dalla camera.

"Attenta" la intimò.

"Pensi di spaventarmi?" lo spinse di nuovo. "Non lo hai ancora capito che non mi fai paura?" sollevò la mano, cercando di colpirlo ma, prontamente, El Diablo le bloccò il polso. Cercando però di non farle del male. "Lasciami e vattene!"

Successe tutto talmente velocemente.

La guancia de El Diablo era rossa, per lo schiaffo appena ricevuto. Ed i suoi occhi verdi lampeggiavano di una malvagità che, Samantha, poche volte aveva assistito. Il moro estrasse la Glock 17 che portava nella cinta dei pantaloni, puntandola contro alla Moretti.

"Non costringermi a spararti" sibilò a denti stretti lui, caricando l'arma.

Alla vista della pistola, Samantha non reagì come avrebbe fatto chiunque, anzi. Lentamente, si avvicinò a Ruben, fermandosi non appena, la canna della pistola, le si poggiò nel mezzo della fronte. Impercettibile allo sguardo di lei, lui deglutì piano, osservandola quasi scioccato. La Moretti sollevò la mano, afferrando la canna della pistola e premendola, con maggior forza, contro la sua testa.

"Avanti, spara" mormorò lei, guardandolo dritto in quei suoi occhi verdi. Gli stessi occhi che, quella sera lontana, l'avevano stregata. "Uccidimi, che aspetti?" lo istigò. "Premi questo stra cazzo di grilletto! Uccidimi! Tanto io sono già morta dentro"

Le ultime parole pronunciate dalla biondina echeggiarono, per svariati secondi, per tutta la stanza, rimbombando potenti nella testa del trentenne. Il quale, continuando a mantenere la propria arma puntata contro la ragazza, la stava osservando interessato.

Fu solo quando qualcuno bussò alla porta che El Diablo si decise di abbassare la Glock 17, andando successivamente ad aprire. Non appena la porta fu nuovamente spalancata, la figura di Torres apparve sull'uscio.

"Siamo stati contattati da un uomo. A quanto pare vorrebbe concordare un appuntamento con te per un colloquio d'affari" spiegò Luka, facendo rimbalzare i propri occhi scuri dalla figura di Ruben a quella di Samantha. "Hai la chiamata, con uno dei suoi uomini, in attesa nel tuo ufficio" aggiunse.

Senza dire una parola, Perez si voltò, ritrovandosi a guardare la tremante figura della sua Mija seduta sul bordo del letto con la schiena ricurva verso le gambe, il volto chino ed entrambe le mani, poggiate sulle cosce, chiuse a pugno. Cercava, invano, di trattenere lacrime di tristezza miste a lacrime di rabbia.

"Per favore, dì ad abuela di raggiungere Samantha in camera, e di aiutarla a prepararsi. Tra meno di mezz'ora deve essere pronta" ordinò autoritario, lasciando la stanza.

Per alcuni attimi, Torres rimase fermo immobile sull'uscio della porta, indeciso sul da farsi. Sapeva benissimo che doveva andare a chiamare abuela, prima che il capo si arrabbiasse ulteriormente ma, una parte di lui... Una piccola parte di lui voleva avvicinarsi a quella ragazzina e darle un briciolo di conforto.

"Vi odio" mormorò la Moretti, asciugandosi le lacrime. "Prima o poi vi farò rimpiangere il giorno in cui, le vostre miserabili vite, si sono incrociate con la mia"

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