| 𝙲𝚊𝚙𝚒𝚝𝚘𝚕𝚘 1 |

<<Questi siamo noi
Due guerrieri a tempo perso
Un'esplosione che non fa rumore>>

San Juan, Portorico.

La calda aria di quella sera di Luglio, soffiava leggera per le strade di San Juan. Facendo percepire, ad abitanti e turisti, un minimo di sollievo dalle calde temperature che, dal mese di Maggio, non avevano lasciato il paese.

Mentre le ragazzine, assieme alle amiche, vestite in abiti striminziti e su dei tacchi vertiginosi attendevano di poter entrare al Grass, un noto locale della città, il male, nell'ombra, iniziava a muoversi.

All'interno del suo Suv nero, coi vetri posteriori oscurati, Ruben Perez, meglio noto come El Diablo, tra la criminalità di San Juan, assieme al suo braccio destro, Javier, attendeva l'arrivo della sua giusta preda. Qualcuno di nuovo da aggiungere, al ricco catalogo, così lo chiamavano i membri dei Siervos del Diablo, che Perez possedeva.

Tra il traffico di donne, con annessa la prostituzione, ed il traffico di due delle più pesanti droghe in circolazione, cocaina ed eroina ed, il possibile aggancio con Messico per il traffico d'armi d'assalto, El Diablo ed i suoi uomini, i Siervos del Diablo, controllavano il settanta per cento della criminalità organizzata di San Juan.

Nelle loro mani, oltre ad esservi il lato oscuro della città, vi erano anche molte persone importanti. Avvocati, politici ed, anche, poliziotti. Tutti erano sotto la stretta morsa dei Siervos del Diablo.

Con estrema attenzione, osservò ogni singola ragazza in fila fuori dal locale. Aveva dei canoni molto selettivi nel trovare le ragazze che gli avrebbero fatto fruttare un bel po' di grana, una volta fatte entrare nel suo giro di prostitute.

"Ho trovato chi ci farà fare un sacco di soldi" ghignò, entusiasta, mentre ammirava la sua nuova e giovane preda.

Senza proferir alcuna parola, El Perro puntò lo sguardo in direzione della ragazzina che, il suo capo, gli stava indicando. L'osservò con attenzione, appuntandosi sul block notes che teneva sempre in auto, alcune annotazioni legate a quanto stava vedendo ma, soprattutto, si segnò a chi, tra i vari ed importanti clienti che avevano, quella ragazzina potesse piacere.

"Penso che, ad Espinosa, una come lei possa andar bene" affermò, dando una rapida occhiata a El Diablo. "Sappiamo che, ad uno come lui, le ragazzine piacciono molto. Soprattutto se sono indifese e straniere" Finì di scrivere sul block notes, poi scese dall'auto, andando ad aprire la portiera al capo.

Nel buio della sera, i due, vestiti in abiti scuri, si avviarono verso l'entrata del Grass. Con un cenno del capo, El Diablo salutò l'addetto alla sicurezza, uno degli uomini presenti nel suo libro paga e, dopo avergli sussurrato all'orecchio qualcosa, l'uomo del locale fece passare la preda di Ruben, e l'amica che l'accompagnava.

Sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi, uno di quelli che, fatto da uno come lui, ti possono solo mandare in pappa il cervello, Javier osservò le due amiche parlare, scoprendo così che erano due ragazze in vacanza a San Juan, provenienti dalla Francia.

"Son europeos. Podemos llevarnos a las dos chicas" sussurrò, nella sua lingua madre, al Diablo. Il quale, dopo aver lanciato una rapida occhiata anche all'altra giovane, annuì.

"Due piccioni con una sola fava" mormorò in risposta, mentre si addentravano all'interno del locale. "Stesso schema, intesi?" El Perro non proferì alcuna parola, limitandosi semplicemente ad annuire.

Le successive ore, all'interno del Grass, il miglior luogo di caccia per El Diablo, proseguirono senza alcun intoppo. Conversarono con le ragazze, offrendogli da bere e mostrandosi terribilmente amichevoli con loro.

Le due ragazze, purtroppo, non avevano minimamente capito in quale guaio si erano cacciate.

Anche perché, come potevano pensare che, due ragazzi dal bel faccino, potessero, in realtà, essere l'incarnazione del male stesso?

Le fecero parlare, facendosi raccontare molte cose su di loro, abbassando così, in modo graduale, le difese delle due giovani.

E non appena ottennero la completa fiducia delle due turiste, come da schema, proseguirono.

"Particolare come tatuaggio" affermò Maria che, mentre se ne stava seduta sulle ginocchia de El Perro, leggera nel tocco, accarezzò il simbolo presente sulla mano di quest'ultimo. Un paio d'ali, in parte rotte, appartenenti al diavolo. "Come mai hai scelto questo soggetto?" domandò, voltandosi appena. Così da poter guardare negli occhi Javier.

El Perro restò, per alcuni secondi, in silenzio. Esaminando con cura le parole da dire.

"Perché, nonostante Lucifero sia stato ripudiato dal suo stesso padre, abbandonato dai suoi stessi fratelli... Costretto a lasciare la casa in cui era cresciuto, è riuscito ad andare avanti, creandosi il suo impero. Un luogo in cui, finalmente, fu libero di essere chi voleva. Senza più dover accontentare gli altri" spiegò alla ragazza. "E'... Una fonte di ispirazione. Diciamo così" concluse, curvando gli angoli della bocca in un sorrisetto.

"Non l'avrei mai vista in questo modo"

"Non sei la prima che si ferma all'apparenza" le sorrise nuovamente. Notò che Maria gli stava ancora osservando il tatuaggio presente sulla mano e decise, allora, di aggiungere, sotto voce "Non preoccuparti, chica. Più tardi anche tu avrai questo simbolo, proprio qui, sul polso" concluse la frase, depositando un casto bacio sulla liscia pelle del polso della ragazza. Procurandole così una leggera scarica di brividi lungo la spina dorsale.

Nel frattempo, nel mezzo della pista da ballo, El Diablo, attraverso i suoi modi estremamente dolci e da gentleman, si stava lavorando l'innocente Agata.

"Non mi sono mai divertita così tanto da quando siamo arrivate a San Juan!" esclamò entusiasta Agata, mentre muoveva, a tempo di musica, i fianchi contro il bacino di Ruben.

"Lieto di essere il motivo del tuo divertimento" sorrise Perez, mentre circondava la vita della ragazzina con un braccio. L'avvicinò a sè, facendo scontrare il sedere sodo di Agata contro il proprio inguine.

"Non voglio che questa notte finisca" ammise lei, poggiando la nuca contro il petto di Perez, e facendosi cullare dalle note della canzone.

"Oh, tranquilla, amor" la rassicurò Ruben, mentre le spostava di lato i lunghi capelli rossi, esponendo così un lato del suo candido collo. Avvicinò le labbra alla pelle lattea e, dopo averci depositato un bacio leggero, le sussurrò "Possiamo farla durare in eterno"

Se solo, quelle due ragazzine in cerca di svago, avessero minimamente avuto l'idea di cosa, a breve gli sarebbe accaduto, non avrebbero dato confidenza ai due misteriosi ed affascinanti signori del male.

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L'indomani mattina, non appena i primi raggi del sole che sorgeva, si facevano largo tra le finestre di quella camera d'albergo, El Diablo, assieme al suo braccio destro, El Perro, stavano finendo di ultimare la loro caccia.

Le due ragazze, semi nude sul letto matrimoniale, dormivano beatamente ed ignare di quello che gli stava per accadere.

Ignare del fatto che, da quella mattina, per il resto dei loro giorni, le loro povere vite sarebbero state nelle mani stesse del Diavolo.

Dopo aver dato una rapida controllata al perimetro circostante, Javier chiamò uno dei loro membri, ordinandogli di preparare tutto il necessario per la registrazione.

"Diablo, quando vuoi possiamo andare" disse, raggiungendo Perez che stava finendo di vestirsi. "Asier e Francisco stanno salendo in questo momento, per recuperare la merce" riferì. "E Mateo sta preparando la stanza per la registrazione"

"Ottimo" rispose soltanto, avviandosi verso la porta. "Tenetele buone fino a che non arriveranno alla villa. Sedatele, se necessario" concluse, mentre abbandonava la stanza d'albergo.

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Vicenza, Italia

Il sole era già alto in cielo da un paio di ore, ormai. Ma la voglia di levarsi su dal letto, quel giorno, Samantha Moretti non ne aveva. Almeno non quel giorno. Non dopo quello che, da un paio di giorni a questa parte, purtroppo, stava passando.

La bionda ruotò appena il capo, così da poter leggere l'ora impressa nella sveglia posta sul comodino.

10:39.

"Tra meno di quattro ore, la mia vita finirà ufficialmente" mormorò, continuando ad osservare la lancetta dei secondi della sveglia che scorreva rapida. "Non doveva andare a finire così... Non a loro" mormorò, mentre la vista le si appannava a causa delle lacrime che, in abbondanza, stavano per sgorgare dai suoi occhi chiari.

Lentamente, si mise a sedere. Allungò la mano su quel freddo letto, recuperando la foto che, da quel tremendo giorno, non aveva mai abbandonato il lato vuoto del materasso. Con estrema delicatezza, come se temesse di poter rompere, anche se con un leggero tocco, quel quadretto che teneva con lei, accarezzo i volti impressi in quella fotografia.

"Mi dispiace così tanto" tirò su col naso, cercando di non scoppiare, per l'ennesima volta, a piangere. "E' tutta colpa mia"

E mentre lei era persa, nella più totale tristezza e disperazione, qualcuno bussò alla porta della camera. E, non ricevendo alcuna risposta da parte della Moretti, decise di entrare ugualmente.

"Babe" la dolce voce di Stellan Rossi, cugino di Samantha, interruppe il pianto della bionda.

Senza aspettare che, sua cugina, gli dicesse nulla, la raggiunse sul letto, colmandone il vuoto che lei sentiva. Allungò un braccio, circondando il corpo della bionda e permettendo, a quest'ultima, di poggiare la nuca contro la sua spalla. Le passò una mano lungo il braccio, sussurrandole all'orecchio "Sfogati, babe. Piangi se devi piangere, urla se devi urlare" Le depositò un bacio sulla tempia, cullandola. "Andrà tutto bene"

"E' tutta colpa mia" singhiozzò, stringendosi al petto la fotografia. Uno dei pochi oggetti che le ricordavano loro. La sua famiglia.

"Shh, no. Tu non centri. E' stato un incidente" cercò di rassicurarla.

Ma, in cuor suo, Stellan sapeva benissimo che, quanto accaduto, non era minimamente da considerare come un incidente. Il tutto era stato abilmente architettato con lo scopo di ferire e di mandare un messaggio alla, oramai, ultima discendente della stirpe dei Moretti.

"Dovevo esserci io in quella macchina, non loro" Ennesimo singhiozzo. "Ora che faccio, Ste?" chiese. "Come posso vivere senza di loro?" Sollevò appena lo sguardo, uno sguardo colmo di tristezza e disperazione, verso il cugino, guardandolo e non.

"Troveremo un modo, ok?" La strinse maggiormente nel suo abbraccio, cercando di trasmetterle tutto l'amore possibile. "Sono qui, babe. Ne verremo a capo, te lo prometto"

Stellan Rossi avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di scoprire chi, in modo vigliacco, avesse agito così. Privando il mondo della presenza di due anime pure e gentili.

Più tardi, quel giorno, un lungo corteo di persone, vestiti in abiti neri e con addosso le loro giacche con lo stemma dei Sons of Silence, venuti lì, quasi tutti, in sella a delle Harley Davidson, assistettero all'addio che, l'ultimo membro dei Moretti, stava dando alla sua famiglia.

Anche se era una splendida e calda giornata, l'umore di quasi tutti i presenti era cupo... Quasi tetro.

Occhi indagatori, osservavano la folla, in cerca di volti stranieri, sospetti. Ed orecchie tese, erano in ascolto. Alla disperata ricerca che, qualcuno, potesse riferire tutto ciò che potesse tornar utile per far chiarezza sull'incidente avvenuto.

In fin dei conti, per loro, motociclisti uniti dallo stesso credo, quando uno di loro moriva, un pezzo del loro cuore si strappava. Lacerandogli il petto e portandoli ad un'assetata sete di vendetta.

Perché nessuno poteva toccare la loro famiglia. Nessuno.

La successiva ora, dopo il funerale, fu un susseguirsi di continui e, ripetitivi <Mi dispiace> o <Le mie più sentite condoglianze> ai quali, Samantha, non sapeva come rispondere se non abbozzando o, almeno provandoci, un mezzo sorriso.

I suoi occhi chiari, tra una stretta di mano e l'altra, scrutavano la folla, alla ricerca di quella persona che, sicuramente, avrebbe potuto darle qualche risposta riguardo all'accaduto.

"Non è venuto, non è vero?" chiese a Stellan, mentre riceveva un attimo di pace dalle condoglianze dei presenti.

"Intendi Viper?" domandò, sapendo già che si trattava di lui. "Non si è fatto vivo" rispose, scuotendo il capo.

Per un breve momento, la Moretti chiuse gli occhi, facendo un profondo respiro. Poi, quando li aprì, in lontananza lo vide.

Viper.

Se ne stava in disparte... Quasi nell'ombra. Lontano da tutti gli sguardi dei presenti, ma perfettamente nella traiettoria dello sguardo di Samantha.

Puntò i suoi occhi su di lei, guardandola con estrema attenzione. La sua espressione, come sempre, era indecifrabile.

Dopo un attento scambio di occhiate, Samantha si fece coraggio e decise di raggiungerlo, per affrontarlo. Stava per raggiungerlo quando, un forte strattone al braccio, seguito da un sonoro schiaffo alla sua guancia, la fece bloccare di colpo. Si appoggiò la mano sulla gote che scottava, guardando la donna che l'aveva colpita. Per un attimo, nel vederla, la bionda fu attraversata da varie emozioni. Tristezza, sconforto ma, soprattutto, dispiacere. Dispiacere perché, come lei, qualcun altro, in quel maledetto giorno, aveva perso qualcuno di importante.

"Signora..." le parole le morirono in gola.

Non sapeva cosa dire. Almeno, non a lei.

"E' tutta colpa tua!" ringhiò, tra le lacrime, la donna, poco prima di colpire nuovamente il viso di Samantha. La Moretti rimase immobile, subendo la tristezza della donna. Non si sarebbe mai permessa di ribellarsi, bloccando il dolore della signora. "Saresti dovuta morire tu!" Alzò la mano, pronta a sferrare l'ennesimo ceffone.

La bionda chiuse gli occhi, preparandosi all'ennesimo colpo.

Colpo che, però, non arrivò.

Difatti, non appena aprì gli occhi, poté notare come, la possente mano di suo zio Andrea, stesse tenendo fermo il polso della donna.

"Signora, le consiglio vivamente di calmarsi, e di lasciare il funerale" affermò con tono di voce pacato Andrea, liberando il braccio della donna.

"Lasciare il funerale?" domandò lei, cercando di placare l'isterica risata che l'aveva assalita. "Pensate di essere i soli che stanno soffrendo?" domandò, indicando non solo Rossi e la Moretti. Ma anche il resto della famiglia Rossi che, rapidamente, aveva raggiunto i propri cari. "A me non ci pensate?" le lacrime le scorrevano copiose sul viso. Rovinandole i bei lineamenti.

"Victor" Andrea chiamò il suo braccio destro. Un uomo sulla quarantina, con la maggior parte del corpo ricoperta da innumerevoli tatuaggi. "Fà si che i ragazzi salgano sulle loro moto e che tornino a casa. Qui me ne occupo io"

"Sissignore" rispose Victor, prendendo sottobraccio Samantha, la quale era ancora sconvolta da quanto stava accadendo, e facendo cenno ai ragazzi, di seguirlo.

Andrea osservò i ragazzi allontanarsi e, solo quando fu certo che nessuno di loro potesse sentirlo, soprattutto la nipote, si rivolse nuovamente alla donna.

"Lei non fa parte di questo mondo quindi no. Non penso minimamente a quello che lei, in questo frangente, sta provando" affermò mantenendo un certo contegno nel tono della voce. Si passò una mano sulla folta barba grigia, attendendo.

"Andrò alla polizia"

Il capo dei Sons of Silence, a stento riuscì a trattenere una fragorosa risata.

"Faccia pure tutto quello che ritiene più giusto" la voce era sprezzante. "Pensa forse di essere la prima che tenta di mettersi contro di me?" domandò indicandosi con entrambe le mani, compiendo anche due passi in direzione della signora. "Fossi in lei, però, farei molta attenzione" aggiunse, chinandosi. L'odore di fumo e cuoio riempì i pochi centimetri di distanza che separavano i due. "Non faccia scoppiare una guerra che sa già, in partenza, di perdere"

Stava raggiungendo, accompagnata da Victor e dai suoi cugini, la propria Harley Davidson quando, la figura di Viper, semi nascosta dietro la parete sud della chiesa, attirò la sua attenzione.

Senza farsi scoprire dagli altri, l'uomo le fece cenno di raggiungerlo, mimandole con il labiale un <Ti devo parlare>

"Ho... Ho bisogno di un attimo per me" farfugliò la Moretti, sottraendosi dalla salda presa di Victor. Il quale assottigliò lo sguardo, studiandola. "E' da quando si è concluso il funerale che non faccio altro che stringere mani, cercando di fare un mezzo sorriso in segno di gratitudine" Lanciò una rapida e, discreta, occhiata in direzione di Viper. Il quale, per evitare di esser visto da Victor, era tornato a nascondersi del tutto lungo la parete. "In più, l'incontro con lei, mi ha scombussolato ulteriormente" aggiunse, cercando di essere convincente. "Due minuti, Victor. Vado dietro la chiesa, per due minuti, a piangere. Poi tornerò a casa coi ragazzi. Lo giuro"

"Tu puoi andare avanti con Sebastian, Victor" intervenne Stellan, in aiuto di Samantha. "Aspetterò io che si sfoghi in tranquillità"

L'uomo fece balzare il suo sguardo da Samantha e Stellan, e viceversa. Poi, dopo aver sospirato, disse "Solo due minuti. Il capo vuole che rientrate a casa" E con questo s'incamminò verso la propria moto.

Con un piccolo, quasi impercettibile sorriso, Samantha ringraziò suo cugino. Girò i tacchi e, con passo veloce, raggiunse la parete sud della chiesa. Svoltò l'angolo ma, non appena lo fece, poté notare, ahimè, che Viper se ne era andato.

"No, no, no" scosse il capo, frustrata. "Dove diavolo sei finito?" I suoi occhi azzurri guardarono ovunque, senza trovare però l'uomo.

Amareggiata e delusa da quanto accaduto con Viper, stava per andarsene, pronta per tornare a casa quando, qualcosa, attirò la sua attenzione. Attaccato alla parete, proprio nel punto in cui, fino a prima del suo arrivo, vi si trovava Viper, vi era appeso un biglietto.

Staccò il bigliettino dalla parete fatta di mattoni e, con mani tremanti, lo aprì. Restando totalmente confusa davanti a quanto stava leggendo.

<Ad eccezione di Stellan, non fidarti di nessun altro. V>

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San Juan, Portorico

"Esa puta de tu madre!" ringhiò, furibondo, Asier, scaraventando a terra l'esile figura di Agata. La quale, dopo essersi, in gran parte, ripresa dal sedativo che le era stato iniettato in vena, aveva morso l'avambraccio di Castro. Lasciando, all'uomo, il marchio dei suoi denti. "Fallo ancora e, credimi, ti farò rimpiangere il giorno in cui hai lasciato la Francia" sibilò, afferrando la giovane per i suoi lunghi capelli rossi.

"Lasciami andare!" urlò lei, cercando, inutilmente, di sottrarsi alla ferrea presa di Castro.

"Ti lascio scegliere" parlò la guardia del corpo de El Diablo, chinandosi sulla ragazzina. "O fai la brava, camminando in modo docile, proprio come sta facendo la tua amica" affermò, proprio quando, di fronte a loro due, Maria stava passando, scortata da Francisco.

Gli occhi terrorizzati di Maria si soffermarono su di Agata, la quale, notando la paura impressa nel volto della sua migliore amica, cercò di rassicurarla con un "Vedrai che andrà tutto bene"

"Oppure ti trascinerò per i capelli" concluse la sua frase Castro che, per far capire alla rossa di cosa era capace, le tirò con forza la folta chioma, facendole percorrere qualche metro a terra. Nel percepire un dannato dolore alla testa, Agata smise di ribellarsi, sollevandosi da terra per poter camminare sulle proprie gambe. "E brava questa piccola chica"

Le due ragazzine furono scortate nel seminterrato dell'immensa villa appartenente a Ruben Perez.

Con riluttanza scesero la ripida scalinata che conduceva ad una porta dalla quale, ben chiare, provenivano delle voci maschili.

Maria prese per mano l'amica, così da essere, perlomeno, più sicura.

Francisco aprì la porta in mogano bianco, spingendo poi le due amiche all'interno della stanza. Non appena varcarono la soglia, entrambe poterono notare, con estremo stupore che, ad attenderle, vi erano proprio i due ragazzi coi quali, la sera prima, avevano trascorso il loro tempo.

"Javier che sta succedendo?" ebbe il coraggio di chiedere Maria, guardando con occhi supplichevoli il moro.

"Ti avevo promesso un tatuaggio, no?" il tono di voce con cui si rivolse alla francese era sprezzante. "Tra poco, entrambe, avrete lo stesso tatuaggio che abbiamo pure noi" spiegò, mentre camminava, in circolo, attorno alle due amiche. Nello stesso identico modo in cui, un animale, osserva la propria preda. "Così apparterrete per sempre al Diablo"

"Al... Al Diablo?"

"Chi vuole essere la prima?" domandò El Perro, osservandole.

"Non abbiamo tutto il giorno" prese la parola Ruben mentre, con passo felpato, raggiungeva Agata. "Vieni, amor" Afferrò la rossa per il braccio, conducendola verso una sedia posta poco lontana da lì. "Mateo, puoi procedere"

Il ragazzo di colore, senza proferir alcuna parola, fece accomodare la rossa sulla sedia. Le prese l'avambraccio, poggiandolo su di un lettino rivestito di scottex. Allungò la mano destra, sganciando, da sotto il lettino, delle cinghie di cuoio, che erano state abilmente aggiunte all'oggetto in questione. Le fece passare sull'avambraccio di Agata, bloccandolo saldamente. Così da impedire, alla ragazza, di potersi sottrarre al tatuaggio.

Su di un piccolo tavolino, posto accanto alla sedia, nella quale a breve Mateo si sarebbe accomodato, vi era tutto il necessario per procedere col suo lavoro. Dopo aver messo qualche goccia di color nero su di un tappino per colori, Bravo si mise addosso dei guanti in lattice azzurri. Passò una lametta sul polso latteo della ragazzina, così da togliere eventuali peli, passandoci poi un po' di scottex imbevuto di Stencil Clean di Tattoo Defender, un prodotto utilizzato per detergere la pelle da ogni forma di impurità. Poi, dopo aver tagliato dallo stencil il disegno delle ali del diavolo, applicò il marchio sul polso di Agata. Fece un po' di pressione, così che il disegno si trasferisse sulla pelle. Rimosse la carta dello stencil, osservando, per alcuni secondi, il disegno.

"La pelle nella parte interna del braccio è dannatamente fina" spiegò, passando l'indice sopra le vene sporgenti. "Quindi farà male, molto male" concluse.

Col piede, premette il pedale che metteva in funzione la macchinetta per fare i tatuaggi. Poggiò gli aghi sul tappino colmo di color nero, facendo sì che, gli aghi, catturassero il colore. Poi, mentre la ragazzina piangeva, iniziò la realizzazione del marchio.

Un'oretta dopo, non appena entrambe le ragazze furono marchiate, vennero accompagnate in un'altra stanzetta del seminterrato. La quale veniva utilizzata per poter fare le foto della loro merce da aggiungere al catalogo de El Diablo. Ad ogni ragazza, vennero scattate tre foto. Una a figura intera, una solo del volto, ed una del braccio nel quale era presente il marchio del Diavolo.

"Bienvenido a la casa del Diablo"

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Vicenza, Italia

Erano passate all'incirca due ore da quando, assieme ai suoi cugini ed a Victor, Samantha era rientrata a casa. Senza proferir alcuna parola, si era chiusa nella cameretta che usava da ragazzina. Una volta chiusa a chiave la porta della stanza, aveva recuperato dalla tasca lo strano bigliettino che Viper le aveva lasciato. Lo lesse e rilesse svariate volte, non riuscendo, suo malgrado, a comprendere le parole impresse nel foglietto di carta.

"Che vuoi dire, con questo, Viper?" si chiese, riflettendo.

Recuperò dal suo zainetto in pelle nera il suo smartphone, mandando un messaggio al cugino.

<Dobbiamo parlare, da soli. Nessuno deve sentirci>

Pochi istanti dopo, le arrivò la risposta.

<Tra mezz'ora al nostro posto segreto>

Senza farsi notare da Victor, la Moretti sgattaiolò fuori dalla casa dello zio. Recuperò una bici dal garage, così da evitare di far rumore, e si avviò verso il luogo segreto che condivideva con Stellan.

"Che diavolo significa, Ste?" domandò a Rossi, passandogli il bigliettino, non appena quest'ultimo la raggiunse.

Stellan non fece nemmeno in tempo a scendere dalla sella della bicicletta. Poggiò a terra il piede sinistro e, tenendo ferma la bici con la mano destra, lesse il pezzetto di carta che la Moretti gli aveva passato.

"Temo che non sia stato un'incidente, Babe" rispose, corrugando la fronte. "Dall'avvertimento che Viper ti ha dato, suppongo che, chiunque sia stato, o sia uno dei nostri, o qualcuno di vicino ad uno di noi"

"Devo scoprire chi è stato"

"Ok, ok, calma" Rossi scese dalla bici, facendola cadere a terra. "Che intendi fare, eh?" domandò, allargando le braccia. "Hai intenzione di andare da ogni singolo membro dei Sons of Silence, e chiedergli se centra qualcosa con l'incidente?"

"Farò tutto il necessario per venirne a capo" rispose la bionda, decisa.

Stellan, di fronte tanta determinazione, scosse il capo in segno di negazione. "Sai benissimo che, se quello che crede Viper sia corretto, e qualcuno dei nostri centra qualcosa, nessuno parlerà" affermò. "Sai meglio di me cosa voglia dire non solo il nostro nome, ma anche il nostro marchio" aggiunse, mostrando alla cugina il marchio che entrambi avevano impresso nella loro pelle. Stellan sulle costole e Samantha nella parte interna della caviglia.

La Moretti, anche se non voleva, osservò il tatuaggio che il cugino le stava facendo vedere. Il simbolo dei Sons of Silence. Ossia uno scheletro raffigurato a mezzo busto. Con il viso privo di labbra perché, quest'ultime, erano sorrette dalla mano destra dello scheletro.

Abbassò lo sguardo e, controvoglia, si ritrovò ad osservare il simbolo che, a differenza degli uomini, le donne possedevano. Ossia un paio di labbra cucite.

"Nessuno parlerà. Siamo dediti al silenzio" la voce di Stellan era determinata. Determinata a far comprendere, a Samantha, i rischi che avrebbe percorso se avesse indagato. Notando che, nemmeno con queste parole, era stato capace di far ragionare sua cugina, aggiunse un "Me ne occupo io" detto sospirando. "Farò qualche ricerca ed indagine per conto mio"

A quelle parole, Samantha sorrise. Era il primo e vero sorriso che riusciva a fare quel giorno.

Gettò le braccia al collo di Stellan, mormorandogli "Grazie, grazie Ste! Sei il migliore"

Stellan ricambiò l'abbraccio, mormorandole sui capelli "Non so quanto tempo ci vorrà, ti avviso. Ma appena avrò una pista sicura da seguire, te lo farò sapere" Aumentò la stretta dell'abbraccio, cercando di infondere, alla cugina, un senso di serenità. "Ora è meglio che rientriamo a casa, prima che Victor ci mandi a cercare"

La bionda annuì, ridacchiando. Rossi osservò la bionda dirigersi verso la sua bicicletta, salirci in sella ed avviarsi verso casa. Stava per fare lo stesso quando, il suono di una notifica sul suo cellulare, attirò la sua attenzione. Sbloccò il telefono, aprendo il messaggio che gli era arrivato.

<Siamo finiti in una cosa più grande di noi. Proteggila ad ogni costo>

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SPAZIO AUTRICE:

Non prometto nulla ma proverò a fare un'aggiornamento a settimana. Ci provo✌️

Lo so, probabilmente il capitolo è molto carico di informazioni e domande alle quali, per ora, non si avrà alcuna risposta. Ma se non agisco così non sono io!

Fatemi sapere la vostra!

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