Capitolo 22 - "She's got the breaks She's the scene"
"She's got the breaks
She's the scene"
22.
Ripose il bicchiere ed asciugò il tavolo dove il liquido si era versato su tutta la superficie. Presente la sua risata ad accompagnarla in quei gesti scoordinati dovuti alla stanchezza e al sonno interrotto da poco.
"Sei di buon umore, Jackson?" bofonchiò, portando la testa indietro mentre si sedeva nuovamente con un indice saldo alla tempia, massaggiandola lentamente.
"Tu non lo sei affatto invece" la sua voce le arrivò bassa e calda, mascolina.
"Mi sono appena svegliata, dammi il tempo di capire dove sono e cosa sto facendo"
"E dove sei? Cosa fai?" rise appena e la fece sorridere con naturalezza.
"Tentavo di non interromperti, in realtà. Sono in cucina e stavo facendo colazione prima che questa si versasse ovunque. Sei rimasto sveglio tutta notte?"
"Non proprio tutta notte ma ero particolarmente ispirato e non volevo sprecare neppure un secondo"
"Mi piaceva quello che stavi suonando, potresti continuare?" si morse il labbro speranzosa e lo sentì ridere, ancora.
"E' tardi, Nina, devo andare"
La ragazza mugugnò, nascondendo un sorriso.
"Allora non la tratterrò signor Jackson, le auguro una buona giornata e grazie per la compagnia"
Michael coprì con un gesto deciso i tasti del pianoforte, avvicinandosi a passo felpato alla grossa vetrata.
Spostò piano la tenda, guardando con ammirazione il mondo ed il suo risveglio.
"Dovrei essere io a ringraziarti, la tua sinfonia notturna mi ha ispirato in un qualche modo"
Nina arrossì, grattandosi il capo.
"Lieta di essere stata utile"
"Pensavo... " si interruppe.
"A cosa, Michael?"
Seguì il suo silenzio ed uno sbuffo caldo contro il ricevitore.
Nina picchiettò il pollice sul tavolo, aspettando la risposta dell'uomo, assopita e rapita.
La sua mente, la sua personalità erano per lei un rompicapo.
Michael era in grado di essere trasparente, puro e fresco come un ruscello di alta montagna. Candido e sicuro di sé agli occhi di chi lo contempla mentre scorre con veemenza, seguendo il proprio corso, lasciando senza parole chiunque potesse bearsi della sua bellezza. Un ritmo ben scandito e una forza magica a sospingerlo nella direzione a lui destinata. Ma una ripida curva bastava a trasformare le certezze dell'affluente in nitidi dubbi. Bastava davvero un'analisi più attenta per Nina e leggeva in Michael l'immenso fardello della sua intelligenza e della sua eccentricità. Non era sicuro di sé; non lontano dal palco. Non scorreva seguendo il proprio corso ma si abbandonava, sbuffando e cedendo a forze maggiori che lo attanagliavano sospingendolo a destra e a sinistra. Il ritmo regolare della sua acqua era un singhiozzo bloccato in petto e Nina sfiorò le linee dure del tavolo in legno, dure come le ombre nei suoi occhi e come la linea della sua mascella, ben scandita e per lei così attraente.
"Pensavo.." riprese, umettandosi le labbra e poggiando l'intero palmo contro la vetrata a separarlo dal mondo.
"Non sei costretto a parlarmene, Michael. Anche se ammetto di essere egoista " fece una breve pausa, sospirando "Vorrei tanto ascoltarti mentre ti liberi dei pensieri che ti calzano stretti, che prendono spazio in quella mente così eccezionale. Forse ti sembrerà assurdo, e crederai che ti stia adulando, ma trovo che ogni tua riflessione sia stimolante e vestita di un intenso tesoro emotivo a cui vorrei tanto fare da spettatrice. Le tue parole mi motivano, mi spingono a riflettere oltre quello che dici e mi trovo sempre sorpresa da quanto tu possa essere ... di più. Sempre di più"
Si strinse nelle spalle, mordendosi il labbro, sperando di essere stata chiara.
Maledicendosi attimi dopo, sentendolo rimanere in silenzio.
Era fortemente assorto nelle parole della ragazza, chiedendosi come facesse ad aprire il proprio cuore in quel modo.
Si domandava come riuscisse ad essere spensierata e tanto matura al tempo stesso.
Come facesse a fidarsi e perché riservava la sua bellezza a un qualcuno come lui.
Tanto piccola, come i sospiri che quella notte lo avevano cullato e ispirato. Erano leggeri, quasi impercettibili ma lo avevano scosso con un'intensità da costringerlo ad alzarsi dal letto con foga e fretta per non perdere la sua musica. Per paura potesse svegliarsi, potesse essere meno reale. Una volta seduto di fronte al pianoforte nero e lucido, aveva dondolato il proprio petto seguendo la melodia e il cadenzare di quelli che erano i suoi respiri. Chiudendo gli occhi e lasciando ancora una volta che Dio prendesse possesso di quell'amore.
L'aveva sentita poi agitarsi, borbottando parole poco comprensibili e si era immediatamente bloccato con le dita sui tasti.
Poteva immaginarla voltarsi e rivoltarsi in un letto vuoto, inconscia che così sola non fosse. I suoi occhi si inumidirono alla certezza che anche la sua piccola bambina avesse i propri spilli al fianco, i propri demoni che la scuotevano nei suoi momenti di massima vulnerabilità e arrendevolezza. La richiamò piano "Nina, lascia andare" e seppur non potesse sentirlo, aveva speso parole di conforto per diverso tempo sperando di risentire i suoi respiri sereni inglobarlo in una pace ultraterrena.
Deglutì appena.
"Pensavo a tutte le grandi azioni che sono state compiute da uomini onorevoli e rispettosi. Pensavo a come e quanta forza l'uomo ci abbia messo in tutti questi anni per avverare i propri sogni e per dare al mondo il segno e l'impronta del proprio cambiamento. Pensavo... Che siamo tutti capaci di rivoluzionarci e spingerci oltre i limiti imposti. Imposti da noi stessi e dal mondo stesso. Quante volte l'uomo pensa che il prossimo ostacolo sia quello definitivo, quello impossibile da sconfiggere, impossibile da sorpassare e alla fine si sbaglia ogni volta puntando poi l'indice verso la prossima difficoltà. L'uomo è invincibile Nina. Ti sei mai sentita così?"
Batté le ciglia più volte, non aspettandosi di certo un pensiero tanto intricato e profondo dal niente.
Ma questo era Michael e iniziava davvero a sentire familiari certe reazioni, certi monologhi dettati dalla nostalgia e dal trasporto delle sensazioni. Michael era poesia, era arte in costante vibrazione.
"La determinazione di un uomo è capace di grandi cose, sono d'accordo con te. Ma non penso sia una caratteristica comune ad ognuno di noi: c'è infatti il vinto e il vincitore. Se volessimo, se prendessimo atto e coscienza di cosa saremmo in grado di fare sarebbe da un lato molto pericoloso"
Mugugnò e, preso un respiro, rispose alla donna con tono smorzato.
"Pensavo, pensavo... e mi domandavo: com'è possibile che forza e determinazione non vengano utilizzate per vincere guerre personali ma per lottare contro altri?"
La domanda spiazzò Nina che portò l'unghia alla bocca, mordendola nervosamente.
"Io.." "Non ho trovato pace ai miei dubbi, Nina. Alla cattiveria non trovo risposta, solo tanta tristezza"
Chiusero gli occhi, inconsci della medesima posizione che avevano assunto. Nina espirò forte e deglutì, tentando invano di ingoiare quel magone pesante che sentiva all'altezza dell'addome.
"Se gli altri spendono le proprie forze per insorgere contro le nostre debolezze, è lì che noi uomini dovremmo ricordarci di essere invincibili. Ci sottovalutiamo, spesso, ma in realtà siamo noi stessi il nostro scudo"
Nina pensò al suo essere stata riparo di sé stessa, alla sua corsa al trasferimento dovuta a quell'uomo terribile e aprì con violenza gli occhi, ritornando alla realtà e non permettendosi di crogiolarsi in un dolore passato.
"Tu sei forte abbastanza, Nina?" sussurrò, quasi con paura.
"Tu sei forte, Michael"
Passarono diversi attimi di silenzio.
Michael abbandonò la stanza, chiudendo piano la porta dietro di sé, raggiungendo il suo studio.
"Hai sviato la mia domanda..."
"Affatto, ho risposto a quella tacita che si nascondeva dietro."
Nina sorrise, stringendo forte il telefono e ridendo appena.
"Ora devo davvero andare, va' e rendimi orgoglioso Artista" le sussurrò con tono soave e mielato.
"Ciao Michael"
La settimana volò veloce per entrambi.
Nina si buttò a capofitto in quello che era l'ultimo esame, studiando e avvicinandosi ai suoi amici che aveva trascurato vinta dalle emozioni che quell'uomo aveva portato sul suo cammino. A volte si perdeva nell'immaginare cosa stesse facendo, tanto impegnato e tanto perfezionista com'era solito. Rivolgeva a lui sempre un piccolo pensiero durante il giorno, augurandosi mentalmente stesse bene e pregando che il vento gelido dell'inverno potesse raggiungere la sua presenza, ovunque fosse, e ricordarle di lei. Aveva aiutato molto Helen a recuperare le proprie lacune e assenze agli ultimi appelli universitari e aveva stretto ancora più rapporto con Nick con il quale si trovava sempre più vicina e connessa.
I suoi genitori la osservavano studiare e a loro volta loro studiavano con accesa preoccupazioni il viso della figlia, le notizie che circolavano sul suo conto con la paura potessero condizionarla negativamente. Effettivamente la sua vita era diventata più dinamica e meno caotica in quei giorni. Era costretta ogni mattina a badare al proprio aspetto con più attenzione, conscia del fatto che avrebbe incontrato un giornalista o un fan dell'uomo a scattarle foto. All'università i compagni le si avvicinavano chiedendo se fosse proprio lei e il professore di Arte stesso volle omaggiarla dei suoi complimenti dinnanzi all'intera aula. Altri, la guardavano torva presupponendo si fosse venduta all'uomo per notorietà e i commenti negativi non le erano mancati. Eppure Nina non dava peso a nulla, quando scorgeva qualcuno fotografarla sorrideva con le guance rosse. Aveva ringraziato chi si era complimentato e aveva alzato le spalle quando l'avevano accusata malamente. Ed in cuor suo sapeva che quel caos fosse nulla confronto a quello che si doveva aspettare dal weekend sempre più prossimo.
Per Michael quella dinamicità non era altro che la normalità.
Ogni notte la trascorreva a scrivere, comporre e questo capitava anche nei momenti più insoliti della giornata. Quando al telefono per affari e questioni lavorative si doveva necessariamente interrompere per nascondersi nella sua musica. Aveva discusso più volte col proprio Manager per non organizzare il Tour, battendo pugno ferreo su quelle che erano le sue intenzioni sentendosi sempre più spossato. Nei momenti di sconforto, ricordava a sé stesso che fosse forte abbastanza per poter guidar lui le redini della sua vita, esercitando la forza della sua fama e notorietà; sfruttando il proprio nome quando questo gli veniva comodo. Non mancava di pensarla, sentendo la mancanza della sua normalità contagiosa che lo rendevano libero di respirare un'aria meno frizzante e pesante. Aveva iniziato ad azionarsi per la creazione di alcuni brevi film musicali per alcuni singoli dell'album, chino e colmo su mille scartoffie, tanto da dimenticarsi il desiderio e la necessità fisica di pranzare e dormire. Aveva, per la prima volta, seguito le notizie alla radio e alla televisione per rivederla in quegli scatti rubati. Si sorprendeva ridere quando la osservava mirare l'obbiettivo con le guance rosse e un sorriso. La osservava con quello zaino in spalla, pieno di sogni e disegni. Si umettava le labbra e non mancava di desiderarla, sentendosi vinto e non un vincitore.
18 Novembre, 1994
Venerdì
"Lo trasmetteranno da qualche parte?" Helen le tirò una gentile gomitata al costato mentre attendevano l'arrivo del Professore in aula. Nina si corrucciò e si voltò verso il viso della sua amica. "Sai che non ne ho la più pallida idea? Non penso"
Nick rise e circondò col proprio braccio la ragazza "Se una celebrità del suo calibro sarà presente in televisione ora di questa sera lo sapremmo sicuramente" H annuì, convinta e sorrise all'amica.
"Sbaverete dietro al mio vestito" si morse il labbro, sorridendo super gioiosa.
"Non è noi che devi far sbavare, N. Non ci credo che quel pezzo di uomo sia così santo da non sfiorarti"
"Questo è uno di quei momenti in cui non vorrei essere in mezzo a due donne" sussurrò Nick facendo ridere le due che si strinsero un occhiolino.
"E' un uomo rispettoso e ammirevole" Nina fece presente a Helen a bassa voce, tirandosi su con la schiena notando il docente fare il proprio ingresso nella stanza.
"Ci sono solo due prospettive di uomini dal canto mio: o noioso o terribilmente eccitante" bisbigliò l'amica, alzando appena le sopracciglia e facendo ridere la ragazza.
<E' molto, molto di più> pensò ma si limitò a sorridere e calare il capo sul libro aperto.
Spalancò la porta di casa, salutando a gran voce i genitori com'era solita.
"Mamma, papà!"
Jill si affrettò a venirle incontro "Tu, piccola disgraziata, vieni qui" la spintonò verso lo studio e, capendo le sue intenzioni, Nina rise dell'atteggiamento buffo della madre. A volte portava alla luce la sua ilarità e la sua spensieratezza fanciullesca, tratti che tendeva a nascondere agli occhi della gente al contrario della figlia. Una volta all'interno dell'Atelier Jill le chiese di spogliarsi e, dandole le spalle, iniziò a spostare pile di stoffe. Infilò tra le labbra un piccolo spillo, a portata di mano nel caso l'evenienza lo richiedesse. Nina iniziò ad abbandonare i vestiti da studentessa meravigliandosi quando la madre le sventolò sotto al naso quello che era il vestito che aveva creato per lei, per quella sera. Era sicura fosse stato bello, conoscendo la bravura eccezionale della madre, ma mai si aspettava un vestito tanto adatto. Non era appariscente, anzi, era piuttosto semplice ma con particolari e dettagli talmente ricercati da farle mancare il fiato.
Lo prese tra le mani, sfiorando piano il tessuto morbido. "Mamma è meraviglioso" "Provalo tesoro"
Con estrema attenzione lo indossò, lo portò lungo il bacino con tanta cautela come se stesse trattando l'oggetto più sensibile e prezioso mai visto. Jill incrociò le braccia al petto, sorridendole amorevole.
Nina si guardò allo specchio schiudendo le labbra dall'emozione.
Era nero con le maniche corte fino alle spalle, lasciando l'intero braccio libero. Sull'ultima parte delle maniche vi erano ricamati degli intrecci trasparenti che mettevano in risalto la sua pelle chiara e giovane. Le calzava aderente, allargandosi leggermente sotto la vita dove le pieghe alle estremità donavano un leggero volume. Si voltò appena, facendo roteare la gonna che la seguì nei movimenti, sferrando l'aria in maniera sensuale. Notò solo allora che lungo i fianchi gli stessi ricami delle maniche venivano richiamati estendendosi lungo il profilo del suo corpo, lasciandola nuda sotto quei ricami sapienti e precisi.
"Dio mamma, quanto è bello"
"E ti sta un incanto, ne sono sinceramente sollevata. Ora forza, toglilo prima che me lo rovini e me lo sporchi!"
Nina rise, facendo un paio di piroette e mirandosi allo specchio compiaciuta.
"Posso vedere anche quello di Michael? Ci hai abbinato, mamma?"
Jill alzò un sopracciglio, piegando la testa verso sinistra.
"Spero tu stia scherzando. Quell'uomo è eccentricità sotto sembianze umane, sarebbe impossibile abbinarti a lui ... a meno che tu non voglia essere particolarmente vistosa"
Un largo sorrise si dipinse sul volto della ragazza che eccitata si avvicinò battendo le folte ciglia, tentando di adulare la madre.
"Nina, tesoro, Michael ha già portato via il proprio abito quindi risparmia questi occhioni con me" in tutta risposta la figlia portò gli occhi al cielo e iniziò ad abbassare la lampo tra mille acrobazie.
La madre in soccorso le scostò i capelli e l'aiutò con gentilezza.
"Grazie mamma, mi piace davvero molto"
"Sei bellissima e sono orgogliosa di te"
Prima di uscire le pizzicò una guancia e lasciò Nina sola, a mirare ora il proprio riflesso nudo. Non mancavano più giorni ma a separarla dall'uomo la attendeva solo il trascorrere delle ultime ore. Il cuore iniziò ad agitarsi e il petto a sollevarsi con sempre più enfasi e ritmicità. Fece un saltello, si vestì di corsa e si infilò sotto il getto d'acqua tentando di concentrarsi su un bollore e un calore differente da quello del proprio cuore, delle proprie guance.
Uscì dalla doccia, scostando i riccioli corvini che zuppi d'acqua si erano appiccicati lungo i suoi zigomi pronunciati.
Il vapore nascondeva il riflesso del suo corpo allo specchio. Un sollievo per Michael che da sempre non trovava affascinante mirarsi con tanta facilità. Si coprì velocemente, stringendo bene in vita la cinta dell'accappatoio e, calando il cappuccio in stoffa, aspettò che i propri occhi tornassero nitidi a riflettere sul vetro ora appannato.
Appoggiò le braccia sul grosso lavabo e si scoprì essere teso, più di quanto ne era conscio. Era in tensione come una corda di violino pizzicata, vibrava e tremava all'idea che poche ore lo separavano dall'oceano verde smeraldo della donna. Sapeva di non essere stato presente quei giorni e sperava nulla fosse cambiato, che ella non si fosse offesa e che nulla avesse modificato la loro connessione, la loro empatia. Sospirò e sollevando lo sguardo dalle proprie dita affusolate e strette attorno al mobilio, si rimproverò. Dando le spalle a sé stesso, sciolse il nodo in vita e iniziò a tamponare il proprio corpo umido e disomogeneo.
Odiava la propria pelle, odiava quella malattia così poco conosciuta e soggetta a tante critiche. Odiava il non aver coraggio di amarsi ed accettarsi, se lui stesso non lo avesse mai fatto come poteva concedere che gli altri lo facessero?
Le gocce d'acqua vennero rapite dalla stoffa dell'accappatoio e velocemente infilò l'intimo, uscendo con passo veloce. L'abito era adagiato sul letto, perfettamente stirato e lucente.
Michael chiuse gli occhi e quando li riaprì, ecco che il solo e semplice Michael aveva dato spazio a Michael Jackson.
Con un sorrisino forzato infilò le calze bianche prendendo poi tra le mani il pantalone blu scuro, aderente sulle sue lunghe gambe snelle e sul suo fondoschiena. Morbido, il tessuto gli carezzava la pelle e ringraziò mentalmente Jill per la sua costante premura. Estrasse una t-shirt bianca dal cassetto, facendo bene attenzione a non creare disordine, e meccanicamente la infilò all'interno del pantalone con cura maniacale. Si voltò e un sorrisetto furbo si disegnò sul suo viso, creando piccole fossette sulle guance. La giacca era scura a maniche lunghe, blu come il pantalone. Tre file di bottoni dorati sul davanti risplendevano sotto la luce della camera creando un brillio e un gioco di luce meraviglioso. Il colletto era alto con anch'esso dei richiami dorati e sul petto.
Ad impreziosire ed ornare la giacca, vi era una passamaneria di colore rosso intenso che scendeva morbido creando movimento ad ogni suo gesto. Le spalline erano militari e rinforzate, d'oro anch'esse, e sulla manica destra una striscia dorata con piccole paillette risplendeva in tutta la sua bellezza. Più che un ornamento quella fascia era un simbolo, un obiettivo. Lo associava al lutto, al rispetto per i bambini che in ogni angolo del pianeta in quel momento soffrivano per le proprie condizioni, lo indossava per coloro che combattevano la fame e la povertà con la propria vita. Era sempre presente nel suo vestiario perché i bambini erano sempre presenti in maniera carnale, intima. Nel suo cuore, al di sotto di qualsiasi giacca a doppio petto.
Con le mani conserte dietro la schiena, si avviò di nuovo verso il grande specchio del bagno.
Estrasse i trucchi e rise al ricordo di Nina che trovati i suoi cosmetici si era truccata. Scacciò il pensiero, deciso a rendersi il più presentabile possibile e questo impiegava per lui diverso tempo.
All'inizio lo trovava difficile ed imbarazzante ma, col tempo, si muoveva ormai con spensieratezza ed agilità sul suo viso e la trovava anch'essa un'espressione d'arte. Mentre applicava con cura il fondotinta creando una base perfetta ed omogenea, pensava a come questo dovesse risultare bizzarro agli occhi delle altre persone estranee al suo mondo. Eppure mai si era mostrato in pubblico senza aver prima controllato che il proprio trucco fosse in ordine. A volte tentava di ridurre il quantitativo di prodotti che utilizzava, ma ogni volta cedeva al suo impulso di coprirsi quanto più fosse possibile, eccedendo come da sua indole. Lui infatti era così, un'artista alla costante ricerca dell'innovazione, della fantasia e dell'originalità. Odiava la staticità sulla sua persona e al contrario amava essere considerato un pioniere.
Diverso tempo dopo batté le ciglia lunghe e scure a poca distanza dal suo riflesso, contemplando il lavoro finale. La pelle era chiara e perfettamente omogenea, le guance leggermente arrossate e gli zigomi alti e pronunciati. Le labbra le aveva tinte di un colore leggermente rosato mentre gli occhi, grandi e scuri, erano contornati da una sottile linea di matita che sottolineava la profondità del suo sguardo. Sapeva essi fossero un punto debole per tante persone, lo aveva capito studiando le reazioni delle stesse. Quando tentava di incatenare i propri occhi in quelli di qualcun altro, repentinamente la gente li abbassava non riuscendo a sostenere l'oscurità del suo, tanto scuro quanto caldo e rassicurante.
Un lieve colpo alla porta lo distolse dai suoi pensieri.
"Grace? Sei tu?"
Ripose con cura ciò che aveva utilizzato e mordendosi il labbro fece capolino dalla porta.
Il vocione grave e profondo di Steven gli comunicò la sua presenza e Michael lo fece entrare nella stanza con disinvoltura.
"Sono in ritardo?"
Steven sorrise appena, stringendosi nelle spalle.
"Un secondo solo" alzò un indice in aria, portandolo poi alle labbra carnose. Fece qualche passo indietro corrucciato e virò più volte lo sguardo ad ogni angolo della stanza. Sollevò la boccetta del profumo e lo spruzzò con veemenza sul collo, sui polsi e sopra la propria giacca. L'uomo di colore rise "Si prepara con così tanta cura per l'evento o per l'appuntamento?"
"Di cosa stai parlando Steven" arrossì con naturalezza, ridacchiando appena e voltandosi verso lo specchio. Passò i palmi sul pantalone e, afferrando il cappello poggiato sul mobile, asserì un cenno d'intesa.
Chiusa la porta alle spalle, scesero l'uno al fianco dell'altro le scale.
Grace si trovava vicino alla porta d'entrata e si voltò sentendo quel profumo tanto forte e familiare alle narici.
"Signor Jackson, sta uscendo?"
"Grace" le prese una mano, guardandola torva e piegando il volto da un lato.
"Sta molto bene" la donna sorrise, bonariamente e Michael ridacchiando uscì correndo appena per l'imbarazzo.
Il SUV si muoveva lento verso la casa della ragazza. Il tragitto non era dei più brevi e rapidi e questo gli permetteva di sfruttare il tempo a sua disposizione per calmare la propria agitazione. Ma al contrario, ogni chilometro percorso pareva incrementare il suo stato d'ansia.
"Steven, Bill"
Si rivolse con voce flebile alla sua guardia del corpo e all'autista che incanalarono tutta la loro attenzione sul cantante.
"Oh, nulla, scusatemi"
Avvampò in evidente imbarazzo e accavallò le gambe con maestria. Sfiorava con lo sguardo la strada che si lasciava alle spalle, chiedendosi come ella si fosse vestita e quanto il suo cuore sarebbe stato capace di reggere. Deglutì piano e immagino le sue gambe nude, i fianchi fasciati. Il suo sorriso bianco, brillante grazie al punto luce sul canino che trovava delizioso e fanciullesco, proprio come era lei. Immaginò i suoi lunghi capelli scendere lungo il seno sino alla vita e leggiadra sedersi accanto a lui. Iniziò a trotterellare con il piede, dandosi dell'idiota in maniera tacita e silenziosa. Era una donna bellissima, sì, ma perché doveva comportarsi come un'adolescente? Lui era un uomo, un uomo di grande fama e notorietà e non si poteva permettere questo tipo di atteggiamenti. Non avrebbe dovuto essere così vulnerabile, abbandonato a fantasticare sul suo corpo.
Raddrizzò la schiena, certo che con questo discorso tra sé e sé avrebbe riacquisto la dignità che stava piano piano sgretolandosi. Eppure la sua figura di donna lo dominava. La gente pensava Michael Jackson fosse un uomo non affetto da desideri carnali e sessuali, ma quanto si sbagliavano. Michael Jackson era un uomo, come tutti e le curve sensuali di Nina non erano mai passate inosservate. Non riusciva a non schiudere le labbra e desiderarla seppur fosse sbagliato.
Seppur fosse piccola e seppur fosse... Arrivato.
"Signor Jackson, siamo arrivati, scendo io se permette"
Steven si voltò, distraendolo e cogliendo in flagrante l'uomo perso nei propri pensieri, con la bocca appena aperta e gli occhi brillanti. Nascose l'agitazione e annuì timidamente.
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