Capitolo 19 - "With the eyes of desire I fell trapped into her"
19.
Ripose il telefono, le guance rosse e lo sguardo basso.
La breve conversazione le aveva scosso il cuore, sentendosi passeggera di una folle giostra.
Una di quelle in cui si provano le vertigini mentre si rotea in mezzo alle nuvole e che, non appena posi i piedi per terra, vieni travolto da un forte senso di nausea.
"Chiamami questa sera, voglio parlare con te" Helen le sussurrò all'orecchio, avvicinandosi e sporgendosi verso la sua seduta. Nina alzò in aria una mano e la spinse al suo posto facendo presa sulla fronte dell'amica.
"Oh andiamo, sei tanto carina con lui, a noi non riservi mai questa dolcezza"
"Chiedetevi perché! Comunque mi ha invitato ad andar con lui Venerdì ad un evento di beneficenza" si torturava le mani, non riuscendo ad alzare il capo per l'imbarazzo e per la morsa allo stomaco che l'attanagliava.
"Oh mio dio Nina! Non solo hai lavorato con lui, ti chiede pure di accompagnarlo! Dovrai metterti super in tiro, sai quanti paparazzi e personaggi dello stesso calibro? Un po' ti invidio, amica mia, Michael Jackson ti fa la corte"
"Non mi fa la corte, vuole solo inserirmi nel suo mondo per conoscenza e sfruttare l'occasione per passare un po' di tempo insieme" Nick le prese la mano e Nina lo osservò, corrucciata.
"Se questo ti fa dormire meglio la notte..."
"Andate al diavolo tutti e due" si mise a ridere e impaziente, tamburellava il piede contro il tappetino dell'auto osservando le vie familiari del quartiere.
Scorrevano veloci le immagini degli ultimi anni, le volte in cui percorse quella stessa strada in velocità. Amava correre sin da bambina e lo faceva soprattutto quando i suoi pensieri divenivano insopportabili, ingestibili. Amava sfidare la sua stessa resistenza, fino a perdere il fiato, come se potesse lasciare indietro, seminare con lunghi balzi agili, le preoccupazioni, le paure e le domande a cui non sapeva rispondere. Poteva quasi percepire il vento freddo sulle guance calde e paonazze, i vestiti leggermente bagnati e appiccicati al suo corpo, le goccioline di sudore imperlate sulla fronte.
Sarebbe davvero stato così diverso da ora in poi?
E il cambiamento la spaventava o la eccitava?
"Nina?" Helen la chiamò, interrompendo il flusso dei propri pensieri, mugugnò in risposta.
"Hai pensato a cosa rispondere ad eventuali domande scomode? Cosa metterti? O al fatto che non potrai presentarti con le scarpe da ginnastica, vero?" le punzecchiò il fianco, poggiando il viso sul sedile del ragazzo.
Nina rise e si portò le ginocchia al petto, sotto lo sguardo severo di Nick che tentò di non farle posare la suola delle scarpe sul sedile, non riuscendosi ed arrendendosi ben presto al breve scontro con le gambe veloci e forti di lei.
"Ho appena saputo, H. Dammi tempo per metabolizzare! Alle domande scomode semplicemente risponderò con la verità e per il vestito pensavo di chiedere a mia madre. Non so se Michael ha già in mente una lista di cose di cui eventualmente posso o non posso parlare. Sono certa che lui avrà le idee chiare e precise su quella che sarà la nostra entrata e anche i commenti, suppongo" se lo immaginò accanto, sfiorarle la vita ed ordinarle a bassa voce come comportarsi. Era per lei eccitante vederlo nei panni di un uomo maturo ed esperto, sentirgli dire cosa doveva fare e seguire i suoi suggerimenti compiacendolo.
Scacciò quel pensiero e ritornò a sentire le guance calde.
"Va bene allora" si schiarì la voce "domani mattina andiamo di nuovo in Università insieme?"
Nick annuì e lei scese di fretta, salutandoli con la mano e spingendo con il proprio corpo la porta di casa.
"Mamma, papà, sono a c.." si stoppò alla vista di Jill al telefono, in evidente difficoltà, camminare avanti e indietro per la sala.
Teneva sotto al bracco una grossa cartella da cui fuoriuscivano fili e tessuti di ogni colore e sfumatura. Sul tavolo vi erano diversi centimetri, forbici, paillettes e spille di ogni forma e dimensione.
La superò rivolgendole uno sguardo curioso e una volta in cucina trovò il padre seduto al tavolo, con i palmi sotto al mento a guardare un servizio televisivo. Posò la testa sulla spalla dell'uomo e guardò cosa fosse così interessante da non permettergli di sollevare lo sguardo e di accorgersi così della sua presenza. Avvampò quando vide la sua faccia passare in TV, era una foto da matricola universitaria. Sorrideva e guardava serena l'obiettivo.
".. indubbiamente. Piccina per essere l'amante dell'uomo ma sappiamo che Jacko e i suoi gusti sono discutibili e aveva già fatto parlare di sé per il suo interesse verso i bamb.." Nina si affrettò a spegnere la televisione con forza.
"Ma cosa stai guardando? Le cazzate?" incrociò le braccia, dando la schiena allo schermo, ora nero e silenzioso.
"Ero solo curioso di sapere cosa avrebbero detto di te"
"Per favore! Una delle prime cose a cui ci ha tanto tenuto è stato il sottolineare che questa è spazzatura e come tale non dovremmo considerarla. Promettimi lo farai anche tu, qualsiasi cosa diranno. Aspetterai me e lui prima di farti una tua opinione"
L'uomo si alzò, circondandola con le proprie braccia. "Sei davvero cresciuta Tesoro, sei una donna"
Nina rise, soffocata contro il petto del padre che la cullava bonariamente, per poi liberarsi dalla presa.
"Cos'ha la mamma?" indicò un punto dietro le proprie spalle e David scosse il capo.
"A quanto pare Michael le ha richiesto un abito entro Venerdì, sai niente di questo bimba?"
Nina si morse il labbro, trattenendo un sorriso eccitato.
"E se ti dicessi che mi ha invitato ad accompagnarlo a questo fantomatico evento di Venerdì?"
"Direi che tua madre dovrà impazzire per due abiti e non uno solo" i due si sorrisero, complici.
La donna, con ancora il telefono saldo, irruppe nella stanza puntando la figlia con l'indice. "Partecipai con lui, vero?"
Nina annuì e sentì la madre sbuffare "Michael, ma quando avevi intenzione di dirmelo? Ho 3 giorni per fare un abito perfetto a te e mia figlia, forse un po' di preavviso sarebbe stato ben gradito... oh... va bene, sì certo, cosa?" si allontanò di fretta sedendosi sul divano. Nina fece spallucce, salì in camera e iniziò a portarsi avanti con il prossimo esame.
Anche se il turbinio di emozioni che provava e il pensiero costante del suo viso, la distrassero e non poco.
Dopo diverse ore, si alzò fulminea dal letto, lasciando i libri aperti sulle coperte.
Aveva bisogno di evadere dalla casa e aveva in mente come poter liberare la propria testa, seppur per un attimo.
La madre si era chiusa nel proprio atelier, aveva una stanza adibita esclusivamente al suo studio, e il tavolino basso della sala, dapprima colpo di accessori ed oggetti, ora era pulito e ben ordinato. Roteò la testa, cercando il padre di cui non aveva alcuna idea di dove si trovasse.
A passi svelti ritornò in camera dove indossò una tuta pesante, a manica lunga e piuttosto aderente sulle gambe, segnandole i contorni delle cosce affusolate e tornite. Si specchiò, mirandosi, e compiaciuta osservò il suo riflesso di donna, le sue curve erano dolci e sensuali e il fondoschiena era ben racchiuso nel pantalone che evidenziava le sue rotondità.
Infilò Dangerous nel lettore CD. Il suo era un walkman verde, tanto utilizzato da aver perso quasi completamente il suo colore sgargiante. Lo posò nelle tasche, fissandolo per bene con la paura di perderlo e lasciato un bigliettino sul tavolo della cucina, aprì la porta, chiudendosela forte alle spalle.
Ispirò forte l'aria fredda che le pungeva il naso, provocandole un leggero brivido che si faceva strada tra il collo ed il petto. Azionò la musica e al primo suono di vetri infranti, i suoi piedi iniziarono a muoversi da soli con una sola meta e destinazione: quella di perdere il senso del tempo e di ritrovare la propria lucidità in mezzo a quel caos.
Correva lasciandosi alle spalle la figura dell'uomo, slanciata e mascolina.
Dimenticava il suo forte profumo di sandalo, i ricci ribelli che gli cadevano sulle gote, i suoi zigomi alti, le linee dure e delineate del viso, gli occhi color cioccolata.
Seppur adorava i due magneti attraenti dell'uomo, pronti a disorientarla e a farla scivolare per un lungo dirupo senza nulla a cui aggrapparsi, ad ogni passo le immagini si sfumavano nella sua testa.
Dimenticava il suo petto, le dita affusolate, la risata fanciullesca e le sue spalle ampie e affascinanti.
Scosse la testa e aumentò il proprio ritmo e passo.
Persa nei propri pensieri attraversò un incrocio senza dare troppa attenzione e un forte fischio di freni la costrinse a liberarsi di una cuffia per voltarsi in direzione del suono. Alla sua sinistra vi era un grosso SUV, i vetri erano oscurati e non le permettevano di poter captare chi fosse al volante. Si sforzò, assottigliando le iridi e sbattendo le palpebre poi, rinsavì, e tirò un calcio contro la gomma anteriore dell'auto "Ma guarda dove vai riccone!". Riprese la cuffietta penzoloni e corse, superando l'auto e svoltando in un'altra via. Fermandosi, aveva mozzato ancora di più il fiato e sentiva adesso la gola bruciarle e le guance in escandescenze. Non aveva fatto molto caso all'auto, abitando in uno dei tanti quartieri benestanti della zona poteva essere chiunque e non si sarebbe sorpresa se fosse un suo nuovo vicino. Rise appena del proprio comportamento, chiedendosi cosa avesse potuto pensare l'uomo alla guida. Si guardò alle spalle constatando che nessuno la stesse inseguendo.
Improvvisamente sentì la spalla urtare qualcosa, e dall'impatto constatò di essere andata contro qualcuno.
Cadde a terra e puntò le iridi verdi sui due uomini con videocamera e microfono che le davano le spalle, fino a che si voltarono.
Le due figure si interruppero "oh.. taglia!"
L'uomo più alto, colui che teneva in mano il microfono ordinò al cameraman di interrompersi e le tese la mano.
"Lei dev'essere Nina Park" la donna si strinse nelle spalle annuendo e tentando di andare via, ma l'uomo le chiese se potesse farle qualche domanda dando un cenno per riiniziare le riprese all'uomo bruno e basso che obbediva, taciturno.
"In realtà sono piuttosto impegnata" si passò le mani sulle gambe, pulendosi dal terriccio.
"Deve vedersi con Jacko?" l'uomo le avvicinò il microfono, poté vedere le iniziali della CBS, una famosa emittente radiotelevisiva statunitense. Si chiese se fosse in diretta in quelle condizioni, poi scosse il capo e si rilassò. Cosa le importava?
"Non conosco nessun Jacko" serrò la mascella, in lei il forte desiderio di deriderli.
"Sta forse dicendo che non ha mai partecipato alla realizzazione della copertina del suo album?" incalzò lui.
Nina si picchiettò in fronte, accentuando la scena, rendendosi quasi ridicola e terribilmente teatrale.
"Ohhh, intende Jackson?" disse marcando il cognome dell'uomo, per poi abbassare il tono in maniera confidenziale ed intima "Mi scusi, sa che il suo cognome è un altro vero? Come l'ha chiamato? Spero non sia in diretta, sarebbe un peccato" si avvicinò all'uomo inarcando un sopracciglio e chinando il busto in sua direzione.
"S..sì...No... So che il suo cognome è Jackson " si sistemò la camicia, in soggezione. Nina sorrise, compiaciuta.
"Ottimo, buona giornata, è stato un piacere"
Alzò la mano e iniziò a correre nella direzione opposta, li vide impacciati, domandarsi se seguirla o meno e lei senza alcuna esitazione fu veloce abbastanza da tornare a casa senza altre spiacevoli sorprese.
Varcata la soglia e spinta la porta sotto il suo peso, rise a bassa voce, tappandosi la bocca per l'adrenalina provata.
La vista di due mocassini neri e lucidi in salotto le mozzarono il fiato.
Il cuore riprese la corsa appena interrotta.
Avanzò, tremante, con la bocca schiusa, sporgendosi appena col viso in direzione della stanza.
Sentì la voce mielata e dolce della madre "Lasciala pure lì, non ti preoccupare. Vieni pure"
Completamente in balia di una forza sconosciuta, si spinse nella loro direzione e si ritrovò ad assistere come una sconosciuta. Trattenne il fiato, paralizzata con le braccia lungo i fianchi alla figura della madre che sparì dentro il proprio studio mentre l'uomo aveva posato la tazza sul tavolino.
Michael Jackson era nel suo salotto.
Nell'allungarsi la camicia scura si era stirata ed assottigliata contro il proprio fianco, delineando le sue forme.
Si alzò, con fare maestoso ed elegante, e le diede le spalle.
Le iridi della ragazza parevano in contemplazione dei dorsali dell'uomo, della vita stretta e dei riccioli tenuti fermi dall'elastico nero. Non si lasciò scappare neppure un respiro. Si affrettava a scrutarlo, centimetro dopo centimetro, ammirandolo.
All'ultimo passo Michael si fermò, allungando la mano verso la porta aperta e sorreggendosi.
Il cuore della ragazza non pareva intenzionato a darle tregua, preannunciandole inconsciamente ciò che sarebbe successo di lì a pochi attimi.
L'uomo, infatti, si voltò piano nella sua direzione.
I riccioli si smossero seguendo il movimento della nuca e poggiò la guancia sinistra al braccio teso e la vide, sotto le ciglia scure e lunghe. Il suo profumo venne rimbalzato con violenza contro la donna che lo sentì schioccare la lingua al palato. Trovò i suoi occhi neri pronti a divorarla. Il suo sguardo, però, non era mirato sul viso della ragazza.
Aveva riposto la tazza di ceramica, ben decorata, sul tavolino basso e in legno chiaro che si trovava a pochi passi.
Si alzò, seguendo la donna che lo precedette in quello che era il suo studio, che conosceva oramai molto bene.
Ad ogni passo percepiva una forte pressione aumentare sulla sua nuca, si sentiva osservato e, da buon analizzatore, era una sensazione a lui familiare: le iridi di lei sapevano essere davvero insistenti, disegnando una scia bollente ovunque posasse il suo sguardo. Tentò di proseguire, non voltandosi per codardia ma la presa sulla schiena divenne insopportabile, agitandolo, e si sorresse alla porta, sospirando appena.
Si mosse piano, voltandosi, dando modo di avvisarla, di ripararsi qualora lo avesse voluto.
Finalmente, si liberò dell'insistenza dei suoi occhi e la trovò in piedi, con le braccia lungo i fianchi.
Si morse forte il labbro, non era assolutamente pronto a quella visione.
I capelli erano raccolti disordinatamente, infatti alcuni ciuffi le cadevano liberi sulle gote e l'elastico pareva in procinto di spezzarsi da un momento all'altro. La fronte era lucida, imperlata di sudore. Gli occhi grandi come li ricordava e di un verde talmente intenso da imbarazzarlo. Le labbra schiuse per la sorpresa e colorate di un rosso acceso.
Il collo era libero e in tensione. Indossava una felpa grigia, la zip le arrivava a metà ventre e la canottiera chiara metteva in risalto il seno abbondante, permettendogli di scorgere il profilo dei due che parevano strizzati e oppressi dall'indumento. I suoi occhi vi si posarono per un solo secondo ma bastò per fargli sentire la bocca secca, asciutta. Deglutì faticosamente sotto il suo sguardo che non mancò di notare quel particolare, seguendo il movimento del suo pomo salire e scendere con rapidità.
Scese con lo sguardo che si posò sulle gambe fasciate nel tessuto anch'esso grigio. Le sue cosce erano affusolate e tese.
I pantaloni le andavano molto aderenti e l'immaginazione era fervida.
Il fiato gli si fece pesante e tornò veloce a puntare le proprie iridi in quelle della donna, ora ancora più arrossata sulle gote per l'indugio dell'uomo sul proprio corpo. Gli sorrise e abbassò il braccio, rivelando il suo volto per intero.
Si morse il labbro e, sfiorandola da capo a piedi lentamente, chinò il viso e si rigirò per entrare nello studio.
Sentendola allontanarsi, sfruttò l'occasione per mirarla un'ultima volta in tutta libertà e il fuoco investì le sue guance alla visione delle sue curve. Non poté fare a meno di tracciare e percorrere il fondoschiena della ragazza, sodo e alto, prigioniero. Ancheggiava appena, muovendo i fianchi in una danza pericolosa e catturante.
Si girò, come punto da un insetto e strattonato da un barlume di ragionevolezza.
Sbattè più volte le palpebre ed avanzò velocemente allentando la camicia e cercando di ritrovare la propria dignità.
Si sentiva uno spione, maledetto per la propria lussuria e benedetto al contempo per la visione di tanta provocante sensualità.
"Michael?" la voce di Jill lo canzonò e lui si affrettò ad andarle in fronte.
"Tutto bene?" annuì più volte, senza sbattere gli occhi, fissando un punto impreciso dello specchio di fronte a lui.
Aveva trattenuto il fiato mentre saliva le scale, sentendosi osservata.
A mano a mano che affrontava il successivo gradino sentiva il cuore saltare in petto, e non appena aprì la porta della sua stanza, aderì completamente la schiena ad essa chiudendola con forza.
"Che cazzo sta succedendo" sussurrò, portandosi una mano in viso.
Sentiva il labbro tremarle dall'agitazione e la destabilizzava il ricordo dei suoi pozzi neri contemplarla con acceso interesse e desiderio. La cura maniacale con cui le aveva posato gli occhi, in lungo e in largo, le creava una dolorosa morsa al basso ventre. Si sentiva terribilmente eccitata e provocata dalla mascolinità appena mostrata. L'immagine del movimento sensuale del suo pomo d'Adamo, il suono del suo schiocco della lingua al palato, soddisfatto.
"Sto impazzendo, è sbagliato" portò gli indici alle tempie.
Inspirò ed espirò diverse volte, fino a far tornare regolare il proprio respiro.
Preparò sotto braccio gli indumenti per la doccia e, una volta raggiunto il bagno, vi si chiuse dentro aprendo già il getto d'acqua.
Al solo suono prodotto dal picchiettare costante delle gocce, Nina si sciolse dalla tensione accumulata sulle sue spalle. Si liberò velocemente degli indumenti e si abbondonò con la fronte poggiandosi al muro mentre il calore la irradiava completamente. Trascorse così alcuni attimi, per poi lavar con cura i capelli e il corpo. Uscì, avvolgendosi all'asciugamano bianco, e inspirò forte l'odore del bagnoschiuma alla ciliegia. Si affrettò e, sapendo che avrebbe potuto rincontrare l'uomo più tardi, indossò un paio di pantaloni neri a palazzo che enfatizzavano la sua vita piccola e le gambe snelle, fasciandole il bacino e il fondoschiena. Scelse una maglietta appena sopra l'ombelico, a maniche lunghe e di un forte colore rosso vivo.
Un piccolo accenno di uno scollo a V lasciava intravedere appena il seno abbondante e passò il phon tra i capelli, lasciandoli liberi e folti ad arrivarle fino alla schiena. Il viso era arrossato per l'umidità calda della stanza e decise di non truccarsi.
Aprì la porta, liberando il vapore nel corridoio e scese le scale con trepidazione.
David la aspettava alla fine di esse con le braccia sui fianchi, sorridente. Gli si affiancò, allegra.
"Niente pigiama?" la canzonò "Non quando abbiamo ospiti" alzò appena le sopracciglia, facendo ridere il padre.
Una volta superato, si trascinò in sala dove vide la porta chiusa dello studio della madre. La sua attenzione venne catturata dalla tazza, poggiata sul tavolo basso, e prendendola tra le mani si avviò verso il lavandino dove con cura la lavò.
Era piuttosto presa e non si accorse dalla madre che le si era messa accanto, a braccia conserte.
Si spaventò quando le toccò il gomito.
"Non farlo più" sibilò a denti stretti e Jill rise alla goffaggine della figlia.
"Grazie tesoro" le sistemò una ciocca dietro l'orecchio, come era solita fare, e la lasciò sola.
Poggiò la tazza oramai pulita sul piano e in punta di piedi superò i genitori intenti a parlare, facendo attenzione a non farsi vedere, poi abbassò piano la maniglia e si ritrovò nello studio della madre.
Sentì un lieve scricchiolio e si affrettò a voltarsi, in tempo per notare la maniglia muoversi e il corpo della donna inserirsi nel sottile spazio creatosi.
Chiuse la porta dietro di sé, con estrema delicatezza e lo fissò.
Fortunatamente, era vestito, libero solo della giacca che aveva appeso.
Teneva il centimetro fermo e legato in vita, come da istruzioni di Jill che si era scusata dovendosi assentare per un attimo.
Michael si trovava di fronte allo specchio con il viso rivolto in sua direzione.
"Ciao" sussurrò lei, sorridendo e tenendo prigioniero il labbro tra i denti.
Gli si avvicinò e l'uomo tornò a guardare di fronte a sé, non perdendo d'occhio il suo riflesso. Si avvicinava piano e il pantalone sotto largo ondeggiava ad ogni suo passo. Nina poggiò il mento sulla sua spalla, affiancando la guancia alla sua e guardandosi reciprocamente negli occhi attraverso lo specchio. Michael risentì quello stesso calore di poco fa pervadergli il petto.
"Ciao" sussurrò in risposta, aspirando forte il suo odore di ciliegio e notando le punte ben flesse della ragazza per arrivare alla sua altezza.
Si voltò verso destra, immergendo il naso tra i suoi capelli ancora umidi.
La ragazza sentì una piccola scossa alla schiena.
"Così ti stai facendo bello per me?" rise, avvicinandosi leggermente, cercando un contatto.
Sentì il suo alito caldo alla menta carezzarle il viso.
"Egoista, non saremo solo io e te" Nina fissava rapita il suo profilo e il collo tendersi nella sua direzione. Le mancò il respiro e si girò scontrandosi con il suo naso. Entrambi spalancarono gli occhi a quel contatto ravvicinato ed esclamarono flebilmente un "oh", percettibile solo ad una distanza così corta come la loro.
Nina sorrise e fece un passo indietro.
"Ops, scusami" sussurrò arricciando il naso e sfiorandoselo con l'indice.
L'uomo lasciò scivolare il proprio sguardo sullo scollo appena accennato e sulla maglietta rossa, stretta sulle sue curve.
Trovò poi un leggero lembo di pelle scoperto del ventre, immaginandosi la sua pelle calda e morbida al tatto.
Deglutì, assottigliando gli occhi e notando con piacere quanto il pantalone fosse aderente sulla vita e sui fianchi, scendendo poi morbido lungo la gamba.
La ragazza portò le mani dietro la schiena, in imbarazzo, e sentendosi nuovamente sotto studio da parte dell'uomo.
"Nina" le si avvicinò, facendo combaciare il petto con il suo.
"Michael" sussurrò guardandolo leggermente dal basso.
"Non dovresti essere qua" ridacchiò, prendendole i polsi e sciogliendo la presa della ragazza che si trovò con le braccia lungo i fianchi, strette nei suoi grandi palmi.
"Lo so, ero solo curiosa" la voce un sussurro, in balia delle emozioni.
"Curiosa? Cosa speravi di trovare qui?" l'uomo aprì le mani e strinse appena i polsi ed il tessuto dei pantaloni tra le dita.
"S..speravo di sapere in anticipo cosa ti metterai venerdì" sentiva la presa di lui, dolce ed esigente.
"Mmm" l'uomo mugugnò e lasciò la presa, allontanandosi "Esci bambina, potrebbe essere pericoloso"
Nina sbarrò gli occhi, interpretando la sua frase come una maliziosa minaccia.
"Tua madre, Nina... Potrebbe arrabbiarsi" l'uomo fu costretto a giustificarsi, notando le sue labbra schiudersi e le gote colorarsi.
Nina in tutta risposta annuì e gli diede le spalle mentre si avvicinò alla porta.
Prese tra le dita la maniglia ma non riuscì ad aprire, perché i palmi di lui si posarono sulla porta chiudendola tra le sue braccia, costringendola a rimanere ferma in quella posizione.
Entrambi sospirarono, prigionieri delle loro stesse emozioni.
L'uomo affacciò il viso sui suoi riccioli ed espirò forte "Prima sono stato maleducato a non salutarti, scusami" la voce era bassa e la morsa al ventre si fece padrona di Nina nuovamente. "Mi piace molto come sei vestita e mi piacevi molto anche con la tuta" schioccò la lingua al palato, spostandole i capelli in un lato in modo da dar libero accesso alle sue labbra che si posarono contro il suo orecchio. "Ora vai, vorrei trattenerti ma non posso" le diede un bacio alla tempia, lento e rumoroso, e fu lui stesso ad aprirgli lo spiraglio nel quale si infilò veloce sentendo subito dopo il tonfo della porta alle spalle.
"Santo cazzo" sussurrò, portando le mani alla bocca.
Corse sul divano, affrettandosi a sedersi e aprire il libro.
Si guardò intorno e tentò di far passare quel rossore alle guance.
Iniziò a leggere, con la testa però completamente in un'altra dimensione e su un altro pianeta.
Ciò che leggeva pareva essere in un idioma differente al suo, tant'è che continuava a rileggere la stessa riga corrucciata.
I tacchi della madre la costrinsero a voltarsi e la vide sparire nello studio, di nuovo.
Sospirò, passando la mano tra i capelli.
"Cosa ti turba?" David le si era seduto accanto scrutandola.
Nina si voltò nella sua direzione e sorrise "Nulla, continuo a perdere il segno. Forse non è una buona idea leggere"
"Sicura vada tutto bene?" la ragazza rilassò il collo e stese le gambe sul tavolino "Si papà, tutto bene"
"Non te lo dico neanche" le indicò le calze rosse poggiate sul legno e lei fece spallucce, ridendo "Sono senza speranza"
"Sei incorreggibile e cocciuta come tua madre" "Poteva sempre andare peggio"
L'uomo la guardò inarcando un sopracciglio.
Nina rise "Potevo sempre assomigliare a te"
David le prese l'alluce, stringendolo, come faceva quando era bambina. Nina saltava in aria non appena le si toccavano i piedi e infatti la reazione arrivò subito e iniziò a muoversi come morsa da una tarantola sul divano creando un gran fracasso.
"Ma cosa state combinando voi due" Jill era in piedi, con le mani puntate sui fianchi.
Michael, accanto, aveva una mano davanti la bocca e rideva di cuore alla vista di una scena così dolce.
Avrebbe pagato qualsiasi cifra per poter godere di un rapporto come quello, pieno di amore e di premura. David non mollò la presa, sorridendo e Nina si rotolò sul fianco, scalciando e alzandosi con un salto. Perse quasi l'equilibrio e Michael prontamente le bloccò la vita tra i palmi.
"Non volare via" sussurrò e un breve guizzo nei loro sguardi li riportò a qualche giorno addietro.
"Grazie Michael" la liberò e sorrise, voltandosi verso Jill che attonita guardava la figlia.
"Grazie Jill, sei stata gentilissima come sempre. Se non vi dispiace, tolgo il disturbo. Immagino voi siate stanchi"
"Perché non ti fermi a cena?" David si alzò, dandogli una leggera pacca sulla spalla.
"Non vorrei essere di disturbo" abbassò il viso, imbarazzato.
"Io ti ho disturbato per giorni a casa tua" Nina lo guardò, speranzosa e Michael cercò conferme negli occhi dei genitori che annuirono.
"Vi ringrazio di cuore. Mi farebbe piacere" e mostrò uno dei sorrisi più radiosi che Nina avesse avuto modo di vedere, sbattendo gli occhi accecata da cotanta bellezza.
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