❁ Capitolo 2.
Agosto 2021, Tokyo.
Una settimana dopo la sveglia digitale, nell'attico di Akaashi Keiji, suonò puntuale come ogni giorno.
Era un bip robotico e costante, decisamente anonimo, ma che ormai Akaashi aveva associato alla necessità di saltare giù dal letto.
I corsi sarebbero all'Università sarebbero ripresi tra due settimane, e lui voleva rientrare nella routine lavorativa il prima possibile.
Per tanto aveva iniziato a prepararsi con largo anticipo.
Sveglia alle 6:30 del mattino, dopodiché avrebbe preparato la colazione, fatto una doccia rigenerante ed avrebbe atteso la nuova donna delle pulizie.
Quella di prima, si era presa un lunghissimo periodo di pausa per maternità, ed alla fine Akaashi si trovò costretto a mettere un annuncio per assumerne una nuova.
Sorprendentemente avevano risposto in fretta, e tra tutti i profili aveva scelto a caso il terzo che gli aveva proposto di fare una prova.
Quel giorno avrebbe anche dovuto andare a fare la spesa, e successivamente, nel pomeriggio avrebbe dovuto controllare che tutti gli studenti del suo corso fossero in regola con i crediti.
Non solo, stava anche scrivendo una recensione su un'opera da poco esposta presso una mostra in un quartiere che neanche ricordava, di Tokyo.
La sua fama lo precedeva, per tanto le riviste a carattere artistico, tenevano sempre ad avere un suo intervento da poter schiaffare in copertina e vendere qualche copia in più.
Del resto, se qualcuno pieno di talento come Akaashi Keiji avesse recensito positivamente un'opera, non avrebbe che potuto giovare alla rivista ed all'artista stesso.
La persona in questione era un artista emergente che veniva dalle Filippine.
Un ragazzino sostanzialmente, che non aveva neanche concluso il ciclo di studi.
Akaashi trovava la sua composizione artistica estremamente noiosa, banale e ripetitiva.
Le pennellate erano imprecise ed il suo stile abbastanza approssimativo.
Per questo piaceva alla critica "degli stolti", come la definiva lui.
Chi non capiva un cazzo d'arte, o meglio, chi non riuscisse a scorgere la vera bellezza che solo l'amore più devoto e sincero per l'arte sa regalarti, si esprimeva sempre con parole piene di meraviglia, davanti la mediocrità.
E per Akaashi quel giovane ragazzo, che aveva avuto la fortuna di suscitare emozioni dentro dei vecchi conservatori, che a malapena sentivano due pillole di viagra prese di fila, era decisamente mediocre.
Mediocre, a tratti davvero imbarazzante.
Banale, misero e scontato.
Faceva un buon uso del colore, ma conoscere la teoria dei colori non era sufficiente per fare arte.
Almeno non secondo Akaashi Keiji.
Nel mentre beveva il suo caffè di miscela arabica, rigorosamente senza zucchero, Akaashi ripensò a quell'opera dal titolo "Nei tuoi sogni."
Doveva essere una composizione onirica, con un forte simbolismo che rimandava, per l'appunto, al mondo dei sogni.
Akaashi sorrise sotto i baffi, nel pensare che l'unica cosa coerente di quel quadro era, all'effettivo, il titolo.
Solo nei "suoi sogni" quel ragazzo avrebbe potuto produrre della buona arte.
Della bellezza che valesse la pena di guardare, sentire ed immagazzinare; o che valesse davvero una nota positiva da parte di Akaashi.
Se Akaashi fosse stato il proprietario di una galleria d'arte, non avrebbe mai esposto nello scempio.
Non avrebbe mai esposto la sua opera, né ora e né tanto meno nel futuro.
Non l'avrebbe mai recensita positivamente e non l'avrebbe neanche considerata arte.
Se fosse dipeso da lui, in verità, avrebbe rispedito il ragazzo direttamente nelle Filippine e gli avrebbe consigliato di ricominciare gli studi dalle scuole elementari.
Prese il suo cellulare ed andò ad affacciarsi, con la tazza ancora in mano, alla vetrata che affacciava sulla sua terrazza.
Bevve un nuovo sorso di caffè, alzando gli occhi per un momento al cielo.
"Sembrerebbe che venga a piovere." pensò, osservando come le nuvole avessero preso ad accumularsi tra di loro, oscurando parzialmente il cielo.
Un temporale estivo sembrava essere minacciosamente alle porte.
Akaashi prese a controllare le sue notifiche, tramite lo smartphone, incrociando i piedi ed accarezzandosi la caviglia destra con il piede sinistro.
Indossava un pigiama leggero, di un delicato Pierre de France a costine ed una t-shirt di lino bianca.
Non amava dormire completamente in intimo, nonostante fuori facesse molto caldo.
Era decisamente sovrappensiero, nel mentre che tornava al bancone della cucina e prendeva qualche biscotto di crusca e cereali, e continuava a scorrere le news.
Se fosse stato più attento, senza preoccuparsi dei nuvoloni che sovrastavano la città di Tokyo quel giorno, si sarebbe accorto di quella mail che ristagnava nei suoi spam da una settimana.
Ma neanche quella volta Akaashi ci fece caso.
E se fosse stata la volontà di un Dio burlone, quella di continuare a procrastinare il suo destino, Akaashi avrebbe perfino potuto trovarlo divertente.
Avrebbe potuto sorridere davanti a quella serie di coincidenze, che lo avvicinavano ed allontanavano al contempo, da quello che presto o tardi sarebbe successo.
Però non poteva saperlo.
Non quel giorno, in cui quel temporale estivo particolarmente insidioso, minacciava la tranquillità della giornata e della sua vita.
E forse, le cose andarono esattamente come avrebbero dovuto, senza forzature di alcun genere.
Guardò l'ora che segnava le 7:06 del mattino.
Si stiracchiò a lungo, cercando di sciogliere tutte le contratture dei suoi muscoli ed articolazioni, al meglio che potesse.
Akaashi Keiji non era un tipo sportivo.
Era più che altro un salutista, che teneva alla forma fisica così come alla sua buona salute, per tanto i muscoli che aveva in corpo derivavano da un'alimentazione bilanciata associata allo yoga e ad esercizi di stretching mattutini.
Era abbastanza tonico ed il fatto che aveva dalla sua 183cm d'altezza, lo rendevano anche abbastanza slanciato.
Aveva un fisico asciutto, con qualche muscolo che spuntava da sotto la sua pelle chiara, costellata da qualche neo scuro che andava ad impreziosire il tutto.
Il suo aspetto era abbastanza particolare, e a giudicare dalle occhiate che riceveva in Università ma anche negli altri posti che frequentava assiduamente, doveva essere davvero un tipo attraente.
Si diresse a passo lento verso il suo bagno, lasciando cadere i vestiti distrattamente sul pavimento di legno.
Osservò rapidamente il suo riflesso nudo allo specchio, prima di infilarsi nella doccia e si lasciò sfuggire una smorfia.
Non gli piaceva particolarmente il modo in cui appariva: si sentiva estremamente in imbarazzo con la sua figura nuda, poiché riusciva a scorgere tutti quei dettagli di sé un po' troppo femminili, sinuosi ed aggraziati.
Akaashi Keiji era bello.
Era bello di una bellezza leggiadra, impalpabile, che trascendeva anche i canoni estetici dei generi sessuali.
E se gli uomini dovevano avere le spalle larghe e la mascella scolpita, per essere considerati affascinanti, Akaashi aveva i profili morbidi e lattiginosi.
Aveva le spalle proporzionate alla vita stretta, le gambe lunghe e le cosce sottili.
La sua pelle era candida, non dal colore malaticcio, era semplicemente vellutata e del colore della porcellana più fine di tutte.
Ma Akaashi di tutta quell'innata grazia, di quel fascino e di quella bellezza magnetica che aveva, non ne sfruttava neanche una minima percentuale.
Odiava il modo in cui il suo corpo potesse essere, a suo modo, femminile e poco spigoloso.
Odiava la sua immagine riflessa tanto quanto odiava le sue mani e l'arte, in generale.
Akaashi, in verità, era un capolavoro, costruito con fatica e sudore, in una notte di dicembre in mezzo al gelo ed alla benevolenza degli Dei; era stato assemblato scrupolosamente, con una particolare attenzione ai dettagli quasi maniacale.
Per questo era bello, nel senso più comune e generale del termine, che prescindeva la soggettività altrui.
Akaashi era bello, decisamente bello.
Solo che lui non riusciva a vederlo per niente.
Chiuse gli occhi, lasciando che il getto della doccia gli piovesse addosso.
Si lasciò scorrere l'acqua sulla testa, sul viso, sulle spalle e su tutto il resto del corpo.
Prese un profondo respiro, cercando di svuotare la mente.
Akaashi Keiji si sentiva molto vulnerabile quando stava sotto la doccia, non solo perché fosse nudo, ma perché in qualche modo, era come se l'acqua lavasse via anche tutta la cera che gli induriva il cuore.
Spesso, quando si trovava con le orecchie ovattate dallo scrosciare dell'acqua, i pensieri nella sua testa prendevano ad urlargli più forte del solito.
"Avresti potuto fare grandi cose."
"Avresti potuto essere famoso."
"Avresti potuto impegnarti di più."
"Avresti potuto essere migliore."
Akaashi piegò indietro la testa, mettendo in evidenza il suo pomo d'Adamo ben pronunciato.
L'acqua prese a scorrergli sul viso e lungo la linea del profilo, giù fino allo sterno.
Si stropicciò gli occhi, dopodiché appoggiò entrambi i palmi contro la pietra del rivestimento della sua doccia.
Chinò la testa verso il basso, in modo che il getto adesso gli scivolasse sul collo e lungo tutta la schiena.
Si faceva sempre prendere da un'infinita malinconia quando si ritrovava da solo con i suoi pensieri, sotto un getto d'acqua piacevole.
I muscoli della sua schiena si irrigidirono per la posizione, la pelle candida del suo corpo prese ad arrossarsi leggermente, per via del calore dell'acqua.
"È andata come doveva..." pensò Akaashi.
Sospirò, fingendo che le gocce d'acqua tiepida che gli imperlassero il viso, non fossero cariche di tutta la delusione che serbava dentro sé stesso.
Era terribilmente insoddisfatto, di ogni cosa.
Di sé stesso, del suo immenso talento che lo aveva inchiodato ad una vita che non avrebbe vissuto, del suo lavoro, della sua arte e della corazza di piombo che indossava ogni giorno da quando era solo un ragazzino.
Della sua vita, dell'aspetto triste ed impersonale che aveva casa sua, del modo in cui si stringeva le mani e di quel senso di vuoto che l'accompagnava sempre.
Si era dovuto indurire, Akaashi, nelle fibre del suo cuore e del suo animo, per poter tenere a bada l'amore dell'arte e quella punizione divina che ne derivava.
Ed avendo costretto la propria sensibilità dentro ad uno scrigno, aveva finito per perderne la chiave.
Il suo essere fatto di vetro nell'anima, di un vetro fragile e pieno di crepe, lo aveva costretto a rinforzare tutto il resto.
Si era reso insensibile, cieco ed apatico; e questo al solo scopo di riuscire a sopravvivere in quell'inferno di diavoli, ch'era la città di Tokyo.
Si era dovuto adattare, rinunciando a parte di quella sensibilità che gli Dei gli avevano donato il giorno della sua nascita.
Era finito per dimenticarsi di sé stesso, per mettere l'arte al primo posto.
Era finito pe spegnersi, per appassire del tutto.
Si sentiva arido, povero e solo, così tanto che neanche il suo incommensurabile talento riusciva a disegnargli una soluzione che potesse calzargli.
Delle volte, per un cuore spento e freddo, neanche la bellezza dell'arte basta per poterlo sciogliere.
Ed Akaashi che l'arte l'odiava, continuava a coltivare dentro di sé il seme della solitudine e dell'insoddisfazione.
Sospirò, passandosi le mani sulla faccia e poi sui capelli, pettinandoli tutti all'indietro.
Non era solito lasciarsi andare a sentimentalismi del genere, anzi lui tendeva a smorzarle le emozioni, ogni qual volta che lo investissero.
Ma per qualche strana ragione non riusciva a darsi il suo solito contegno, quando si trovava sotto la doccia.
Era come se, oltre a spogliarsi degli indumenti, si spogliava anche di tutte quelle debolezze che lo rendevano un essere umano fragile, esattamente come tutti gli altri.
Si esponeva, sotto l'implacabile giudizio di sé stesso, ed alla fine ne usciva sempre con una condanna maggiore.
Quando uscì dalla doccia si frizionò i capelli corvini con un asciugamano, dopo averne legato un altro intorno alla sua vita.
Si mise l'asciugamano che aveva usato per i capelli intorno al collo, e con calma si diresse nella sua camera da letto per vestirsi.
Sebbene fosse ancora piena estate e in casa di Akaashi c'erano i deumidificatori d'aria sempre accesi, quel giorno faceva leggermente fresco.
La pelle del suo ventre piatto si accapponò lievemente, facendo intravedere uno strato di peluria chiara che partiva dal suo ombelico e s'insinuava fin sotto la cinta dell'asciugamano.
Akaashi aveva dei ricci neri che risultavano per lo più indomabili, ma inspiegabilmente tutto il resto del suo corpo era glabro e perfettamente liscio, tranne che per i peli pubici che riprendevano il colore dei suoi capelli.
Decise di indossare una camicia a maniche lunghe dal taglio largo ed informale, verde Veronese e dei jeans denim classici, abbinandoci delle scarpe da tennis chiare.
Strinse il suo solito orologio al polso sinistro e uscì di casa, con la borsa in tela per fare la spesa, appesa in spalla.
Non appena fu fuori si accorse di come l'aria fosse umida, carica di pioggia inespressa che minacciava di cadere giù da un momento all'altro.
Akaashi si maledisse mentalmente per essere uscito senza ombrello, nel momento in cui una goccia d'acqua gli cadde sul naso.
Il suo solito supermercato, quello che aveva anche un fornitissimo reparto biologico, per fortuna era a soli diciannove minuti a piedi dal suo attico, per tanto pensò che alla fine non si sarebbe bagnato troppo, se solo le nuvole avessero mantenuto ancora un po'.
Accelerò il passo, tenendo la testa ben dritta davanti a sé, verso il grande incrocio che doveva superare, prima di svoltare sulla sinistra per la strada del supermercato.
Generalmente quell'incrocio era regolato automaticamente dai semafori, però bastava schiacciare un pulsante per permettere ai pedoni un attraversamento rapido.
Mentre stava per richiamare il verde, la sua attenzione venne catturata da un gruppetto di ragazzi, presumibilmente delle scuole medie, tutti chini ed indaffarati in qualcosa.
Ridacchiavano, emettendo versi striduli di soddisfazione.
Akaashi non seppe dire come mai si lascò distrarre da quella scena, ma il fatto che aveva esitato per qualche minuto, diede il tempo al destino per intessere una nuova ed ingarbugliata coincidenza.
I ragazzi stavano infastidendo un piccolo micetto, dal pelo tutto arruffato e l'espressione impaurita.
Il suo manto, dalle sfumature grigiastre ed aranciate, era umido e presumibilmente anche appiccicoso, essendo che uno di quei ragazzi aveva una lattina di soda in mano; il piccoletto soffiava e cercava di difendersi come poteva, con le spalle contro una grata di scolo dell'acqua, mentre se la fronteggiava da solo con quel gruppetto di ragazzini.
Lo infastidivano con i loro skateboard, tirandogli qualche sassolino da terra e gli pizzicavano la coda.
Chiunque si sarebbe sentito in dovere di intervenire.
Chiunque avrebbe allontanato quei ragazzi dal povero animale, facendogli pure una bella lavata di capo.
Ma Akaashi Keiji, che aveva lasciato tutta la sua empatia dentro lo scarico della doccia, fece per continuare dritto, con una scrollata di spalle.
Non era affar suo.
Non gli importava minimamente, fare il difensore di una giustizia immaginaria e non gli interessava essere l'adulto che correggeva laddove già i genitori di quei ragazzini avessero sbagliato.
S'erano venuti su come bestie, voleva dire che bestie erano destinati ad essere, e qualsiasi fosse stato il suo intervento, non li avrebbe di certo salvati dal loro destino.
Lui pensava che alla fine questa era la dura legge della vita: si nasce selvaggi, si cresce assecondando i propri istinti animaleschi ed alla fine si muore da soli come bestiame.
Erano tutti soli al mondo, secondo Akaashi, chi più chi meno.
Erano tutti crudeli, nascosti dietro una buona ed impostata apparenza di perbenismo e di finta moralità.
La gente si dispiaceva quando c'è da dispiacersi, quando davano una notizia terribile al telegiornale, però poi per contro lasciavano i propri figli crescere da soli, alimentando le loro paure ed insicurezze.
Nessuno nasceva genitore, ma tutti avevano la smania di procreare, solo perché mossi da una speranza che Akaashi non riusciva a comprendere, di redimersi tramite i propri figli.
E le insoddisfazioni degli adulti diventavano quelle dei figli.
La gente scuoteva la testa quando sentiva di estremi casi di razzismo, di violenza o di abuso, e poi si scansavano sulla metro quando saliva uno straniero o qualcuno bisognoso di aiuto.
Nessuno sedava una rissa, nessuno voleva mai immischiarsi.
Nessuno si fermava ad aiutare un moribondo per strada
E se questa era la Tokyo in cui era cresciuto, Akaashi pensava che non avrebbe di certo salvato la sua anima se ora si fosse soffermato a salvare quel gattino.
Qualcun altro al posto suo si sarebbe dispiaciuto, qualcun altro al posto suo avrebbe pensato che, a sua volta, qualcun altro sarebbe potuto intervenire.
Era una catena, che serviva a scaricare una colpa, ch'era sempre di tutti ma mai di nessuno.
Il micetto miagolava con quanta voce avesse in corpo, cercando di farsi aiutare o nella vana speranza di riuscire a scacciare i suoi tormentatori, continuando a soffiare e mostrando gli artigli.
Akaashi scrollò le spalle, mentre superava la scena nel momento esatto in cui il gattino si trovava ad un passo dal cadere nel canale di scolo delle acque piovane.
"Non posso farci niente." pensò.
Akaashi schiacciò il pulsante per richiamare il verde per i passanti, e semplicemente attese di poter attraversare la strada, senza degnare di un ulteriore sguardo quella tortura.
In quel momento, mentre teneva stretta la sua tracolla per la spesa, impettito nella sua camicia e con gli occhiali che iniziavano a riempirsi di microscopiche goccioline di pioggia, una macchina sterzò con violenza nella sua direzione.
Suonava il clacson di tutta fretta, facendo stridere le ruote sull'asfalto che stava bagnandosi.
Con una sgommata, prese a tutta velocità la curva sulla sinistra di Akaashi, rischiando anche di colpirlo in pieno.
Akaashi fece un salto all'indietro, che gli fece anche mancare l'equilibrio, per evitare che quell'utilitaria dall'accesa vernice vermiglia, potesse finirgli veramente addosso.
Sconcertato e con il cuore in gola, continuò ad osservare quella scena del tutto surreale.
Aveva il fiato corto, sentiva le gambe tremargli e lentamente trasformarsi in gelatine per lo spavento.
La macchina si fermò sull'attraversamento pedonale, inchiodando e lasciando che i passeggeri al loro interno venissero sbalzati in avanti, prima che l'azione frenante delle cinture di sicurezza potesse riportarli indietro.
Il finestrino del passeggero era completamente abbassato, ignorando anche il fatto che avesse preso a piovigginare.
Una testa dai curiosi ciuffi grigi cemento che sfumavano al nero, sporse il mezzo busto fuori dal finestrino, agitando le braccia ed urlando le più colorite ingiurie a quel gruppetto di ragazzi.
<< HEY VOI! STRONZETTI CHE CAZZO STATE FACENDO?!>> sbraitava, rimanendo comunque seduto con la cintura ancora allacciata a fasciargli il petto, che si gonfiava e abbassava ogni qual volta prendesse ad urlare un nuovo insulto.
I ragazzini lo guardarono stupiti, prima di darsela a gambe, non appena l'autista di quella macchina scese lasciando anche lo sportello aperto.
Colui che discese da quella macchina, incitato da quel curioso ragazzo dai capelli ingellati all'insù, non era altro che il corvino altissimo del ristorante di qualche settimana fa.
Passò vicino ad Akaashi, il quale era ancora impietrito sul posto, senza le parole per poter esprimere tutta la sua sorpresa nonché indignazione per essere stato quasi investito.
Il ragazzo avanzava minaccioso, sollevandosi le maniche della felpa nera che portava, sotto l'incoraggiamento del ragazzo seduto al posto passeggero.
<< ADESSO IL MIO AMICO VI SPACCA IL CULO! AH, BRAVI SCAPPATE... ORA SONO GUAI PER VOI STRONZI!>>
Il ragazzo dai capelli neri aveva effettivamente un'aura da teppista, ancor peggio di quei ragazzini.
Lo sguardo torvo, gli occhi affilati, l'altezza ed un corpo muscoloso a sostegno, gli davano quell'aspetto da affiliato della Yakuza che, secondo Akaashi, avrebbe potuto realmente avere.
Akaashi deglutì forte, sentendo il proprio cuore pompare alla velocità della luce contro al suo petto.
Trattenne il fiato e quasi chiuse gli occhi come per scongiurare il peggio.
Non appena i ragazzini furono abbastanza lontani, l'atmosfera cambiò radicalmente; si capovolse, e lo sguardo minaccioso del ragazzo dai capelli neri si trasformò in una sincera preoccupazione.
Così come le urla minacciose, che stavano arrossando il viso del passeggero dai capelli bicolore, si spensero, quasi come gli si fossero seccate in gola.
La sua voce, da alta squillante ed energetica, divenne un sussurro frettoloso; divennero quasi tremanti di esitazione.
Prese a mangiarsi le parole, nel mentre che diceva al suo amico di sbrigarsi.
<< Kuroo... prendilo avanti!>> iniziò a dire, impaziente e ancora confinato in quella macchina.
Akaashi riaprì gli occhi, sbarrandoli subito dopo.
Il corvino si era tolto la felpa e stava facendo ridicoli versi di richiamo, per quel micio ancora impietrito di paura.
Mentre lo sollevava delicatamente da terra, Akaashi si accorse che aveva una zampetta rotta, che teneva ferma a mezz'aria, mentre con l'altra graffiava il braccio del corvino con una furia inaudita.
<<Ahio! Stai buono!>> gli sentì dire.
Piano lo avvolse nella sua felpa, cercando di non fargli male, prestando particolare attenzione alla zampina malconcia.
Con due falcate fu nuovamente alla macchina, lasciata con le quattro frecce lampeggianti e lo sportello ancora spalancato dal posto di guida.
Diverse macchine dietro di loro stavano strombazzando furiosamente il clacson, per aver bloccato non solo l'attraversamento pedonale quanto anche la viabilità in generale.
Akaashi sbatté le palpebre, come se fosse sotto ipnosi, sentendosi in uno stato confusionale per come quei due continuassero ad urlare contro gli altri automobilisti e tra di loro.
<< MUOVITI CAZZO!>> gridò il ragazzo dai capelli bicolore.
<< PRENDILO PRESTO FAI ATTENZIONE.>> gli rispose quell'altro.
<< MA CHE CAZZO SUONATE! NON VEDETE CH'È UN'EMERGENZA??>> continuò, catapultandosi in macchina, dopo aver delicatamente lasciato il fagottino al ragazzo seduto al posto passeggero.
Akaashi rimase sconvolto, come, sotto quella pioggerella sottile che ora aveva preso a rinforzarsi, quella macchina andò via sgommando.
In un breve e fulmineo attimo, giusto il tempo necessario ad Akaashi per risvegliarsi da quell'intorpidimento che lo bloccava con i piedi sulla strada, la macchina si volatilizzò con la stessa rapidità con la quale era arrivata.
Akaashi si sorprese nell'avere la bocca aperta ed il fiato corto, con gli occhi iniettati di rabbia e sorpresa, seguì il profilo posteriori della macchina fin dove gli fu possibile scorgerla.
Si destò da quello stato di trance solo quando sentì il fragore della pioggia infrangersi al suolo.
Violenta, la pioggia aveva preso a cadere al cielo, trascinando con sé l'ira di un Dio che stava guardando gli uomini dall'alto.
La tolleranza che aveva concesso a quel quartiere di Tokyo finiva in quell'esatto momento.
Akaashi guardò verso il cielo e come se fosse appena stato attraversato da una scossa elettrica di centinaia di volt, corse a ripararsi sotto la fermata del tram più vicina.
Quella panchina s'era improvvisamente popolata di gente, più o meno fradicia, che spingeva per ripararsi al meglio da quell'improvvisa tempesta.
Akaashi, il quale si sentiva fortemente schiacciato da ogni direzione possibile, quasi fosse una sardina in mezzo a tutta quella gente, sentì l'impulso di andarsene.
Di correre via, per la precisione.
L'aria sembrò venirgli meno, di colpo.
Gli parve di venir sopraffatto da tutto quel chiacchiericcio e da quei corpi che strusciavano contro il suo.
La testa gli regalò un capogiro, che lo costrinse a sedersi sulla panchina d'attesa.
L'andare indietro, fece indietreggiare contro di lui tutta quella gente in piedi, ed a quel punto Akaashi si sentì veramente in trappola.
Akaashi odiava trovarsi circondato da sconosciuti, anzi in generale odiava un contatto così esposto e prolungato con le persone.
Akaashi non era un tipo ansioso, ma la sensazione che gli si annodava allo stomaco, quando si sentiva costretto in un piccolo spazio con molta gente, gli faceva mancare le forze.
Il cuore prese a martellargli contro le tempie e lui si portò una mano sul petto, nella speranza di rallentare il suo respiro.
Lo scroscio dell'acqua era talmente forte che Akaashi stentava a percepire il proprio respiro.
Era un po' come se fosse tornato sotto la doccia, che tutti i suoi demoni parvero riemergere dai pori della sua pelle.
Gli occhi gli si inumidirono, li strinse e poi li riaprì nel tentativo di mandar via quel pizzicore di lacrime.
Deglutì a fatica, sentendo come la sua stessa saliva avesse assunto la consistenza metallica ed il sapore amaro del ferro.
Guardò quella folla di teste davanti a sé e, sebbene piovesse veramente a dirotto, Akaashi pensò che sarebbe stato meglio correre fino al suo appartamento che continuare quel supplizio.
Si rialzò a fatica, ed iniziò a sbattere contro le spalle di quelle persone, nel tentativo di tornare a respirare sotto la pioggia.
Non appena l'acqua investì anche il suo corpo e non solo i suoi timpani, i polmoni nel petto di Akaashi parvero aprirsi, allargarsi, respirare.
Deglutì nuovamente, sentendo l'acqua gelida scorrergli fin dentro le ossa, lasciando che la camicia gli si appiccicasse addosso, così come i jeans.
Si tolse gli occhiali, riponendoli nella tracolla, ed iniziò la sua corsa verso il suo attico.
Nel mentre che correva, con la pioggia fredda che gli bagnava il volto offuscandogli anche un po' la vista, Akaashi si sorprese nel ripensare a quel ragazzo dai capelli bicolore.
Rivide mentalmente il suo viso arrossato, nello sforzo di urlare fuori dal finestrino.
I suoi occhi miele, scintillanti ed anche un po' tondeggianti; la linea perfetta del suo naso dritto e leggermente appuntito.
Le sue sopracciglia folte e grigiastre, che si corrugavano per lo sforzo, assieme a tutta la sua fronte.
Ripensò a come si stesse sbracciando, per far scappare quei ragazzini, con quanta energia avesse in corpo.
"Non sarebbe stato più semplice scendere dalla macchina?" pensò, mentre s'infilava nell'ingresso della sua palazzina.
Effettivamente quel tipo strano aveva continuato ad urlare da dentro la macchina, lasciando che lo spilungone- di cui Akaashi non riusciva a ricordare il nome- frenasse come un dannato, con il rischio di travolgerlo e si catapultasse fuori dalla vettura.
Si era sporto con il busto mezzo fuori dal finestrino, ma aveva continuato a tenere la cintura ben allacciata.
Akaashi fece scivolare, con mani malferme scosse dai brividi, la chiave nella toppa.
Entrò e subito si diresse, grondante di gelida acqua piovana, verso l'ascensore per il suo attico.
"Che razza di persona urla da un finestrino, lasciando che il guidatore inchiodi al centro di un incrocio, potenzialmente pericoloso..." pensò.
Si passò una mano tra i capelli umidi, osservando di sbieco l'immagine di sé stesso, con la camicia appiccicata al petto e l'espressione di chi avesse appena visto un fantasma, nello specchio dell'ascensore.
"Se fosse sceso dalla macchina lui, avrebbe dato il tempo al guidatore di parcheggiarsi come si deve. Non avrebbe ingombrato la carreggiata e soprattutto non gli avrebbe quasi fatto commettere un omicidio."
Una volta arrivato in casa, Akaashi si spogliò all'ingresso, senza però riuscirsi a levarsi di dosso il malumore che quel secondo incontro gli aveva procurato.
Il tipo con i capelli bicolore non solo era terribilmente rumoroso quando andava nei ristoranti, bensì era anche maleducato e strambo.
Akaashi si sentì fremere di un inspiegabile fastidio, nel ripensare alla scena di lui che balza indietro, poiché la macchina stava per investirlo.
"Nessuna persona sana di mente investirebbe un pedone per prendere un gatto."
Era assurdo un comportamento del genere.
Era da barbari, da incivili.
"Si è affannato tanto per uno stupido gatto e poi ha lasciato che il conducente della macchina investisse una persona, mentre lui continuava a restare comodamente seduto."
"Neanche si è bagnato..."
Per la seconda volta Akaashi si ritrovò sotto la doccia, ma questa volta i suoi pensieri non sopraffecero le sue emozioni; questo perché il suo chiodo fisso era proprio la mancanza di rispetto, indiretta, che aveva subito.
Ci pensò, scuotendo a testa di puro disappunto, per tutta la mattinata.
Anche dopo essere uscito dalla doccia, anche mentre s'asciugava i capelli, anche quando gli venne in mente che la donna delle pulizie ancora non era arrivata.
Fu come un lampo, un sesto senso, che lo fece trasalire, nel mentre che si preparava una tazza di the per riscaldarsi da quel senso di gelo che l'acqua gli aveva impresso sulla pelle.
Si toccò le tasche della tuta che indossava per casa e, sorprendentemente, le trovò vuote.
Akaashi non era dipendente dal suo smartphone, ma per ovvie ragioni lavorative, lo teneva sempre a portata di mano.
Si sbigottì nel non trovarlo neanche sul comodino della sua camera da letto, così come si meravigliò di non vederlo neanche in soggiorno.
A quel punto, la sorpresa lasciò posto alla preoccupazione, ed automaticamente la sua testa si settò sul dare la colpa all'incidente mattutino, se aveva perso il suo telefono.
Improvvisamente ricordò di averlo nella tasca posteriore dei jeans, quegli stessi jeans che aveva appena buttato in lavatrice.
Possibile che fosse stato così sbadato da togliere il portafogli ma non il cellulare?
Lui, che era un maniaco dell'ordine a cui non sfuggiva mai nulla, poteva davvero aver fatto una cosa del genere?
A passi svelti, si diresse presso il locale lavanderia, che aveva vicino al bagno di servizio di casa sua.
Il rumore meccanico della lavatrice in funzione gli fece mancare un battito, non appena mise piede dentro la stanza.
Il lavaggio rapido una volta impostato era impossibile da fermare, e per tanto, prima di scoprire se avesse sul serio buttato a lavare anche il suo telefono, doveva attendere altri quindici minuti.
<< Cazzo...>> imprecò a bassa voce, colpendo la lavatrice con il palmo aperto di una mano.
"Dannato telefono... dannato ragazzo gufo!" maledisse dentro la sua testa.
Si sedette con le spalle contro la porta della lavanderia, alzando le ginocchia e lasciandoci penzolare le braccia, completamente affranto.
Mandò indietro la testa contro la porta e chiuse gli occhi, sentendosi un fascio di nervi scoperti, pronto ad esplodere in qualsiasi momento.
Quel ragazzo dai capelli sparati all'insù, dai colori chiari e dagli occhi caldi e luminosi, era un portatore di sciagure.
Ogni qual volta lo incontrava, assieme a quel suo braccio destro mafioso e troppo cresciuto, alla fine succedeva sempre qualcosa di spiacevole.
La prima volta aveva dovuto farli cacciare dal ristorante, perché non riuscivano proprio a comportarsi da persone civilizzate.
"E già da qui avrei dovuto capire..." si disse mentalmente Akaashi.
La seconda volta, aveva rischiato di farsi investire, e tutto per salvare un gatto.
E adesso stava seduto a terra, dopo essersi completamente inzuppato, in attesa di controllare se il tuo smartphone fosse o meno dentro la lavatrice.
I quindici minuti più lunghi di tutta la vita di Akaashi Keiji, trascorsero lentissimi; di una lentezza esasperante ed esacerbante, che gli aveva provocato il mal di stomaco per il nervosismo.
Quando finalmente la lavatrice suonò di aver completato il ciclo di lavaggio, Akaashi si precipitò ad aprire lo sportello, senza attendere che s'inserisse il programma d'asciugatura.
Non ci fu bisogno di spostare i suoi jeans, che già il tuo telefono risplendeva nell'oscurità del cestello della lavatrice.
Il display era andato completamente in frantumi, gocciolava acqua da ogni speaker e profumava anche di muschio bianco.
Akaashi sentì un formicolio sotto l'occhio destro, la rabbia montargli in corpo ed un'irrefrenabile voglia di sporgere denuncia contro quei due ragazzi, se solo avesse saputo i loro nomi.
Assestò un pugno contro la lavatrice, che all'evidenza dei fatti aveva solo svolto il suo compito: lavare i panni.
Che poi Akaashi avesse deciso di mettere a mollo anche il suo telefono 160mila ¥* non era di certo colpa della lavatrice.
Sbuffò, alzandosi gli occhiali sopra la testa ed iniziando a massaggiarsi il ponte del naso.
Quella giornata estiva era iniziata malissimo, ed Akaashi avrebbe dovuto capirlo già dai nuvoloni che aveva visto appena sveglio.
Non solo ora si ritrovava con un telefono che non ne voleva sapere di accendersi, ma temeva anche di aver perso tutti i suoi dati all'interno.
Imprecando, contro il cielo e contro il ragazzo dai capelli bicolore, si buttò a peso morto sul divano, mettendosi il suo portatile sulle gambe.
L'Apple Store più vicino a casa sua, si trovava a due fermate di metro.
Akaashi pensò che avrebbe potuto portarlo a riparare lì, per una possibile consulenza circa l'eventuale riparazione, prima di andare alla mostra a cui era stato invitato a presenziare nel pomeriggio.
Akaashi era di pessimo umore, e sicuramente l'andare ad una mostra d'arte della quale non gli interessava assolutamente nulla, non avrebbe giovato.
Avrebbe di gran lunga preferito mettersi a dormire, e nel mentre che ci pensava, vagliò anche l'ipotesi di balzare quell'evento con la scusa del cellulare rotto.
Sospirò quando si rassegnò all'evidenza che non potesse farlo.
Alla fine, optò per portarlo ad uno Store vicino l'Università, cosicché se avesse richiesto del tempo per essere riparato e le lezioni gli fossero già iniziate, avrebbe potuto recarcisi a piedi tra un'ora e l'altra.
Dopo aver trovato questa prima soluzione, guardò l'ora e si rese conto essere quasi mezzogiorno, e che della nuova donna delle pulizie, non si vedeva neanche l'ombra.
Spazientito com'era, prese a digitare furiosamente sulla tastiera del suo portatile, alla ricerca dell'e-mail di risposta che aveva ricevuto al suo precedente annuncio.
Prese il telefono di casa e compose il numero allegato a quell'e-mail.
Non potendo usare il suo smartphone e non avendo assolutamente il tempo per poter mandare un altro messaggio scritto, decise che avrebbe risolto la questione telefonicamente.
I primi squilli andarono a vuoto, cosa che fece innervosire Akaashi ancora di più.
La sua gamba sinistra traballava sul posto, così come le dita della mano libera dal telefono, tamburellavano nervosamente sul tessuto del divano.
Akaashi pensò che se quella donna non avesse risposto, molto probabilmente sarebbe stato molto meglio; avrebbe lasciato sfogare la sua rabbia in altro modo, e poi magari, quando e se sarebbe arrivata, probabilmente lui sarebbe stato più calmo e quindi l'avrebbe fatta lavorare comunque.
Akaashi pensò che quello dovesse essere un segno del destino, di evitare di prendersela sempre con gli altri, e di imparare a gestire la sua rabbia.
E lui, c'aveva quasi creduto che questo fosse il messaggio nascosto dietro tutte le disavventure di quella mattina.
E proprio mentre stava per mettere giù, la persona dall'atro capo del telefono rispose.
<< Ahm... sì?>> disse, con un evidente baccano di sottofondo.
Akaashi si stranì nel sentire la voce di un uomo, rispondere a quello che doveva essere il numero di telefono della donna delle pulizie.
<< Salve, mi è stato fornito questo numero in risposta ad un annuncio... ma temo mi abbiano fatto uno scherzo...>> disse Akaashi, chiudendo gli occhi e portandosi una mano sulla faccia.
<< Ah... che annuncio, mi perdoni?>> chiese la voce, che aveva uno strano timbro familiare alle orecchie di Akaashi.
Si sforzò di visualizzare mentalmente dove l'avesse già sentita, ma non riuscì proprio a collegarla a nessun viso.
Eppure la sensazione che l'avesse già sentita, continuava a vorticargli in testa.
Una voce alta, dai bassi rochi.
Una voce mascolina, che rimandava nella mente di Akaashi, a qualcuno che sbraita.
E seppur lui avesse questi improvvisi sensi di familiarità, alla fine non riuscì a riconoscerla, quella voce.
<< Un annuncio per una persona per le pulizie... mi scuso per l'inconveniente, buona giorn->>
Akaashi non fece mai in tempo a finire quella frase, che la voce dall'altro lato, lo interruppe.
<< AH SI... SI SONO IO!>> urlò quasi, così tanto che Akaashi, colto di sorpresa, dovette allontanare la cornetta dal suo orecchio.
<< Oh cazzo... sono in ritardo... mi scusi io...>> iniziò nuovamente, ma fu Akaashi ad interromperlo questa volta.
<< Come prego? Lei...? L'annuncio diceva chiaramente che cercavo una donna.>> disse a denti stretti, sentendo un rinnovato impeto di rabbia montargli in petto.
<< Bhe si... ma sono bravo, sono anche veloce... se mi facesse provare ugualmente...>> provò a dire.
Ma Akaashi aveva già deciso, ancor prima di sentire che fosse un uomo a dover pulire casa sua, per le due ore di ritardo che aveva fatto, di non fargli mettere assolutamente piede in casa sua.
<< Ma lei ha voglia di scherzare. Si rende conto che è due ore e dieci minuti di ritardo?>> ribatté Akaashi.
Dal telefono uscirono rumori inudibili, e poi, tutto il caos che filtrava attraverso la cornetta, s'interruppe, segno che quella persona s'era spostata di stanza.
<< Si... senta mi dispiace... ho avuto un imprevisto. Mi consenta di provare ugualmente, io le assicuro che non sentirà la differenza tra me ed una ragazza...>>
Akaashi scattò in piedi, andando a specchiarsi contro la vetrata che dava sulla sua terrazza, imperlata di goccioline d'acqua.
Era furente di rabbia, così tanto che strinse un pugno così forte da sentirsi mancare la circolazione del sangue.
<< Ma lei è impazzito. Non solo risponde ad un annuncio per donne, pur essendo un uomo, ma mi prende anche per il culo non presentandosi??>> sbuffò Akaashi alzando il tono di voce.
<< Io chiedo scusa... purtroppo c'è stato un impr->>
<< NON ME NE FREGA UN CAZZO DEI SUOI IMPREVISTI! SE DAVVERO TENEVA A QUESTO LAVORO SI SAREBBE QUANTO MENO PRESENTATO IN ORARIO... OLTRE CHE CON UN'UTERO FUNZIONANTE E DELLE GHIANDOLE MAMMARIE ADIBITE ALL'ALLATTAMENTO... DI CUI È EVIDENTEMENTE SPROVVISTO!>> urlò Akaashi, lasciando che tutto quel ribollire delle sue interiora si riversasse, come un'eruzione vulcanica, sul povero malcapitato al telefono.
<< Io... io mi scuso per il ritardo, ma se mi lasciasse spiegare la motivazione... forse potremmo accordarci per una nuova prova... io ho davvero bisogno di questo lavoro...>>
<< IO NON HO INTENZIONE DI ASCOLTARE LA SUA VOCE OLTRE. LEI È UN'INCOMPETENTE. PRIMA DI METTERSI IN TESTA DI FARE LAVORI DA DONNA, IMPARI COS'È LA PROFESSIONALITÀ LA PUNTUALITÀ.>>
<< Ehi questo è un po' discriminante...>> disse la voce nel telefono.
<< IO ME NE SBATTO DELLA SUA OPINIONE. ARRIVEDERCI.>> urlò Akaashi, schiacciando furiosamente il tasto per concludere quella conversazione e lanciando successivamente il telefono sul divano.
La testa gli pulsava, ritmicamente all'unisono con i battiti del suo cuore.
Sentiva la gola ardergli, per tutto il resto del veleno che avrebbe voluto vomitare ma di cui non ne ebbe il tempo, poiché le sue dita furono più veloci della sua lingua, interrompendo quella conversazione.
Prese a camminare su e giù, sfregandosi e stringendosi le mani le une con le altre e dal nervosismo che aveva in circolo in quel momento, se avesse potuto staccarsi le dita una ad una, lo avrebbe fatto senza esitare.
Dopo qualche minuto, si catapultò nuovamente sul divano, andando a correggere il suo annuncio:
Cercarsi DONNA di servizio, che pulisca appartamento di ampia metratura. Cercasi disponibilità a giorni alterni con orari da concordare in seguito.
Buona retribuzione da 3000¥** all'ora – possibilità di aumento o di diminuzione del compenso in base all'efficienza lavorativa.
Contattare questo numero, se interessati ad una prova.
xxXxXX- xxXxx
Akaashi.
Ps. Astenersi perditempo – Uomini – Minori.
Dopo averlo redatto, sottolineando che non voleva uomini in giro per casa- che alla fine tanto valeva pulirsela da solo la casa- si cambiò nuovamente, dopo aver consumato un rapido pranzo preconfezionato, ed uscì di casa.
Questa volta reggeva sottobraccio l'ombrello porpora e la sua immancabile tracolla di cuoio.
Portò con sé anche il suo cellulare, con l'idea di andare a lasciarlo all'Apple Store prima dell'inizio di quel supplizio, che chiamavano mostra d'arte.
Il destino di Akaashi per quel giorno, non era ancora arrivato al suo compimento, per tanto mentre camminava a passo svelto, con la giacca abbottonata fino al collo, lui non poteva sapere che cosa ci fosse ancora in serbo per lui.
Akaashi alla fine non deviò per l'Apple Store, nonostante fosse uscito di casa con quell'intendo.
Le cose andarono diversamente, lasciando che s'annoiasse fino a sera alla mostra, perché così il suo destino era stato scritto.
Solo che lui non poteva saperlo.
Così come non avrebbe smesso d'incontrare per caso il ragazzo con i capelli bicolore, e dal curioso aspetto.
Così come presto avrebbe compreso a chi appartenesse quella voce per telefono, e a chi lui stesse per dare il lavoro in casa sua.
Così come presto si sarebbe accorto di quell'email ancora in attesa tra i suoi spam, che gli avrebbe letteralmente sconvolto la vita.
Ma era ancora troppo presto.
Per tanto, ancora una volta, Akaashi Keiji quella notte dormì a sonni tranquilli, dopo essersi scrollato di dosso tutta l'irritazione accumulatasi nella giornata.
Proprio come se fossero i nuvoloni di un temporale estivo, troppo lontani per portare pioggia, ma che andavano comunque a deturpare l'orizzonte calmo e terso.
Ci avrebbe pensato un'altra volta.
Se ne sarebbe preoccupato molto presto, ma per ora gli Dei gli concessero un'altra notte mite ed indulgente, per il suo animo che presto sarebbe stato in tumulto.
Buonanotte Akaashi, sembrava volessero dirgli, attraverso il fischio del vento di quella notte, che faceva piegare le chiome degli alberi.
Buonanotte.
* 160000¥ ~ 1246€
** 3000¥ ~ 24€
❁ I Colori di Akaashi ❁
❁ Pierre de France (neutro)
❁ Verde Veronese
❁ Rosso porpora
❁ Cuoio
❁❁❁❁❁
Angolo Autore:
Hello Stelline ❤️
Come state?
Come vanno le vostre settimane?
Per me tutto bene, sono solo incasinata a livello di studio/lavoro e trasferimento T_T
Quanto è difficile trovare un appartamento?
Su una scala da 1 a 10, certe volte 17 altre volte 35 T__T
Ma vabbè!
Eccoci con il 2 capitolo di questa BokuAka!
Cosa ne pensate?
Sono davvero in dubbio, fortemente, ogni qual volta che revisiono un capitolo.
Per me è una storia molto difficile da scrivere, ma non perché non sappia cosa dire, ma perché vorrei trovare il modo migliore per farlo!
Sto sperimentando, capitolo dopo capitolo, per cercare di non rendere la lettura troppo "pesante".
Però, non avendo altro punto di vista al di fuori del mio e del vostro, eccomi qui a chiedervi che ne pare!
Spero che sia anche questa seconda parte di vostro gradimento, e nel caso, fatemi notare cosa c'è che non va o che si debba migliorare...
Ho sempre il timore che siano troppo lunghi i capitoli T_T
Quindi pls, lasciatemi una piccolissima interazione in questo senso per aiutarmi a migliorare!
Grazie a tutt* voi Stelline che avete iniziato questo nuovo viaggio insieme a me, grazie per ogni lettura, stellina e commento ❤️
Non mi dilungo oltre.
Vi lascio un bacino!
A presto.
❤️
Ps. Credo di poter iniziare a regolarizzare la pubblicazione dalla prossima settimana, tutto dipenderà dagli impegni che mi ritrovo!
Siate pazienti con me T_T
Inoltre la Queen _melilissa_ sta scrivendo anche lei una bellissima BokuAka, TrueCrime! Au.
Passate dal suo profilo per scoprire di cosa di tratta.
❤️
Lavienne
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