two levels of hell || Part Three
Quando Daniel aprì gli occhi le orecchie ancora gli fischiavano.
Aveva impresso nella mente il rumore dell'esplosione accaduta poco prima, ma, a sua sorpresa, non si trovava più nelle gallerie della metropolitana, ma bensì in un luogo nero e buio.
Non gli piaceva quel posto, per nulla.
L'editor iniziò a camminare a vuoto nell'oblio, in silenzio, premendosi le mani sulle orecchie, per cercare di ridurre il disturbante fischio che continuava senza interruzioni nei suo timpani.
Improvvisamente ci fu un suono sordo, piatto, senza alcun rimbombo, e dal nulla apparì un banco.
Sì, un banco, uno di quelli scolastici, su cui, sicuramente, nove bambini su dieci disegnavano annoiati durante le ore di scuola.
Il ragazzo albino si avvicinò, a passo titubante, alla piccola scrivania in legno e poggiò i suoi occhi ambrati su di essa.
Sulla liscia superficie del tavolino vi era poggiato un foglio, e, ad una delle estremità del banco, c'era una seggiola legnosa.
Il giovane non sapeva come comportarsi, quindi, decise di restare semplicemente in piedi, fermo.
Dopo una manciata di secondi qualcosa, un impulso forse, una scarica di adrenalina... lo spinse a sedersi sulla sedia, e così fece.
Con mano tremolante Daniel prese il foglio di carta che era appoggiato sulla scrivania, e lo avvicinò a sé.
Automaticamente, nella sua altra mano, comparve una penna, stilografica, nuova di zecca.
"Rispondi alle domande del test correttamente per ottenere il massimo del punteggio."
Era questo che il foglio recitava.
Le piccole lettere erano stampate sulla carta, con inchiostro nero, a piccoli caratteri in grassetto.
Daniel avvicinò al foglio la mano con cui teneva la penna, e abbassò lo sguardo verso il punto dove si sarebbero dovute travare le domande.
"Qual è la prima regola?"
Era questa la prima domanda.
L'editor trattenne il fiato, nel mentre leggeva gli altri questiti, uno di seguito agli altri.
"Qual è la seconda regola, invece?"
"Dove erano appese le regole?"
"Cosa stava cucinando quella sera?"
"Descrivi in modo dettagliato cosa succedeva quando ti fermavi di più a scuola."
Il ragazzo si sentiva morire.
Gli mancava il fiato, e, un groppo sembrava bloccargli la trachea.
Deglutì rumorosamente, prima di abbassare lo sguardo sull'ultima domanda che la verifica recitava.
"Sai, alcune persone non reggono bene l'arsenico.*"
Il giovane spalancò gli occhi, mentre un suono, come quello di una campanella scolastica, riempiva quel luogo vuoto.
Il foglio del test diventò completamente rosso, mentre, alune scritte, messe in risalto da un colore nero, si formavano sulla tinta scarlatta.
"Tempo Scaduto."
Tante mani ossute iniziarono a spuntare dall'oscurità intorno all'albino, ed iniziarono ad avvicinarsi a lui.
Le dita affusolate iniziarono a stringergli i polsi, gli avambracci, le gambe, e a toccargli il viso niveo.
Daniel avrebbe voluto scomparire in quel momento.
Il contatto fisico lo ripugnava, disgustava, e non poteva resistere in quella situazione.
Non sapeva dove si trovava, perché gli stesse succedendo una cosa simile.
Doveva essere una punizione, magari tutto quello... il gioco di omicidi, la salagiochi, i suoi compagni... poteva essere tutta solo una punizione?
Organizzata da proprio sua madre, per farlo riflettere, vergognare, per umiliarlo.
Aveva sbagliato a fare ciò che aveva fatto?
Era quello l'inferno?
C'era davvero qualcuno, da qualche parte, che teneva a lui?
Mentre le mani iniziavano a trascinare l'ultimate verso terra, Daniel non riusciva a non pensare agli sbagli che aveva fatto.
Era sommerso dai rimorsi, dalla consapevolezza di aver sbagliato.
Quello era un incubo.
Oppure l'esplosione lo aveva ucciso, e quelli erano davvero gli inferi.
La punizione che gli spettava era essere trascinato da mani altrui per l'oblio, per essere costretto a rivivere le sue pene?
Si meritava davvero tutto quel dolore?
Era stata una brutta persona, una persona orribile... Daniel pensava a quello che avrebbe potuto fare se fosse riuscito a sopravvivere a quella tortura.
Avrebbe provato a migliorarsi, forse.
Magari avrebbe provato ad essere meno indifferente con gli altri, ad apprezzare gli altri.
La sua mente collegò subito il suo ultimo pensiero a Lily.
Divertente.
Lily era stata sempre gentile, ma lui non aveva mai mostrato riconoscenza nei suoi confronti.
Se una seconda possibilità gli fosse stata concessa avrebbe sicuramente rimedito ai suoi errori.
A meno che non fosse già morto.
Improvvisamente il ragazzo non sentì più le dita su di lui.
Si trovava sdraiato a terra, intorno a lui ancora il vuoto.
Daniel si mise seduto, sentendo ancora su di sé quella senzazione che odiava, di essere toccato.
Solo in quel momento si accorse che era seduto, sì su un pavimento, ma era tutto bagnato, intorno a lui.
Guardò verso il basso e vide dei fiori appassiti a pelo del... liquido.
Non era semplice acqua, ne era certo, era troppo densa.
Quindi... che cos'era quella sostanza?
La risposta era solo una.
Veleno.
L'editor ritornò nella sua posizione sdraiata e chiuse gli occhi, cercando di scrollarsi il ricordo delle mani di dosso.
-Daniel! Daniel!-
Una voce allarmata e preoccupata lo stava chiamando.
Prima era ovattata e lontana, ma poi si fece sempre più vicina.
Daniel aprì gli occhi di scatto, incontrando un paio di iridi rosate.
-Mi ero preoccupata tantissimo...!-
***
*= è una semi-cit di Cell Block Tango da Chicago
lo ridico, perché magari non vi è chiaro:
*colpi di tosse*
m a n d a t e l e b a c k s t o r y :)
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