Capitolo 13: Frutto della Conoscenza
L'erba sempreverde solleticò le caviglie di Eden, la quale si fece spazio tra le fronde silvestri fino ad avvistare il Grande Albero nella sua visione periferica. Un piccolo sorriso arricciò le sue labbra rosate, prima di poggiare delicatamente il palmo della mano contro la vecchia corteccia, seppur il flusso del tempo fosse immobile all'interno del Dreamscape.
“È da un po’ che non ci si vede~ Spero non abbiate sentito troppo la mia mancanza.” Mormorò, gli occhi violacei fissi sul piccolo campo di fiori multicolore, la cui bellezza fu altrettanto imperturbabile.
Alla vista del giardino immacolato, non poté fare a meno di ripensare alle parole di un piccolo Sunday che le sorrideva in maniera ambiziosa. Un Giardino dell'Eden—un'oasi paradisiaca dove sofferenza e tormento cessavano di esistere, rimpiazzata da eterno riposo. Il suo sorriso assunse gradualmente un'aria malinconica.
Con un meticoloso movimento delle dita, si apprestò a sfilare i suoi raffinati tacchi uno per uno, poggiandoli momentaneamente alle radici dell'antico albero, prima di dirigersi verso il piccolo ruscello. Un sospiro abbandonò le sue labbra, sentendo la tensione nei propri muscoli affievolirsi alla fin troppo autentica sensazione dei suoi piedi nudi immersi nell’acqua cristallina.
Inalò, sollevando i margini della gonna e dandosi ad una danza lenta e aggraziata. Nel bel mezzo della sua solitaria performance, sentì il peso dei suoi fiocchi affievolirsi: le sue palpebre cineree si spalancarono, accolta dalla visione di uccelli origami i cui becchi tiravano la stoffa rosata a sé, incluso quello dalla forma di una farfalla che teneva i suoi capelli albini saldamente legati.
“Confesso che invidio le sue ali, signorina uccello ballerina. Sembrano così soffici! D'ora in poi mi ci metterò anch'io alla cura delle piume.” Esclamò uno dei pennuti, solleticando suddette ali con fare ficcanaso.
“Guarda questi fiocchi! Devono essere piuttosto opprimenti, riesco a malapena a tenermi in volo.” Aggiunse un secondo, sbattendo franticamente le ali.
Eden ridacchiò dolcemente. “Suvvia, piccolini, ho una performance importante a cui attendere~ Vi insegnerò a prendervi cura delle vostre ali e tutto ciò che desiderate a tempo debito.”
“Tutto ciò che desideriamo? Hmf. Si segni queste parole allora, chirp!” Gli uccelli origami sbuffarono all'unisono, prima che le loro minute figure si dissolsero nel nulla, lasciando l'albina nuovamente libera di muoversi a suo piacimento.
Il sorriso della ballerina fu imperterrito sul suo viso, quasi dimenticandosi dell'incorreggibilità di quelle piccole creature. A ricondurla nel presente fu un repentino tonfo che attirò la sua attenzione alle proprie spalle, laddove avvistò una mela ai piedi del Grande Albero la cui buccia brillò di un ardente rosso cremisi.
Batté le ciglia una volta, seguita da una seconda. Fu attonita al concetto di un albero situato nel cuore del Dreamscape con la facoltà di produrre frutti, e ciò suscitò il suo interesse, spronando i suoi passi a farsi strada verso il frutto.
Si inginocchiò, raccogliendolo delicatamente tra le mani in modo da ispezionarlo da una distanza ravvicinata. “Vecchio albero, credo che tu abbia perso qualcosa.”
Lo scetticismo fu evidente nelle sue caratteristiche facciali mentre si rialzò, tenendo le braccia tese verso l'albero, sulle cui mani giaceva suddetto frutto.
—Mia bambina, Eden, questo è il mio dono per te. Abbine cura, e non lasciare che la tentazione ti conduca sulla via errata.
Una voce, femminile e soave, sembrava provenire dall'albero stesso, e la sua familiarità la lasciò di stucco. Sebbene sostenesse di poter comunicare con la flora, non aveva mai percepito alcun tipo di replica ai suoi quesiti da esso prima d'ora.
“G—Grande Albero, quindi tu… tu puoi parlare?” Sussultò, ma proprio come le precedenti occasioni, non vi furono altre parole. Ciò portò Eden a rivolgere nuovamente lo sguardo sulla mela, ed un'idea divenne chiara nel fronte della sua mente, facendole mancare un battito.
La mela. La stessa che aveva intravisto all'interno dei propri incubi era lì, autentica, tra le sue mani—dalla quale sgorgava un mare di sangue in cui ogni volta sarebbe annegata ancora e ancora nel peccato capitale.
Fu in un batter d'occhio che una Eden ansimante rindossò i tacchi, camminando a passo veloce verso la propria dimora con una mano tenuta ben saldamente al petto. Seppur fosse sfuggita a qualcosa che il suo subconscio si rifiutava categoricamente affrontare, sentiva il disperato bisogno di doverne discutere con Sunday.
Un mesto sorriso sbocciò sulle sue labbra, ma più che alla mancanza di una risposta, fu causato dal suo inerente bisogno per quell'uomo. Colui che sin dalla tenera età le aveva giurato un paradiso eterno, laddove non avrebbe più patito le conseguenze della propria condizione, eppure il tempo era riuscito a costruire un invisibile muro che tutt'ora lì teneva a distanza.
Esattamente come ogni qualvolta che i loro sguardi s'incrociarono, il cuore cominciò a palpitare al solo pensiero dell'haloviano al centro dei propri pensieri. Era sbagliato, provare sentimenti simili nei confronti di un Bronze Melodia, ma il cuore prevaleva su qualsiasi forma di ragione a cui la mente le gridava di sottostare.
“Grande Albero, io… io credo di essermi infatuata.”
⋆˚𝜗𝜚˚⋆
Cellulare alla mano, Eden scrollò la sua conversazione messaggistica avvenuta con Sunday che consisteva in frasi altamente formali, come prefissare appuntamenti presso il confessionale—ma ultimamente, tale quotidianità era tramutata nella costante organizzazione dei loro precedenti incontri.
Anziché tornare, decise di lasciargli un messaggio, ipotizzando che avesse già lasciato il teatro.
>ଘ(ᴗ͈ˬᴗ͈)
>Sono profondamente mortificata per quanto accaduto quest'oggi, signor Sunday
>Io… mi rendo perfettamente conto che sia una richiesta egoista da parte mia, ma vorrei parlare nuovamente con te
Considerò l'azzardata idea di aggiungere altro, ma il pollice si arrestò a pochi centimetri dallo schermo, scartandola prontamente.
Fu con un sospiro che si lasciò cadere sul soffice materasso con un leggero tonfo, lo sguardo fisso su una risposta che mai arrivò. Come sospettava, l'haloviano era probabilmente impegnato con faccende della Famiglia Oak, come l'assoluzione dei peccati.
Proprio mentre fu in procinto di mettere da parte il dispositivo, ne percepì una vibrazione. Allarmata, le sue ali si spiegarono mentre si ritrovò ancora una volta a controllare lo schermo, afflosciandosi alla realizzazione di essersi sbagliata. Ciò che non si aspettava fu, tuttavia, un elenco di svariate chiamate perse da parte di Siobhan ed un messaggio: ‘richiamami subito’.
“Oh, no…” Si mangiucchiò l'unghia del pollice, rammentandosi di essere svanita per svariati giorni dopo aver lasciato la barista haloviana di punto in bianco, e sospettava che l'usciere le avesse riferito qualcosa per quanto riguardava il suo stato a dir poco indecoroso.
Estenuata, la ballerina realizzò di non poter concedersi un momento di riposo, non prima di aver dato libero sfogo alle proprie emozioni.
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