Capitolo 12: Giardino dell'Eden

Una volta al di fuori delle opprimenti mura che costituivano il Gran Teatro di Penacony, Eden tirò un sospiro di sollievo. Una repentina orda di pentimento la castigò per essersela nuovamente svignata, lasciando il suo partner a sé stesso all'interno del gran palcoscenico.

Nonostante ciò, sentiva che le gambe avevano agito per conto proprio. E non soltanto: la mente le imponeva di agire razionalmente, ma ogni fibra del suo corpo era dell'idea opposta, smossa dall'incessante desiderio di danzare in compagnia di quell'uomo.

Sola nell'oscurità della Terra degli Esiliati, la ballerina si rassegnò alle conseguenze delle proprie azioni, cercando sostegno contro la ringhiera più vicina a sé. La freddezza del materiale risultò a dir poco autentica contro le sue snelle dita, avvinghiandole saldamente ad esso, le sue labbra formando una sottile linea in un misero tentativo di sopprimere le proprie emozioni.

“Il Dreamscape… ancora non è sufficiente per colmare il vuoto nei cuori dei più deboli? È questo ciò che stai cercando di dirmi?” Mormorò a sé stessa con un mesto sorriso, la maschera con cui era solita a mostrarsi in pubblico vacillando con il peso delle sue parole.

“Quei bambini… e la signora Grace… non hanno mai perso la speranza. Se l’oasi fondata dalla Famiglia non basterà a garantire loro un futuro migliore, cosa lo farà esattamente?”

Quel quesito scemò nella vacante atmosfera che la circondava, spronata a sollevare lo sguardo verso l’immagine del teatro imbevuto del bagliore dello Stellaron che da anni or sono ne aveva preservato l'aspetto etereo, come l'aureola di un haloviano—sin da quando Gopher Wood era passato al potere come Capo della Famiglia.

Al tempo stesso, non poteva fare a meno di ripensare al disastro che aveva compiuto. Non era da lei rovinare una performance, in particolar modo se si trattava di danza, poiché inaccettabile per una ballerina appartenente alla Famiglia Iris.

—Stellaron… disastro…

“Guardate! Quella ragazza… non è forse un membro della Famiglia?” Eden percepì le sue ali rispondere alla voce a lei sconosciuta, fluttuando ai lati dei suoi lineamenti delicati.

“Aureola floreale, ali e fiocchi rosa… È proprio lei! La ballerina haloviana che sembra una bambola.” Un altro dei cittadini si aggiunse, nonché uno dei tanti a lanciare alla suddetta uno gelido sguardo.

Eden batté le ciglia, lentamente realizzando di non avere con sé il cappuccio che spesso utilizzava per celare la propria identità. In particolar modo agli occhi dei cittadini della Terra degli Esiliati, la cui gran parte nutriva rancore nei confronti della Famiglia per le loro precedenti azioni. “È colpa vostra se conduciamo una vita miserabile qui a Penacony! Promettete di garantire un futuro per la gente, ma è tutta una farsa!”

Quelle parole smossero qualcosa in lei, colpendola nel profondo come un pugnale al cuore a sangue freddo. Non aveva la benché minima idea di cosa stessero confabulando né delle decisioni intraprese dai suoi superiori, più precisamente dalla Famiglia Oak. Ma di una cosa era certa: queste persone erano bisognose di aiuto, malgrado l’odio represso che si portavano dietro.

Per un momento, si dimenticò di respirare.

“Ah, c—con permesso, signori…! Non è sicuro restare qui in numerosi, qualcuno potrebbe farsi del male.” Una voce giovanile fece in modo di distogliere le loro attenzioni dall'albina, la quale si sentì come se si fosse liberata del peso di un grosso macigno.

Una volta sgomberata l'area, Eden poté intravedere più chiaramente la familiare figura che l'aveva tratta in salvo dall'ira della gente: capelli color ciano, occhi le cui pupille ricordavano la forma dei lucchetti.

“Ah, Misha. Mi dispiace per l'inconveniente… Ti ringrazio.” La ballerina gli offrì un sorriso grato, al quale il suo interlocutore replicò con lo scuotere del capo.

“Non si preoccupi, s—signorina Eden, non c'è alcun bisogno di scusarsi.” Misha la rassicurò, poggiando il palmo della mano al petto. “Piuttosto, sono io che dovrei porgere le mie scuse. Non è cosa da tutti i giorni avere di fronte la più rinomata ballerina di Penacony, io… sono contento di poterle essere utile in qualche modo.”

L'espressione dell'haloviana si ammorbidì, non potendo fare a meno di pensare a quanto altruista e adorabile fosse l'usciere dell'Hotel Reverie—ambizioso, aggiungerebbe. Ma fu in un battibaleno che la sua facciata crollò, portandola a voltare lo sguardo verso l'orizzonte. “Sei troppo gentile~ Ma non devi preoccuparti delle formalità, davvero. Al di fuori del Dreamscape della Famiglia, non sono nessuno.”

“Aah, io… mi permetta di dissentire, signorina! Io trovo che nel o al di fuori del dolce sogno, lei resta pur sempre la talentuosa signorina Eden.” Scettico, l'aspirante Nameless batté le ciglia all'improvviso cambio d'umore. “La prego, se c'è qualcosa che non va, si senta libera di parlarne con me. Sono solo un usciere, lontanamente paragonabile al Bronze Melodia… ma ascoltare chi ne ha bisogno è parte del mio lavoro.”

L'albina sopprimette un sospiro. La sua era solitamente una maschera incrollabile, ma i recenti avvenimenti l'avevano scossa al punto da intaccarla. “Nulla di grave, suppongo. Non mi sentivo granché in forma, così ho lasciato il mio partner di ballo nel bel mezzo della performance.”

Misha annuì comprensivamente. “È per questo che sembra così triste? Non è affatto colpa sua, signorina, non deve sforzarsi se non se la sente. Ma, se mi permette… si tratta di una persona importante per lei?”

Eden s'irridigì a quell'inaspettato quesito, ed il cuore palpitò per una ragione a lei ignota. Quell'uomo… quel giovane haloviano che era cresciuto con lei significava qualcosa eccome, e ciò si era manifestato nella forma che la propria aureola aveva preso nel corso della vita.

Una corona di spine e gigli della valle rispettivamente ciano, rosato e violaceo che raccontava il suo passato trascorso con Sunday e Robin—la quale emise il più lieve dei bagliori, un tentativo fallito nell'autocontrollo del proprio stato emotivo. “Io… confesso che ci conosciamo sin dall'infanzia.”

“Allora sono certo che comprenderà il suo stato più di chiunque altro. Ma forse, per evitare preoccupazioni, vi suggerirei di avvisarla in un secondo momento.” Il giovane le sorrise caldamente. “Di una cosa sono certo: è molto fortunata ad avere qualcuno come lei.”

Quelle parole scossero qualcosa in lei, fissando il suo interlocutore con occhi sgranati. Ma prima che potesse digerire appieno tali parole, Misha scosse le mani di fronte a sé. “Ah, n—non mi fraintenda, non mi riferisco alla sua posizione nella Famiglia! Ma come la ragazza che è davvero. Ho avuto l'onore di parlare con voi poche volte, ma so che siete una brava persona. Se ne trovano di rado ultimamente, sa?”

Un dolce sorriso si fece spazio sulle labbra della ballerina, poggiando delicatamente una mano poggiata al petto, pervaso da un piacevole calore. “Fufu~ sei davvero un tesorino, Misha. Le tue parole mi ispirano sicurezza. Perciò… seguirò il tuo consiglio.”

L'usciere fu visibilmente colto alla sprovvista, e fu evidente nel rossore manifestatosi sul suo volto. “A—Ah! Lei è troppo buona, signorina Eden, io… sarò sempre disponibile ad aiutarla nel momento del bisogno.”

Dal suo tono, Eden poteva constatare quanto fosse emozionato, vedendolo chinarsi nuovamente in un tentativo frantico di sottostare alla propria professionalità. “Viste le sue condizioni emotive, ecco… vuole che la escorti personalmente alla dimora della Famiglia Iris?”

L'albina scosse la testa. “Non ce ne sarà alcun bisogno, davvero, ma apprezzo la premura. Detto ciò… ti auguro un buon proseguimento.”

Con un delicato cenno, Eden salutò l'usciere con lo scuotere della mano—il sorriso imperterrito sulle sue labbra, un gesto che risultò reciproco. Con ogni passo del tacco, vide la minuta figura gradualmente svanire nell'orrizonte.

Nel tragitto verso il Dreamscape, i suoi occhi violacei si persero nel cielo stellato della Terra degli Esiliati, così come la sua mente ormai estenuata. Un flebile sospiro la abbandonò, ancora una volta divorata dal senso del rimorso a tal punto da bruciare ogni briciolo di energia restante nel suo corpo.

Un'oasi paradisiaca, nonché un vero e proprio Giardino dell'Eden dove pace e armonia erano le sole a regnare. Tali parole ribombarono nella sua testa come un mantra.

Prima di far ritorno a casa, aveva una meta ben specifica—l'unico luogo che sapeva darle un momento di tregua dalle incessanti emozioni che continuavano ancora tutt'ora a tormentarla.

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