Capitolo 11: Ena, oh Ena
Trascorsero giorni, forse settimane, da quando Eden e Sunday avevano cominciato a vedersi per danzare al ritmo dei sacri inni del teatro. I loro appuntamenti erano ormai divenuti regolari tra rispettivi impegni e responsabilità come importanti figure Penaconiane, poiché la spossatezza che ne conseguì non parve scoraggiare i due haloviani dall'organizzare questi incontri segreti.
Talvolta la ballerina lasciava che l'altro prendesse le redini, e viceversa. I loro corpi divennero sempre più sincronizzati ad ogni passo, e tra una movenze e l'altra, ebbero modo di conoscersi meglio a seguito di svariati anni di separazione.
"Ricordo avessi un certo debole per i dolciumi. Cos'è accaduto nel corso degli anni, esattamente?" Eden sollevò un sopracciglio inquisitorio, eseguendo una rapida piroetta, prima di fiondarsi nuovamente tra le braccia del suo partner.
L'espressione di Sunday, pur sempre enigmatica, si ammorbidì a tale quesito. "È semplice. Con l'età adulta, la mia tendenza per i dolci sapori ha finito per dissiparsi. Ma di una cosa sono certo: la golosità è un peccato da cui astenersi."
Dinanzi quell'affermazione, l'albina restò ancor più interdetta di quanto già non lo fosse. Constatò quanto seriamente prendesse la propria vocazione da uomo degli eoni in ogni sua sfaccettatura, una caratteristica che risultò ammirevole non soltanto ai suoi occhi, ma a quelli degli abitanti che popolavano il Pianeta delle Festività: Haloviani, Pepeshi, Intellitron e umani allo stesso modo.
"Suppongo che tu non abbia tutti i torti," Sussurrò, un briciolo di malinconia palpabile con ogni passo. Avrebbe voluto fargli notare quanto fosse cambiato sotto ogni punto di vista, a tal punto da divenire quasi irriconoscibile—più che un'altra persona, era come avere dinanzi un surrogato dell'uomo che conosceva, una deviazione dal Sunday devoto all'Armonia in carne ed ossa.
Una miriade di quesiti le cui risposte erano ancora tutt'ora velate le balenavano in testa, in particolar modo un cruciale dettaglio racchiuso in un angolo recondito della sua mente. Sotto i riflettori nel bel mezzo di un oceano di marionette, la cui mancanza di orbite oculari fece poco per dissuadere il brivido che le percorse lungo la schiena al pensiero di essere tenuti sott'osservazione, quasi da risultare asfissiante.
—Principessa dell'Ordine. Principessa dell'Ordine. PRINCIPESSA DELL'ORDINE.
La macabra sensazione si amplificò con ogni minuto che trascorse in quel teatro, chiedendosi interamente se il Bronze Melodia si sentisse altrettanto irrequieto. Le labbra si spalancarono senza il suo controllo, come una bambola che sottostava agli ordini del suo marionettista, prima di pronunciare quelle stesse parole che le laceravano il subconscio da ormai troppo tempo. "Principessa dell'Ordine..."
Sunday batté le palpebre in una manifestazione di scetticismo, percependone la tensione dietro ad ogni sillaba. Non proferì parola, tuttavia, focalizzandosi solo e soltanto sul linguaggio del corpo barcollante della propria partner. "Perché... perché continuano a chiamarmi Principessa dell'Ordine?"
—L'Ordine è morto. MORTO. MORTO. MORTO. MORTO.
Fu con un repentino sussulto che la ballerina perse l'equilibrio di punto in bianco, ma prima che potesse schiantarsi contro il pavimento in mogano, l'haloviano fece in tempo ad avvinghiare gli arti attorno alla sua vita, prevenendone la caduta prima di tirarla prontamente a sé. "Resta con me... Eden."
Le sussurrò dolcemente all'orecchio in un flebile tentativo di placare la sua evidente agitazione. La sua aureola emise il medesimo bagliore tricolore infuso di Armonia di cui aveva precedentemente usufruito per riportarla con sé da simili episodi, venendo in contatto con quella di lei in modo da trasmettere dei segnali telepatici.
—Ena, oh Ena... Ena, oh Ena...
Tra un'immagine straziante e l'altra, Eden udì una sacra melodia nella luce che permeava le loro figure. La tensione che filtrava all'interno dei muscoli si affievolì ad ogni cadenza, ed il respiro si stabilizzò, lasciandosi andare a tale liturgia. "Prega, mia affinità. Prega, e lascia che si servano della LORO benedizione per ricondurti alla pace dei sensi."
L'haloviana recepì il messaggio nel suo stato scombussolato, sottostando al consiglio con voce tremolante. Le dita erano avvolte attorno alla raffinata stoffa della sua uniforme cerimoniale, aggrappandosi al Bronze Melodia come sua unica ancora di salvezza. "Padre, nelle tue mani affido il mio spirito. Padre..."
Giurò di aver intravisto l'immagine di Xipe l'Armonia ancora una volta, discesa appositamente per guidarla sulla retta via, aderendo alle sue costanti preghiere. Ma stavolta, la figura del suo triplo volto si distorse, e a rimpiazzare una delle teste infuse di grazia armonica vi fu una pallida maschera che garantiva l'esatto opposto: disarmonia. Occhi e labbra erano sigillati, ricordando vagamente una marionetta in porcellana sulla cui testa pesava una possente aureola dorata.
Per il più flebile degli attimi, le mancò un battito—fin quando quella medesima soave voce, dominante su mille altre che minacciavano di farle scoppiare la testa, le sussurrò.
—Non avere paura. Sono con te.
La ballerina riaprì gli occhi in un misero tentativo di riadattare la vista agli elementi che la circondavano. Una figura biancastra e sfocata teneva il suo corpo fiacco e indebolito saldamente tra le proprie braccia, spronandola a stringere lo sguardo fin quando delle familiari caratteristiche facciali incitarono un flebile sussulto.
Infuso di luce divina, tre paia di ali serafine incorniciavano il suo viso come una seconda aureola, la quale era notevolmente aumentata in grandezza. Si apprestarono a lasciare dolci carezze sulle sue guance nella loro prossimità quasi inesistente, e per un momento, Eden si dimenticò di respirare di fronte a tale maestosità. "Sun... S—Sunday?"
Le palpebre del suddetto erano socchiuse, conferendogli una pacifica espressione che servì quantomeno a placare il suo animo turbato. "Ricordi, non è così? La promessa che ci eravamo professati anni or sono."
Solo e soltanto in quel momento, i suffissi formali tra la coppia di haloviani avevano cessato di esistere, come un invisibile muro che li separava fosse stato finalmente abbattuto. Vividi ricordi riaffiorarono nella sua mente, ed il cuore le minacciò di esploderle dal petto.
Ricordava. Eccome se ricordava. Erano soltanto dei bambini quando accadde—dei giovani Eden e Sunday durante i loro giorni scolareschi. Difatti, l'haloviana aveva una tendenza per tali incubi sin dalla tenera età, e fu in un vasto giardino di proprietà della Famiglia dove era solita a cercare un briciolo di conforto, conversando con la flora che costituiva quel piccolo paradiso, nonché medesimo luogo dove i due si erano incontrati per la prima volta.
La promessa del giovane scolaro di porre rimedio alla sua angoscia in particolare era impresso in lei. Una promessa, delle parole—le quali non avrebbe mai dimenticato per nulla al mondo.
"Nessun essere debole dovrà più soffrire, una volta che il paradiso perfetto della Famiglia- no, mio e di Robin, diverrà realtà," Sentì distintamente il tono immaturo ma pur sempre ambizioso dell'haloviano. "Un paradiso... proprio come questo giardino. Un vero e proprio Giardino dell'Eden."
A seguire ci fu una risatina emessa da una piccola versione di sé stessa. "Allora sbrigati a diventare il Capo della Famiglia~ ti supporterò sempre, non importa cosa."
Eden sentì il cuore rimbombarle nelle orecchie, ancora una volta risvegliatasi dal suo sogno ad occhi aperti. L'immagine serafica dinanzi a sé era come svanita, rimpiazzata dai soliti lineamenti delicati di Sunday incorniciati dal solito paio d'ali e aureola di spine, come se si fosse trattato del semplice frutto di un'immaginazione.
Annuì timidamente, rendendosi conto solo e soltanto in quel momento della loro prossimità. Fu allora che il Bronze Melodia allentò la presa su di lei, una volta assicuratosi che fosse stabile abbastanza da reggersi in piedi. "Io... chiedo umilmente venia per l'inconveniente, signor Sunday. Se vuoi scusarmi..."
Con passo affrettato, l'haloviana girò i tacchi e si diresse verso l'uscita del teatro, tenendo il capo chinato per celare il miscuglio di emozioni che susseguì tale avvenimento—manifestatosi nei suoi occhi gonfi e arrossamento delle guance. Al tempo stesso, si lasciò l'uomo che ancora una volta l'aveva guidata sulla retta via alle proprie spalle, ritrovandosi nuovamente a ritirarsi a gambe levate da quella sensazione che tanto temeva ma che soltanto egli riusciva a colmare.
E quella fu l'esatta ragione per la quale la sua mente le gridava di quanto ciò fosse sbagliato.
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