What We Are
"Le persone cambiano, perciò è inutile che mi vieni a dire che non posso pretendere di cambiarti. Il cambiamento fa parte di noi. Semplicemente c'è chi accetta il cambiamento e c'è chi non riesce a distinguere tra chi siamo e chi vorremmo essere."
Avevo trovato questa frase della ragazza molto poetica. Era una donna sulla ventina che parlava con un ragazzo. Probabilmente un idiota che cercava di scaricarla.
Ero entrato nel mondo delle imprese solo con un passo, e già non vedevo l'ora di farne altri mille indietro.
Guardarmi intorno e osservare tutti gli oggetti che mi circondavano, mi faceva sentire potente.
Avevo solo una valigietta in mano, che però era vuota, ed uno smoking a rendermi presentabile. Eppure appena entrato in quel posto mi ero sentito invincibile.
La mamma mi aveva detto che qui lavorano i peggiori commercialisti, avvocati, consulenti e perfino investitori della città, ma io avevo preferito non credergli. E infatti, avevo fatto male.
Ciò che io avevo capito dalle sue parole, era che erano spietati e senza morale nel loro lavoro, non sapevo che applicassero questi principi anche nella vita privata.
O almeno non finché non conobbi lui.
Lasciate che vi avvisi, questa storia non ha un lieto fine. Ha solo sconvolto la mia visione del mondo e delle persone, mi ha fatto scoprire il pessimismo e che l'ingenuità non esiste.
Prima che cominci questa storia però, mi dò un consiglio, non innamoratevi mai.
Mio padre lo diceva sempre: non ti sposare. Io infatti non mi sono sposato, ho fatto qualcosa peggiore: mi sono innamorato.
Ho completamente perso la testa e non so neanche io come sia accaduto. Ma detto ciò, torniamo alla storia.
Ero all'interno di una delle multinazionali più grandi al mondo pronto per il mio colloquio di lavoro.
La ragazza alla reception, mi dedicò un occhiata torbida quando mi vide intento a cercare la stanza del colloquio. Io ero innocente, non stavo facendo niente di male.
La ragazza, per ovvi motivi, era di una bellezza incantevole. Castana, con gli occhi verdi e un corpo a dir poco sbalorditivo.
Perfetta, se io non fossi interessato alle donne.
"Cosa sta cercando?"
Mi chiese, sempre con il suo sguardo che tentava di sciogliermi.
"emh...io avrei un colloquio ma non saprei dove andare?"
Lei mi guardò, alzò gli occhi al cielo e mi diede le indicazioni.
Io gli sorrisi e annuì, dirigendomi verso l'ascensore. Una volta arrivato davanti alla porta indicata dalla ragazza, posai lo sguardo sulla valigietta che stringevo fra le dita. Ero nervoso, e l'avevo stretta talmente forte che le nocche erano diventate bianche.
Sospirai, e portai la mano sulla porta, pronto per bussare.
Ora, c'è qualcosa che dovete sapere per la finalità di questa storia: io avevo realmente bisogno di quel lavoro. Più che altro dei soldi che mi poteva dare.
Mia madre stava male e aveva bisogno di cure, e come se non bastasse, avevo a carico anche mio fratello.
Nostro padre? Mi starete chiedendo dove sia finito. È morto qualche anno fa. È stato coinvolto in una sparatoria davanti ad una banca.
Ora però, riportiamo nuovamente l'attenzione sulla storia: avevo bussato alla porta.
Una volta entrato, mi sedetti davanti al mio futuro datore di lavoro. Rimasi senza parole fin da subito. Era incredibilmente giovane, e se devo essere sincero, era anche affascinante. A causa del mio interesse verso di lui, fui distratto per tutta la durata del coloquio. Alla fine di esso, capì di non aver fatto una buona impressione. Nonostante ciò, il ragazzo si alzò dalla sua sedia e mi diede la mano cordialmente. Io la guardai per qualche secondo, ormai rassegnato, e poi mi decisi a stringerla.
Lui mi sorrise, e notai solo in quel momento le gradevoli fossette che aveva sulle guance.
"Grazie."
Gli dissi, prima di dirigermi verso la porta.
"Di niente"
Rispose.
Mi chiusi la porta alle spalle sentendo però un senso di amarezza. Avevo giurato a mia madre che sarei tornato con una buona notizia, perciò, non volevo ancora abbattermi.
Tornai di sotto, e mi misi davanti al bel visino della ragazza alla reception, che scoprì poco dopo, si chiamava Rosa.
"Cosa vuoi?"
Mi chiese scocciata.
"Un colloquio."
Gli disse sorridendo, cercando di essere un minimo affascinante.
"L'hai già avuto"
Sottolineò Rosa, indicando le scale.
"Si ma me ne serve un altro"
"Non esiste, è fuori di discussione e ora sparisci!"
Quasi urlava, tanto che iniziavo ad arrendermi.
"Daii per favore!"
Facevo veramente pena a cercare di convincere gli altri.
Michele, il mio migliore amico, non faceva altro che ripeterlo tutti i giorni.
La ragazza alzò nuovamente gli occhi al cielo: "No. Vattene."
Disse dura.
Doveva essere abituata a tipi come me, che la spremevano per tutto il giorno. Aveva imparato a non cedere.
Sbuffai e annuì, allontanandomi dal bancone e raggiungendo l'uscita.
Una volta fuori, guardai per qualche secondo il cielo. Mi ero fatto fregare da due occhi marroni e non mi rimaneva altro se non sedermi nelle scale, sperando che un miracolo accadesse.
E un miracolo accadde veramente, se cosi poteva essere definito: il ragazzo che mi fece il colloquio uscì, parlava per telefono ma io riuscì comunque a fermarlo.
"Ciao, avrei bisogno di parlarti"
Sussurrai a bassa voce, praticamente invitandolo a rifiutare.
"Scusami ma ora non posso, devo proprio andare"
Sembrava davvero dispiaciuto, sicuramente però, io lo ero di più.
Mentre si allontana, gli prendo la mano, chiedendogli di fermarsi. Il mio sembra un totale gesto di disperazione. Lui infatti sembrò esser infastidito dal mio gesto, ma chiuse la chiamata e decise di prestarmi attenzione.
"La prego, le giuro che le ho le competenze per questo lavoro, e se ciò non bastasse, ne ho davvero bisogno. Solo un altro colloquio, se va male anche quello allora non insisterò più"
Mentre parlavo mi accorsi che ero davvero disperato, in una maniera assurda, e lui era l'unico in grado di aiutarmi.
Lui sospirò e si leccò il labbro inferiore con fretta. Aveva quell'aria di superiorità insopportabile, ma era un difetto che portava bene. Finalmente fui in grado di leggere il suo nome: Sascha Burci. Era scritto sul tesserino che aveva sulla giacca.
"Sa che c'è, fa niente, é stato totalmente inopportuno chiederle aiuto."
Lo scansai e mi diressi verso la mia bicicletta, pronto per slegarla e tirare le cuoia.
"Avresti intenzione di venire a lavoro in bici?"
Chiese ridacchiando.
Non fraintendete, non mi stava prendendo in giro. Anch'io un tempo avevo pensato così, ma quello era solo un pretesto per potermi rivolgere la parola.
"Si, visto che è l'unico mezzo di cui dispongo"
Dissi acido. Ormai non valeva la pena fare il gentile, in più la rabbia stava prendendo il sopravvento.
Mi ero laureato in economia e commercio un anno prima, a pieni voti, e ancora non avevo trovato un lavoro. Ciò mi faceva pensare che tutti i sacrifici fatti in realtà non erano serviti a niente.
"Non ti servirà più perché da domani avrai un'auto aziendale"
Disse indicando la porta dell'impresa.
"Mi stai dicendo che sono assunto?!"
Urlai entusiasta.
"Si, ma a una condizione"
Disse serio il datore di lavoro.
"Tutto!"
Lui rise nel vedermi così disponibile.
E mi stregò un'altra volta, io però sono riuscito comunque a controllarmi.
Il modo in cui sorrideva, compiaciuto, mentre il ciuffo dei capelli si muoveva a causa del vento, lo rendeva ancora più affascinante.
"Sta sera c'è una festa, vorrei che tu venissi con me e facessi finta di essere il mio fidanzato, c'é una persona su cui devo fare colpo"
Ero da una parte dispiaciuto e dall'altra felice. Forse perché era gay ma dall'altro canto era già interessato a qualcun altro.
Io annuì, rendendolo inevitabilmente contento dal sorriso che gli era nato sul volto.
"Ti vengo a prendere sta sera, alle 21 proprio qui."
Io gli feci di nuovo cenno con la testa che andava bene e lui se ne andò soddisfatto, salendo in macchina e ricominciando a parlare sul cellulare.
C'era qualcosa però che non smetteva di intasare la mia mente con nuovi pensieri, più precisamente una domanda: perché io? Avrebbe potuto chiederlo a chiunque, ma perché me?
Presi la bici e mi diressi verso casa. Già pensavo a cosa mettermi in serata, avevo dei vestiti decenti ma non sapevo se si trattava di una festa di lavoro o quel genere di festa dove si beve e si fanno giochi stupidi. Anche se avevo una tendenza pensare che fosse la seconda.
Tornai a casa soddisfatto comunque della mia giornata, ciò che desideravo l'avevo ottenuto.
"Mamma, Simone"
Dissi guardandoli sorridendo.
Loro capirono immediatamente. Mia madre con le lacrime agli occhi si alzò dalla poltrona e mi abbracciò:"Grazie Stefano."
Avevo sempre sognato di poter sentire quelle parole. Non perché lei fosse orgogliosa di me, anche se lo era, ma perché finalmente ero io a prendermi cura di lei, come lei aveva sempre fatto con me.
_ _ _
Alle 21 precise mi trovato davanti all'azienda, come aveva detto lui. Anche lui fu preciso come un orologio svizzero.
Non mi salutò neanche, mi fece cenno di salire nell'auto e mi sorrise.
"Sei vestito anche troppo bene, ma è ok"
Commentò poco dopo.
Io rimasi in silenzio, non sapevo cosa dire. Avevo messo una semplice camicia azzurra e dei jeans, in modo da essere adatto a praticamente qualunque occasione.
"Ascoltami bene, a questa festa, come ti avevo già detto ci sarà il mio ex. Gli dirò che sei il mio assistente personale e ti bacierò davanti a lui"
Lui spiegava con tutta la tranquillità del mondo, come se fosse abituato a questo genere di cose.
"Mi bacerai?!"
Urlai incredulo.
"oh cazzo lo sapevo! Sei etero eh?"
Sbuffò scutendo la testa.
Doveva essere davvero deluso da quell'affermazione.
O almeno io avevo creduto che lo fosse, perché forse era un minimo interessato a me. Oggi capisco che si trattava solo del fatto che a me facesse schifo baciarlo, e che di conseguenza, non avrebbe potuto far ingelosire il suo ex.
Peccato che così non era, mi aveva incanttato fin dal primo momento, permettendomi di baciarlo mi avrebbe semplicemente fatto un favore.
Grazie a Dio, lui queste cose non le sapeva, perché solo per averle pensate, avrei voluto annegare me stesso.
"Nono non è un problema. Non mi piacciano le donne."
Non mi è mai piaciuto dire: 'sono gay' o sempre preferito specificare che non ero interessato alle donne.
Quel termine mi sembrava quasi volgare per come veniva utilizzato. Teoricamente dovrebbe rappresentare una persona con un organo maschile con differenti preferenze sessuali, ma ormai, veniva utilizzato anche come insulto.
"Meno male"
Mi rivolse un occhiata fugace con una risata divertita.
Una volta arrivati alla festa, Sascha non si degnò di rivolgermi più la parola, se non per presentarmi al suo ex: Marcello.
Ora capivo perché non si era interessato a me, era abituato alla qualità. Marcello era un ragazzo sui 25 anni, giovane, bello, empatico e carismatico.
Era moro ma i suoi occhi erano a dir poco stupendi, blu come il cielo. Potevo vedere perché Sascha voleva riconquistarlo.
Detto ciò lasciatemi parlare dei particolari più piccanti: il bacio.
Dopo circa un ora emmezza in quella festa, Sascha si mi avvicinò e mi abbracciò da dietro.
Non avevo fatto nulla per tutto il tempo se non bere birre. Tutti gli altri avevano passato al tempo a sbaciucchiarsi, fumare e bere come dei dannati. Compreso Sascha.
"Sei pronto?"
Mi chiese.
Avevo cambiato idea, dopo averlo visto così scatenato, imprudente, mi era passata la cotta che avevo per lui.
Questi pensieri però, in realtà me li ero creati. Perché in realtà nonostante tutto io aspettavo solo quel momento.
Il momento in cui finalmente le nostre labbra avrebbero coinciso.
"Sono pronto."
Annuì.
Lui mi sorrise, il sorriso più sincero che mi avesse fatto fin da quando lo avevo conosciuto.
Sorrideva spesso, ma non lo faceva per davvero. A volte era per compiacere gli altri, a volte se stesso. Era difficile vederlo ridere davvero.
'E tu come fai a saperlo? Mica lo conosci da poco?'
Sicuramente vi starete facendo queste domande, beh, lasciatemi rispondere: non si finisce mai di conoscere una persona, ma tutti abbiamo una prima intuizione su di essa. La mia su di lui era sbagliata sotto quasi tutti i punti di vista tranne questo: Sascha era chi non voleva essere. Sapeva di non essere esattamente un bravo ragazzo, e non era che non gli interessasse migliorare sé stesso, semplicemente era difficile anche solo pensarci.
Lui si avvicinò lentamente, non so se aveva percepito la mia ansia, il mio timore ma lui mi stava spingendo in un bivio e io non sapevo davvero cosa fare.
Quando finalmente ci baciammo, non posso negare che fu magico, siamo stati lì per un minuto. Io con le mani attorno al suo collo che lo stringevo a me, e lui che mi accarezza dolcemente i fianchi. E se quella non era felicità, non so davvero cosa possa esserlo.
Quando si staccò rimasimo qualche secondo a guardarci, così come fanno gli amanti, gli amanti veri.
Come quelli che guardo nelle serie tv.
Mi accarezzò una guancia e mi diede un altro bacio a stampo. Poi si girò velocemente, ma fu deluso dal veder il suo amato altrettanto coinvolto con un altro ragazzo.
Il suo piano era stato un fiasco.
"Bel lavoro. Ti prendo qualcosa da bere" - guardò il tavolo facendo riferito alle bevande lì sopra- "Cosa vuoi?"
Io scossi la testa, mentalmente ero ancora fermo sul nostro bacio.
Sarà mai più di ciò? Più di un semplice bacio?
Non riuscivo a smettere di farmi domande su domande.
"Stefano! Ehy..."
Si avvicinò nuovamente a me dolcemente, e mi diede un altro bacio, questa volta più breve.
"Sisi emh... Un gin tonic va bene"
Sussurrai sconcertato.
Lui mi fece l'occhiolino ma prima che potesse allontanarsi, e io pentirmi di non averlo fatto, lo presi per il polso e lo ribaciai.
"Ora puoi andare"
Gli sussurrai.
Quella volta però non ero riuscito a trattenere un gigante sorriso.
"Ok"
Disse, quasi imbarazzato andando a prendere da bere.
La giornata finì così. Che delusione vero?
Ma che posso dire, certe cose hanno bisogno di tempo per svilupparsi, e io non volevo affrettare le cose.
Il giorno dopo mi presentai a lavoro, solo per scoprire che per lui, ieri sera è stato un semplice scambio. Un bacio per un lavoro.
A pranzo non mi parlò e non mi salutò neanche, ciò che fece per tutta la giornata. Come se io non esistessi.
A fine giornata, finito il mio lavoro, stavo per uscire e avevo già la chiave in mano per slegare la bici. Sceso al piano di sotto, lo vidi lì, da solo intento a lavorare. Inevitabilmente cedetti ancora.
Sbuffai prima di avvicinarmi a lui, e sedermici proprio di fronte.
Era ammirabile la dedizione che aveva verso il suo lavoro.
"Non hai intenzione di andare a casa?"
Gli chiesi, poggiandogli una mano sulla spalla.
"Ho del lavoro da finire."
Disse.
"Vuoi una mano?"
Si girò a guardarmi, e per la prima volta in tutta la giornata sentì che si stava preoccupando per me: "Sei sicuro? Dovresti andare a casa e riposarti."
"Beh, dovresti farlo anche tu"
Gli risposi prendendo alcuni dei fogli accanto a lui.
Iniziai a lavorare, e più passava il tempo e più la fame si faceva sentire. Ordinammo da mangiare e continuammo a lavorare fino a tardi.
"Grazie"
Mi disse sincero quando avevamo finito.
Avrei voluto parlargli del fatto che mi aveva ignorato per tutto il giorno, ma alla fine non fui capace di aprire bocca.
"Di niente."
Gli dissi, prima di uscire dall'azienda e andare a casa.
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