Quando I Grandi Dicono Bugie
Un'altra volta. E ancora sentivano le pareti tremare, i loro respiri quasi impercettibili, come se non potendo sentire il loro respiro non li potesse mai raggiungere.
"Domenico! LASCIAMI!!"
Luca prese il braccio della sorella e l'attirò a sé. "Ricordi cos'ha detto la mamma eh? Stai qui, stai ferma. Per favore." il ragazzo strinse la piccola a sé e poi la nascose dietro la porta.
"Avevi detto che te ne saresti occupata tu! Io sono stufo, STUFO! Quando imparerai ad essere la donna di casa che merito eh?!"
"Ohhh tu meriteresti una donna di casa? Tu meriti di fare la vita di merda che hai fatto fino ad adesso!"
Luca spalancò gli occhi e cercò di coprire le orecchie a Ginevra.
"Ti ricordo che fin'ora tu questa vita l'hai fatta con me!"
"E non so come ho fatto guarda un po'!"
Domenico chiuse gli occhi e sbuffò. Stava iniziando a perdere la pazienza. Quando riaprì gli occhi lei non c'era più, continua ad urlare qualche insulto mentre raggiungeva la stanza dei ragazzi.
"State qui ok? Va tutto bene. Stiamo solo litigando, come sempre." Disse accarezzando la figlia. Fece un cenno a Luca, dicendogli di portarla dentro la stanza. Il ragazzo fece come detto e chiuse a chiave la porta, cercando di calmare le lacrime della sorella.
La madre tornò in cucina e posò delle chiavi sul tavolo.
"Queste sono le chiavi della casa sul mare, vai là finché non ti dai una calmata."
Era pronta a lasciare la stanza, ma la voce del marito la fermò:
"Perché sono io a dover andare via?? Io sono perfettamente calmo. E poi non lascio i bambini con te."
Era calmo, fin troppo tranquillo e contenuto nei gesti. Anche estremamente convinto delle sue parole, glielo leggeva in faccia.
Arianna sospirò e lo guardò delusa."Dici sempre di esserti calmato. Purtroppo non ti credo più. Devi andare via Domenico, non per un paio di giorni... Per sempre." Detto ciò prese dei documenti e li posò sul tavolo.
Domenico la guardò confuso e prese i fogli dal tavolo. Ci poggiò lo sguardo e lesse con attenzione. Appena finito di leggere il suo sguardo tornò su sua moglie.
"...Hai chiesto il divorzio?" Disse con un filo di voce.
Arianna non sostenne il suo sguardo, di conseguenza guardava ovunque pur di non guardare lui.
"Vuoi davvero buttare via quello che c'è fra di noi? Capisco che a volte litighiamo... Ma, ma noi ci amiamo. E poi tutte le coppie litigano."
"Ci amiamo?" questa volta la donna sospirò pesantemente "Domenico io non ce la faccio più."
Quelle furono le ultime parole che Luca sentì dire a sua madre. Lui aveva fatto come gli era stato detto: aveva chiuso in camera Ginevra e si era nascosto dietro la porta per ascoltare la conversazione. Quando Arianna pronunciò quelle parole, Luca capì che sarebbe passato da quella fase da dove erano passati tanti suoi amici: la separazione dei genitori. Perciò prese la sua tristezza con sé, e si ritirò in camera. Si sedette sul letto e fece cenno a Ginevra di raggiungerlo. La sorella si rifiutò, offesa perché l'aveva lasciata in camera sola. Il fratello ridacchiò e andò ad abbracciarla.
"Andrà tutto bene." Gli sussurrò.
Pochi minuti dopo si sentì uno sparo. Luca non si mosse, Ginevra neanche. Si strinse più forte contro il fratello, come se quest'ultimo l'avrebbe protetta da qualunque cosa. Luca fissava la porta della camera, come se da un momento all'altro qualcuno potesse entrare e puntargli una pistola contro. Si aspettava che ciò accadesse pur sapendo che la porta era chiusa a chiave. Successivamente si sentirono solo svariati urli femminili, e dei rumori più forti. Luca deglutiva e Ginevra faceva un balzo ogni volta che sentiva un rumore.
"Sta tranquilla... Sta tranquilla." Le sussurrava tra un salto e l'altro, ma non serviva a niente, la bambina aveva iniziato a tramare.
Poco dopo si sentì la porta di casa aprirsi, e i ragazzi riuscivano a sentire delle voci lontane. Pensavano che essendo arrivato qualcuno i genitori avessero finito di litigare, perciò Luca prese per mano la sorella e si precipitò sulla porta. Purtroppo però, non era esattamente ciò che Luca si aspettava. Fuori dalla porta, dal corridoio, Luca riusciva a vedere con i propri occhi gli agenti di polizia che portavano via in manette il padre, e lui che urlava come un dannato di essere innocente. A quel punto il ragazzo non si trattenne più, e gli occhi iniziarono a riempirsi di lacrime. Spinse la bambina in camera, urlandogli di stare dentro e andò contro la polizia.
"Dov'è portate papà?! LASCIATELO ANDARE!" In quei momenti Luca non aveva fatto caso alla maglietta del padre sporca di sangue, o il coltello per terra imbrattato di sangue, gli interessava solo il fatto che suo padre stava andando via veramente.
"Figliol-" Un agente si avvicinò e lo catturò da dietro. Lui si dimenava urlando di lasciarlo andare, ma non serviva a niente.
Ginevra era rimasta sulla soglia della porta, talmente spaventata che tremava, senza mai azzardarsi a guardare cosa stava succedendo.
"Hey..." Un agente gli tese la mano. La bambina piangeva e lo guardava, cercando di capire se poteva fidarsi.
"Forza andiamo" Gli disse il poliziotto sorridendogli.
La bambina cercò di pulirsi il viso con la manica e capendo di non aver altra scelta gli prese la mano.
"Ora del decesso: 23:42" Disse un agente in camera, davanti al corpo ormai morto di Arianna. Luca lo sentì mentre veniva portato fuori. Solo in quel momento realizzò che non aveva visto la mamma. Iniziò a gridare e cercarla con lo sguardo, ma nessuno rispondeva, niente si muoveva. Uno degli agenti lo guardò con compassione e poi fece cenno all'altro di portarlo via.
Luca aveva 11 anni quando sua madre morì, aveva poche memorie di quella notte ma ricordava ancora perfettamente lo sguardo di quell'agente. Sua sorella con gli occhi rossi che veniva portata via, e il padre che si dimenava urlando di lasciar andare i propri figli.
- - -
7 anni dopo
"Allora cos'è che mi dovevate dire di così importante?" Disse Luca sendendosi al tavolo con il piatto davanti.
Erano passati 7 anni dall'accaduto tremendo che aveva marcato non solo la sua vita insieme a quella della sorella, ma anche quella degli zii che, in assenza di altri parenti, si erano presi cura di loro.
Piero lo guardò con preoccupazione e sembrava voler parlare, ma non riusciva ad aprire bocca.
"Zia che succede?" Chiese il ragazzo voltandosi verso la donna in cucina.
Quest'ultima fece cenno allo zio di parlare senza dire una parola.
Lo zio sospirò, e si prese qualche secondo per calmarsi prima di parlare. "Sai che settimana scorsa hai compiuto 18 anni no?"
"Eh come no! È da una settimana che mi firmo i permessi da solo!" Esclamò contento.
"Beh... Essendo tua madre deceduta e tuo padre in prigione hai la temporanea custodia della casa di famiglia, almeno finché Ginevra non diventerà maggiorenne. A quel punto sarà di entrambi." Lo zio prese da un comò vicino un mazzo di fogli e delle chiavi, posandole sul tavolo. "Sono tutti tuoi."
Il ragazzo posò la forchetta sul piatto e prese il foglio. Lesse il contenuto e poi fissò le chiavi. Scosse la testa e chiese allo zio di tenersele.
"Papà non vuole che andiamo in quella casa, gli ho promesso che non ci saremmo mai andati." Affermò, anche se poco convinto. Per qualche maniera il fatto di possedere una casa lo eccitava e lo rendeva curioso allo stesso tempo.
Tuttavia era l'unica promessa che aveva fatto al padre: non avrebbe mai messo piede in quella casa. Il padre in cambio, gli aveva promesso e aveva sempre sostenuto di non essere colpevole di quello che lo accusavano. È sembrava talmente sincero mentre lo diceva, che Luca gli aveva sempre creduto.
"Non posso tenere quelle chiavi figliolo, non mi appartengono" Puntualizzò Piero, avvicinandole ancora di più al proprietario con un gesto della mano.
Luca sbuffò e e iniziò a mangiare nuovamente dopo aver messo le chiavi in tasca.
"Vuoi ancora?" Chiese la zia, osseevando che ormai il suo piatto era vuoto.
Il ragazzo scosse la testa: "No grazie zia. Devo andare!" Si alzò di fretta e prese la giacca.
"Ricorda di andare a prendere Ginevra!"
"Tranquilla zia, come potrei dimenticarmene?!" Urlò mentre usciva.
Appena fuori dal palazzo poteva sentire il suo corpo congelare dal freddo, poteva persino vedere il suo espiro. Per combattere il freddo alzò la cerniera della giacca, e nel farlo sentì il rumore della chiave nella sua tasca. La prese fra le mani e iniziò ad osservarla.
"Casa Colombo" Lesse sull'etichetta.
Ripensò nuovamente alla promessa fatta al padre, e a come quest'ultimo non dovesse per forza venire a conoscenza del fatto che non l'aveva mantenuta. Di scatto - ormai convinto- il ragazzo iniziò a camminare deciso. La destinazione? Casa.
Non ci era neanche mai passato vicino in quegli anni, di conseguenza aveva una vaga memoria di come fosse la casa, ma aveva tanti ricordi delle voci dei genitori e delle loro litigate. Quelle non riusciva a dimenticarle.
Mise le chiavi nella serratura e una volta entrato si chiuse la porta alle spalle. Tutto era come l'aveva visto l'ultima volta. Solo che questa volta appena entrato si accorse di una grossa macchia di sangue per terra, e un ricordo gli tornò in mente: il padre che veniva portato via mentre lui urlava di lasciarlo andare, e poco più in basso, un coltello per terra. Era esattamente dove ora c'era la grossa macchia di sangue.
Il ragazzo deglutì e si avvicinò al salotto. I mobili erano pieni di polvere, plastificati e con le stesse macchie che lui aveva fatto da piccolo e per cui la madre si arrabbiava sempre.
Si sedette per qualche istante sul divano, immaginando che la sua famiglia fosse lì con lui a vedere un film. Sorrise ma poco dopo si accorse che non era reale e decise di alzarsi.
Poco distante vide la porta del bagno aperta. Effettivamente l'unica chiusa era quella della camera da letto. Decise di passare prima da camera sua. Appena entrato la sua mente fu annegata dai ricordi vividi: lui che saltava sul letto con Ginevra, lui che le dava una mano a fare i compiti e infine lui che la stringeva forte ogni volta che un urlo li faceva sussultare. Sapeva che quando sarebbe entrato in quella stanza la sua mente gli avrebbe fatto rivivere l'infanzia ma era esattamente ciò a cui aspirava. Non aveva molte cose che gli ricordassero da dove veniva. La sua vita era in qualche modo ripartitata da capo quando si erano trasferiti dagli zii.
Sospirò e si chiuse la porta della stanza alle spalle, per poi recarsi in bagno. Di quest'ultimo non aveva proprio dei bei ricordi. Solo la mamma che lo obbligava a farsi la doccia tutti i giorni nonostante lui non volesse.
Appena entrato però, sentì una mattonella muoversi sotto i suoi piedi e rimase incuriositi dal fatto, essendo che non gli era mai successo prima. Rimosse il piede dalla mattonella e la osservò per qualche secondo. Poi si girò, come se avesse paura che qualcuno lo stesse guardando. Quando confermò che era solo e si fu finalmente calmato, la sua attenzione tornò alla mattonella.
Si abbassò e la prese con entrambe le mani, per evitare di fare rumore. Subito dopo la poggiò nel pavimento. Sotto di essa c'era un piccolo buco grande quanto la mattonella nella quale c'erano soldi, una lettera e un registratore. Luca prese il denaro e se lo mise in tasca, poi prese la lettera e, morendo dalla curiosità, l'aprì con impazienza. Era forse l'oggetto più interessante lì dentro, eppure era una vecchia lettera dove sua madre raccontava ad una sua amica di star frequentando il padre. Gli raccontava dei suoi comportamenti un po' troppo impulsivi, forti e violenti e gli raccontava del loro amore.
Ma perché quella lettera era lì?
Luca sbuffò e prese l'ultimo oggetto rimasto alzandosi da terra. Se lo rigirò nelle mani ma decise di ascoltarlo in un'altra stanza, qualunque cosa dicesse.
Mise la lettera in tasca e si diresse verso l'unica stanza che ancora non aveva avuto il coraggio di vedere: la camera da letto dei genitori.
A volte si sentiva colpevole al pensare che forse poteva davvero essere ststo il padre. Infondo nessuno era entrato o uscito quella notte. Ma in pochi seconfi quel pensiero stupido spariva.
Davanti a sé, vi era la solita stanza che vedeva quando era piccolo. Con una sola differenza: una chiazza di sangue sul letto, dove qualche anno prima giaceva la madre.
La polizia aveva detto nel loro rapporto che la donna era morta in salotto, dove c'era la grande macchia. Poi era stata trasportata dal padre in camera da letto. In quest'ultimo caso i ricordi che aveva della sua infanzia non riuscivano ad essere rievocati. L'unica cosa che vedeva era lui stesso che veniva portato via dalla polizia mentre urlava che voleva la mamma, e la sua testa che si girava verso la stanza a cercarla, ma la vedeva senza vita.
Luca si sedette su una sedia con il registratore in mano. Dopo tante esitazioni, avendo paura do quello che poteva dire, premette play.
"Buonasera. Sono Domenico Colombo. Ho 44 anni e lavoro da più di vent'anni come elettricista... Questa sera... Questa sera succederà qualcosa. Sono stanco di essere accusato da queste femmine rozze che vogliono diventare padrone del mondo. Sono nate per servirci e così dev'essere... Arianna lo imparare per le buone, oppure lo imparerà dopo la morte. A chiunque stia ascoltando questo messaggio: ricorda di far sì che la tua donna ti rispetti. Quello è il suo unico lavoro. E se ancora vi chiedete chi sia stato l'assassino di Arianna... Beh, me ne prendo decisamente il merito."
La registrazione finiva con una risata malefica, piena di malvagità.
Già mentre l'ascoltava il ragazzo aveva iniziato a lacrimare, solo dopo a piangere fino a creare un lago.
Le sue mani tremavano, e si sentiva quasi come se non potesse respirare. La sua testa era immobile, guardava fisso lo stesso punto.
Era stato lui. Aveva sempre giurato di non aver fatto niente. E lui gli aveva creduto. Che idiota. Tutti gli indizi e le prove portavano a lui. Quella era proprio la sua voce. Ma non gli aveva mai sentito dire quelle parole prima.
Suo padre non era solo un assassino, era malato. Pazzo.
Si alzò di scatto e corse fuori di casa chiudendosi alle spalle la porta. Iniziò a correre il più veloce possibile esternwndo la rabbia che aveva dentro finché non raggiunse la stazione di polizia.
"Voglio vedere Domenico Colombo."
"Ragazzo questo non è orario di visite."
Il ragazzo sbuffò sonoramente. "Forse non mi hai capito. Lo devo vedere." prese dalla tasca la registrazione. "Dalla all'agente Ferri. Lui saprà cosa farne."
L'agente lo scrutò per qualche secondo e poi annuì. "Va bene Luca... Per questa volta faccio un'eccezione. Ti vedo molto turbato."
Il ragazzo annuì. Non voleva solo parlargli. Voleva proprio averlo davanti a sé per riempirlo di pugni e calci finché il suo corpo non avesse chiesto pietà.
Si sedette davanti al vetro e prese il telefono in mano, aspettando il carcerato. Forse aveva reagito troppo di fretta, pensò, ma ormai era già lì.
"Ciao figliolo, mi hanno detto che desideravi parlar-" - "Figliolo? FIGLIOLO?! NON CHIAMARMI MAI PIÙ COSÌ!"
Urlò alzandosi dalla sedia dalla rabbia.
Dietro di sé riusciva sentire la voce dell'agente Ferri.
"Luca, dove lo hai trovato?" Chiese Ferri con il registratore tra le mani.
Il padre spalancò gli occhi e Luca gli sorrise compiaciuto. "A casa. Sotto una mattonella. In bagno." Scandì bene ogni parola, senza mai staccare gli occhi dal padre.
"Mi avevi detto che non eri stato tu. Lo avevi giurato. Era per quello che non volevi che andassi alla casa eh? ERA PER QUELLO VERO?"
Il padre sospirò, poggiando le mani amanettate sul tavolino.
"Un giorno capirai.. Capirai figliolo con quali creature condividiamo il mondo."
"Creature!?" Luca cambiò espressione scioccato.
"Si chiamano donne! E non sono al mondo per essere al tuo servizio!" Gli urlò dietro. Voleva proprio poter passare dall'altra parte. Non si sarebbe soffermato alle parole.
Il padre rise di gusto. La stessa risata del registratore.
"Luca..." lo chiamò Ferri, forse anche per distrarlo dalla visione del padre. "Lo sai che questa prova lo consegna all'ergastolo."
Luca lo osservò bene e poi si girò verso l'agente: "Consegnatelo alla pena di morte se necessario."
"Luca un giorno capirai che le donne sono nate per quel ruolo, e quando si rifiutano di attenersi ad esso... Semplicemente diventano...qual'è la parola? Ah si inutili!" Cominciò. Lo sguardo omicida di Luca posato addosso.
"Ginevra non tornerà più. Marcirai in prigione ed è più di quanto ti meriti."
Disse, questa volta con tono più calmo.
"Spero che dopo questa vita ti aspetti il peggiore degli inferni."
Si girò e fece un passo verso l'uscita ma venne interrotto dalla voce del padre.
"Sta attento a quel che desideri, potrebbe essere anche il tuo destino."
Disse più serio che mai.
Luca si voltò per l'ultima volta. Il suo sguardo era letale, se avesse potuto ucciderlo con gli occhi, l'avrebbe fatto.
"Io e te non siamo uguali. Non diventerò mai come te."
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