Prologo

Nico si accoccolò meglio nel cespuglio di caprifoglio, avvolto dal profumo dei fiori, che nascondeva il suo odore: per colpa della agoghé non si lavava da una settimana.

Osservò il vasto spazio aperto in cui sedevano alcuni iloti, valutandone peso, età e forza.

Esattamente, l'agoghé consisteva in una serie di prove durissime e sfiancanti, come ad esempio rubare del cibo dal Tempio di Artemide. Con un solo, piccolo particolare: se venivi scoperto, eri inseguito per un chilometro da due opliti armati di fruste, che ti laceravano la pelle anche solo sfiorandoti.

L'ultima prova era ancor più terribile: la caccia agli iloti. Un gruppo di diciassettenni che dovevano essere riconosciuti come adulti venivano condotti in uno spazio limitato, con degli iloti all'interno. Il loro obiettivo era aggredirli e ucciderli, per dimostrare che erano davvero adulti e che in battaglia si sarebbero fatti valere.

Per Nico, ciò era incredibilmente disumano, ma al tempo stesso era necessario per essere dichiarato adulto, cosa che attendeva da 11 anni, anni di sofferenza e lotta per la sopravvivenza, strappato alla famiglia a soli 6 anni e addestrato a diventare un vero spartiata.

Ricordava a malapena la sua vita prima della chiamata dell'esercito, e quindi non poteva rimpiangerla troppo amaramente.

Ora la sua vita era quella: uccidere, andare in battaglia, sposarsi, avere dei figli forti, difendere la sua città fin quando ne fosse stato capace. Una vita pressoché limitata, se si considerava che ogni spartiata aveva quella vita.

Gli sarebbe piaciuto avere una vita diversa, magari più avventurosa, magari meno pericolosa. Magari più soddisfacente.

Un iloto si avvicinò al cespuglio in cui Nico era nascosto.

'Questa è la mia occasione' pensò Nico, chinandosi fino a toccare terra col mento, in posizione di attacco, pronto per spiccare un salto.

Sentì tutta la forza che gli scorreva dentro scorrere nelle sue gambe, e con uno slancio da far invidia a un felino, afferrò l'iloto, ignaro, che tentò di urlare, ma prontamente Nico gli tappò la bocca e sguainò il pugnale che aveva appeso al fianco, tagliandogli la gola e lasciandolo soffocare nel suo stesso sangue, che prese a spandersi sul terreno, in una enorme macchia rosso scuro, che schizzò sul chitone di Nico.

Lui tolse il sangue dal pugnale, strofinandolo sull'erba e staccando una foglia dal cespuglio in cui si era nascosto per asciugarlo.

Poi guardò il cadavere, esaminandolo: aveva i capelli castano scuro, tendenti al rame e gli occhi nocciola chiaro, aperti.

Con due dita, lo spartiata gli chiuse delicatamente gli occhi e gli pulì l'orrendo squarcio sulla gola, strappando un pezzo della tunica indossata dal corpo steso a terra.

Era una cosa strana per uno spartiata, ma gli era venuto automatico. Sapeva benissimo di non dover provare pietà, ma aveva appena spezzato una vita innocente. Come poteva essere così freddo e crudele?

Lo spartiata chiuse gli occhi a sua volta, prendendo un profondo respiro. Tra l'odore del sangue, del corpo che stava iniziando a puzzare e il sole cocente, vicino al cadavere si soffocava.

Le orecchie di Nico capitarono un suono diverso da quelli che lo attorniavano: una tromba. Il Generale Jason Grace lo stava chiamando.

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