σκιά
Skiá: ombra
Le cose cambiarono.
Tutte d'un tratto.
Costruii da capo una nuova versione da me.
Una versione apatica, fredda, sconnesso con gli altri. Sorridevo meno, parlavo meno ed evitavo di dire ciò che pensavo agli altri. Persi quella mia curiosità che mi portava sempre a fare domande e smisi di andare da Omero.
Non recuperai il mio rapporto con Pirro. Iniziò a frequentare altri ragazzi della casa e io rimasi completamente in solitudine. Non che mi dispiacesse, meno persone conoscevo e meno c'era il rischio che il mio segreto uscisse da Chio.
Iniziai una formazione avanzata per diventare un rapsodo, ma non mi servi più di tanto: la dote di cantore l'avevo già acquisita.
Sapevo ripetere interi brani suonando senza sbagliare una nota. Li coloravo delle emozioni che questi ultimi mi trasmettevano e alle mie esibizioni dopo cena gli uomini si commuovevano sempre.
Non mi dispiaceva questa nuova strada, tuttavia... Tuttavia mi mancava scrivere, incastonare su un figlio i miei pensieri, lasciare che la mente scorresse mentre lo stilo disegnava lettere su lettere, l'ingegno impiegato per trovare le parole adatte al momento durante un'esibizione, raccontare quello che volevo io e non quello che voleva un altro.
Mi mancava essere quella parte di me che avevo dovuto seppellire ancora viva per non far morire l'intero cosmo che mi portavo dentro.
Nonostante tutto furono pochi quelli che si accorsero del mio cambiamento improvviso: oltre a coloro che avevano assistito al mio rovinoso oracolo, l'unica a notare quanto fossi diventato "strano" fu la mia seconda madre: Nyria.
Quando un giorno mi chiese cosa mi fosse accaduto, le raccontai una bugia, dicendole semplicemente che crescendo stavo comprendendo più aspetti di me stesso.
Odiai doverle mentire, ma c'era la mia vita in gioco e non potevo rischiare, specialmente dopo aver promesso a mia madre di tenere la testa sulle spalle.
Apollo era riuscito a farmi dubitare persino delle persone a cui più tenevo e me ne aveva fatte perdere altre.
Oltre a Pirro fu anche Omero ad allontanarsi da me.
Il vecchio poeta partì nuovamente per uno dei suo viaggi, l'avevano chiamato in corti prestigiose della Beozia e dell'Attica.
A sedici anni ottenni una stanza tutta mia. Fui stupito da tale decisione: di solito chi aveva diritto a una camera tutta per sé doveva avere come minimo diciotto anni o essere sposato.
Io avevo solo sedici anni e l'unica ragazza che avevo baciato fino a quel momento era stata Creia. Non l'avevo mai più rivista da quando, a quattordici anni, era stata presa in moglie da un ricco mercante di Megara e portata via.
Rimasi ancora più stupito quando mi venne riferito che la mia stanza si trovasse allo stesso piano di quella di Omero.
Nessuno alloggiava a quel piano se non lui stesso. L'unica stanza presente, oltre alla sua, era un magazzino usato per riporre vecchie pergamene.
Scoprii presto che era stato proprio Omero, in una lettera, a chiedere di farmi trasferire lì.
Nessuno si fece troppe domande, o meglio, nessuno espose le domande che sorgevano nelle loro menti.
I servi levarono scaffali e pergamene e arredarono con mobili nuovi quella che sarebbe stata, poi, la mia stanza.
L'invidia degli altri ragazzi, ovviamente, non mancò, e non persero tempo a dirmi che Omero l'aveva fatto solo perché provava pena per me.
Solo Pirro non disse nulla, lentamente stavamo recuperando il rapporto che un tempo avevamo avuto, ma io continuavo a essere scostante di atteggiamento e fuggevole di spirito, e Pirro ormai aveva stretto tante amicizie con altri ragazzi anche più grandi.
Raccattai le mie cose per portarle nella mia nuova stanza e mentre lo facevo sentivo lo sguardo di Pirro puntato sulla mia schiena.
Sedeva sul suo letto, gambe incrociate, arpa in mano e spartito sotto il naso. Suonava una melodia continua e ripetuta, ogni tanto sbagliava una nota, ma persisteva ad andare avanti senza mai correggersi.
Il suo sguardo non era puntato sullo spartito, ma sulla mia schiena.
Mi voltai e lo colsi alla sprovvista, tornò a osservare lo strumento, lo guardava come se fosse la prima volta che lo vedeva in vita sua.
Soppressi un sorriso che mi cresceva dall'interno e tornai a mettere via le mie cose in un baule che da lì a poco i servi avrebbero provveduto a trasportare sino al piano superiore.
«Mi mancherà la tua presenza qui...».
Non credevo che avrebbe preso parola. Mi voltai verso di lui e feci una smorfia.
«Confinato nell'angolo» indicai il mio letto, accollato al muro e lontano da tutti gli altri giacigli. «Non ti accorgerai nemmeno della mia scomparsa. E poi non sto partendo per una guerra da cui non farò più ritorno, sarò sempre qui!».
Nel dirlo un lieve amaro si fece strada nella mia bocca. "Sarò sempre qui". Sì... Sempre lì. Sempre. Per sempre.
Riuscii a strappare un sorriso a Pirro. Da quanto non mi sorrideva in quel modo? Con gli angoli della bocca piegati all'insù e le due fossette che gli segnavano le guance rosee.
Iniziai a pensare a come recuperare lentamente ciò che avevamo perso per strada. I rapporti, le risate e quegli stessi sorrisi che avevano riempito intere giornate calde e soleggiate.
L'oracolo mi aveva tolto tutto, ma non potevo lasciare che mi togliesse anche Pirro.
Feci per aprire la bocca e parlare, dirgli che sarebbe stato sempre il benvenuto nella mia stanza e che poteva venire a stare con me tutte le volte che voleva, per quanto voleva, che sarei stato solo lieto di poter passare un po' di tempo con lui e che nonostante la distanza che si era creata fra noi gli volevo ancora bene, ma un servo, Arash, irruppe nella stanza.
«Posso portare sopra le vostre cose?» chiese con forte accento persiano.
«Certo, grazie mille».
Lo guardai caricare l'enorme baule sulle proprie spalle e ciondolare fuori dalla stanza alternando piccole imprecazioni nella sua lingua ad affanni.
Tornai a concentrarmi su Pirro, aveva abbassato la testa e contemplava lo spartito. I riccioli rossi gli cadevano davanti agli occhi e non mi permettevano di vedere la sua espressione.
Una mano invisibile mi agguantò per le spalle e mi costrinse a retrocedere fino a fuori dalla stanza. Improvvisamente avevo perso il coraggio di parlargli apertamente. Forse era meglio per entrambi rimanere ancora nella nostra bolla di silenzio.
Quando sarebbe arrivato il tempo di tentare di riportare tutto come prima? Non ne avevo idea.
Gli dei avrebbero saputo dirmelo, prima o poi.
Attesi fuori dalla mia ormai vecchia stanza che i servi sistemassero le mie cose.
Nell'aria aleggiava profumo di miele, dalle cucine stavano iniziando a preparare la cena.
La mia nuova stanza si rivelò essere non molto spaziosa, d'altronde era adibita per essere un piccolo magazzino, non potevo pretendere molto.
La apprezzai lo stesso, avere un posto tutto mio dove nascondermi quando la paura cercava di afferrarmi per i capelli e la società diveniva sempre più opprimente mi rendeva felice e mi infondeva una certa tranquillità nell'animo.
Sistemai le mie poche cose sugli scaffali di un mobile, tra queste c'erano anche le vecchie pergamene scarabocchiate dei discorsi fra Ettore e Andromaca che scrissi da bambino.
Un sorriso amaro si fece strada fra le mie labbra mentre le contemplavo con occhio veloce.
Non avevo avuto il coraggio di distruggerli, erano un pezzo della mia infanzia ancora ignara del mio destino.
Sospirai, le lasciai ricadere sul piano dello scrittoio e non le degnai più di uno sguardo. Più le fissavo e più mi sentivo biasimato per le mie scelte, come se il piccolo me che abitava ancora in quelle pagine mi guardasse con aria schifata.
«È ciò che io penso che sia?».
Trasalii, sull'uscio era apparso un'uomo che avevo conosciuto tempo fa: Omero.
Era incredibile come riuscisse a sbucare dal nulla senza produrre un minimo rumore.
«Pensavo che...» mormorai, ma mi fermò con un gesto della mano
«Lo so, il mio viaggio sarebbe dovuto durare più anni, ma, sai, la nostalgia di casa e tutto il resto... Non ho più l'età per compiere lunghi viaggi. La conoscenza non va a braccetto con gli acciacchi della vecchiaia, ricordatelo».
Ebbi modo di notare in lui le nuove rughe, la barba ispida bianca e le macchie che lentamente stavano aumentando sulle sue mani un poco sformate, le ossa delle dita piegate in pose quasi innaturali.
Dubitavo che sarebbe riuscito a tenere in mano anche solo uno stilo.
Non vedevo Omero da circa sei anni, mi stupii di come il tempo riuscisse a mutare qualsiasi cosa con così tanta facilità.
Mi domandai se lui avesse notato la stessa cosa in me: mi aveva lasciato bambino e mi aveva ritrovato ragazzo.
Si piazzò davanti allo scrittoio e prese i fogli, gli diede un'occhiata mentre io, dal mio angolo, lo fissavo un po' intimorito, come se avesse potuto tramutare quelle pergamene in una spada con la quale mi avrebbe trafitto.
«Ricordi ancora cosa c'è scritto qui?» domandò, l'occhio puntato sulle parole.
«Vagamente».
Mentii, ricordavo perfettamente cosa ci fosse scritto. Ogni parola. Ogni. Maledetta. Parola.
«μωρός, morós» disse, "sciocco" «credi di potermi ingannare?».
Arrossii violentemente. Udire Omero esporsi così tanto da risultare volgare mi fece sentire davvero uno sciocco.
«Un aeda non scorda mai ciò che scrive, dico bene? Chi se lo dimentica non lo è veramente, e tu, per quanti oracoli possano averti detto di tirarti indietro, non smetterai di esserlo, mai»
«Cosa vorrebbe dire?»
«Che tu lo voglia o no il tuo talento regnerà per sempre sovrano in te. Stare a ignorarlo non risolverà un bel nulla»
«Non voglio morire» dissi a denti stretti, sentivo di stare per innervosirmi. Detestavo che qualcuno mi ricordasse i tempi bui.
«Ma morirai lo stesso» lasciò andare i fogli «tutti noi moriremo, quindi sperare di non morire è inutile, è il triste destino di noi esseri mortali»
«Mi state dicendo dunque di suicidarmi? Di ignorare Febo Apollo e prendere di petto il mio destino?».
Seguì un attimo di silenzio. Provai l'ardente desiderio di mettermi a urlare e uscire da quella stanza, ma rimasi lì in attesa, di cosa non lo sapevo nemmeno io.
«E chi ti dice che morirai precocemente?» mi squadrò dall'alto al basso «Sto cercando di farti una proposta, se solo mi lasciassi finire di parlare...» sul volto del vecchio spuntò un sorriso enorme. Mi inquietò parecchio, ma rimasi serio.
«Di che si tratta?»
Omero si avvicinò di un poco.
«Scrivi per me» la frase affettò l'aria in due, come un coltello sacrificale con la gola della propria vittima «scrivi ciò che vuoi e io lo farò conoscere al mondo tramite il mio nome».
La terra tremò sotto i miei piedi, mi parve di vedere una nube nera avvolgere la stanza fino a far scomparire tutto. Nel vuoto eravamo solo io e Omero.
«Vuoi prenderti il merito delle mie opere?».
Persi ogni forma di riguardo in lui. Non riuscii a credere a ciò che avevo appena sentito.
Omero portò in avanti le mani, come per proteggersi da uno spintone che mai gli tirai.
«Non sto dicendo questo. Voglio solo aiutarti. Tu continuerai a lavorare come aeda e io ti aiuterò a esportare le tue opere per tutta la Grecia.
Certo, il tuo nome non verrà mai rivelato, ma tutti verranno a conoscenza delle tue parole. L'intera Grecia estasiata dalle tue parole, te lo immagini? Non è ciò che desideri?».
Non risposi, strinsi i pugni fino a che le unghie non si conficcarono nei palmi.
«Ad ogni modo, se non vuoi, basta dirlo. Mi dispiace solo che il tuo grande talento venga sprecato in questo modo».
Sprecare. Omero pensava che fossi uno spreco. Dopo tutto quello che avevo fatto, dopo tutto l'impegno che avevo messo nello studio pur di risollevarmi il morale, i sacrifici per scordare il dolore e la paura, dopo tutto, tutto questo, ero solo uno spreco.
Il Kleos timoroso di morire morì in quel momento. In me ardeva una fiamma accesa dalla furia che Ares mi aveva iniettato.
«Non ho intenzione di morire nell'ombra» dissi, il mio corpo tremava e il mio cuore ruggiva «Febo non può togliermi ciò che amo».
Gli occhi di Omero scintillavano, quello bianco parve quasi diventare sempre più chiaro.
«Non te ne pentirai» sorrise «insieme gli strapperemo anche il sole».
***
A diciotto anni iniziai a scrivere un'opera del tutto nuova.
Nessuno, prima d'ora, aveva mai messo per iscritto le leggendarie gesta eroiche avvenute a Ilio. Erano state narrate tante volte, talmente tante che ormai sapevo tutta la storia a memoria. Forse per uno scherzo dovuto dal destino, nessuno aveva ancora fermato su una morbida pergamena quelle leggende che volavano libere nell'aria.
Le Moire volevano che lo facessi io.
Recuperai tutto il materiale che scrissi da bambino. Lo rilessi senza provare un briciolo di vergogna o risentimento. In me ardeva la passione e sentivo in me la presenza divina di mia madre che imbottiva il mio cuore ancora scalfito dalle ferite di ispirazione lucente.
E scrissi, scrissi tanto.
Iniziai a uscire sempre più raramente dalla mia stanza e alla notte mi concedevo poche ore di sonno.
Il mio estro traboccava così tanto di ispirazione che neppure Ipno riusciva a chiudermi gli occhi con il dolce sonno.
Più producevo e più sentivo di dover produrre e più udivo le mie parole cantate da Omero durante la cena e più desideravo sentirne altre.
Non ero io che cantavo, ma questo non mi importava, le parole erano pur sempre le mie e sentirle danzare nell'aria mi lasciava estasiato.
Non mi importava nemmeno di tutte quelle pacche sulle spalle e parole di ammirazione dette a Omero.
"La tua arte sei raffina sempre di più ", "Un giorno canterò le tue gesta", "Le parole che hai scelto sono così importanti, così raffinate", "Riesci a rendere dolce persino la guerra", "Studierò il tuo testo e lo canterò domani stesso!".
Seppur non rivolti direttamente a me, quei complimenti mi facevano piacere lo stesso.
Dall'ombra di una colonna li ascoltavo carico di emozione.
Dall'ombra... Lontano.
Scossi il capo, improvvisamente preso da una strana sensazione.
Non stavo bene... Perché?
«Un successo, vero?» Omero mi passò una mano intorno alle spalle.
Ultimamente faceva fatica a camminare e io lo aiutavo a reggersi in piedi senza rischiare di cadere.
Cercai di modellare un sorriso. Dentro di me si annidava l'oscurità.
Perché tutto d'un tratto mi sentivo così male? Ero contento che la mia arte giungesse alle orecchie degli altri... Non ero più nascosto nell'ombra, potevo dare vita a ciò che volevo senza la mi ima paura.
Ma allora perché? Perché sentivo ancora il mio corpo nascosto nell'ombra? Perché sentivo come un peso trascinarmi verso il basso? Cosa non mi tornava?
«Kleos, gradirei una tua risposta».
Mi fermai, eravamo davanti alla camera di Omero. Mi aveva fatto una domanda, ma non avevo sentito.
«Non ho sentito, potrebbe ripetere?».
Parve scocciato, incrociò le braccia al petto.
«Ti ho chiesto se il dialogo fra Priamo e Achille è pronto»
«Non ancora, è in elaborazione e...»
«Te l'ho detto esplicitamente che mi sarebbe servito per domani».
Rimasi impietrito. Non mi aveva mai parlato con quel tono di voce. Era duro, suonava come un rimprovero stizzito. Ma ciò che mi diede ancora più fastidio, una sorta di ribrezzo, fu il "mi sarebbe servito".
Boccheggiai come un pesce trascinato a riva dai pescatori. Io che traboccavo sempre di parole non riuscivo a trovarne nemmeno una.
«Rispetta ciò che ti chiedo, Kleos» fece un sorriso, fu davvero inquietante. «Non vorrei mai che il tuo segreto trapelasse» e con un gesto della mano mimó un uccello che volava via.
«Buonanotte Kleos. Che questa notte ti porti buona ispirazione».
Si chiuse le porte alle spalle e mi lasció solo, con il cuore dolente.
«Mi sarebbe servito».
Ero nell'ombra perché mi sentivo usato.
Anzi, ero usato.
Ero il piccolo schiavo di un uomo che non aveva mai creduto in me, ero stato così sciocco da realizzarlo solo in quel momento.
E la cosa peggiore fu che non ci avrei potuto fare niente, se non stare a guardare il mio corpo diventare la pedina di un gioco assurdo.
🌸Angolino della scrittrice iperattiva e con la bava alla bocca🌸
Eccoci dunque arrivati al punto in cui Kleos ha finalmente realizzato di aver fatto una capperata, o una pistacchiata, dipende dai gusti.
A qualcuno di voi piace il pistacchio? Qui ne abbiamo a gogò! (Di capperi ne abbiamo meno, all'autrice non piacciono).
È da un po' che faccio la seria negli angolini fingendomi intellettuale erudita, è giunto il tempo di togliermi la maschera e dare sfogo alla mia vera personalità.
È ORA DEL MEMAZZO CHE SI APREEE E CHE SI APREEE (citazione molto erudita).
Ormai sono entrata i fissa con questo gatto, sopportatemi.
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