Φίλτατος
«Così diceva; su Achille calò una densa nube di dolore: con entrambe le mani prendendo polvere e cenere, se le spargeva in testa, imbrattava il suo bel volto; altra cenere nera sporcava il suo chitone profumato. Giaceva smisurato, steso in mezzo alla polvere, e con le sue stesse mani straziava i capelli strappandoli. [...] Dall'altra parte Anticolo si lamentava piangendo, e tratteneva le mani di Achille: era angosciato in cuor suo; temeva che Achille si tagliasse la gola col ferro.»
Libro XVIII, Iliade
Mi manchi.
Mi manca fingere di dormire per percepire il tuo sguardo dolce su di me, svegliarmi la mattina e scorgerti al mio fianco, addormentato, con un'espressione serena in grado di migliorarmi la giornata. Mi manca tornare all'accampamento dopo una giornata passata a seminare morte e ritrovare in te la vita, la vera bellezza e purezza di questo mondo. Mi manca stringerti forte a me per rassicurarti, abbracciare le tue fragilità e dimostrarti il tuo immenso valore. Mi manca perdermi nelle tue braccia calde e accoglienti, il mio quieto rifugio in cui posso lasciarmi andare senza timore, in cui sono libero di piangere e in cui mi sento al sicuro. Mi manca essere ammaliato dal tuo sorriso illuminato dal sole, in grado di rischiarare la mia anima. Mi mancano i tuoi incantevoli e luminosi occhi che indugiano nei miei, spogliandomi di qualsiasi velo, per analizzarmi interiormente. Mi manca sentire il flebile suono della tua voce, le parole sussurrate che mi facevano venire i brividi.
Mi manca l'amore della mia vita, la mia forza, il mio tutto. A cosa serve vivere con questo vuoto? A cosa serve avere la gloria, il κλέος, e perdere l'amore? A cosa serve difendere la propria dignità, evitare l'αιδώς, la vergogna, e avere accanto a me solo il tuo corpo defunto? A cosa serve essere vivo, ora che tu non lo sei più? Senza di te non sono più Achille, non sono un eroe, non sono un essere umano. Sono una nullità, non valgo nulla. Tu eri tutto per me, adesso non ho più niente.
Ti amavo e ti amo, più di qualsiasi altra cosa o persona al mondo, più di quanto abbia mai fatto in vita mia. Mi hai cambiato la vita, l'hai migliorata, l'hai colmata di gioia e premura. Non solo mi hai permesso di assaggiare la felicità, me l'hai fatta assaporare a fondo. Cos'è la felicità? Dubito esista una vera e propria definizione. Per me è sinonimo di Patroclo. Se penso alla felicità, mi vengono in mente tutti i momenti passati insieme, tutte le volte che siamo stati così vicini da respirare la stessa aria, che ci siamo baciati intensamente come se non avessimo bisogno di nient'altro. Tutti i giorni in cui eravamo da soli ad allenarci, divertirci, correre per poi ritrovarci la sera congiunti uno all'altro a scrutare le stelle, a smarrirci nell'immensità del cosmo. Tutte le occasioni in cui i nostri fisici si sono fusi insieme ai nostri cuori, alle nostre anime, in cui non eravamo più due uomini, bensì un solo essere traboccante di amore e passione.
Tu eri il mio universo, la mia felicità. Tutto ciò che bramavo, tutto ciò di cui avevo bisogno. E ora non sei più qui con me.
Nonostante tutte le tue insicurezze e le tue angosce, eri il ragazzo più forte che io avessi mai conosciuto. Erano le tue debolezze a renderti forte, la tua sensibilità ti rendeva unico e speciale. Eri empatico, mi capivi senza che proferissi parola. Ti bastava guardarmi per comprendere ciò che avevo dentro, come se fossi un libro aperto, scritto in caratteri cubitali. Gli altri non si accorgevano nemmeno che ci fosse qualcosa che mi tormentasse, mentre tu eri già disponibile a stringermi, senza che te lo chiedessi o fornissi spiegazioni.
Nelle tue braccia mi sentivo al sicuro, come se niente e nessuno avesse potuto danneggiare la nostra intimità. Era come se i tuoi abbracci fossero uno scudo, come se fossero in grado di proteggermi dal mondo e spesso anche, anzi soprattutto, da me stesso. Erano la mia casa, l'unica bolla in cui rifugiarmi, la fortezza più resistente e fragile del pianeta.
Eri sempre nei miei pensieri, sia nei momenti migliori che nei peggiori. Quando stavo bene o accadeva qualcosa di meraviglioso, eri il primo a cui desideravo dirlo. Quando c'era qualcosa che mi esagitava, eri l'unico capace di comprendere e lenire il mio dolore. Eri la prima persona che aleggiava nella mia mente appena Eos dalle dita di rosa saliva all'altissimo Olimpo per annunciare la luce, l'ultima prima di essere accolto tra le robuste ma leggere braccia di Oniro.
Eri sempre lì, nella mia mente e nel mio cuore. Eri, sei e sarai sempre dentro ogni ricordo, ogni lacrima, ogni singulto, ogni respiro. Eri il mio ossigeno, l'unica forza in grado di tenermi in vita, ora che sei solo un'ombra, mi viene sempre meno il respiro e non faccio altro che soffocare. Ormai non vivo, mi limito a sopravvivere. Non posso vivere senza di te, perché sei la mia vita.
Lo eri.
Sono adirato, l'unica emozione più viscerale del dolore è l'ira cieca, irrazionale. Vorrei agguantare le mie armi e distruggere tutto, l'accampamento degli Achei, la città di Troia, anche l'Olimpo se fosse possibile. Odio essere qui, detesto Zeus, Ettore, Paride, Elena, Eris e chiunque altro abbia ostacolato e rovinato una storia d'amore così importante e pura come la nostra. Maledetto quel giorno in cui i miei genitori si sono sposati, sciagurato pomo. Come hanno potuto Afrodite, Era e Atena litigare per una caratteristica effimera e superficiale come la bellezza esteriore? Viviamo in una società che attribuisce troppa rilevanza al modo in cui si appare e a ciò che pensano gli altri. È tutto soggettivo, non si può stabilire chi è il più bello o la più bella. Non è nemmeno corretto farlo. E soprattutto non per questo devono morire degli innocenti, dei soldati che hanno lasciato delle famiglie a pezzi per rincorrere la gloria o per porre rimedio all'infedeltà di Elena, all'immaturità di Paride, alla presunzione di Agamennone e alla brama di vendetta di Menelao.
Mi sento uno schifo per avere strappato così tante persone dai loro affetti, per aver assassinato anche te, il mio dolcissimo Patroclo. Apollo, Euforbo ed Ettore hanno compiuto l'atrocità concretamente, ma se ti trovavi lì la colpa è stata mia e del mio terribile orgoglio. Avrei dovuto essere al tuo posto, sarei dovuto morire io.
Avrei dovuto ignorare la mia ira nei confronti di Agamennone, non avrei dovuto ritirarmi soltanto per aver dovuto cedere Briseide, la prova del mio valore militare, nonché il mio bottino di guerra, il γέρας, perché l'unico dono importante eri e sei solo tu. Non conta realmente la presenza di un'altra persona da esporre per il mio onore, la τιμή.
Il senso di colpa mi strazia, lo avverto devastante. Le Erinni mi stanno divorando vivo, sono affamate e voraci. Nominarle non mi terrorizza, continuo a invocarle perché voglio essere punito, ne ho bisogno. Merito che mi sbraitino contro, che mi picchino senza tregua.
Ho massacrato e sfregiato Ettore, perché desideravo attribuire a lui la tua morte, per indurre al silenzio l'odio viscerale che provo per me stesso, per alleggerirmi l'animo e piangere l'amore della mia vita senza sentirmi responsabile. Ma lo sono e aver distrutto dal dolore la famiglia di Ettore mi fa stare solo peggio. Ho ottenuto soltanto un re che supplicava di ricevere il corpo di un figlio che avevo privato della possibilità di vivere. Il suo dolore echeggiava nell'aria quanto il mio. Il suo, però, era più meritevole d'ascolto. Priamo in lacrime mi ha dato la consapevolezza di essere uno schifo, più di quanto già pensassi.
Avrei dovuto salvarti, proteggerti. Sarebbe stato meglio se non mi avessi mai conosciuto, se avessi vissuto lontano da me. Ti ho rovinato io, non Ettore. Ucciderlo non ti ha reso onore, ha solamente infangato la nostra memoria. Tu sarai ricordato come un valoroso eroe, deceduto nel tentativo di difendere gli achei in una battaglia non sua. A me non resta altro che essere narrato dagli aedi come l'uomo che portò il suo amato alla morte, per poi codardamente sfogare l'ira per sé stesso su un altro.
Anzi, riflettendoci meglio, probabilmente la mia fama aumenterà, sarò ritenuto l'eroe acheo che sconfisse il migliore tra i troiani, per commemorare il ricordo dell'amante o, peggio ancora, dell'amico.
Mi terrorizza supporre che il nostro amore possa essere sminuito, trattato come una semplice amicizia fraterna, ma ancora di più mi flagella immaginare questa situazione come la mia più grande vittoria, la massima espressione del mio potere. Vorrei essere castigato, non assolto.
Avrei voluto perire per mano di Ettore, di Priamo, di Briseide o forse persino la tua. Patroclo, amore mio, mi sento indegno anche soltanto di nominarti.
Ti amo immensamente, i miei sentimenti sono inenarrabili, impossibili da esprimere a parole. Desidererei solo che tu fossi qui e mi dicessi che andrà tutto bene, che non dovrei essere così ostico con me stesso. Mi piacerebbe che mi accarezzassi, mi sorridessi e ti unissi a me. Vorrei che tornasse tutto come prima, compierei qualsiasi impresa pur di rivederti. Anche solo per un attimo, un'ultima volta.
Ma tu non sei qui, sono solo e avvilito, martoriato da una colpa più grande di me. Sono torchiato dal peso del mio dolore. O del mio amore. Forse si tratta del medesimo concetto. Amare è soffrire. Soffrire è amare.
Se si è innamorati di qualcuno ci si duole per lui o lei, si avverte il carico della sua esistenza su se stessi, la responsabilità di doverlo o doverla salvare. Chissà poi cosa vuol dire salvare gli altri. Forse a volte è una visione narcisistica o la rappresentazione della nostra volontà.
Scusami.
Vorrei non averti mai incontrato, sebbene tu mi abbia restituito l'ossigeno nei momenti in cui i miei polmoni si erano rassegnati, nonostante tu sia stato il mio salvagente quando ero sul fondale.
Mi chiedo se tutto l'amore che c'è stato ne sia valsa la pena. Mi domando cosa sarebbe accaduto se i nostri occhi non si fossero mai incontrati e le nostre labbra non si fossero mai assaggiate. Forse ora non sarei devastato dal dolore e soprattutto tu saresti in vita. Mi angoscia supporre che proprio tu potessi essere felice e innamorato di qualcun altro, ma probabilmente sarebbe stato meglio così. Chiunque altro si sarebbe dimostrato più meritevole di me. Non sono mai stato degno del calore che mi riservavi, dei tuoi ripetuti ti amo, dei tuoi abbracci, delle tue cure.
Ho sempre ritenuto che amare mi avrebbe reso appagato e prosperoso per l'eternità, che saremmo stati sufficienti noi due per sconfiggere e arginare i nostri mali, per colmare le assenze e le sofferenze dei nostri passati. Ho ipotizzato un meraviglioso futuro, in cui ci prendevano cura uno dell'altro, in cui mangiavamo fichi al tramonto, ripetendoci quanto fossimo fondamentali uno per l'altro. Invece non c'è più un futuro, ho spinto l'essenziale della mia esistenza nelle grinfie di questo mondo infame, crudele.
Sono reo del tuo destino, colpevole di non aver mantenuto la promessa d'amore e di protezione che c'eravamo fatti. Non sono stato valido, avrei potuto impedire che terminasse così, eppure non ho avuto la prontezza necessaria.
L'amore è un bastardo, sa essere la realtà più incantevole e tremenda tra tutte, contemporaneamente. L'amore è il φάρμακον della vita degli uomini: da una parte è ciò che cura, salva; dall'altra è esattamente ciò che devasta, avvelena. Il tuo amore per me è sempre stata la mia cura, avevi il cuore più nobile e l'anima più pura che esistesse. Al contrario, il mio amore per te è stato il veleno che ti ha annientato.
Ripercorrere con la memoria la nostra storia mi fa solo stare peggio, ma è giusto così. La complicazione è che non riesco a soffrire senza la tua consolazione: inevitabilmente per ogni meschinità nei miei confronti, appari tu che mi sorridi con dolcezza e mi biasimi teneramente, implorandomi di cessare questo autolesionismo.
Come eri solito fare.
Come non potrai fare mai più.
Ogni volta che penso a ciò che amavo di te, mi pare di innamorarmi di più. Ed è strano sai, perché il mio amore per te è già immenso, infinito, più dell'universo che adoravi ammirare.
Mi manchi come se fossi un organo vitale, il più importante collocato nel mio corpo, senza di te non funziona decentemente più niente. Sono nauseato, rigurgito i miei pensieri tossici, ma prontamente ne sorgono altri sotto forma di crampi. Non respiro, sono senza fiato e non mi capacito di come sia possibile sentirsi così vicini alla morte, eppure essere ancora ancorati sulla terra, lontano da te.
Grazie per essere stato con me in vita, spero che, nonostante tutto, mi vorrai e continuerai ad amarmi anche nell'Ade.
Mi auguro che la morte mi strappi il prima possibile da questo ambiente tossico per situarmi al posto giusto, ossia accanto a te. La tua assenza duole troppo. Voglio stare con te, non lasciarti più.
Mi manchi. Forse queste due parole non sono proporzionate al bisogno di estrinsecare il concetto. Sappi che ti amo e basta. Non credo nemmeno che esista qualcosa di più irrefrenabile ed energico del mio amore per te.
Grazie.
Scusa.
Ti amo.
Giuro che ci ricongiungeremo presto e saremo le stelle binarie più brillanti dell'universo. Prego solo che tu voglia ancora stare con me.
Qualsiasi ipotesi si verifichi, rimarrai eternamente il mio amatissimo Patroclo, il mio φίλτατος.
Poiché, a quanto pare, agli eroi non è concesso essere felici, io mi sottrarrò al mio ruolo. È la mia indole, non il mio volere. In realtà il vero me, lo conosci soltanto tu. Lo sai, sono e sarò sempre il tuo Achille, che suona la lira e intona frasi d'amore, mentre tu ti stendi, ti appoggi alle mie gambe e risplendi più delle stelle. Sei il mio Sole colmo di felicità.
Ti amo, ci vediamo presto.
Nota autrice:
Non mi è chiaro se scrivere questo flusso di coscienza sia stato straziante o salvifico. So solo che ho pianto tanto. In principio era in terza persona, ma ho scoperto che rivolgermi direttamente a Patroclo non solo è più doloroso (giuro, c'è una differenza assurda), ma anche più efficace. Spero l'abbiate apprezzato.
Ho interrotto varie volte la stesura, però in questi giorni bui ho trovato ancora una volta sollievo nella prosa. Questo monologo non ha uno scopo preciso, è soltanto uno sfogo per la morte del mio cucciolino Patroclo. Amo Achille e mi sento in colpa per essere stata così dura con lui. Ho avuto la possibilità di immedesimarmi e ho riversato nelle sue parole ciò che proverei io. Non lo ritengo un santo, ma nemmeno colpevole assoluto del loro doloroso destino.
Mi piacerebbe scrivere un'altra one shot, decisamente più gioiosa, dal punto di vista di Patroclo, magari sul loro incontro nell'aldilà. Ci penserò. Nel caso in cui vi interessasse, potreste conservare questa storia in biblioteca per ricevere la notifica quando la pubblicherò.
Per quanto questa sorta di lettera non sia un granché, ci terrei molto a conoscere la vostra opinione.
Grazie per avermi dedicato il vostro prezioso tempo. Buona vita.
Vostra Aurora ♡
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top