CAPITOLO 20
~ANNA~
Credo che nella vita si presentano possibilità infinite per fare la cosa giusta, però io, ogni volta, ho scelto di prendere la strada sbagliata e ogni volta; sorridevo, pregustando l'esito delle mie pessime decisioni
Kappa_07
Il ristorante più rinomato della città si staglia di fronte a me e mi tremano le ginocchia. Le luci dei lampioni illuminano le aiuole e la strada adornata di piante rampicanti. Oltre il cancello di ferro battuto i gradini di marmo nero brillano sotto i raggi della luna. L'aria crepita di tensione.
Brad, al mio fianco, resta fermo come una statua, in attesa che io muova un passo. Non so se ne ho le forze. Mi stringo un po' più forte nelle spalle per tenere a bada le emozioni. Mi sento dilaniata. Da questo momento in poi, qualsiasi cosa io abbia pensato di fare per liberarmi di lui risulterà molto più difficile.
Oltre le grandi vetrate il ristorante è abbastanza pieno, ma non affollato. Non lo vedo da nessuna parte, forse mi sta aspettando dentro? "Bel comportamento".
Stringo forte le labbra. "Forza, Anna, non lasciarti sopraffare dall'ansia. Prendi il toro per le corna".
Mi avvio, stringendomi nel cappotto. Dopo la pioggia di ieri sera l'aria è parecchio fredda e mi frusta piacevolmente il volto bollente ad ogni passo, per mio grande sollievo. Ad attendermi alla porta d'ingresso ci sono diversi uomini in giacca e cravatta.
I suoi uomini.
Stanno sempre allerta, come se da un momento all'altro qualcuno potesse fare del male al loro capo. Mi osservano in silenzio e mi lasciano passare, mentre continuo a fare dei respiri profondi per placare l'ansia. Mi fermo, alzo il mento, tengo le emozioni a bada chiudendo e aprendo gli occhi e raddrizzo le spalle. Non voglio che mi veda impaurita o altro.
Salgo fino alla porta d'ingresso scorrevole e la spalanco. Con mia grandissima sorpresa, ad attendermi è un giovane cameriere in gilet e pantaloni neri e camicia bianca.
Appena mi vede mi raggiunge, salutandomi cordialmente. Mi parla piano e conciso, riservandomi una gentilezza che mi fa correre un brivido lungo la schiena e mi fa cenno di seguirlo.
"Che razza di posto..." Deglutisco e lo seguo. Noto con la coda dell'occhio diverse persone che mi guardano, ma senza soffermarsi su di me. Il bianco che domina il luogo e il profumo di pulito mi fanno aprire i polmoni il necessario da riprendere a respirare.
È tutto così elegante. In centro alla sala si stagliano dei pilastri, decorati fino al soffitto di fiori scolpiti. I tavoli sono distanti gli uni dagli altri, le tovaglie bianche, le poltrone di un grigio chiarissimo che esalta i colori scuri che spezzano il bianco delle pareti. La vetrata a destra regala un panorama mozzafiato del giardino.
Il cameriere volta a sinistra, verso un tavolo più appartato. Le applique spandono una luce soffuse, tendente al giallognolo. Il diavolo in persona è seduto sulla poltrona e fissa un tumbler pieno.
I suoi occhi si alzano, incontrano i miei e io ho un tonfo al cuore.
Si alza, indossa un paio di pantaloni neri e una camicia dello stesso colore che gli fascia il corpo come una seconda pelle. Il colletto sbottonato mi lascia una visuale completa del suo collo largo. Ha le maniche arrotolate, come se dai gomiti in giù non sopportasse la stoffa sulla pelle.
«Buonasera, signorina Giordania», mi saluta cordialmente, il timbro più basso del solito mi genera un esercito di farfalle allo stomaco, ma mi trattengo dall'artigliarmi la pancia per darmi sollievo.
Apro la bocca per rilasciare il respiro che avevo trattenuto senza esserne consapevole. All'improvviso ho caldissimo; il calore mi pervade collo e volto. «Buonasera».
Lui continua a osservarmi in quel modo strano, con le pupille leggermente dilatate, le ciglia che sbattono raramente. Respira in un modo che mi dà la sensazione che la sua camicia debba strapparsi ogni volta che il suo petto si allarga.
«Sono lieto che tu abbia preso la decisione giusta». Mi fa un cenno col mento.
«Già...», faccio ricadere le mani lungo il cappotto. "Ma lo è davvero?"
«Prego, signorina, mi dia il cappotto», il cameriere mi fa distogliere lo sguardo dal mio capo.
Con le mani tremanti, sbottono i primi due bottoni e lo lascio scivolare lungo le braccia. Mi azzardo a sbirciare da sotto le ciglia l'uomo di fronte a me, che stringe appena gli occhi e mi percorre tutto il corpo con lo sguardo. Lui sospira, e lo stomaco mi si stringe in un pugno, lasciandomi col fiato corto. Il ragazzo mi fa accomodare sulla sedia appena prima che le mie ginocchia inizino a tremare.
Nathan si siede, mi guarda in modo indecifrabile. «Mi lasci dire che è meravigliosa stasera».
Deglutisco, il cuore a mille. "Dio, anche tu lo sei". Sbatto le palpebre incredula di ciò che ho appena pensato e mi schiarisco la voce.
«Signore, sono qui solo perché voglio parlare delle mie dimissioni, perciò andiamo direttamente al dunque». Stringo i braccioli di velluto della sedia. Sono estremamente a disagio.
Nathan alza il sopracciglio e un sorriso fa capolino alle labbra carnose. «Vedo che non perdi tempo», mi dà del tu. «Posso darti del tu, vero?»
"Tanto l'hai già fatto". Annuisco col volto in fiamme.
Il cameriere torna con una bottiglia di rosso che scaraffa e deposita sul tavolo il decanter.
Scivolo con lo sguardo sul tatuaggio che adorna quasi tutto il braccio sinistro del mio capo e prosegue sotto la camicia. Sembra un grosso gambo di rosa con delle spine, in mezzo c'è un orologio che non segna le ore, ma i mesi.
Gli ingranaggi minuziosamente dettagliati. Distolgo lo sguardo velocemente, prima di essere colta in fallo, ma sento i suoi occhi addosso e mi sento nuda.
Il vestito mostra fin troppo il mio seno abbondante, e anche se si sta comportando come un vero signore, io lo conosco. Ho fatto un grave errore a indossare un abito del genere.
"Maledetta Carmen!"
Il cameriere versa il vino nei rispettivi calici e ci lascia di nuovo soli; il cuore mi salta in gola.
«Se hai deciso di licenziarti per via del nostro... bacio...», mi osserva da sotto le ciglia, calmo. Il petto in fuori tende la camicia, «ti chiedo di non farlo. È stato un mio errore. Non credevo che ti avrei ferita, ho presupposto che anche a te sarebbe piaciuto».
Sospiro: «Non si tratta solo di quello. È da quando ci siamo conosciuti che mi dà il tormento. Io...» Non ce la faccio più.
«Non era quella la mia intenzione. Voglio che tu ti senta al sicuro con me», aggiunge, piegandosi leggermente in avanti per enfatizzare le sue parole.
Agguanto il bicchiere e bevo un sorso. Mi sento troppo a disagio, ho bisogno di alcool.
Lui alza un sopracciglio nero e folto, divertito. «Alla salute», solleva il calice nella mia direzione e beve a sua volta.
«Lei non mi fa sentire al sicuro. Non so che cavolo di gioco stia cercando di fare con me, ma le assicuro che non glielo permetterò oltre. Ho convenuto che licenziarmi sia la cosa migliore. Quindi sono qui per chiederle di permettermi di restare a casa dalla settimana prossima senza che i miei studi subiscano alcun tipo di ripercussione». Esigo.
Lui mi osserva imperturbabile, tace. "A cosa stai pensando?"
Il cameriere torna con gli antipasti. Il profumo delle verdure mi fa venire l'acquolina in bocca, ma non mi scompongo e mentre il ragazzo mi mette di fronte il cibo sostengo lo sguardo del mio capo.
«Questo... non è possibile. Non posso permettermi di perdere una persona valida come te». Congiunge le mani sopra il tavolo e si avvicina, tanto da sovrastare la distanza che ci separa.
La sua eccessiva vicinanza mi mette in allerta, mi sudano le mani e respiro a fatica.
«Beh, la decisione non spetta a lei, mi pare!» rispondo secca.
Un ghigno gli nasce sulle labbra; stringo forte i pugni sotto al tavolo. Gli occhi di un nocciola intenso si accendono di sfida. Ed ecco che torna a essere sempre il solito, quello che non sa accettare un no come risposta.
Agguanta il bicchiere e lo porta alle labbra, il suo sguardo scivola impudente sulla mia scollatura e io mi stringo appena in spalle per nasconderla, fallendo miseramente.
«No, infatti. Ma farò di tutto per farti cambiare idea. Se il mio comportamento non ti piace, cambierò atteggiamento». Conclude bevendo.
Apro e richiudo la bocca, confusa. Sento il bisogno di toccarmi la fronte per l'imbarazzo, ma faccio appello a ogni briciolo di me stessa per restare composta. Assaggio un asparago cotto al vapore e cosparso di salsa al mirtillo e bevo ancora. "Dio, il cibo è buonissimo".
Il modo in cui mi guarda, come se volesse mangiarmi, mi fa sciogliere le membra, ma è così in contrasto con le sue parole. Sembra tenere a me.
"Perché devi confondermi così tanto?" sospiro e prendo un'altra boccata di vino, abbastanza da svuotare il calice, che lui torna a riempire.
«Ci sono migliaia di persone che farebbero la guerra pur di lavorare nella sua azienda. Perché io?» il caldo mi sale a ondate lungo il collo e prosegue al viso. Sposto i capelli dietro la schiena per rinfrescarmi. Mi sta osservando con una luce indecifrabile negli occhi; sospira e il suo petto si stringe appena. "Dio, è così grosso".
Deglutisco, e pulisco le mani sudate sul vestito. Ho bisogno di altro vino.
«Vuoi davvero sapere il perché?» mi parla piano, il suo timbro è così sicuro che mi sembra di essere prigioniera del suo sguardo, anche se non indosso catene.
Annuisco e bevo. Lui si sfiora le labbra con l'indice, ed io avvampo. "Dio, che cosa mi sta succedendo?"
Smette e si appoggia alla poltrona, sospirando, la testa leggermente piegata. «E va bene. L'hai voluto tu. Punto primo: Ci siamo baciati e mi è piaciuto».
Sgrano gli occhi deglutendo, il cuore inizia a battere velocissimo nel petto. «E punto secondo: tu mi piaci...», lascia volutamente la frase in sospeso per vedere la mia reazione. Sono incredula. Strabuzzo gli occhi, sbattendo le palpebre e mi riporto il calice alle labbra. Lui si piega un po' verso il tavolo aggiungendo: «Molto».
«Io...cosa?» Le farfalle nel mio stomaco stanno danzando a una velocità spropositata. Benché non voglia pensare all'effetto che mi fa, devo ammettere che anche lui mi piace, almeno fisicamente. Anche se stasera si sta comportando come un vero gentiluomo, dentro è pessimo. Il che mi fa pensare...
Stringo con forza i braccioli e raddrizzo la schiena. «Questo è l'ennesimo gioco, vero? Ti stai burlando di me».
Nathan sospira in quel modo da toro che mi fa sciogliere anche i ghiacciai dell'Antartide.
"Maledetto".
«Se avessi avuto intenzione di prenderti in giro, non ti avrei invitata a cena e non sarei qui a pensare al tuo corpo fasciato in quel delizioso abito», stringe gli occhi, scrutandomi il corpetto; avvampo. «L'unica cosa che penso è strappartelo per farti vedere quanto mi piaci».
Mi gira la testa e all'improvviso ogni parte di me vuole le sue mani addosso. Ovunque. Vorrei assaporare di nuovo le sue labbra. Ricordare ancora una volta quanto erano piene e morbide, e le sue mani che mi stringevano la pelle.
Bevo ancora, mentre l'intimo mi pulsa peggio del cuore e le mutandine si inumidiscono in modo vergognoso. Ho il respiro irregolare, sento caldo e voglio le sue labbra addosso.
"Riprenditi, stupida. Che cosa ti prende? Questo è quello che ti ha trattata come una pezza da piedi!"
«Io... sono una sua dipendente». Sussurro, quasi in trance.
«Questo non ha alcuna importanza». Risponde con lo sguardo acceso.
"Ha capito che mi ha turbata?"
«Per lei forse. Per me invece ce l'ha eccome».
Nathan sorride, un sorriso bellissimo che fa apparire una fossetta sulla sua guancia destra. "Ecco, ci manca la dannatissima fossetta. Figurati se non doveva essere perfetto in tutto e per tutto".
«Ti sei approfittato di me», lo accuso bevendo il vino ancora e ancora.
"Brava ottima mossa, imbecille. Ubriacarti non è la soluzione". Faccio un lungo respiro.
Lui sbatte le palpebre, stringendo appena la mascella, come se si stesse contenendo. Torvo, sussurra: «Quello è stato soltanto un bacio. Te ne saresti resa conto, se avessi voluto approfittarmi di te».
Strizzo gli occhi, il vino mi sta dando alla testa. Le parole mi scappano dalla bocca: «E cosa farebbe il signor tenebroso, di peggio?»
I suoi occhi si accendono, il suo respiro si fa irregolare, ma non riesco a concertarmi. Mi gira la testa.
"Forse non avrei dovuto bere così tanto. Fanculo, quando mi ricapita più ingurgitare un vino così buono?".
«Ti strapperei il vestito di dosso, proprio qui, per vedere cosa nascondi sotto». Parla piano, il timbro cavernoso, e picchietta il tavolo con l'indice, come se fosse un tic nervoso per trattenersi.
Lui sospira e io trattengo il fiato nei polmoni. Mi sento umidiccia. «E ti mangerei in modo ben peggiore di quel bacio che tanto hai detestato». Aggiunge, stringendo il bracciolo della poltrona.
Le vene del suo avambraccio si ingrossano e tendono la pelle. Dio, vorrei leccarglielo. Mi sento accaldata, ho il fiato corto e sento pulsare l'intimità da dover stringere le cosce.
Bevo un altro po' per trattenere a bada i miei pensieri impuri e per bagnare la gola arida.
Lui si ritrae. «Ma se lo faccio, tu mi odierai di nuovo, e non è ciò che voglio».
«Io... lo voglio...» sussurro, stringendo ancora di più le cosce.
Un ringhio basso lascia le labbra dell'uomo tenebroso di fronte a me.
«Non dire cose di cui poi ti penti, ragazzina».
«Va bene. Come vuoi...»
Impreca a denti stretti, all'improvviso si alza e mi torreggia di fronte. Un ciuffo corvino gli ricade sulla fronte; sento il bisogno di spostarglielo. Lui mi afferra la mano e mi trascina in piedi. Mi stringe per la vita, il calore del suo corpo mi rende ancora più bollente, se possibile. Ho l'intimo in fiamme, pulsa come un ferro appena lavorato.
«È l'ultima occasione per fermarmi», sussurra, talmente vicino alle mie labbra che mi manca un battito. Il dorso della sua grossa mano mi accarezza la guancia.
"Non ti fermerò", chiudo gli occhi.
Il suo pollice mi schiaccia il labbro inferiore, che freme di essere succhiato. Ogni terminazione nervosa è concentrata sulle sue movenze: dove mi tocca, io brucio; dove mi sfiora, la mia pelle si elettrizza e vuole di più.
Apro gli occhi e sollevo il mento verso di lui, è talmente bello e oscuro che mi sento ammaliata, dannatamente attratta dal diavolo in persona. Mi avvicino, gli sfioro le labbra e il formicolio alla base del mio collo si intensifica. Mi ritraggo, lui mi guarda negli occhi, una luce brilla nelle sue iridi pazzesche. Trasmettono una determinazione che non ho mai visto in nessun'altra persona, tranne lui.
Poi mi bacia. Le sue labbra si schiantano sulle mie in modo impudico. Mi morde, mi lecca, mi succhia con urgenza. Apro la bocca per farlo entrare e la sua lingua mi divora frenetica, lui mi tira indietro i capelli per avere maggiore accesso alla mia bocca. Mi morde, mentre mi stringe con forza il collo per tenermi alla sua mercé.
Le farfalle impazziscono, il sangue correre furioso alle tempie, le gambe si sforzano per tenermi in piedi. Sento il bisogno di abbandonarmi alle sue braccia forti. Cerco di stargli dietro, ma le sue mani mi accarezzano la pelle, dietro le cosce.
"Dio, sta cercando di prendermi in braccio..."
Spengo il cervello. Gli getto le mani al collo e lo lascio fare. Lui mi deposita con urgenza sul tavolo dove avremmo dovuto cenare. La sua lingua mi rapisce i respiri, mentre lui mi apre le cosce e ci si piazza in mezzo. Preme i fianchi contro il mio inguine, facendomi sentire l'urgenza della sua eccitazione.
Mi sento un lago. Sono un lago. Gemo, ficcando la lingua nella sua bocca e assaporando le note acri del vino. Gli tocco la base del collo, mentre lui mi tiene stretta con una mano, con l'altra mi strizza un seno: avvampo e sento lo stomaco vibrare. Non riesco a ragionare. I suoi capelli sembrano seta, la sua bocca è il paradiso.
Oppure l'inferno.
Sì, la sua bocca è l'inferno. Quest'uomo bacia come se stesse per andare in guerra. Non mi dà tregua, continua a succhiare le mie labbra come se volesse cogliere un nettare che non c'è. Le nostre lingue si legano, giocano e ancora affondano nella bocca dell'un l'altro. Non riesco a tornare lucida.
Si stacca appena, per permettermi di respirare. Entrambi abbiamo il fiato corto, ma io ne voglio ancora.
Aveva ragione, è capace di strappare ogni mia convinzione con un solo sguardo.
Mi rendo conto di avere l'abito spiegazzato e il seno è più visibile del solito. Mi ha palpata, e a me è piaciuto.
Mi prende la mascella con una mano e mi fissa, il suo respiro è pesante e irregolare. «Sei ubriaca».
"Forse..." scuoto la testa.
«Cazzo!» mi tiene prigioniera, restando in mezzo alle mi cosce con un mezzo sorriso sulle labbra. «Andiamo, ti porto a casa».
Mi rimette in piedi, sbatto le palpebre senza riuscire a connettere bene il modo in cui il mondo mi si muove attorno. L'unica cosa che so è di essere stata baciata da un dio.
«No, non voglio andare a casa da sola». biascico, toccandomi la fronte; gira tutto.
«La tua amica non è in casa? Non hai le chiavi?»
Scuoto la testa e lo fisso. Fisso le sue labbra. E anche lui fissa le mie. "Sono così buone... Ma perché dovete piacermi così tanto?"
«Non guardarmi così, ragazzina», ringhia in un verso roco; scoppio in una risata. Lui assottiglia lo sguardo e alza un sopracciglio. «Ti faccio ridere?»
Nego di nuovo, trattenendo le risate. «No, no».
Ride anche lui, nascondendo il volto dall'altra parte. «Andiamo. Resti da me stasera».
Mi fermo di botto sbattendo le palpebre, il sorriso si spegne. "Ho sentito bene?"
«C-cosa? Non verrò a casa sua», rispondo sicura, a tono.
«Sì invece, non ti lascerò da sola a casa tua conciata così...» sospira.
Apro e rinchiudo la bocca. «Non voglio!»
«Ti prometto che non ti toccherò con un dito. Voglio soltanto assicurarmi che starai bene durante la notte». Lui mi osserva in quel modo super penetrante e a me manca il respiro.
Resto zitta, lui mi mette una mano in vita, stringendomi a sé. Recupera il mio cappotto, me lo mette sulle spalle e usciamo dal ristorante. Non gli ho ancora detto che accetto la sua ospitalità, quando mi fa sedere in macchina e dice al suo autista: «Va a casa, Brad».
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