CAPITOLO 10
~NATHAN~
Ogni uomo è completamente pazzo per almeno cinque minuti al giorno.
Elbert Hubbard
Luke è molte cose, ma soprattutto una vera spina nel fianco. È mezz’ora che blatera dell’affare di cui mi aveva parlato e, benché quand’eravamo a New York ci eravamo tutti e quattro ripromessi di non fare più cazzate del dovuto per non incorrere in altri problemi, eccoci qui.
Dylan è incazzato sin da quando siamo arrivati a Bologna, qualsiasi sia il motivo, ancora non ce l’ha detto.
Daniel continua a chiamarmi perché le faccende delicate lo rendono apprensivo e teme una mia reazione esagerata che potrebbe rovinare i suoi progressi.
E ora, Luke continua a straparlare di quel dannato vecchio edificio fuori uso, senza dirmi cos’ha in mente.
«Non puoi negare che è in un punto strategico e, ti piaccia o no, ci serve una base», rotea la bottiglia di Johny Walker che tiene tra l’indice e il medio. È stravaccato sul divano del salone con una gamba penzoloni e la testa reclinata indietro, il naso puntato verso gli affreschi sul soffitto.
Sbuffo, alzando gli occhi al cielo, e chiudo l’I-pad. «Ricordami per quale motivo siamo giunti qui, Luke?»
Lui continua a far oscillare la bottiglia senza guardarmi. Accigliato, contempla la cerva sul soffitto, che guarda dietro di sé con gli occhi sgranati come se temesse per la sua vita. «La nonna ti ha obbligato a presentarti nell’azienda di tuo padre e tu hai obbligato me a seguirti».
“Che melodrammatico del cazzo”, sospiro. «E quindi cosa c’entra quell’edificio logoro?»
«Molte cose, se solo ci pensassi a fondo». Mi risponde per enigmi. «Questo affresco rappresenta la caccia!» spalanca la bocca, come se ci fosse arrivato solo ora.
Sospiro, ma un pizzico di rabbia mi fa serrare la mascella. Assottiglio gli occhi e sbotto: «Luke, porca puttana! Cosa cazzo hai in mente?»
«Voglio solo avere la possibilità di avere una seconda via di fuga nel caso le cose si mettessero male con loro, Nate. Se tu ti fermassi un attimo a pensare con la mente lucida, ci arriveresti da solo», il mio amico volta lo sguardo verso di me, i suoi occhi verdi brillano, come se avesse trovato soluzioni ovvie che a me sfuggono.
Aggrotto la fronte, appena capisco di chi sta parlando e serro i pugni. In fin dei conti, forse sarebbe saggio ascoltarlo.
Ma come si fa ad ascoltarlo quando si comporta sempre come uno scemo?
«Sii serio e spiegami che cos’hai in mente senza girarci attorno, Luke. Perché giuro su chiunque ci sia la sopra che mi stai facendo perdere la pazienza».
Lui si alza di scatto, rimettendosi seduto, i suoi occhi felini catturano i miei mentre prende un generoso sorso di whisky.
«Loro conoscono ogni nostra mossa. Per quanto tu ti ostini a tenerli lontani, sono sempre presenti. Che ti piaccia oppure no, Nate», afferma, gonfiando il petto.
Serro la mascella, nel petto mi si genera un calore denso molto simile alla rabbia. Assottiglio lo sguardo, cercando di decifrare la mente contorta del mio amico, e cerco di tenere fuori dai miei pensieri le cose macabre che vorrei fare a “Loro”. «Cosa c’entrano?»
Luke si stringe nelle spalle e fa una smorfia. «Con l’edificio, intendi? Nulla. Ecco perché continuo a parlare di quel dannato posto».
Ha lo sguardo deciso e il mento in alto, un ciuffo biondo gli cade sulla fronte. È fiero della sua idea, e per quanto mi costi, lo sono anch’io, perché in effetti, ha ragione. “Loro non lo sanno!”
Annuisco, gonfiando il petto. «E come faremmo a nasconderlo?»
Il mio migliore amico fa un sorriso da squalo, inquadrandomi da sottinsù coi riccioli biondi che gli nascondono le sopracciglia. «Matilda».
Muovo appena il capo e faccio un lungo respiro. Per quanto sia tentato, abbiamo promesso che non avremmo mai incluso le ragazze nei nostri affari oscuri. Né lei né Virginia. Rilasso il viso per non mostrare alcuna emozione e mi alzo dalla poltrona.
«No. Abbiamo promesso di tenerle fuori».
Luke si alza di scatto, poggiando la bottiglia ai piedi del divano, e mi viene di fronte sicuro di sé. «Ma loro saranno fuori, Nate. Il suo compito sarà quello di possedere un semplice bar, all’apparenza».
“All’apparenza…”
Sgrano gli occhi, un po’ perché sono veramente colpito dall’idea geniale del mio amico, e un po’ perché una è appena passata per la mia, di mente. «Tunnel!»
Il mio amico sorride e muove le sopracciglia come a dire “finalmente ci sei arrivato”.
«E loro non lo sapranno mai. Anche se facessero le investigazioni giuste, scoprirebbero solo che Matilda ha acquistato un immobile e aperto un locale. Potrebbero controllare ogni cosa, ma non riuscirebbero mai a scoprire i sotterranei perché…», fa una piccola pausa, come se mi dovesse svelare un mistero, ma sorrido.
È un piano infallibile, se realizzato con le dovute attenzioni. Luke ha avuto una grande idea ed è tutto nato grazie a un cazzo di scommessa infantile.
«Perché nelle piantine non ci sarà nessun tunnel, e tantomeno sotterranei… Dobbiamo essere in completo vantaggio su ogni loro mossa», inizio a camminare per la stanza, mentre le idee si affollano una sull’altra.
«Dobbiamo fare in modo che lo vengano a sapere prima che inizino i lavori, ma dopo aver firmato l’acquisto. Deve arrivare alle loro orecchie il giorno stesso, cosicché facciano le ricerche per le informazioni che servono loro. E quando scopriranno che noi non c’entriamo niente, perderanno interesse. Questo ci farebbe guadagnare terreno, perché se loro non scoprono nulla, a parte che Matilda è la proprietaria, con me che ritorno in America, comprenderebbero che è un mero acquisto commerciale per arricchirsi. Basta che i lavori inizino dopo e, una volta conclusi, loro non avrebbero alcun interesse a controllare», mi fermo, ghignando nella direzione del mio migliore amico, anche lui ha un sorriso compiaciuto.
Luke estrae il pacchetto di Marlboro rosse dalla tasca e ne accende una, guardandomi da sotto le ciglia. «Ora, dobbiamo parlare con Matilda».
Gonfio il petto, annuendo mentre sostengo il suo sguardo, quando il telefono squilla dentro la tasca dei miei jeans. Lo prendo e mostro a Luke il display. «Parli del diavolo…»
«E spuntano le corna», sorride, prendendo una generosa boccata di nicotina; rispondo a Matilda, restituendogli uno sguardo d’intesa.
«Senti, figlio di quella santa donna, questa me la paghi!» urla attraverso la cornetta.
«Cos’ho fatto?» aggrotto la fronte, confuso dall’irruenza della sua voce e ignaro sul perché sia su tutte le furie.
«E me lo chiedi?» urla di nuovo.
Alzo gli occhi al cielo.
«Sì. Perché non lo so! Parla».
«Ho visto Anna quando è entrata al lavoro, e non stava bene. Era in lacrime! E non provare a dire che tu non c’entri nulla, perché so benissimo che sei stato tu a farla piangere!» abbaia.
Resto calmo, nonostante l’inspiegabile stilettata al petto. Vorrei dirle di farsi gli affari suoi, ma stringo la mascella fino a farmi dolere i denti, e taccio. «Mi ha detto di avere un’allergia agli occhi, ma non le ho creduto, perciò: cosa le hai fatto?»
«Niente», mantengo un tono freddo, lei resta in silenzio e sospira.
«Te lo chiedo un’altra volta, Nathan. Cosa le hai fatto a quella povera ragazza?» la sua voce è perentoria, quasi mi manda all’esasperazione.
Deglutisco, se voglio farla immischiare in questo grande gioco, non posso redarguirla come vorrei. Devo dargliela vinta. Luke assiste a tutto sorridendo come uno squalo. “Bastardo!”
«Volevo scusarmi con lei, ma a quanto pare ho peggiorato la situazione».
Il mio amico inarca le sopracciglia, se non lo conoscessi direi che è sorpreso, ma in realtà è intrigato.
Matilda sospira nervosa attraverso il cellulare: «Mi ha chiesto le ferie, Nathan. E io gliel’ho concesse!» Mi attacca il cellulare in faccia.
Il sangue mi corre convulso nelle vene, mentre una vena mi batte nella tempia sinistra; serro con forza la mascella. Quella ragazza si prende troppe libertà che non dovrebbe. L’unico motivo per cui non la minaccio è che è un’amica d’infanzia, e ora è anche cruciale per il piano sviluppato con Luke.
Il problema più grande, in realtà, è quella mocciosa. Mi sta dando del filo da torcere e non lo credevo possibile, nonostante il diverbio iniziale. Questa scommessa del cazzo mi sta coinvolgendo più del dovuto.
La cosa più assurda è che mi sta piacendo.
I passi di Brad mi fanno riemergere dai miei pensieri. Mi volto verso di lui, mentre si ferma sulla soglia. «Signore. C’è Michael per lei. L’aspetta nell’atrio». Mi informa, asciutto.
«Conducilo nello studio, arrivo tra un attimo». Rivolgo lo sguardo ancora verso il biondo rompipalle. «Trova Dylan, dobbiamo fare una riunione!»
Annuisce in silenzio, oltrepassandomi, e imbocca la porta. «Ci sentiamo dopo».
Michael mi attende in piedi, vicino alla porta dello studio. Gli stringo la mano e lo invito a sedersi su una delle poltrone, mentre mi avvio a prendere due bicchieri dal piano bar. Li riempio di whisky e gliene porgo uno. Prima di bere, mi porge una cartella nera.
«Qui ho tutto ciò che ho scoperto, dai suoi nonni fino al suo colore preferito. È una bella lettura», rivolge lo sguardo verso il tumbler poggiato sul tavolo e torna su di me. «C’è una cosa davvero interessante, però, signore…»
«Di che si tratta?» Cosa, in quella mocciosa, potrebbe attirare l’attenzione di un investigatore professionista?
Michael mette a posto la giacca del suo completo grigio e muove il capo, come se dovesse decidere se è o non è importante ciò che ha da dirmi. Alla fine, punta gli occhi nei miei.
«Si tratta di suo padre. Sembra essersi assentato a lungo durante la sua prima infanzia. Sembra andasse a pesca con una certa cadenza regolare… Se vuole, posso indagare più a fondo per capire se è realmente così».
“A pesca? Perché la cosa dovrebbe essere strana?” assottiglio appena lo sguardo; non posso essere dubbioso su ogni persona che incontro.
Per il momento, mi bastano le informazioni che già ho, anche se una parte di me è più interessata del dovuto alla cosa.
«Ti farò sapere, Michael. Per il momento concentrati sulle cose importanti».
Michael annuisce e dopo aver svuotato il bicchiere, lo congedo. Lui mi saluta con un cenno del capo e se ne va. Sul dossier poggiato sulla scrivania campeggia la scritta: Anna Giordania.
«Vediamo cosa nascondi, ragazzina». Lo prendo e lo sfoglio.
SOGGETTO: Anna Giordania.
Età: 22.
Nata a: Viareggio il 17 settembre 2002. Figlia unica.
Padre: Alberto Giordania, 54 anni.
Madre: Beatrice Fantini, in Giordania, 50 anni.
Occhi: Marroni
Pelle: Bianca
Altezza: 1.60
Studi: Università di Bologna. Lingue straniere.
Domicilio e coinquilina: Carmen Bianchi.
Sfoglio velocemente le pagine: contengono tutto ciò che mi serve a corteggiarla e farla innamorare.
Ghigno, grazie a tutte queste informazioni, la scommessa sarà mia. Chiudo la cartella, salgo al secondo piano e lascio il cellulare in carica.
Mi tuffo sotto la doccia e il suo visino prende forma davanti ai miei occhi. Le sue labbra piene, sempre pronte a rispondermi per le rime, sono ancora più appetitose. Ghigno, immaginando di stringere il suo seno pieno e sodo e dai capezzoli turgidi nel palmo della mano.
Avvampo e il cazzo si rianima. È così duro da farmi male, la vena più gonfia tira talmente tanto che anche solo toccarmelo mi fa vibrare i muscoli. Ci chiudo attorno la mano e la sposto piano lungo l’asta, chiudendo gli occhi mentre immagino le labbra morbide di quella ragazzina che si chiudono intorno al glande gonfio.
Ci rotea la lingua attorno, la lecca con dedizione e mi provoca con gli occhi da cerbiatta fissi nei miei. Spalanca quella bella boccuccia rosa e se lo infila fin dove può arrivare nella sua bocca calda e scivolosa.
Ad occhi chiusi, si sposta i capelli dietro l’orecchio e iniziare a succhiare con prepotenza. Viaggia avanti e indietro con le labbra, ingoiandomi e spingendomi sempre più a fondo nella sua bocca calda e bagnata.
Con un gemito rafforzo la stretta e aumento la velocità, il sangue mi corre veloce nelle vene. Lei mi accarezza il cazzo con la sua lingua umida, come se ne gustasse il sapore. Lecca l’asta dalla base fino alla punta, ingoia il glande sempre più a fondo.
Le sue dita mi corrono sinuose lungo le cosce mentre si tiene in equilibrio per rafforzare la presa e il ritmo con cui mi succhia.
«Oh, cosa mi fai, ragazzina…», ansimo e muovo la mano in scatti sempre più rapidi, mentre immagino di raccogliere i suoi capelli di cioccolato nel pugno e condurla sempre più veloce lungo la mia asta dura come l’acciaio per lei.
Emette piccoli mugolii di piacere mescolati ai bassi gorgogli della sua gola ogni volta che vi sbatto contro e un incendio mi divampa nelle vene. Col basso ventre sempre più teso, una vampata di calore risale dai lombi alla nuca e in uno spasmo che mi fa strizzare gli occhi e mi spezza il respiro vengo in grossi fiotti.
Senza fiato, riapro gli occhi, facendo profondi respiri, e un ghigno mi increspa le labbra. Voglio rendere realtà questa cazzo di fantasia, e lo farò. “Presto…”
Allento la presa, finisco in fretta di lavarmi e infilo un paio di pantaloni da ginnastica. Lo squillo del telefono mi fa avvicinare al comodino dove lo avevo lasciato.
«Dimmi, Luke», mi siedo sul letto coi capelli ancora bagnati...
La sua voce rimbomba attraverso l’auricolare: «Ho visto la tua piccolina, sai?»
«Dove?» alzo un sopracciglio; quando vuole, il mio amico sa stuzzicare alla grande la mia curiosità.
«Federico non fa altro che parlare di lei», ride.
Una parvenza di fastidio mi solletica il petto, sono io ad averle messo gli occhi addosso per primo. Peggio per lui, ha già perso in partenza. A giudicare da quanto si scalda ogni volta che la guardo, Anna Giordania è una sfida che ho già vinto. Devo solo farla innamorare; ghigno.
«Le cose si sono fatte più divertenti del previsto».
«Conoscendoti, so già come hai preso questa storia, ma ricordati che stiamo parlando di una persona, Nate», Luke torna improvvisamente serio.
«Oh amico, rilassati, so quello che faccio!» sogghigno. «Dimmi quello che mi devi dire senza tanti giri di parole», rivolgo lo sguardo verso l’affresco di una battaglia che occupa il soffitto, sangue e morte si susseguono a ogni atto del dipinto.
«Mio cugino vuole uscire con lei. Gli ho detto che non si può, perché è già occupata, ma non vuole darmi ascolto perché lei gli ha detto che è libera. L’ha invitata sabato al suo compleanno».
Una punta di fastidio mi attanaglia di nuovo il petto, come se qualcuno mi avesse punto con un ago. Devo assolutamente fare il primo passo.
Cammino avanti indietro per la stanza, mentre mi scompiglio i capelli. «Beh, la sfida mi piace Luke. Forse dovrei portarla a cena fuori… Spero solo che tuo cugino non ci resti male, una volta che l’avrò vinta».
«E sei lei scegliesse lui? Si conoscono, e da quello che ho capito sono anche molto amici…»
Un’altra stilettata mi scalfisce il petto, deglutisco e col mento alto abbaio: «Sceglierà me! Scelgono sempre me!»
«Nate…», la voce di Luke contiene un velato rimprovero che mi fa avvampare. Senza chiedergli se ha altro da aggiungere, a parte queste stronzate, butto giù la chiamata e mi dirigo spedito verso il piano degli alcoolici.
«Sceglierai me, ragazzina. Con le buone o con le cattive».
💜 Spazio Autrice 💜
Vi ho fatto attendere, lo so.
Ma spero dal profondo del mio cuoricino viola, che questo capitolo vi abbia fatto vedere le stelle. 🙈...
Almeno giusto nella doccia. 🤪.
Per quanto riguarda a Nathan, beh, che dire... lui non si smentisce mai. Troppo orgoglioso per ammettere di avere un rivale.
💜💜💜
Come sempre, vi invito a seguirmi sia su instagram come Kappa_07_author che su Tiktok come Kappa_07_wattpad
Attendo con ansia, tutti i vostri commenti e soprattutto SCLERI
Per sempre vostra,
KAPPA_07 💜
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