3. James rischia la pelle, ma ne vale la pena

30 aprile 1976, ore 10:05

Dagli spalti la folla di studenti adoranti ci accolse tra fischi e grida. Era una mattina di sole, non troppo fredda, né troppo calda, perfetta per il Quidditch.

Radunai la squadra al centro dello stadio: Marlene McKinnon, Jonathan Bell e Samuel Laurence come cacciatori; Dorcas Meadowes e Christian Bell come battitori; Frank Longbottom era portiere, ma aveva l'aria di chi preferirebbe falciare l'erba del campo. E, dulcis in fundo, la mia regale persona aveva l'arduo ruolo di cercatore e capitano.

«Okay, è nostro momento. Siete pronti?» chiesi con entusiasmo. Frank alzò una mano, con l'espressione di chi vorrebbe condividere ansie e preoccupazioni con il gruppo, perciò intervenni: «Frank, ne abbiamo già parlato. Do per scontato che siate pronti, quella è una domanda retorica».

In tutta risposta, il mio portiere roteò gli occhi scocciato, come se il capitano non avesse sempre ragione. Lo lascia perdere.

«Bene, se nessun altro sente l'esigenza di interrompermi, procedo con il discorso pre-partita» continuai. Uno scoppio di ilarità nel reparto femminile della squadra ruppe il momento di silenzio preparatorio al mio capolavoro di oratoria.

Squadrai Dorcas, la quale si era affrettata ad abbassare lo sguardo per evitare di fronteggiare il capo. «Qualcosa da comunicare?» la ripresi. Lei risucchiò le labbra e alzò le sopracciglia, scuotendo la testa.

«Bene, allora procedo» dissi con somma dignità. Mi schiarii la gola e cominciai: «Destinti compagni di squadra -qui ignorai le risatine-, siamo qui riuniti oggi per compiere la nostra missione: sconfiggere le squadre indegne...»

Chris si permise di commentare: «Capitano, non stiamo partendo per le crociate».

Lo fulminai e ripresi. «...e dimostrare ad Hogwarts chi è che comanda.» concessi una pausa di suspence teatrale «Dunque, ricordiamoci tutti che siamo i più forti e che se perdiamo potrei prenderla sul personale».

Marlene annuì con viso intenditore. «Amen, amici».

Un potente fischio interruppe ogni conversazione nel rombo delle urla entusiaste degli spettatori. In men che non si dica ci trovavamo tutti ai nostri posti, a dieci metri dal suolo. Un secondo fischio segnò l'ufficiale inizio della partita, mentre le palle da gioco venivano messe in campo.

Come una scheggia partii all'inseguimento del boccino d'oro assieme al cercatore di Serpeverde, Regulus Black. Per un breve attimo mi squadrò con occhi troppo simili a quelli del mio migliore amico per non turbarmi, ma mi costrinsi a rimanere concentrato.

Sotto di noi le grida del pubblico e la squillante voce della cronista, Mary Mcdonalnd, si fondevano in un terribile, meraviglioso frastuono.

«E SERPEVERDE SEGNA I PRIMI DIECI PUNTI» esclamò «ma Grifondoro torna all'attacco: la pluffa va a Bell, Bell passa a Laurence, Laurence fa una finta e la ripassa a Bell. Bell schiva un bolide. Ehi, quello era disgustosamente sleale! -la voce della professoressa McGrannitt la fulminò-. Bene, Bell ha ancora la pluffa, si avvicina alla porta avversaria, ma viene accerchiato. Tenta un lancio azzardato, passa la palla a McKinnon, McKinnon riesce a prenderla e... GRIFONDORO SEGNA».

La partita procedette agguerrita. Eravamo in pareggio di centoventi punti, il momento perfetto per catturare il boccino, ma si era volatizzato nel nulla. A dir la verità, si era volatilizzato anche Regulus e questo mi spaventava non poco.

Scesi di cinque o sei metri, nello strato di partita appena sopra il centro dell'azione, riuscendo finalmente a scorgere il cercatore avversario, fermo dall'altra parte del campo. Doveva essere piantato quanto me.

Serpeverde segnò di nuovo e Grifondoro si ritrovò in svantaggio di dieci punti. «Dannazione, ma Frank si è preso le ferie anticipate?» pensai, per poi portare lo sguardo al ragazzo, che imbarazzato mi fece un cenno di scuse. Scossi il capo e abbassai lo sguardo.

Ed eccolo, il boccino luccicava all'altezza degli spalti. Schivando i giocatori di Serpeverde, mi fiondai verso la piccola sfera dorata. La inseguì lungo il perimetro interno dello stadio, finché non riuscii a chiudere il pugno attorno al metallo gelato.

La Hooch non fece in tempo a portarsi il fischietto alle labbra che un bolide accidentale mi fracassò le costole, con una potenza tale da disarcionarmi dalla scopa e schiantarmi contro la tribuna di Grifondoro.

Già mi sentivo con un piede nella fossa, sfracellato sulla ghiaia, quando m'accorsi di una mano saldamente arpionata al mio polso. Alzai lo sguardo e tra le crepe delle lenti distinsi una nuvola rossiccia e familiare.

«Potter, non darmi una buona ragione per lasciarti cadere» ansimò Lily Evans, il mio angelo salvatore. «Per Godric, pesi più della Piovra Gigante» commentò, tralasciando il fatto che il peso fosse tutto muscolo da fisico marmoreo. «Ehi!» fu la mia brillante risposta.

Quando, con l'aiuto di Remus ed Alice, fui issato su terra ferma, la vita riprese, dopo il glaciale silenzio che aveva accompagnato la mia eroica caduta. Mary alla cronaca si indignò: «Questa è una penalizzazione! Deve essere una penalizzazione! James poteva lasciarci le penne».

Infatti, la Hooch fischiò per sottrarre venti punti punitivi a Serpeverde. A quel punto l'attenzione si concentrò totalmente su di me, in attesa. Allora io, dolorante fin quasi alle lacrime, alzai il braccio destro, trattenendo il boccino tra indice e pollice. La folla impazzì.

«GRIFONDORO VINCE LA PARTITA».

❁❁❁

Dopo una breve, spiacevole visita a Madama Chips, fui accolto trionfante nella Sala Comune di Grifondoro.

«NON LO FERMA IL BOLIDE» ululò Dorcas, salita in piedi sul divanetto in centro stanza. E i miei compagni: «POTTER».

Dorcas riprese: «NON LO FERMANO LE COSTOLE ROTTE».

«POTTER».

Sirius, fiaschetta alla mano, si unì: «NON LO FERMANO QUELLE GRAN TESTE DI...». Remus, da una delle poltrone, lo tirò giù: «Ignoratelo, vi prego».

«Per fortuna che l'ho fermato io, allora» commentò la Evans, appoggiata alla parete con uno stendardo di Grifondoro sulle spalle. Ridemmo.

In due rapide falcate la raggiunsi. «Immagino di doverti ringraziare» iniziai nel mio tono irresistibile.

Lei bevve un sorso dalla bottiglia di burrobirra scuotendo la testa e sorridendo leggermente. «Non ti sforzare troppo, Potter. Non vorrei che il tuo venerato ego si affaticasse» rispose sarcastica, ma bonaria.

Le sorrisi. «Non essere così prevenuta, potrei sorprenderti» le dissi, contemplandola mentre roteava gli occhi. In tono serio aggiunsi: «Scherzi a parte, grazie, Lily».
Non usai il suo nome di battesimo per scelta, né per abitudine dato che non potevo averlo usato più di tre volte. Era stato un gesto istintivo che stupì lei quanto me.

Potrei giurare che arrossì, ma non lo diede a vedere. «Sì, sì, Potter, ora non esageriamo -mi diede una pacca sulla spalla spingendomi verso la folla-. Torna alla tua festa. Black deve essere ubriaco da qualche parte».

Seguii il suo consiglio e mi buttai nella mischia, alla ricerca degli altri malandrini.

Sirius era effettivamente alticcio. Aveva un braccio attorno alle spalle Remus e cantava "Good old fashioned lover boy" dei Queen.

Remus rideva abbastanza da far pensare che avesse bevuto anche lui, ma allo stesso tempo lanciava degli strani sguardi cauti alla versione scadente e brilla di Freddie Mercury. Non vi diedi peso.

Rubai le patatine a Peter e la fiaschetta a Sirius, unendomi a lui nel ritornello della canzone.

«OOH LOVE, OOOH LOVERBOY! WHAT'RE YOU DOIN' TONIGHT? HEY BOY».

❁❁❁

🍯sᴘᴀᴢɪᴏ ᴀᴜᴛʀɪᴄᴇ🍯

Non so voi, ma adoro questo capitolo, perdonate la superbia
♡'・ᴗ・'♡

Spero sia piaciuto a voi quanto è piaciuto a me, se così fosse lasciatemelo sapere con una stellina o con un commento.

Un abbraccio virtuale a tutt*:)

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