🌊🏚️🎃 7. Regina dei fantasmi 🎃🏚️🌊
Quando udii le sirene cantare più forte e i fuochi screziati in cielo scoppiare, sentii la vita prendere possesso di me e del mio Palazzo. Mai ci fu rito più potente. Quella marmaglia di gente impudica, disonesta, che s'inventava corbellerie d'ogni sorta sulla mia dimora infausta e che deturpava la mia memoria, la mia villa solenne, il mio intero regno d'anime in pena... aveva le ore che contavano dalla mezzanotte del capodanno di Satana.
Dovetti dare ragione a quella voce lussuosa dentro me che mi spinse a credere in quella demoniaca dinastia. Ero tornata nel mio palazzo a dover salvare e conservare le mie ricchezze, facendo beffa di quella Mercedes, che giunse a me, come l'anticristo sul suo mantello di vedova nera. Ignara oltre modo che anch'io, sua zia, fossi lì a combattere per uscirne vittoriosa da quella nostra lotta che non era cessata neanche con la sua morte.
E che dire di quegli ignobili villici d'una razza napoletana maledetta, che avevano permesso lo scempio di rendere me una ridicola donnicciola senza titolo, né dote. Io ero ricchissima un tempo, io ero illustre per loro, io ero l'amante d'ogni uomo migliore. E, con le loro risate fastose sul mio disonore, m'avevano risvegliata!
Merito fu, so per certo, di quell'adone spavaldo con la forza d'un peduncolo d'erba, fratello di sangue della novella Mercedes, figlia del diavolo! Il suo audace e giovine spirito rimembrava in me le gesta del mio amato Gaetano, che di questi egli non aveva neanche il vigore d'un filo dei suoi capelli.
Ebbi voglia di strapparlo dal volto di Gaia, quel finto sansone, per il vilipendio che aveva commesso nell'oltraggiarmi di bramosie vane. Un membro d'una aitanza come il suo era superfluo, data l'inutilità di quella prestanza oltre modo inaccettabile. Non era l'uomo che appariva essere: a letto aveva l'identica movenza d'uno stendardo steso al suolo.
Avrei voluto farlo perire nel mio letto per vendicarmi di ciò per cui si ripudiava di farmi fregio, ma i suoi begli occhi colore del mare suscitarono in me un senso di pena ed ebbi pietà di lui. Sarebbe stato un peccato cogliere un fiore di bellezza tra le brutture del mondo.
Ero tornata in vita, ma volevo riprendere a vivere. Quel bel cristo mi resuscitò, ma puntai alla speranza di suo padre, l'autentico dio, per rendermi grazie: discesi lungo le scale della mia sala da ballo, sfigurata di orripilanti forme macabre e incurie, e tentai di sedurre quel marito che si mostrava fedele.
Mi appropinquai a rubare lo sguardo del re di denari, ma la riottosità straboccava dal suo volto quando cambiai la sua dama col mio cavaliere. Era doveroso recargli il favore di sostituire la sua regina di cuori con me, una vera regina di cuori.
«Ci conosciamo, mi scusi?» perturbato, domandò.
«Io conosco voi. Conosco tutto di voi. E voi credete di conoscere tutto di me, ma ciò non corrisponde al vero.»
«In che senso, mi scusi di nuovo?»
Le allucinogene musiche crebbero, come la complicità che stava tra noi giungendo alla luce.
«Io sono Donn'Anna Carafa, principessa di Stigliano e viceregina di Napoli.» solenne, pronunciai.
«Ma che genialità il suo costume!» adulò su un paio di giravolte «Nessuno qui ha pensato di travestirsi da Donn'Anna! Le devo fare i complimenti per il trucco, signora, sembra davvero che la sua bocca sia senza denti!»
Incantato scrutò le mie labbra dischiuse, forse intento, chissà, a sigillarle con le sue?
«Non c'è trucco, gentiluomo, la mia bocca è pura magia. Ai miei tempi i denti marci non avevano alcuna utilità, per questo ero l'amante migliore di tutte.»
Il viso gli borbottò silente, un velo d'incredulità rivestì il suo allettante sguardo virile.
«Questo è orrendo, assai perverso... ma è geniale! Di nuovo: complimenti per l'inventiva terrificante che ha avuto!»
La voce schiarii e il mio lignaggio ribadii.
«Gentiluomo, siete tanto avvenente quanto demente.» colta dalla rabbia dello scherno, pronunciai con sdegno. «Vi ho detto che sono Donn'Anna Carafa, non una plebea che finge di essere ciò che non è come chiunque si trovi sotto il mio tetto questa sera.»
La musica, divenuta infernale, che invadeva la sala da ballo, forse, indusse ostacoli al nostro corteggiarci.
«Lei che sembra una buona conoscitrice della vera Donn'Anna, sa dirmi di più su quello che combinasse in assenza del marito?» bofonchiò con un ghigno.
«Perché dirvelo quando potrei adesso mostrarvelo?» volteggiai con grazia, tenuta dalle sue vigorose braccia.
Drappeggiai il suo mantello e lo invitai a contemplare il mio petto dirompente. Avvicinai il suo sguardo assorto alla scollatura del mio abito meraviglioso. Avanzai le labbra, ma lui eluse al loro tocco persino le gote irsute.
«Donn'Anna, gentile signora.» proferì ritegnoso «Sono lusingato, ma le devo ricordare che sono felicemente sposato con la Regina di cuori.»
«Potete avere la regina di Napoli.» preservai.
«Donn'Anna Carafa non è mai stata regina di Napoli, questo lo so per certo...» mise in dubbio le mie parole.
«Ero destinata a diventarlo, per tutti sono la regina dei fantasmi!»
Si voltò gretto di fiato a occhieggiare gli altri ballerini, tra dame e damerini.
«La regina dei fantasmi? Sarebbe calzante visto la sua maschera, ma se intende la proclamazione che avverrà tra poco devo avvisarla che quel posto probabilmente è già aggiudicato per mia figlia Claire, se non lo sa è da lei che è partito tutto... la avviso che potrebbe rimanere un po' delusa.»
«So perfettamente che è per Mercedes che siete accorsi qui a perpetrarmi!»
Scostò l'inquieto sguardo altrove per rintracciare la sua donna piena di boria. Mi avvalsi della sventatezza per afferrargli con foga il girocollo dell'abito da re e baciare con ardore le sue labbra proibite. Egli repulse qualche istante dopo che le nostre lingue avevano preso a intrecciarsi come delle rime dantesche.
«È pazza?!» smaniò «Come ha potuto qui davanti a tutti?!»
Le rughe che gli ridisegnavano il viso statuirono silenzi di rabbia. Cinse le mie mani come se fosse un serpente velenoso intento a mordermi e lasciarmi perire dinnanzi a tutta una nuova corte di gentaglia, la cui unica nobiltà risiedeva nella raffinatezza delle loro mentite spoglie.
«Le congetture di tutti domino, .» proferii, in alto il mento.
Mi rivolse degli sguardi empi che presagivano un rifiuto illecito nel continuare ad interloquire insieme a me e si ritirò a ballare con quella orribile ladra di sua moglie, che non mi aveva lasciato nessun pezzo di suo marito. Regina, quella donna, poteva esserlo solo dello stabbio!
Scagliò su me incorporee frecce d'invidia. I suoi occhi inzaccherati di ghiaccio: una brace ardente che giungeva sibilando dall'inferno. Era lei il diavolo con la sua effige, aveva portato al mondo quella novella Mercedes! Con colpa mi squadrava fin dentro la sottana, ma la colpa era la sua, miserabile puttana.
Dovevo ucciderla insieme a sua figlia, così da riappropriarmi della mia residenza. Portarle via il dio che corrompeva, l'uomo che amava, come a me accadde tempi orsono. Ero io più giovane, ero io la vera diva! Ero io la regina e dovevo ritornare ad esserlo senza che una meretrice qualunque mi detronizzasse. Come poteva solo osare quel re preferirla? Tutto lì dentro mi apparteneva e tutto mi sarebbe appartenuto in eterno.
Avrei dovuto agire forse con più efferatezza? Accontentarmi del loro servo infilato con prepotenza nel mio letto quella notte? Mai! Spasimavo, bramavo d'esser posseduta da un uomo davvero potente! Né figlio, né padre, volevano a me rendere omaggio. Eppure pretesi e ognuno ne rispose! Non intendevo per il loro rifiuto abbassarmi ad accogliere nelle mie grazie un insulso napoletano, un cortigiano che lì non aveva potere, scartato come amante dalla figlia loro più promiscua! Ne lui, né altri lì dentro che non fossero padroni.
Per colpa di quella stirpe maledetta, i napoletani lagnosi avevano replicato l'errore nel non rendermi grazie, rinnovando le loro insolenze. Così, quando le danze giunsero al termine, chiamai al mio cospetto ogni fantasma maledetto, ch'io già avevo svestito e logorato per atterrire le spregevoli fanciulle, rendendoli un'orda informe il cui unico grido di battaglia era una confusione di stornelli e strepitii.
In auge la maledizione, risorta la mia padronanza. Nessuno mi poteva fermare!
Quella mattina Ciro mi venne a prendere con la sua nuova auto all'accademia di tennis. Ero felice di essere riuscita a vincere tre set contro il mio allenatore tirando di sinistra. Stavo migliorando notevolmente come atleta, ma avevo la costante paura che la spalla potesse abbandonarmi da un momento all'altro.
Stavo insieme a lui da tre mesi e ci conoscevamo da quattro. Avevamo sviluppato un bellissimo rapporto sentimentale: lui mi regalava tutti i tipi di cioccolata che riusciva a racimolare per i negozi, mi portava sempre da mangiare e mi faceva sentire una regina. Non c'era giorno che non ci vedessimo, che non facessimo qualcosa insieme.
Il primo di noi a dire espressamente le parole "ti amo" fui io: Ciro si prese di gelosia il tre di ottobre con un mio collega dell'accademia, che mi aiutava ad assumere le giuste posizioni per ricevere di sinistra. Questo mi toccava i gomiti, il bacino, le spalle, il fondoschiena... e mi svelava i segreti per un buon servizio da mancini. Quando venne a prendermi con la limousine, vide me e quel tizio in una posizione che poteva in effetti alludere ad altro: ero scivolata su un pezzo d'erba che prorompeva dal manto di cemento del campo di gioco e cascai addosso a lui. Quel tizio lo aveva preso come un tentativo di approccio da parte mia e tentò di baciarmi.
Cercai di disbrogliarmi dalla sua morsa, colpendolo con le ginocchia, ma lui mi aveva già ben agganciata ai fianchi e riuscì a darmi un bacio, che ovviamente io non ricambiai. In confronto al mio fidanzato questo collega era sì più bravo a parlare in inglese e non aveva bisogno di nomignoli per non chiamarmi col mio vero nome, ma era più basso, meno in carne ed era un fanfarone. Era fortunato che non avevo sottomano la racchetta per percuotergli la faccia! Si vedeva che ci sapeva fare con le donne, non era malaccio, ma per me ormai era Ciro il ragazzo più bello del mondo e me ne resi conto lì perché mi venne il vomito a pensare che potessi stare insieme a uno che non fosse lui.
E quando succede questo, che non ci si riesce a immaginare nessuno oltre alla persona con cui si sta, significa che si prova vero amore, no?
Ciro assistette a tutta la scena, dalle sue palpatine al bacio, fino alla ginocchiata che diedi per staccarmelo di dosso. Non mi rivolse prediche prima di accompagnarmi al Donn'Anna.
Quando lui era geloso non manifestava a parole il suo nervosismo, né si mostrava arrabbiato. Ci fu un silenzio tombale in macchina e non seppi che pensare di quella reazione tanto silenziosa. Nonostante si evincesse dalla sua espressione e dal suo modo di prendere gli oggetti che fosse ferito, non accennò a effondere alcun suono.
Quando mi accinsi a prendere da un sedile della limousine il mio borsone, lui non rimase sul posto di guida, come avrebbe potuto fare, ma prese al posto mio l'attrezzatura per non fare in modo che sforzassi la spalla.
«Ne possiamo parlare per favore, Ciro?» poggiai una mano sulla giacca della sua uniforme.
Lui socchiuse lo sportello e mi guardò turbato.
«E di che vo' parrà? Che te posso dì? Sei libera di fare ciò che ti pare Ninì, ma non mi fa' suffrì accussì.»
«Che vorresti dire con questo? Che ti sta bene che un altro ci provi con me?»
«No! Non mi sta bene! Mi fa incazzare! Voglio dire che se non vuoi stare insieme a me non ti posso costringere, quindi... quindi si non vo' sta' cu me dimmelo. E dimmelo prima di tradirmi.»
Ciò che disse mi irritò. Aveva fatto bene a restarsene zitto.
«Sei scemo?! Quel tizio neanche lo conosco, hai visto tutto: si è approfittato del momento! Ma ti pare che ti tradirei con uno che si mette il maglioncino rosa attorno al collo poi?! Ma neanche con quella di un'altra! E poi quando mi alleno penso ad allenarmi, non penso di certo a tradire la persona che amo, e io ti amo!»
«Comm aie ritt?!» fece sbigottito, sbarrando gli occhi e spostandosi il cappello lontano dall'orecchio.
Mi uscì così spontaneo dalla bocca che lì per lì non mi accorsi neanche di averlo pronunciato. E lo avevo detto in italiano! Non gli dissi "I love you", che significa anche "ti voglio bene", ma proprio "ti amo". Per via del mio accento poteva sembrare che dicessi "chiamo" o qualsiasi altro lessema che potesse mandarlo in confusione.
«Hai sentito bene: io ti amo Ciro, e tanto. I love you so much.»
Mi fissò scosso con i suoi bellissimi occhi verdi, allentò il respiro e a tratti sentivo il suo cuore pulsare come se stesse per esplodergli dal petto insieme ai bottoni della camicia.
«Anch'io Ninì...» fece con filo di voce. «da morire!»
Gli saltai addosso e mi prese al volo. Lui lasciò il mio borsone, chiuse lo sportello e ci mettemmo a sbaciucchiarci sui morbidi sedili in similpelle rossa della limousine. Quando si tolse la giacca e ritornò a baciarmi lo fermai. Gli dissi che non era il momento più adatto per spogliarci.
Lui aspettò i miei tempi di guarigione per cominciare a mandarmi chiari segnali che voleva andare oltre le effusioni. Ma più tempo passavamo insieme senza mai superare la soglia del petting, più cominciavo ad avere paura di essere vista nuda da lui.
Quando ci pensavo, mi dicevo: «E se non dovessi piacergli?», «E se poi non si trovasse bene?», «E se fossi un pezzo di legno anche lì?», «E se mi facesse troppo male?». Con dei genitori che facevano sesso sadomaso non erano tanto infondate le mie paure... chissà se fossero a conoscenza dei traumi che mi avevano causato.
Per fortuna che c'era la mia dolce Christie a incoraggiarmi, a darmi consigli su come non entrare nel panico.
«Courtney: tranquilla! Non devi fartene un peso! Per una volta lasciati guidare dalla leggerezza!» mi diceva sempre «Ti assicuro che non ha niente a che vedere con quello che fanno mamma e papà.»
Prima di Ciro non avevo mai avuto nessuno. È stato lui il mio primo bacio, il mio primo fidanzato, la mia prima volta, il mio primo amore... il mio primo tutto.
Quando gli confessai che ero vergine lui forse se lo aspettava, vista la mia riservatezza. Disse che era evidente la mia inesperienza, ma che non gli dispiaceva affatto. Si mostrò disposto a pazientare, capì la mia situazione e cercò di infondermi sicurezza come meglio poteva.
Tra la mia spalla e il mio blocco iniziale, non doveva essere stato facile per lui adattarsi a tutti i miei tempi.
Cominciava ad agitarsi quando i nostri baci duravano minuti invece che secondi, voleva che ci mettessimo a fare qualcosa – magari andare al cinema o allenarci in palestra – piuttosto che continuare ad amoreggiare. Mi impartì persino lezioni di guida e consumai le sue labbra a furia di colmare quello che non volevo ancora donargli.
A volte mi sentivo in colpa per non essere pronta a fare l'amore con lui. Era preciso e perfetto in ogni singola faccenda che riguardasse me e io volevo ricambiare quelle sue attenzioni. Volevo per una buona volta dare, almeno quanto lui mi faceva ricevere.
Tutte le ragazze, quelle come me almeno, sognano una prima volta speciale. Lo sapevo anche io che non poteva mai essere un momento perfetto, però ci provai lo stesso. Mi piaceva molto il corpo del mio fidanzato, avevo occhi solo per lui e di questo ne era più che consapevole. Cercai più volte di avvinghiarmi in modo da poter andare oltre, ma lui sentiva quanto fossi nervosa. Neanche quando mi aiutavo a superare il blocco con l'alcol, come i primi tempi, voleva farlo.
«Ninì, non voglio forzarti. Se desideri che io sia il primo non voglio che tu sia né agitata, né sbronza!» mi diceva.
Mi decisi però, in quei giorni prima di Halloween, a donargli la mia verginità. Non volevo darla a nessun altro che non fosse lui e non era giusto che dovesse aspettare qualcosa che non volevo aspettare più neanche io.
E quindi, tra le sue ore buche e le mie, cercammo di ricavarci il giusto tempo e luogo ideale per fare sesso. Ma, per via del suo impiego, la cosa venne impossibile prima di Halloween. Questa fu infatti l'espressione più gridata in quei giorni da quel rompiscatole di mio fratello:
«Mo' chiamm a Ciro. CIROOO.»
Sia al telefono che in qualsiasi altro posto, lui lo chiamava per la scorta. A un certo punto pensai che lo facesse apposta.
«Charlie, hai rotto le palle: voglio farlo con Ciro! La pianti di tartassarlo anche alle dieci di sera quando siamo in giro?!»
«E vieni con noi e dagliela lì quando non ti vedo, la limousine tanto ha i vetri oscurati, basta chiudere le maniglie. Qual è il problema? Sto organizzando la festa del secolo, mi serve l'autista! Non so guidare a Napoli senza essere tamponato!»
«E impara a farlo, cretino!» gridai. «Lui ha la tua stessa età e sa guidare tutti i veicoli al contrario tuo!»
«Sì... okay: ma è il suo lavoro, cara Morrigan!»
Avevo voglia di prenderlo a randellate con la mia racchetta da tennis e spaccargli in due quella testa dura bionda cenere che si ritrovava. Mi chiamò apposta "Morrigan" per farmi innervosire. Odiavo parecchio il mio secondo nome e mi dava fastidio che qualcuno mi chiamasse così.
I miei genitori, evidentemente non avendo niente di meglio da fare, avevano dato a tutti noi dei primi nomi che iniziassero con la lettera C e dei secondi che iniziassero con la lettera M. Il mio, secondo i membri della mia famiglia, era quello più bello perché risaliva a un più antico nome irlandese, Mór Ríoghain, che si traduce letteralmente come "grande regina" e in più il primo elemento di Mór Ríoghain poteva anche essere identificato con il germanico mahr – "incubo", la stessa radice di nightmare – con il significato di "Regina dei fantasmi". Tradizionalmente, il mio nome veniva anche ricollegato al vocabolo celtico mor, che significa "mare". In più mor era una perifrasi del dialetto che lì a Napoli si rifaceva all'italiano "morte".
Insomma: una roba che non crea trauma psichico a una bambina... seh... evvai... grandi Tom e Beth!
I miei, da amanti dell'esoterismo, impazzivano per questo nominativo, ma io lo detestavo. Sembrava che quando passassi io passasse il flagello di Dio. Mi metteva inquietudine. "Courtney" almeno era più elegante, anche se nemmeno quello mi andava a genio.
Non era la prima volta che Charlie mi facesse battute del tipo: «E da me che vuoi? Mi metto le cuffie per non sentirvi!», «Per me non c'è problema, vai là dietro e lo fai!», «Quindici minuti vi bastano e vi avanzano.»
Mise a dura prova la mia pazienza. Charles fu il mio mahr, il mio incubo. Non so come feci a trattenermi dal picchiarlo. Giuro.
Per forza anche di agenti che non derivavano direttamente da noi, non riuscimmo a ricavare il momento più adatto per passare una notte insieme. Ero quasi esasperata. Persino la sera prima, quando ripescammo Christie in mare, dormimmo assieme senza aver ancora fatto l'amore. Nemmeno ci provammo. Non sapevamo se potesse farmi male, avevo paura di gridare troppo per svegliare qualcuno.
Ormai, vedendo o non vedendo, i nostri corpi li conoscevamo bene e volevo andare oltre.
«Lo vuoi fare qui nella tua auto Cì?!» gli chiesi quando parcheggiò la vettura nel nostro garage.
Lui aggrottò le sopracciglia e rimase un po' interdetto per questa proposta così diretta.
«Amò, io lo voglio fa' sempre... però non è che voglio inaugurarla accussì a macchina aeh...»
«Scegli: o adesso qui, senza nessuno che ci veda e ci senta, o chissà quando.» mi sfilai le mutande e il reggiseno e abbassai il sedile. «Se vuoi sono qua.»
Chissà che scelta ardua doveva essere per lui scegliere tra me e l'auto nuova.
«Ma vafangul!» esultò.
Credevo che si riferisse a me, che mi dovevo alzare perché non voleva sporcare il sedile. Ma, a quanto pare, gli italiani con un'espressione come quella intendono diverse cose a seconda del tono con lui la dicono, e Ciro era più italiano del Mambo che Charlie cantava e ballava da stralunato qual era.
Si tirò giù i pantaloni e prese un preservativo dalla tasca. Mi assalì di baci sul collo e sul decolté, cercando di non schiacciarmi con la sua mole. Mi sbottonò la camicetta e iniziò con la sua bocca da lupo famelico a mordere e divorare tutto il mio petto. Quando vide il mio seno si fermò per un attimo a contemplarlo, prima di assaggiare i miei capezzoli erogeni. Fu rude e delicato allo stesso tempo, mi fece già lì vedere le stelle.
Tornò sempre sul mio volto a baciarmi quando andava a esplorare con gli occhi cosa ci fosse sotto i miei vestiti. Il suo cuore ballava all'impazzata insieme al mio e i nostri respiri ansimanti andavano a tempo, sorvegliati da un erotico gioco di sguardi. Sembrava stessimo ballando a ritmo di quel mambo che Charlie mi aveva fatto detestare con tutta me stessa.
Lui mi alzò la gonna, fermandosi a osservare i miei occhi. Mi chiese il permesso con lo sguardo di poter contemplare ciò che c'era sotto. Lo baciai per acconsentire e lui scese a poco a poco verso il mio ombelico. Saltò con la lingua a succhiarmi il clitoride e io sentii già il preludio del piacere.
Chiusi gli occhi per godermi un altro suo gesto d'amore dato che non pretendeva d'esser restituito alla stessa maniera. Passò a leccarmi tutto il resto del mio organo genitale. Neanche io ero arrivata mai a conoscere la mia vagina come la stava conoscendo lui.
Continuò a titillarmi col naso, cercando di inoltrare sempre più in dentro la sua lingua afrodisiaca.
Improvvisamente, qualcosa dentro di me mi disse di aprire gli occhi, ma non era per guardare il mio fidanzato. Alzai le palpebre e vidi, fuori dal finestrino, una figura sinistra che sembrava quella di un uomo, vestita con una canottiera interna rossa e con indumenti e cappello bianchi. Aveva una paurosa maschera nera dal naso adunco che gli lasciava scoperta la bocca, la quale sorrideva e faceva la linguaccia. Sembrava burlarsi di me e di quel momento tanto intimo.
Mi misi a urlare.
«Amò! Che è?!» fece Ciro spaventato. «Non te l'ho neanche messo!»
Continuai a gridare e mi strinsi a lui.
«C'è un tizio là!» strillai troppo vicino al suo orecchio.
Si girò anche lui a vedere il finestrino, ma non c'era più niente. Aprì lo sportello della macchina, tirandosi in su le mutande, e ispezionò l'auto per vedere se ci fosse davvero qualcuno lì nei paraggi del garage, chiuso rigorosamente a chiave.
«Ninì, io non vedo nessuno qua!» disse, tornando in macchina.
«Ma c'era ti dico!»
«Descrivimelo allora...»
«Aveva il volto celato da una mezza maschera nera dal naso lungo e adunco, era vestito con pantaloni e un'ampia camicia di colore bianco. Il capo era coperto da un cappuccio di stoffa dello stesso colore degli abiti!»
Ciro mi rivolse uno sguardo confuso e forse divertito. Gesticolò con le mani giunte come se stesse pregando, ma in realtà era rimasto basito dalla mia risposta:
«Amò...» scosse le mani avanti e indietro «ma mi hai appena descritto Pulcinella!»
«Pulci che?» feci, acuminando il tono di voce.
«Pulcinella! A Napoli lo chiamiamo Pulecenella! È una delle maschere italiane più famose! Come fai a non conoscerla?! È praticamente ovunque in città!» prese a ridere.
«Lo trovi divertente?! C'era un tizio vestito così che ci stava fissando!»
Continuammo a guardarci intorno e a esplorare gli anfratti di quella tenuta rudimentale adoperata come garage.
«Non c'è.» disse dopo aver controllato sotto l'auto «Ritorniamo a...?»
«Sei scemo?! NO!»
«A ch'est cap e' cazz tagghia a uallera quann o vedo...» brontolò.
Ci vestimmo, chiudemmo l'auto, girammo e rigirammo per quel garage, ma non riuscimmo a trovare Pulcinella. Detto così suonava divertente... non lo era per niente!
«Senti Ninì... non puoi essertelo immaginata?» azzardò a dubitare.
«TI HO DETTO CHE C'ERA PULCINELLA LÌ CHE MI FISSAVA!»
«Aeh aeh, amò scusa, metto la macchina sul retro e chiudiamo tutto a chiave va... se c'è rimane a schiattare qua dentro quel pervertito... va bene?»
Chiamammo i miei per far intervenire la sicurezza e parcheggiammo la macchina nel retro. Dopo qualche minuto mi tranquillizzai. Ciro prese i costumi dal cofano e mi propose di andare a vedere la fiera.
«Sempre che non vuoi...»
Lo guardai male. Non aveva capito la gravità della situazione! Quanto sono rincoglioniti gli uomini quando vogliono fare sesso?
«Ciro: no! Voglio almeno una cazzo di privacy!»
Dopo che Claire e Christie ci lasciarono in pace, mia madre mi chiamò e mi disse di raggiungerla in uno degli appartamenti del primo piano adibito a studio. Lei e papà vollero tutti i particolari per sapere quando lo avessi visto entrare quell'uomo e perché ci trovassimo lì in garage. Volevano capire soprattutto perché non fossimo andati altrove... imbarazzante è dire poco. Il mio Cì era pietrificato dalla vergogna e rosso come un campo di papaveri a maggio.
«In auto?!» mia madre si portò le mani sui fianchi avvolti da lacci rossi e cuoricini. «Sul serio?! Con tutti i buchi che ci sono in questo posto, proprio in auto ragazzi?!»
«Beth, il buco dove vogliono parare tanto è sempre uno...» ironizzò mio padre.
«Courtney, tesoro! Se volevate una stanza per fare l'amore in santa pace bastava chiederlo!»
Beh... forse sono stata un po' stupida a non pensarci... sapevo che mia madre aveva fatto di peggio alla mia età, ma... e che cavolo: era pur sempre mia madre! Mi vergognavo a chiedere aiuto a lei per questo. Mi avrebbe tartassata di domande!
Allegra sui suoi tacchi alti, andò ad aprire un armadietto pieno zeppo di chiavi appese.
«La stanza è una al piano di sopra, ancora da ristrutturare, andate quando volete.» disse mia madre, porgendomi una chiave in mano.
E così quella sera del 31 sotto un cielo pezzato di stelle, finalmente, mentre tutti erano giù in salone a proclamare la regina di Halloween, io e Ciro potemmo fare l'amore indisturbati senza sentirci oppressi da nessuno, dentro una di quelle magnifiche stanze del secondo piano.
Il letto, confortevole e con delle lenzuola che profumavano di limone, ci attraeva come una pianta carnivora attira le mosche: non vedevamo l'ora di scioglierci là dentro e conglomerarci insieme fino a divenire un'unica poltiglia.
Facemmo a turno per spogliarci e fu l'emozione più grande che provai vederlo lì, tutto per me, a guardarmi e baciarmi ogni imperfezione della cicatrice sulla mia spalla, che mi rendeva tanto insicura.
Provò direttamente a penetrarmi senza i nostri soliti lunghi preliminari, tanto avevamo il tempo tutto per noi, non ci correva nessuno. Mi prese in braccio e mi distese sul materasso in posizione supina. Tremavo dall'emozione, ma mi bastò sprofondare nei suoi dolci occhi verdi per non avere paura di niente. Mi insegnò a guidare anche lì.
Non mi uscii alcuna goccia di sangue quando si intromise in me, ma fu ugualmente un dolore lancinante e mi trattenni dal gridare perché non volevo rovinare la sacralità di quel gesto.
Sentivo il suo fiato crescente che cercava di essere silenzioso, per non contrastare i miei gemiti di dolore. M'implorava perdono attraverso quegli occhi pieni di me che si sforzava a mantenere aperti mentre intercedeva perforante.
Quel dolore ne valse la pena e credetti che dovessi essere io a donare qualcosa d'importante di me che gli rimanesse per sempre, ma invece fu lui a donarmi il momento più emozionante della mia vita.
Io e Ciro ci appartenevamo come appartengono a sé l'incubo e il sogno. Ci amavamo in ogni nostro piccolo o grande difetto e non facemmo altro che continuare a farlo. Ancora e ancora.
«Ti amo, grazie Ninì.» mi disse poi.
«No... grazie a te.» gli sorrisi e mi aggrappai a lui per non lasciarlo più andare via.
Purtroppo, però, non poté durare quanto avremmo voluto.
Perché?
Perché c'era Pulcinella davanti al nostro letto che brandiva una spada e aveva la camicia imbrattata di chiazze di sangue.
Urlai.
Ciro lo vide stavolta e si tenne a me. Afferrai la prima cosa che mi capitò a tiro, la lampada sul comodino, e gliela lanciai in faccia con una mossa che mi spezzò le giunture della spalla. L'oggetto gli trapassò il lungo naso e il tizio sparì davanti a noi.
Eravamo perseguitati da un fantasma?!
Quando Claire e Christie mi dissero che avevamo risvegliato i fantasmi di questo palazzo in un primo momento le presi per pazze, ma quando il presentatore che avevo scelto per il concorso, in cui Claire avrebbe dovuto vincere come regina della festa, disse: «E la vincitrice per l'abito più bello di tutti va a.... Donna... Donna Anna Carafa?! A Donn'Anna Carafa!» mi si raggelarono tutte le vene.
Non c'era nessuna maschera registrata come Donn'Anna Carafa.
La signora salì sul palco del teatro, accolta dagli applausi della gente. Si fece mettere la fascia da due assistenti vestiti da cupido e si avvicinò al microfono con estrema riluttanza, come se non sapesse cosa fosse.
«Ho vinto di nuovo io, Mercedes! E continuerò a vincere facendoti perire.» scrutò Claire, in fila tra le altre maschere votate «In quanto a voi, napoletani lagnosi, preparatevi a morire uno ad uno. Quando aizzeró i miei fantasmi, vi pentirete del disonore che oggi mi avete recato! Il più grave torto con cui mi abbiate mai potuto spregiare! Dileguatevi dalla mia infausta dimora, dileguatevi insulsi e querimoniosi plebei senza ritegno alcuno per questo scempio!»
La nostra più grande fortuna furono gli ospiti che credettero che quella fosse un'altra attrice. Ma io non avevo assunto nessuno!
Mi venne il vomito a scoprire che avevo fatto sesso orale con quella là. Mi vergognai di me stesso talmente tanto che non lo dissi neanche alle mie sorelle. Come potevo spiegare loro le dinamiche di quello che era accaduto? Non le sapevo neanche io!
Intervenni con gli auricolari per richiamare i tecnici e feci dire dal presentatore che le giostre, in largo Donn'Anna, sarebbero state gratuite per un'ora. Più di metà sala si svuotò in neanche cinque minuti.
Avevo salvato la situazione, ma né io, né le mie sorelle, riuscimmo a vedere Donn'Anna da nessuna parte dopo che si ritirò dietro le quinte.
Ciò che più mi ossessionò delle parole di Christie e Claire, fu che le sirene non erano un sogno. Significava che quella ragazza bellissima che mi aveva salvato la vita esisteva davvero.
Senza dire loro nulla, corsi alle grotte marine delle fondamenta per gettarmi in mare e incontrare di nuovo lo sguardo di quella sirena.
«Dove sei?!» urlai. «Ti prego: fatti sentire!»
Quando mi tolsi le scarpe, sentii cantare una sola e immensa voce. Scrutai meglio la superficie dell'acqua fosca e la vidi emergere.
Continuava a cantare, venendomi in contro. La sua coda perlacea si tramutò in un paio di gambe affusolate e il suo volto scuro si illuminò. Mi prese le mani che fremevano dalla voglia di toccarla.
«Grazie di avermi liberata, Mortimer.» pronunciò con una voce che mi indusse pensieri erotizzanti e trasognati.
«Chi... chi sei?!» chiesi con un'improvvisa balbuzie.
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