🌊🏚️🎃 5. Fine del torpore 🎃🏚️🌊
Fui acclamato quando scesi le scale del palcoscenico che avevamo instaurato solo qualche ora prima. Le persone mi chiesero fotografie, autografi, informazioni... impiegai un'ora per disbrigarmi.
I miei occhi erano intenti a cercare la misteriosa signora. Chi l'aveva fatta entrare? Ma soprattutto: quando diamine era entrata?!
La mia memoria eidetica mi era molto d'aiuto a distinguere i volti, quasi tutti quelli delle persone che entrarono nella sala dedicata alla rappresentazione teatrale li avevo già incontrati. Ma il suo no. Sebbene ricordassi di averlo già visto, non era lì che lo incontrai.
Cercai di spremere le meningi, ma non trovai niente tra i miei ricordi.
Avevo avuto successo, eppure mi concentrai su quell'unica persona scontenta che avevo visto. Forse aveva intuito che la scena non avrebbe dovuto evolversi in quel modo, che un bacio lì non c'entrava assolutamente niente. Ma se così fosse stato: come mai venne tanto conclamato?
Mi crogiolai interiormente per qualche istante. Volevo capire, da attore, cosa non avessi fatto per non rendere quanto meno piacevole la mia esibizione, perché quel viso roseo e vivido non sembrava essere felice di niente.
«Charlie, sembravi davvero sorpreso e disgustato! Bravissimo!» mi fece Gennaro, dopo che raggiunsi la mia famiglia al bar.
«Perché lo ero, Gennà!»
Mi guardò sfossato e si mise a ridere. Era visibilmente stanco.
«È tardi, non dovresti tornartene a casa?» gli chiesi bisbigliando.
Gli orari di lavoro li gestiva mio padre, avrei dovuto dirgli di rivederli perché quello là lavorava come un matto giorno e notte, notte e giorno, e in maniera anche indefinita. C'aveva dei turni assurdi, fui l'unico ad accorgersene? La differenza tra tutti i giorni e Halloween per Gennaro, era che lì, in più, era un cappellaio. Matto a mio parere lo era già: quanti soldi gli dovevano servire se non smetteva mai di lavorare?
«Non sono il Bianconiglio! Non ho orari, non mi servono orari.»
Bah, contento lui... avevo comunque intenzione di aiutarlo, se aveva bisogno di un aumento glielo avrei potuto far concedere. A momenti mi sveniva lì dalla stanchezza, se serviva i cocktails in quella maniera tanto fiacca non avrebbe avuto una buona impressione di fronte ai clienti. Comprometteva l'immagine degli Hall. Erano le due di notte e stava lì da più di dodici ore! E che diamine: voleva dormire là?
«Uaiò, statte bon, non mi corre dietro nisciun! Beh... a parte tuo padre quando c'è Christen nei paraggi...»
Non mi era dato sapere se e a mio padre desse fastidio o meno che Gennaro si avvicinasse alle mie sorelle. A me non importava, bastava che fossero felici e che non piangessero perché sennò l'Hyde in me avrebbe demolito tutti gli stronzi senza scrupoli. O le stronze, nel caso di Claire.
Quando Christie venne ad abbracciarmi e darmi il suo bacio della buonanotte, Gennaro raddrizzò la schiena impettito e si sforzò di apparire sveglio ed energico. Sorrise come un ebete. Se prima sembrava aver bisogno di dormire, ora pareva pronto a spostare le gru in cantiere.
Com'è che dicono in Italia? Tira più un velo di fuga che un marro di puoi? Tira più un belo di cica che un farro di noi? Un pelo di gica? Un carro di vuoi? Come diavolo era?!
Christie mi prese da parte, assicurandosi di non essere ascoltata da Claire:
«Dobbiamo truccare i voti per far vincere Claire al concorso dell'abito più bello per la regina di Halloween.»
«Cosa?!» strabuzzai gli occhi, acutizzando la voce «Perché? Tanto la vittoria è assicurata.»
Avevamo progettato un concorso per le maschere più belle della festa. C'erano tre diverse categorie: abito più bello, costume più originale e maschera più terrificante. Il sistema di voto era duale al 50%: la giuria popolare, ossia tutti gli ospiti della festa che volessero votare, e la giuria degli esperti, cioè cinque insegnanti dell'accademia di Christie. Non era necessario barare per lo splendido abito indossato da Claire.
«No invece, Claire potrebbe non vincere! Si è presentata una milf con un costume al massimo dello sfarzo, ricamato di fili d'oro con collare elisabettiano e orecchini di madreperla... vita strettissima per via del corpetto e tette pompate dal grasso che le straripava dal petto! Sembrava appena uscita da un ritratto barocco!»
Aveva descritto, in poche parole, la donna ostile che vidi.
«Parli di quella seduta vicino a te? Chi era?!» posai il bicchiere di caffè sul bancone con veemenza.
«E lo chiedi a me?! Sei tu quello che conosce tutti! Ho una bruttissima sensazione Charlie.»
«Per un abito? Tranquilla!» dissi frettoloso.
L'abito che vidi addosso a quella donna non lo trovai tutto questo granché rispetto a quello di Claire, ma insistette a dire che ne aveva riconosciuto la minuziosa fattura e come l'aveva riconosciuta lei lo avrebbero fatto anche i giudici.
«Ho chiesto a tutti i miei colleghi, nessuno di loro ha cucito il suo vestito, NESSUNO! Da dove viene?!»
«Calmati Christie, andrà tutto bene! Claire vincerà, non bareremo.» feci un respiro profondo e ripresi in mano il bicchiere di caffè «Dov'è andata quella signora?»
Christie si girò attorno con lo sguardo, adocchiando prima un gruppo di adolescenti che stava prendendo possesso del karaoke e poi verso Gennaro, che scrollò le spalle. Non mi seppe rispondere.
«Non lo so, è scomparsa all'improvviso.» disse.
Prima che mi desse il bacio della buonanotte mi feci servire un caffè insieme a un babà da Gennaro.
«Vuoi che ti accompagni a letto?» chiese a mia sorella.
In un primo istante storsi il naso, ma a quell'ora in effetti il Palazzo era trafficato di gente dagli ormoni a mille. La sicurezza aveva controllato che nessuno assalisse le drag queen e che certe stanze fossero ben serrate, sennò i defunti non sarebbero stati gli unici a resuscitare quella sera... metaforicamente parlando.
«No... vado da sola, grazie.» rifiutò gentilmente.
«Sei proprio sicura, sicura?»
«Gennà!» feci io, seccato «Se non vuole è perché non ne ha bisogno, non è una bambina. Perché devi insistere?!»
Forse la schizofrenia da caffeina, forse il nervosismo legato alla troppa responsabilità, avevo voglia di tirargli due schiaffi: che ci faceva ancora là a parlare con Christie?! Se ne doveva tornare a casa!
«Charlie, tranquillo!» mia sorella mi baciò la fronte, spostandomi i capelli arricciati dal gel. «Va bene, accompagnami pure.» ammiccò verso Gennaro.
Mi contrariai per l'incoerenza: prima aveva rifiutato la sua compagnia e poi gli aveva detto di sì? Dai loro sguardi d'intesa intuii che mi volevano nascondere qualcosa.
Che mi volevano nascondere poi, che volevano stare insieme? Non mi avrebbe infastidito in alcun modo la loro differenza di età o quella dei redditi, se a Christie stava bene così non volevo mettere voce in capitolo. Però, che cazzo: perché non volevano che lo sapessi?! Tanto era palese!
«Vengo anch'io!» dissi.
«No, tu no!» rispose Christie.
Ero uno che andava dritto al punto, non mi erano mai piaciuti i giri di parole: i miei drammi miravano alla scena, non al complicarmi la vita. Non mi spaventavo di dire quello che pensavo. Mai!
«Non sono nato ieri, se volete scopare non c'è bisogno che troviate scuse. Fatelo sullo yacht però, non qua. Anzi prendete la macchina e andate da qualche parte.» se Christie l'avesse fatto con lui dentro al museo, tutti poi vedendoli salire per le scale avrebbero sovvertito il palazzo in un bordello. Già la situazione fuori dai balconi era abbastanza compromettente, menomale che i miei genitori e i loro invitati erano al piano di sopra a godersi il ballo di Gala, sennò mio padre avrebbe avuto un collasso a vedere tutte quelle scollature vertiginose.
Christie sbarrò gli occhi in maniera risentita.
«Charlie!» mi disse, sdegnata «Ma come ti viene in mente?!»
«Siamo solo amici.» fece Gennaro, con un tono di voce trafelato per via dell'imbarazzo.
Alzai gli occhi al soffitto di ragnatele, per un attimo l'occhio mi cadde sulla sua giacca blu sporca di glitter. Quello che fossero non mi interessava, sinceramente, però volevo che mia sorella sapesse che non c'era bisogno di celare nulla, non a me!
«E allora cosa cercate di nascondere?!» strizzai gli occhi, sospettoso.
«Uaiò, il tuo è sonno, riposati.» disse lui.
«E pure tu!» ribattei «Tra sei ore devi lavorare di nuovo! Quanto dista casa tua?»
«Non ci sono autobus a quest'ora. Voglio o non voglio mi tocca fare gli straordinari.»
Mi portai la mano alla fronte e mi massaggiai le tempie con le dita. Uno strano odore di fumogeni e alcol mi catturò le narici e mi fece alzare la testa. Mi girai verso la sala, accompagnandomi con lo sgabello, per controllare chi ci fosse. Penso che fossimo almeno un centinaio lì dentro. La maggior parte stava a farsi selfie per postarli sui social. Ritornai a fissare Gennaro.
«Tu hai più di una rotella fuori posto Gennà! Mo' chiamm a Ciro!» presi il cellulare e digitai il numero di Ciro. Squillò per un po', ma non rispose nessuno. «CIROOO! Dov'è Ciro?!» gridai.
«Sarà con Courtney, lascialo stare, è festa anche per lui...» intervenne Christie.
«In Italia Halloween non è un giorno festivo!»
Sbuffai. Che il cappellaio matto rimanesse ancora lì a lavorare insieme allo Stregatto, al Ciciarampa e a Bill la lucertola era inammissibile. Sia per la sua salute che per l'intera estetica di Alice in Wonderland. Gli imposi che o lo accompagnavo io o restava qua a dormire. Non seppe che rispondermi e alla fine scelsi io: ero stanco, non me la sentivo di prendere l'auto in quelle condizioni, quindi lo feci rimanere a dormire.
Gennaro mi fu riconoscente, ma col pretesto del trucco sulla faccia, della mancanza di un occorrente adatto a dormire ecc. tentò di tirarsi indietro.
«Non hai capito: non è un invito, è un ordine!» lo fermai per il braccio «Vuoi un pigiama? No problem, te lo do io!»
Lo scortai all'ultimo piano per farlo riposare in un appartamento non restaurato di cui avevo le chiavi. Non mi piaceva l'idea che dormisse nello yacht con le mie sorelle... con Christie che soffriva di sonnambulismo poi. Tante volte abbiamo rischiato di perderla in mare perché né Courtney e né lei avevano chiuso bene la porta della cabina in modo che non potesse aprirla. Ultimamente non manifestava episodi, ma aveva smesso da pochi mesi di prendere i farmaci per dormire e a New York ci dissero di stare attenti e controllare che la cura funzionasse. Visto quello che sembrava esserci con Gennaro non volevo incorrere a uno spiacevole inconveniente, non sia mai che Christie andasse nella cabina negli ospiti da lui, incosciente a... AH!
Litigai con la serratura della porta e non riuscii ad aprirla.
«Charlie, davvero, non c'è bisogno che ti preoccupi così tanto.»
«Levatelo dalla testa che ti lasci lavorare a quest'ora!» apostrofai.
«Hai chiesto ai tuoi se posso?»
Lo fulminai con uno sguardo collerico. A 21 anni non dovevo certo chiedere il permesso ai miei genitori per far dormire un amico a casa! Cioè... yacht... o palazzo... o museo... o... boh. Chissà come funzionava con la residenza... tecnicamente non abitavamo in una casa!
«Lascia perdere i miei, se dormi ti pago gli straordinari di tasca mia!» girai la chiave talmente forte, per aprire quella dannata porta, che alla fine si ruppe e rimase incastrata nel buco.
«Senti... posso andare intanto a togliermi questa roba dalla faccia?» mi chiese, prima che prendessi a calci la porta.
Nel frattempo che ritornasse avrei potuto provare ad aprire un altro appartamento.
«Un attimo: ma è la porta giusta?!» mi feci. Non avevo controllato... quanto ero stato idiota?
Tirai dei pugni alla parete di stucco fiorentino, sentivo premermi le tempie in maniera allucinante. Cercai di guardare verso il tappeto rosso per calmarmi un po', lì mi resi conto che quell'angolo del palazzo sembrava un hotel a tutto spiano.
«Salve.» sentii bisbigliare al mio orecchio sinistro una voce ansimante, che mi stimolò pensieri assai spinti.
Mi voltai e vidi quella donna che tormentò la mia mente nelle ultime due ore. Aveva un volto immusonito che sforava ogni sensualità, le guance impiastricciate di rosso, il naso sospirante e gli occhi rubizzi, scuri e penetranti. Teneva le labbra vermiglie arrotondate come se fosse pronta a fischiare, la sua espressione conturbante mi solleticò le gonadi.
«Chi è e chi le ha dato il permesso di salire su questo piano?» tentai di pronunciare con autorità che non sembrasse remissiva.
Non mi sorrise, mantenne le sue labbra in una posizione provocante che istigavano le mie a lambirle. Il suo respiro caldo sul pomo d'Adamo mi congelò la gola. Deglutii, non riuscii a dire una parola. La guardavo letteralmente col fiato sul collo e non mi uscirono parole in quell'istante, solo versi incomprensibili.
«Non necessito di permessi che non siano concessi da me.»
Quella risposta mi lasciò interdetto. Le mie gambe presero a tremare. Lei avvolse le mani attorno alle mie vertebre cervicali fino ad avvicinare le mie labbra alle sue. Si mise a leccare il mio lembo superiore e io aprii la bocca per lasciarmi baciare. Mi riempii la cavità orale della sua lingua umida e felpata.
Avvertii una vampa di calore in tutte le parti del corpo, come se mi avessero appiccato un rogo. Non capivo proprio niente in quel momento, mi sentivo ubriaco nonostante gli unici sapori dell'alcol che avevo assaggiato quella sera fossero l'alito di Brigida e il rum del babà.
Il suo palato era incredibilmente morbido e vellutato come un petalo di rosa, mi afferrò per la nuca e poggiò il mio mento sulla sua scollatura dirompente. Da quella meravigliosa prospettiva riuscii a intravederle i capezzoli rosei intirizziti che le esplodevano dal corpetto.
Mi spinse al muro laterale della stanza e vidi aprirsi un passaggio segreto tra le pareti che avevo preso a pugni. Mi trascinò lì dentro e, quando il passaggio si chiuse, diede sfoggio della sua arte erotica in assenza di luci. Il mio corpo percepiva ogni sua rabbiosa carezza dettata da un desiderio libidinoso che le stava arroventando l'anima. Avevo gli occhi aperti, ma non vedevo assolutamente niente, neanche per indovinare come si togliessero i nostri costumi. Sentii con il naso un intenso odore di muffa che, a tratti, avevo l'impressione di starle per vomitare addosso.
Non ce la feci a non badare alla puzza di quelle pareti e a offuscare il senso dell'olfatto - messo a dura prova - con almeno uno degli altri quattro, perché non mi piaceva farlo completamente al buio. Non volevo immaginare con la mente ciò che i miei occhi volevano vedere.
Baciai quella morbida bocca e provai con le mani a palparle il seno per far fuoriuscire almeno qualcosa dall'unico punto del suo abito che riuscissi ad avere già presente, ma ero talmente affaticato che non riuscii a mantenere il ritmo e avevo solo il desiderio di dormire su quei grossi cuscini dalle punte dure e setose. Lei avanzò la mano sul mio inguine, ma non ressi la sua carica sessuale. Per quanto mi stessi sforzando, non riuscivo a collaudare all'unisono bocca, mani e pube.
Non mi si eresse, insomma. In quel modo non ne ero capace.
Sentii i versi della sua frustrazione e provai un senso di smarrimento. La parete si riaprii e lei mi trascinò per le braccia nella camera da letto che i miei avevano raccomandato di non danneggiare.
Si tolse in fretta ogni rigidità di quell'abito lussuoso e riuscii a vedere, sotto i raggi della luna piena che penetravano dalla portafinestra, ogni forma attendibile del suo corpo giunonico e irresistibilmente soffice da prendere a morsi. Persino la biancheria che si era levata era in linea con il suo costume da nobildonna. Questa volta la mia vista non poteva rimanere insoddisfatta.
Tra le mie fantasie erotiche c'era fare sesso con una milf. Però non mi ero mai avvicinato a una donna in quel modo fino ad allora: né tanto giovane da ritenere perfetta ogni parte del corpo, ma neanche troppo vecchia da scorgere segni d'imperfezione fastidiosi più che evidenti. Non era una modella, ma aveva delle curve esplosive e provocanti. Era eccitante da morire quella donna, eppure la fiamma di quel desiderio improvviso non riuscì a bruciare la stanchezza accumulata di quei giorni. La caffeina mi teneva attivo e cosciente, ma non completamente in forze. Non avevo energia neanche per togliermi la giacca quasi quasi.... il costume di Christie - complicato da infilare e sfilare - non aiutò la mia disfunzione erettile occasionale.
Ci gettammo su quel letto a baldacchino costosissimo, fu lei a prendere le redini e io mi lasciai guidare dalla sua vasta esperienza.
Nonostante la violenza con cui mi trangugiò le labbra, il tocco rosato della sua intera bocca fu il più delicato che sentii fino a quel momento. Mi rasentò i pettorali e l'addome, che continuavano a essere la parte più dura del mio corpo che lei stesse assaggiando con la lingua. Misi la mano sulla sua vulva spinosa e sentivo già ansimare la mia gola al pensiero di penetrare quel rovo per riuscire a cogliere la rosa ancora rigogliosa che non accennava ad appassire.
Ma pure lì fui na sfacimma, na chiavica ... non ero abbastanza eretto.
Ne avevo la piena volontà nella testa, ma il mio corpo non rispondeva al suo comando, andava per fatti suoi. Ero su un doppio binario: da una parte concludere quell'esperienza sessuale mistica, dall'altra invece dormire per recuperare le mie forze fisiche.
Ero esausto come se avessi addosso il triplo dei miei anni. Appena poggiai la testa sul cuscino di piume d'oca mi dimenticai di star facendo sesso, in favore di soddisfare prima un bisogno primario come il dormire invece che il godere. Cercai di resistere al sonno per altri pochi secondi, in modo da non lasciarla perseverare oltre.
«Non ci riesco, sono troppo stanco... un'altra volta magari... basta.» dissi a occhi chiusi.
«No. Io voglio copulare adesso!» esclamò prepotente.
Sfilò le mie mutande con una foga allucinante e mi smanettò il pene per tentare di rinvigorirmi. Sentii la sua lingua accarezzarmi il glande e gettai uno sguardo su di lei per godermi lo spettacolo dell'estasi che mi stava facendo provare. La sua bocca intercedette freneticamente e ingollava con fare aggressivo il mio intero organo genitale inebriandomi di piacere. La sua testa si alzava e si abbassava come la bolla di una livella su una piattaforma vibrante e nel mentre mi stuzzicava i testicoli con la punta delle sue dita.
Il suo tenero palato strisciava velocemente con una maestria così preponderante che non riuscii a percepire nemmeno la durezza dei suoi denti. Era più calda, umida e morbida di una qualsiasi cavità in cui io mi fossi mai intromesso. L'intensità di quel piacere m'indurì per pochi istanti e mi fece eiaculare.
Mi risucchiò tutta l'energia che riservavo e mi sembrò di svenire. Avevo la testa poggiata sul cuscino e il respiro affannato. Avvertii una fitta alla testa per quanto in fretta fossi venuto. Neanche con Grace mi capitò mai di avere un orgasmo così... e di lei ero innamorato. Di quella donna invece non conoscevo neanche il nome.
Non sapevo se ringraziarla per quella gioia o cacciarla via per avermi sfinito. Mi donò il pompino più straordinario della mia vita, ma lo fece in un contesto troppo ambiguo. Io le avevo fatto intendere che non volessi continuare e lei aveva insistito. Mi chiesi cosa sarebbe accaduto a parti invertite...
«Un membro tanto impotente è un orrido sfregio su un giovane uomo avvenente e portentoso che si fa scudo di una spavalderia priva di recessi.» commentò a un palmo di naso.
Sembrò mugugnare, non vedevo niente di quella magica bocca di rosa, se non le labbra turgide e purpuree che mi sfioravano il viso. L'interno era una grotta oscura e misteriosa di cui non riuscivo a vedere il fondo.
Mi avvolse le mani attorno al collo e me lo strinse. O almeno mi pareva che lo volesse stringere. Sbarrai gli occhi e vidi il suo sguardo ostile, rancoroso e pieno di angoscia.
«Immane è ora la tua vergogna, ma perché mi hai risvegliata dall'involontario torpore, non ho coscienza di nuocerti.»
«Eh?» pronunciai. Non avevo la forza nemmeno per parlare.
Aveva detto che l'avevo risvegliata dal torpore, ma semmai era accaduto il contrario! Anche se mi stavo praticamente addormentando su quel letto.
Non ero riuscito a soddisfarla in alcun modo e di questo né provavo vergogna come diceva, né mi sentivo in colpa. Perché avrei dovuto poi?! Oh: ero pur sempre umano! Se non riuscivo non è che potevo schiattare, e che cazzo!
Mi tolse le mani di dosso e si alzò dal materasso. Prese il suo costume sbrigativa e lo buttò sotto al letto. Non si rivestì. La vidi poi aprire la porta e andarsene.
«Ou! Ferma! Non puoi gironzolare così per il museo!» gridai e sobbalzai dal letto. Mi rimisi in fretta le mutande e tentai di correrle dietro.
Ero stordito e la testa mi doleva. Quando feci i primi passi non avvertii le gambe.
Mi sentii chiamare da Gennaro che si stava avvicinando alla porta spalancata. Improvvisamente tornai in me e mi resi conto che avevo compiuto una cazzata. Una grossa, ignobile e bella cazzata.
«Charlie?!» mi fece, accigliando la fronte. «Charlie, ma che hai combinato?»
«Gennà! Hai visto una donna nuda che scendeva le scale?!»
«Hai chiavato?!» sgranò gli occhi marroni.
«L'hai vista o no?!» replicai spazientito.
«Ma ti pare che se avessi visto una donna nuda starei qua a parlare con te?!» si girò a perlustrare con lo sguardo i vestiti sparsi per il pavimento marmoreo. «Se i vestiti non sono qui si sarà rivestita, che dici? Da dove è uscita?»
Gli spiegai la situazione, tralasciando tutti i dettagli.
«Ahh! Ho capito!» fece rallegrato «M'aje pigghiato po cul, e bravo bravo! Ci ero cascato!»
«Sono serio, Gennà!»
«Ma io non ho visto nessuno uscire dalla porta!» incrociò le braccia e corrugò le sopracciglia.
Gli dissi di controllare sotto al letto per provargli che non stavo mentendo. Lui si abbassò, diede uno sguardo attento e mi disse:
«Hai assunto sostanze stupefacenti di recente? Perché qui sotto non c'è niente!»
Mi buttai a terra a verificare... e aveva ragione!
«Ma c'era ti dico!»
«Seh... Charlie, mi sono assentato cinque minuti, non puoi aver avuto il tempo materiale neanche per i preliminari di una scopata! Ci sono i tuoi vestiti qui, non quelli di una donna! Puoi aver dormito e basta!»
Non bevevo, non fumavo e non mi drogavo. Ero sicuro che fosse accaduto veramente, ma non ero certo che non lo avessi sognato. Ero più fuso del fuso di un arcolaio!
«Charlie: è pieno di bodyguard giù per le scale! Non riuscivo a risalire nemmeno io! Se non hai assunto droghe può essere che sia stato un sogno, in fondo stavi a letto, da quanto non dormi?»
Non dormivo profondamente da più di 48 ore. Gennaro mi rassicurò, spiegandomi dei processi della mente che lì per lì non capii, ma mi convinsi che fosse tutto solo un sogno. Sebbene dentro di me - ma molto dentro - ero certo che non potesse esserlo. Quando mi disse:
«La mia opinione è che tu abbia avuto un incubo per il troppo stress emotivo, Charlie. I sogni si aprono a molteplici interpretazioni sia chiaro, ma il nostro subconscio idealizza situazioni che vorremmo vivere o abbiamo paura di vivere. Se a te sembra passato più tempo è perché la dilatazione temporale nei sogni è indefinitamente differita dalla realtà. Se tu hai sognato di soddisfare il tuo impulso sessuale verso questa donna allora è un chiaro sintomo di insicurezza, se hai sognato un fiasco, invece, è un sintomo di stress. In ogni caso: nulla di buono e nulla di insolito. E te l'ho detto: puoi aver avuto giusto il tempo per venire dall'altra parte del corridoio a questa stanza, spogliarti, distenderti a letto e cercare di addormentarti! La percentuale di persone che sognano un rapporto sessuale completo vedendone tutti i passaggi è del 35%.»
Mi fidai delle sue parole e mi chiesi come facesse a sapere quelle cose. Avevo improvvisamente dimenticato cosa fosse accaduto passo per passo, e non ho insistito perché non avevo avuto il tempo lì di rifletterci su. In effetti era tutto molto strano, il mio comportamento era stato troppo surreale rispetto a com'ero davvero.
«Non ho visto nessuno metterti niente nel caffè, quindi mi confermi che è stato solo un sogno e che sei intossicato di caffeina?»
«Sì... e comunque se mi hanno drogato voglio quella roba di nuovo!»
«Farò finta di non aver sentito...»
Mi distesi sul letto, senza badare di spiegazzare le lenzuola di lino che neanche Courtney e Ciro avevano avuto il coraggio di sfiorare per quanto care fossero. Cercai di prendere - o riprendere - sonno.
«Charlie... e io?» richiamò.
Mi ero scordato che dovevo dare una camera a Gennaro.
«Non ho altre chiavi, puoi dormire qua. Dirò che è tutta colpa mia.» dissi a occhi chiusi, soffocando qualche parola nel cuscino.
«Uaghiù, ti vogghiu bene ma però cu te nun ce vogghiu proprio durmì!» mi gridò.
«Me too. Gennà. Me too.»
«Torno a lavorare va...» mi diede le spalle.
«No!» mi rianimai e zompai dal letto. «No... dormi qua. Me ne vado.»
«Charlie, sul serio, ce la faccio. Ho fatto di peggio quando c'era di mezzo l'università e con una retribuzione mensile che non era neanche minimamente comparabile con quella che mi date...»
Mentre mi diceva queste parole percepii una nota malinconica nella sua voce baritonale. Vidi che cercava di non incrociare il mio sguardo, quando guardava i comodini barocchi, quando invece gli affreschi sul soffitto.
«E allora perché lo fai se sei soddisfatto della tua paga?» chiesi, pacato.
«Perché sono da solo. Se un giorno non mi sentissi in vena di lavorare non ci sarebbe nessuno a sostentarmi. Fino a che mi sento vado avanti, ho sempre fatto così. Per prevenire gli imprevisti.»
Non mi sembrava il momento di confessare a vicenda le proprie disavventure: mi fece pietà e, senza farmi troppi problemi, lo abbracciai.
«Charlie...» pronunciò turbato «ti prego di staccarti perché sei in mutande e non vorrei che spuntasse tuo padre da qualche parte.»
Feci come disse e mi aiutò a rivestirmi. Mi restò comunque il dubbio di come avessi fatto a cacciarmi il costume. Sentivo sinceramente di aver avuto un orgasmo... ma che ne sapevo io di quanto potevo essere lucido?! A che sembravo pronto a demolire i muri, a che invece non vedevo l'ora di essere sepolto da mattoni pur di dormire!
Gennaro si sistemò per fatti suoi e io uscii per un attimo fuori dal balcone a prendere aria. Dal vetro riuscivo a intravedere come la gente si divertiva a essere traghettata sulle barche. Il mare era straordinariamente calmo quella sera, nonostante il plenilunio. Il che era un po' strano, considerato anche che era fine ottobre.
Respirai un po' d'aria marina in altura e, dopo un lungo sospiro, un mormorio si fece strada nelle mie orecchie. Mi spostai un po' più in avanti e il mormorio si rivelò un canto soave. Sembrava fosse emesso da un coro di donne che si poteva trovare su una di quelle innumerevoli barche a remi che deviavano nel buio dell'acqua grazie al loro comune luccichio. Quanto erano intonate! Mi concentrai ad ascoltare le loro voci e a scovarne il pulpito in mezzo al mare.
Cercai di capire che cosa dicessero e mi accorsi che non era italiano: era greco.
Conoscevo il greco perché avevo studiato le commedie e le tragedie classiche, spesso e volentieri dovetti imparare a memoria certe battute in lingua originale. Ero capace di recitare l'Edipo re su due piedi, memorizzare parole sconosciute mi aiutava a tenermi allenato. In quel frangente sentii una cosa come:
«Ascoltano i morti nel silenzio dei vivi, ascoltano i vivi il canto con un cuore che non batte innamorato per nessuno. Vieni, vieni, o vivo o morto. Vieni, vieni, o morto o vivo. Vieni, vieni per scoprire il senso della tua esistenza.»
Mi sentii pervadere d'adrenalina tutti i muscoli. Mi sporsi fino all'estremo del baggiolo e salii per udire più intensamente il canto. Continuai a sentire «Vieni, vieni.»
«VENGO, VENGO!» urlai a squarciagola.
Cercai una via di fuga per scendere dalla balconata e, forse per ebbrezza o forse perché ero deficiente, mi misi in posizione per tuffarmi a capofitto.
Mi sentii afferrare le caviglie e strattonare verso l'interno del balcone.
«HAI VOGLIA DI FARMI AMMATTIRE SUL SERIO?!» gridò Gennaro. «CHE CAZZO STAVI CERCANDO DI FARE?!»
«Voglio andare da quelle donne!» dissi trasognante, con un respiro appesantito.
«Mamma mia quantu si rattus!» commentò sferzante.
«Gennà, ma sentile! Non le senti?! Sono magnifiche!»
Mi alzai e tentai di sporgermi di nuovo.
«Stai più fuori di questo balcone tu!»
«Zitto e ascolta!»
Tacque per qualche secondo.
«Non sento proprio niente!» continuò a insistere.
Come poteva dire questo? Quella musica suonava come un richiamo irresistibile! Risalii di nuovo sul ballatoio, ma Gennaro impedì che saltassi giù. Mi salvò di nuovo la pelle.
«ADESSO SMETTILA! Chiamo i tuoi genitori prima che t'ammazzi!» si mise a cavalcioni sopra la mia schiena.
«Gennà, Gennà! Come fai a essere così sordo?!» guardai il mare oltre le fessure del balcone, nella speranza di scorgere quelle donne da qualche parte.
«Come fai tu a essere così coglione! Ti sei messo d'accordo con Christen?! Basta, sono stanco di questi scherzi pericolosi. ENTRA SUBITO DENTRO!» intimò.
Non mi spaventava l'aspetto da filibustiere che aveva Gennaro. Anche se ci passavamo quattro anni, non eravamo poi così diversi fisicamente, sembravo anzi più grande io. Fosse stato Ciro invece a gridare in quel modo me la sarei fatta sotto, nonostante lui si facesse impartire ogni ordine senza lamentarsi.
Volevo andare da quelle donne per scoprire chi fossero e chiedere loro perché stessero cantando in greco in una maniera così attraente. Accennai di nuovo a salire per raggiungerle e lui mi schiaffeggiò trascinandomi dentro la stanza.
Non percepii più alcuna voce una volta che chiuse la portafinestra. Ripresi a respirare e mi sentii preso di una carica vitale irrefutabile.
«Scusa tanto Gennà. Me ne vado a dormire in yacht. Se hai bisogno, chiama pure.»
Mi aiutò a rivestirmi e mi accompagnò fin sotto al bar perché non si fidava a lasciarmi in balia di me stesso. Scorsi Claire, ancora sveglia, insieme a un gruppetto di ragazzi e ragazze. Ero tentato di andare a chiederle se si stesse divertendo, ma se era ancora lì e con un sorriso smagliante, significava che era felice. Quindi non mi intromisi. Per una volta che si stava avvicinando a qualcuno non volevo rischiare di eclissarla con la mia presenza.
Quando arrivammo nello yacht, Gennaro si guardò intorno sbalordito per quanto fosse confortevole ed elegante. Diedi una sbirciatina alle cabine di Courtney e Christie per verificare che si fossero addormentate, ma vidi solo Courtney che stava dormendo insieme a Ciro e mi allarmai. Perlustrai le altre sette cabine, ma non vidi mia sorella da nessuna parte.
«Forse non è andata a dormire da un'altra parte per non fare il terzo incomodo...» fece Gennaro.
«Christie ha bisogno di dormire almeno sei ore continue per non rischiare di incorrere in episodi di sonnambulismo! Courtney doveva chiudere a chiave la stanza, cazzo!»
«Sonnambulismo hai detto?!» domandò spaventato.
Mi era scappato... Christie non voleva che qualcuno oltre noi sapesse del suo sonnambulismo lì, era uno dei tanti motivi per cui tornava prima alle feste o per cui non andava mai a dormire a casa di amiche. Si vergognava molto di quello... a volte credevo che non confidasse a pieno nelle sue capacità perché non sapeva fare una cosa semplice come dormire.
«CIROOO!» gridai nella cabina.
Ciro rizzò la schiena e prese in pieno la mensola sopra il letto di Courtney. Aveva un'espressione stracolma di disagio. La cosa che mi piaceva di lui era che stava sempre sull'attenti ogni volta che lo chiamavo. Ero diventato il suo incubo in quei giorni, ma mi divertivo tantissimo a vedere come un armadio a doppia anta qual era lui si spaventasse così facilmente con delle urla.
«Che cazzo ti gridi?!» fece Courtney.
«Christie! Dov'è Christie?!»
«E io che ne so? Non la vedo da quando hai dato il tuo spettacolo!»
Ci dividemmo per cercarla, sperando che non le fosse accaduto niente. Improvvisamente sentii di nuovo le voci femminili che cantavano in greco e, preoccupato, mi avvicinai alla guglia della prua per scovare quelle donne. Le sentivo lontane all'orizzonte e non vedevo alcuna imbarcazione lì da dove mi sembrò che il canto provenisse. Era impossibile da raggiungere a nuoto, così disancorai in fretta lo yacht, rubai le chiavi dalla cassaforte di mio padre e presi a timonarlo.
Il mio battito accelerò e i miei occhi si sbarrarono dalla troppa enfasi. Ero ufficialmente impazzito per quel coro che mi aveva incantato.
I miei genitori si svegliarono e, resisi conto di quello che stava accadendo, cercarono di gettare le ancore. Tutti urlarono e mi dissero di fermarmi, ma non ci riuscivo.
«Sorella, vieni con noi.» scandì un loro verso in greco. «Mary in mare, Mary in mare!» disse poi una di quelle voci.
A quel punto rallentai, nello stesso istante mia madre tolse le chiavi dal quadro e io mi tuffai in mare senza che nessuno avesse il tempo di potermelo impedire.
Sentii solo una voce cantare ed era la stessa che forse stava cercando di dirmi che mia sorella era in acqua. Mi approfittai dell'onda del mascone per nuotare più veloce. Percepii passare qualcosa di viscido sotto le gambe che mi aveva sfiorato le dita. Mi sentii mancare l'aria e sprofondai giù, pensando che stesse per giungere la mia ultima ora.
Intravidi delle ombre bislunghe e ittimorfe che guizzavano svelte e sfuggenti. Non sapevo che animali potessero essere, tra il buio e tra lo spavento non riconobbi qualcosa che mi fosse familiare. Ero appassionato di biologia marina - una volta mi capitò anche di nuotare con gli squali, non sono affatto i mostri sanguinari che ritraggono nei film - e sapevo che non potevano esserci lì banchi di grossi pesci. Forse delfini, ma sembravano più lunghi e avevano una pelle più lucida.
Nonostante la pressione nelle orecchie, continuai a percepire quella voce e, mano a mano che il canto aumentava di intensità, il fiato evacuava dai miei polmoni e tutto dentro di me stava per esplodere. La vista, già offuscata dall'acqua, non funzionò più.
Il canto cessò ed ero certo di essere annegato.
Qualcosa di delicato mi sfiorò le labbra, leggero come l'aria e saziante come l'acqua, pensai fosse l'angelo della morte che mi stesse estorcendo l'anima con un bacio.
Etereo, dolce - molto dolce - che invece di togliermi l'ultimo respiro, me lo diede... e non solo quello. Sentii proprio la vita entrare in me e rifarsi strada nel mio corpo: il cuore ricominciò a pulsare e i polmoni si riempirono di quel fiato donato. La mia vista tornò e si fece molto meno opaca.
Non ci fu alcuna voce femminile che mi permeasse le orecchie d'incanto.
Vidi, con gli occhi socchiusi, una donna di fronte a me, una ragazza, sorridermi e accarezzarmi il volto. Quando ritirai le palpebre e mi si focalizzarono le pupille, rimasi sbalordito dalla sua bellezza: aveva un carnato scuro e lucido, un naso piccolo e dalla curvatura armoniosa come un'onda marina, le labbra sottili e rosse e gli occhi - oh, mamma mia gli occhi! - grandi e mandorlati, le cui iridi argentee mi folgorarono il cuore.
Si propagò dal mio stomaco un uragano di farfalle quando lei dilatò le labbra sottili, mostrando delle perle magnifiche che aveva per denti.
Morii di nuovo, ma stavolta non era colpa del canto. Morii per lei. La mia anima annegò dentro ai suoi occhi e non riuscii a recuperarla più. Forse morire, alla fine, è come innamorarsi: basta un attimo e si è già catapultati in un altro mondo.
In quel singolo istante non si fermò solo il mio cuore, ma sentii il mondo interrompere la sua roteazione e un'emozione ingurgitarmi dentro una voragine di passione. Vera passione, legata al vivere, legata allo spirito.
Tentai di allungare la mano perché volevo essere certo che non fosse un miraggio e lei si allontanò. Ero così preso dal suo volto che non mi accorsi neanche della sua nudità. Ed ero così preso a sbirciarle i seni floridi, coperti parzialmente dai lunghi capelli neri fluttuanti, che non mi accorsi di ciò che era più evidente: una coda di pesce dalle squame perlacee che rilucevano sotto il plenilunio. Quella ragazza non era una donna: era una sirena!
Dallo shock buttai fuori il respiro che mi aveva dato e svenni. Prima che fossi del tutto incosciente, avvertii la soffice carezza di un altro bacio.
Mi risvegliai a mollo in superficie, frastornato, confuso e con più energia di prima. In lontananza, dallo yacht, mi stavano chiamando e cercai di realizzare cosa mi fosse successo, ma non mi raccapezzai lì per lì.
Sentii muoversi l'acqua circostante e credetti che la sirena si trovasse accanto a me. Ma purtroppo... cioè no! Che purtroppo?! PER FORTUNA era Christie che galleggiava a pancia in su.
Mi pietrificai dalla paura che fosse morta. Mi avvicinai a sentirle il battito e potei constatare che era ancora viva e dormiente. Come avesse fatto ad arrivare fino a lì indisturbata e illesa era un mistero. Cercai di svegliarla, ma non ci riuscii. La presi per le spalle e nuotai fino allo yacht.
I miei genitori si precipitarono a prendere in mano Christie, mentre Ciro mi aiutò a risalire. Per poco non mi slogava il braccio per quanto potentemente mi afferrò. Mia madre era in lacrime e strinse Christie forte a sé per scaldarla. Gennaro arrivò con due coperte e quando mamma le tolse il pigiama inzuppato fradicio si girò di scatto dalla parte opposta per non mangiarla con gli occhi.
Poco dopo ritornammo in porto, risollevati.
Sebbene avessi sonno, non riuscii ad addormentarmi. Non capivo più da che parte ero, se in una dimensione reale oppure onirica.
Avevo vissuto un incubo e un sogno insieme, o due incubi, o due sogni... non ne avevo la più pallida idea! In uno riversavo la mia perversione ma ero impotente, nell'altro invece mi innamoravo ma morivo.
Quella donna lì in camera, quella sirena lì in acqua... erano due cose completamente opposte. La milf poteva camuffarsi in un'idealizzazione: Gennaro aveva ragione a dire che la mia era una paura. Avevo deluso quella donna fascinosa con la mia recitazione, immettendomi dei dubbi sulla mia bravura attoriale, e avrei potuto benissimo sognare di lasciarla insoddisfatta dove ero altrettanto bravo... beh, di solito. Non è che avessi chissà quale esperienza, in fondo ero stato per anni con una sola ragazza e stavo rimediando alla mia "carenza" con l'Italia in un certo senso.
Ma la sirena? La sirena no. Il sesso orale, per quanto vero mi sembrasse, poteva anche passare, ma quel bacio non poteva essere un sogno, la mia mente non era in grado di creare un'immagine così bella.
Sia nella realtà che nella fantasia fui folle, decisamente folle. Ma d'altronde era Halloween, una volta all'anno era lecito fare follie... giusto?
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