🌊🏚️🎃 2. La famiglia Hall 🎃🏚️🌊
Il sole era alto nel cielo blu cobalto sopra la prua, privo di nuvole e di qualsiasi elemento atmosferico che minacciava di rabbuiare il magnifico golfo di Napoli. Una brezza mediterranea sfarfallava le nostre tenute marinaresche mentre ci baciavamo, felici di scorgere in lontananza la città partenopea e il monte Vesuvio. Il mar Tirreno era placido e blu come il petalo d'un fiordaliso, i flutti che si stagliavano in opposizione al Lower deck del nostro yacht rilucevano di pura limpidezza. Era così nitida l'acqua del mare che vi si riuscivano a intravedere i pesci guizzanti sulle tenui increspature che giungevano alla costa come onde di benvenuto. La bandiera del nostro yacht, "One Hall a war, more Hall a win", era issata sull'asta come uno stemma di conquiste. Sembravamo, tutti quanti noi, dei vichinghi che approdavano per un'espugnazione di territori. Un po' fu così.
Un Hall è una guerra perché combattevamo fino in fondo per raggiungere il nostro scopo. Più Hall sono una vittoria, perché in qualsiasi attività ci immischiavamo riuscivamo a uscirne vincitori insieme: contribuimmo a risollevare il mercato museale globale, eravamo riusciti ad arricchirci partendo da zero con una piccola casa museo americana fino ad arrivare a essere i primi del settore d'immobili pubblici. Il nostro scopo, sin da quando iniziammo l'impresa, era rendere edifici privati dei luoghi aperti a tutti, degni di essere contemplati e di appartenere al mondo.
Ai nostri nomi, Thomas e Annabeth Hall, fu istituito su proposta del G.P.A. (Global Paranormal Activity) il premio per la miglior azione socioeconomica nel settore artistico-esoterico. La nostra specializzazione nel restaurare edifici storici poco noti ai più, per poi renderli dei luoghi di culto, ci rese celebri in tutto il mondo. Tanti presero a imitarci, ma purtroppo il mercato americano non era paragonabile a quello europeo, dove i gravami fiscali erano alle stelle. Il che ci stupiva, perché di luoghi adibiti a museo l'Europa ne è piena.
Tra i nostri ultimi possedimenti recuperati, il più antico era la Tenuta estiva del barone Jonathan Wickam, in Virginia, del XIX secolo. In America non era reperibile per noi nessuna struttura privata più remota e intendevamo acquistare qualcosa di diverso, qualcosa di straordinario. Volevamo elargire il nostro patrimonio ed eravamo alla ricerca di un luogo del tutto incomparabile con i precedenti, un luogo antico, oltreoceano, un luogo su cui investire il nostro denaro per ricavarne un museo senza eguali.
Non appena scoprimmo I fantasmi di Palazzo Donn'Anna su Paranormal Globe, fummo subito attratti dalla storia dell'ubicazione napoletana: un posto appariscente e affascinante, un luogo celebre e al contempo misterioso. Era inevitabile, per dei tipi spericolati come noi, non desiderare di avviare un'attività immobiliare in Italia! Eravamo sorpresi, contrariati ed eccitati: non credevamo possibile che una perla del genere, con una storia così macabra e intricata, fosse rimasta chiusa al pubblico per così tanto tempo.
Ma non volevamo solo aumentare le nostre ricchezze, sentivamo il dovere morale di liberare il maestoso Palazzo incompiuto dagli inquilini che lo abitavano. Era inconcepibile che una dimora principesca fosse scissa in appartamenti privati: mura seicentesche perforate da fili elettrici, terrazzi lastricati e disseminati di antenne satellitari, balconi barocchi sui quali veniva stesa della biancheria intima. Cioè: Ma di cosa stavamo parlando?! Senza contare poi che non sapevamo ancora niente su com'era all'interno.
Ci dicemmo all'unisono:
«Salveremo Palazzo Donn'Anna o moriremo provandoci!»
Mi svegliai presto quella mattina, cosa inconsueta per me. Nella lista delle mie qualità "mattiniero" era una voce inesistente: tutto potevo essere, ma non uno che si alza alle cinque per girovagare su uno yacht in cerca di prendere sonno. Con le mie grosse occhiaie avrei potuto fare concorrenza a uno zombie, con la mia pelle anemica invece a un vampiro! Sperai di abbronzarmi e diventare subito nero come un moro una volta per tutte, dato che stavamo per passare l'intera estate in Italia. Non stavo più nella pelle di arrivare a Napoli!
I miei genitori mi avevano chiesto, un mese addietro, se volessi andare con loro a Palazzo Donn'Anna e io feci subito le valigie. Le mie sorelline invece se la presero comoda: Courtney e Christie, le gemelle, all'inizio non volevano lasciare New York, poi invece ci comunicarono di voler partire tre giorni prima che andassimo in porto. Fui contento della loro decisione, anche perché la povera Courtney era caduta in depressione per via di una slogatura alla spalla, che le impedì di partecipare alle gare agonistiche di tennis di quell'anno. Un po' di relax non poteva che farle bene. Credo che sia stata Christie a convincerla. Trovavo strano che, proprio lei che stava studiando moda, non volesse visitare la patria di Gucci, Versace, Dolce&Gabbana, Armani... quando cercai di persuaderla mi disse:
«Non voglio lasciare Courtney in balia di sé stessa.»
Ero contento che fosse riuscita a risollevare per un po' l'umore di Courtney tanto da spingerla a prendersi una vacanza.
Claire, la più piccola, era riluttante all'idea di andarsene da New York e non voleva sentire ragione. Cercai di persuaderla insistentemente, dato che era rimasta solo lei:
«Ci dobbiamo trasferire?! NO! Volete solo passarci l'estate! Ho la band, non la posso abbandonare!» si motivò così.
I miei non volevano lasciarla da sola dopo la festa che aveva dato senza il loro permesso... quindi fu costretta a venire, controvoglia.
Era in programma anche la presenza di un'altra persona: Grace, la mia fidanzata, anzi ex fidanzata, dato che mi tradiva regolarmente almeno due volte a settimana. Che bastarda. Ma ormai non ci dovevo più pensare: ero in Italia! Avrei di sicuro trovato belle ragazze con cui spassarmela che me l'avrebbero fatta dimenticare.
Nella lista delle mie qualità non ci sarà "mattiniero", ma "bello" sì! Non è che volessi farmene un vanto... ma... ecco: sì. Ovvio che sì. Perché non dovrei riconoscere di essere bello? I lineamenti perfetti e il fisico ben allenato costituiscono qualità che a un attore come me non dovrebbero mancare! In più ero l'unico tra quattro figli ad aver ereditato gli occhi azzurri di mamma: un'abbronzatura mediterranea e i miei capelli bruni si sarebbero schiariti mentre la mia carnagione scurita. Sarei stato la fine del mondo!
Avevo il sogno di recitare sia nel cinema che nel teatro. Avevo scritto qualche sceneggiato in America che ha avuto un discreto successo, ma ancora non ero riuscito a ottenere un incarico importante o un ruolo di spicco nelle case di produzione americane. Un bel viaggio d'ispirazione non avrebbe guastato la mia creatività! Ci sarà un motivo se Shakespeare ambientò in Italia la maggior parte delle sue opere, no? Napoli: accogli il tuo Prospero dopo la Tempesta!
Oh Italia: Paese affascinante dalla cultura millenaria! La culla di ogni arte, secondo me. Sin da piccolo sognavo di visitarla, la mia felicità per quel viaggio era indescrivibile!
Quando lo yacht si stava avvicinando al porto di Napoli, notai che mio padre non aveva decelerato. Mi girai a controllare se si fosse accorto di star andando troppo veloce e vidi una sola mano sul timone. I miei genitori erano un po' troppo eccitati per i miei gusti! Mi dissi: «Un altro po' e lo fanno a cielo aperto facendoci schiantare sul molo Pisacane!». Gettai un urlo:
«Ou! Vedi di timonare il timone invece di tua moglie!»
Mio papà sentì, riprese a guidare con entrambe le mani e scese di velocità. Mia madre era talmente concitata che continuò a baciarlo in ogni parte che non fosse vestita. La maggior parte dei genitori davanti ai figli ha un po' di contegno... ma non i miei. I miei proprio se ne fregavano altamente di chi ci fosse e di chi no.
Raggiungemmo il molo e ci preparammo a sbarcare. Ero super eccitato! Il posto era ciò che di più poetico avessi mai visto. Non persi tempo a squadrare il Vesuvio e la baia affollata di gente colorata. Mi dissi, fomentando da solo la mia carica:
«Napoli, prendimi, sono tutto tuo!»
Sorseggiavo della tequila, alternandomi tra una barretta di cioccolata e l'altra, quando Charlie piombò dentro la nostra cabina urlando come uno sciroccato. Prese a saltellare in maniera infantile.
«SIAMO ARRIVATI!» mi scosse le spalle, facendo cadere a terra la barretta che tenevo in mano.
«Stai fermo!» gli gridai irritata «Di anni ne hai 21 o 7?! Mi devi una cioccolata!»
«Non la mangi?» abbassò la schiena, prese il pezzo di cioccolato dal parquet e gli diede un morso.
«Ma che schifo Charlie!» fece Christie.
«Che c'è?! È tutto pulito!» prese il suo cellulare e poi corse via leccandosi le dita.
Sentimmo lo yacht fermarsi e i passi frenetici di Charlie scendere dalle scale. Mi aveva rubato la colazione, ma almeno non aveva rovesciato la tequila. Potevo ancora finire la bottiglia.
«Non dovresti bere così tanto, Courtney, a 18 anni.» mi disse Claire, sedutasi di fronte a me.
«Siamo in Italia e in Italia i diciottenni possono bere alcolici!» ribattei.
«Claire ha ragione, non giova alla tua salute... né l'alcol, né il cioccolato... e poi se ti vede la mamma, che fai? Non credi che noterà una bottiglia in meno nel piano bar?» fece Christie dopo aver preso la sua borsa.
«Nessun problema, l'allungherò con l'acqua!» così dissi e così feci.
I miei genitori non sapevano della mia nuova... "tendenza", diciamo... erano talmente occupati nei loro affari esteri che non si erano accorti di quanto stavo male quel mese di luglio. Ero convinta che non sarei mai più tornata a giocare a tennis per quella brutta caduta dal primo piano, che avevo fatto al sedicesimo compleanno di Claire. Mi poggiai su una balaustra instabile, senza saperlo, e caddi. Fu un aggravante che le mie ossa fossero colpite da una carenza di calcio e mi provocai una frattura molto critica. Andavo avanti e indietro, tra casa e ospedale, da cinque mesi.
Affidammo all'equipe nautica i bagagli, afferrammo i nostri zaini e scendemmo dallo yacht. La nostra famiglia fu scortata da una lunga limousine bianca. La gente attorno ci guardava stranita come se avesse visto degli alieni.
«Salve signori Hall, è un vero piacere fare la vostra conoscenza.» sentii proferire dal ragazzo del posto che i miei assunsero come autista e cicerone.
Aprì lo sportellone della limousine e quasi gli si strappò la manica della giacca per quanto gli stesse stretta. O era troppo robusto lui o erano troppo piccoli i vestiti. Forse più la prima. Non è che fosse grosso, però... non so... era una di quelle masse distribuite bene senza essere allenate. Appena vide me, Christie e Claire si paralizzò. Non so se fosse la tequila, ma arrossii quando posò lo sguardo su di me. Si presentò con un bel sorriso smagliante:
«Ciao! Io mi chiamo Ciro.» allungò la mano. Gliela strinsi.
«Courtney.»
«Cou... comm aie ritt?! Cioè... scusa: come hai detto?»
Gli scandii il mio nome e lui sembrò preso da balbuzie improvvisa. Claire e Christie si misero a ridere mentre io lo guardai basita. Charlie mi spintonò facendosi largo tra noi e si presentò come se niente fosse. Quando salimmo, mio fratello non la finiva più di fargli domande riguardo Napoli e Ciro gli rispondeva certe volte in un italiano per me incomprensibile. Se la intesero bene sin dall'inizio quei due.
L'allegria di mio fratello era contagiosa per gli altri, le uniche immuni eravamo io e Claire... io perché non ero dell'umore e Claire perché... beh: era Claire! Non sia mai che non tenesse il muso lungo!
Dai vetri oscurati della limousine vedevamo palazzi con intonachi cedevoli, decisamente decadenti rispetto a quelli di New York. Per quelle strade affollate, piene di macchine parcheggiate abusivamente, rispettare i semafori era un optional e si sentivano i clacson delle auto suonare come in una parata di ottoni.
«A bellezza uaiò!» urlò mio fratello con eccessiva enfasi.
Non riuscimmo a vedere quasi niente dei monumenti che vedeva Charlie, che aveva posto il suo sedere davanti a noi e la testa fuori dal finestrino come un cane. Al collo aveva una fotocamera con la quale continuava a scattare fotografie e girare video.
Non ci mettemmo molto ad arrivare a Palazzo Donn'Anna. Fui l'ultima a scendere dalla vettura e, senza che me ne accorgessi, mi cadde la palla da tennis che era dentro la tasca retata del mio zaino.
«Aspetta!» urlò Ciro col fiatone per la corsa. «Ti è caduta questa.»
«Grazie.» gli dissi accennando a un sorrisetto.
«Pensavo che la tua faccia non potesse essere più bella, poi hai sorriso... e adesso mi sto ricredendo.» divenne rosso come un peperone.
Presi la pallina dalle sue dita nerborute e le nostre mani si toccarono per qualche secondo di troppo. Lo salutai e mi voltai imbarazzata. Poi, credendo che lui non stesse guardando, mi girai a vedere dove fosse e scoprii che si era voltato insieme a me.
«Qualcuno ha già un interesse eh!» fece Christie con un tono malizioso.
«Ma no, che dici?! E poi... se parleranno tutti come lui finirò per impazzire!» le dissi pentendomi di aver preso lezioni di italiano.
Secondo me ci fu un colpo di fulmine tra Courtney e quel ragazzo molto buffo. Mia sorella aveva preso troppo male il non poter più partecipare al campionato di tennis, qualsiasi distrazione sarebbe stata ottima per non farle pensare al tutore che aveva sotto la maglietta. Doveva tenerlo per almeno otto ore al giorno e aveva molta difficoltà a muoversi, delle volte.
La limousine ci aveva lasciati davanti al bagno Elena, più in là non poté portarci per via della massa di turisti che schizzava tra le strade. Charlie mi chiese di fargli una foto con il palazzo sullo sfondo, noncurante di alcune ragazze, a cui aveva rubato la posa perfetta, che lo stavano fissando ammaliate come se avessero adocchiato un attore americano. No, un momento... ma era così in effetti...
«Accidenti, la foto non rende giustizia a com'è nella realtà!» disse lui.
Aveva ragione... avevo visto tutte le foto di Napoli insieme a mio fratello, ma dal vivo era tutt'altra cosa! Era come immergersi in un mare incantevole di meraviglie senza la paura che mancasse il respiro. Soprattutto con quel Palazzo eretto sul litorale di Posillipo, che mamma e papà volevano acquistare a tutti i costi. Erano sempre troppo ambiziosi, c'erano certamente delle pratiche da seguire a livello internazionale, ma avrebbero pagato qualsiasi cifra per acquistare quella struttura dal fascino immortale.
Scoppiavano d'ansia per l'attesa di visitarla dall'interno. Mia madre si tolse gli occhiali da sole per percepire i veri colori che costeggiavano il nostro panorama. Analizzava le incanalature dei muri esterni senza sfiorarli mai con le dita, soffiava su ogni mattone intemperato dentro cui si annidava la silice per valutarne la consistenza e spolverava tramite le suole dei suoi sandali bianchi il pulviscolo che rivestiva il pavé.
«Resistenza. Immanenza. Mistero. Tom: è quello giusto!» disse a mio padre prima di imprimergli un bacio sulla guancia.
Dovevamo attendere una residente, una certa signora Meziani, per accedere all'ingresso privato del Palazzo. I miei erano riusciti a farsi affittare un appartamento al secondo piano, di fianco a quello della suddetta signora. Non era assolutamente necessario, visto il nostro lussuoso yacht da otto cabine, ma a loro piaceva sempre esagerare. Si godevano la vita così. Due cose non mancavano mai a casa Hall: amore e soldi. Il resto - tipo la sanità mentale - lasciava un po' desiderare.
Quando l'addetta arrivò, mi misi a ridere con le mie sorelle per come si presentò: aveva sì e no una settantina d'anni, era truccata pesantemente con dell'ombretto azzurro e del rossetto rosso molto acceso. Aveva dei capelli arricciati come un clown e arancioni come una zucca, due verruche sul viso raggrinzito da rughe - una sotto al naso aquilino e una accanto all'occhio sinistro - ed era vestita con un lungo abito floreale che le stava malissimo. Sembrava un attaccapanni in vestaglia sforacchiato dai tafani. Ma non era solo brutta questa signora Meziani, era anche molto antipatica! Criticò Courtney per i pantaloncini che le mettevano in mostra le lunghe gambe atletiche e le evidenziavano il sedere muscoloso, criticò me per il top che non mi copriva fino al piercing dell'ombelico e per la minigonna troppo corta e criticò Claire per il suo aspetto da vampira, per lo stile da darkettona e per le punte rosse dei suoi capelli lisci.
«Guardati tu, che sei mezza strega e mezza zucca!» rispose Claire, suscitando l'irritazione della donna.
Andammo lungo i balconcini che si spalancavano sulla riva e aprì il grande portone di legno. C'era un tappeto rosso nel corridoio che percorremmo e delle sfarzose piante esotiche, con vasi di terracotta dipinti di blu, accostate alle pareti della lunga stanza color avorio. Da dove eravamo si poté vedere, nell'immediata prospettiva interna, il mare all'orizzonte oltre la scogliera che sosteneva le fondamenta dell'edificio imponente e straordinario.
Dovetti ammetterlo: i miei genitori avevano ragione riguardo quella struttura. C'erano forse quindici o diciassette appartamenti sul nostro piano ed erano tutti chiusi a chiave e, giustamente, impossibili da visitare. Si misero le mani nei capelli appena scoprirono che non c'erano abbastanza mobili d'epoca o arredamenti di stampo seicentesco. Se lo aspettavano, ma titubarono fino all'ultimo a firmare il contratto il mese successivo. Già all'inizio avevano intenzione di smantellare tutto e tutti.
Mentre loro pattuivano con la Meziani, noi ci facemmo le prime foto dai balconi verso il mare e in direzione della malta dei muri, che evidenziava le finestre sia vetrate che mancanti. Claire era sempre scorbutica, la magnificenza di quel posto non la sfiorava di striscio, tant'è che non si volle fare nessuna foto... il lato positivo fu che non dovemmo mettere l'autoscatto.
Il nostro yacht arrivò al porticciolo che conteneva il secondo ingresso per il palazzo. L'equipaggio lo ancorò e ci dirigemmo dentro l'imbarcazione per vedere come fosse il Donn'Anna dal mare. Era stupendo. Semplicemente stupendo. Non avevo mai avuto la sensazione di star guardando un vero castello come quella volta.
La leggera brezza che si abbatteva contro le mura della tenuta sapeva di frescura insormontabile. L'acqua e l'aria, ricolme di salsedine, non sembravano in alcun modo penetrarla, né corroderla, come se ogni istante di quella sua battaglia contro il tempo fosse sempre uguale, sempre vittoriosa. Sembrava anch'essa parte dei due elementi, l'anello di congiunzione tra il mare e il cielo. Una specie di ponte stretto e incerto che le nostre menti umane assaporavano stabile e immortale. Sentii come se mi avessero impiantato degli aghi nelle vene a scoprire, con gli occhi critici, delle paraboliche, delle antenne, delle luminarie... che oscuravano l'autentica storia del luogo.
«Io e la mamma pernotteremo al Donn'Anna ragazzi, voi potrete stare qui.» ci disse mio padre. «Sempre che non abbiate paura dei fantasmi e non vogliate venire con noi!»
«Non sono i gemiti o le urla dei fantasmi a farmi paura, sono le vostre mentre fate sesso!» esclamò Charlie «No grazie: restatevene pure da soli!»
Subito dopo, ripose la fotocamera nella custodia e si tolse la maglietta per prendersi un po' di sole sul Main deck dello yacht. La Meziani ci diede le spalle in segno di fastidio, ma continuò a guardare il petto poderoso di mio fratello con la coda dell'occhio.
Io e Courtney lo seguimmo a ruota: ci mettemmo il costume e facemmo il bagno lì davanti al palazzo. Quando la aiutai a togliersi il tutore, ricevette una notifica sul cellulare.
«È Ciro, mi ha inviato una richiesta d'amicizia.» disse sorridendo. Le si illuminarono gli occhi! Continuava a negarlo, ma le era piaciuto dal primo istante quel ragazzo carino, divertente e tanto gentile.
Claire si rimise subito comoda dentro la sua cabina, diede da mangiare alla sua tarantola e accese la televisione per guardarsi un film. Non ne voleva sapere di divertirsi, non ne voleva sapere proprio di niente quell'estate: scontenta era all'inizio e scontenta fu alla fine.
Mi chiese di ripararle la collana choker - cioè il collare nero in similpelle che le piaceva indossare - con qualche passata di ago e filo, per via del nervosismo l'aveva rotta. La sera lo feci senza problemi. Claire sfruttava molto le mie doti nel cucito, ed ero contenta anche se non mi piaceva per niente il suo stile troppo gotico. Persino quando venne il mese di agosto si rifiutò di indossare degli indumenti a maniche corte, pensai che avesse un serio problema di outfit. Mi proposi più volte di renderla quantomeno presentabile, ma mi disse di farmi gli affari miei.
Il giorno io, Courtney e Charlie lo passavamo sullo yacht sotto al sole mentre i nostri genitori sbrigavano le loro pratiche, la sera invece ci divertivamo ad andare in giro per la città. Passammo un'estate molto bella, la migliore in assoluto, ma il meglio, anzi il peggio, doveva ancora arrivare. E credo di aver avuto un presentimento quando dissi a Charlie, qualche giorno dopo che arrivammo al Palazzo:
«Questo edificio sembra averli ubriacati, e se avessero intenzione di lasciare agli zii la villa a Long Island e trasferirsi qui?»
«Meglio! A me piacerebbe un botto vivere a Napoli! A te no?»
«Bah... a me piacerebbe vivere e basta.» feci prima di aspirare del succo d'ananas con la cannuccia.
Bussarono dei volti novelli alle porte del mio palazzo deturpato nell'onore come nel corpo. La villica più molesta, madonna Meziani, li aveva condotti nel locale più ristretto di tutti, dove un tempo avrebbe dovuto risiedere il mio armadio. Glielo fece pagare il triplo di quanto valesse quella vecchia strega arguta.
Ne venni a conoscenza quasi all'istante delle loro intenzioni ed un barlume di speranza iniziò ad accendersi dentro al mio animo tormentato: finalmente era giunta l'occasione di deliberare la mia dimora da quei fastidiosi villici! Non potei che averli a simpatia, in un momento d'apparenza. Credetti che tutti i napoletani odiosi, che avevano usurpato il mio alloggio per un tempo incalcolabile, avrebbero ricevuto inflitta una punizione più che esemplare.
Mi incuriosii ed auspicavo a saperne di più riguardo chi potessero essere quei benefattori avvenenti: provenivano dalle Americhe ed avevano un modo d'agire chiassoso, non quanto i napoletani, ma si udivano tutti i loro passi e le loro parole come in un teatro echeggiante. Non riuscii a vedere tutta la famiglia, ma ebbi un torpore irrigidito grazie alla loro presenza.
La donna adulta, dai capelli colore del letame, era toppo deperita per i miei gusti sopraffini e pareva indossare biancheria intima anche fuori dalla camera da letto. Lasciava le gambe ignude ed erano riconoscibili i seni rosati sotto ogni sua veste provocante e lasciva. Il marito invece... oh cielo, da quanto non capitava che un uomo bello e gagliardo giacesse dormiente sotto questo tetto! Il suo volto mi sembrò scolpito dai serafini: peluria rasa su metà viso, capelli setosi colore del grano, pelle robusta con muscoli e tendini tesi interrottamente. Non vi fu volta in cui non li contemplai fare all'amore quei due coniugi ch'erano anche amanti focosi e passionali.
Palpai quell'uomo delle volte e, sebbene sentissi ogni sua parte, il mio spirito non provò alcuna eccitazione carnale. I gemiti dei loro orgasmi mi avvelenarono d'invidia verso quella moglie che stava sopra e dentro di lui ricevendo le energie ch'egli riservava per soddisfare ogni libidine.
Se anch'io avessi avuto un marito così avrei mantenuto ogni promessa di fedeltà coniugale!
Persino la loro prole pareva discesa dall'Olimpo: ah! Quant'è bella giovinezza, che si fugge tuttavia!
Il primogenito, che mi capitò di adocchiare più volte, era un adone di qualità eccelsa! Fossi stata viva avrei già divorato quei pettorali levighi e seducenti. Le loro figlie, all'opposto, di rado valicavano i corridoi per uscire dall'ingresso che conduceva alla spiaggia.
Madonna Meziani, a tratti più depravata di me - la vidi compiere atti indicibili con le orecchie puntate al muro che separava le due stanze! - aveva ragione al proposito che le fanciulle erano delle sgualdrine. Il modo indecente con cui si svestivano era un vero oltraggio al pudore! Quegli stralci di veste non erano affatto atrofizzanti per l'impeto virile! Ne vidi due di figlie nei primi giorni, una prostituta dei miei tempi copriva molto di più delle sue grazie in confronto a loro.
Una sera, in cui guardavo quei due coniugi provare piacere e bramavo di invadere il corpo di lei e possedere lui, bussò alla loro porta il quarto figlio, che scoprii proprio in quel frangente trattarsi di un'altra fanciulla empia.
Quando la vidi ebbi il tremore di un secondo decesso: era abborracciata di nero e di rosso come una vedova nera! Sembrava un demone dell'inferno! Non potei che inorridirmi e al contempo provare timore alla sua vista: grandi occhi lionati, capelli lunghi e bruni raccolti con due trecce dalle punte scarlatte, pelle diafana dalle gote arrossate ed uno sguardo da meretrice da cui trapelava disprezzo. Come poté la sua cenere giungere sino a tanto lontano?
No! Non ci potevo credere quanto somigliasse a quell'oca di Mercedes! Mi si scagliò in mente l'idea che non potesse trattarsi di una coincidenza: era proprio mia nipote che giungeva lì apposta per liberarmi e farmi raggiungere l'inferno! Voleva riscattare la sua anima attraverso un corpo identico a quello che le bruciai! Era Mercedes nell'aspetto ed era Mercedes anche nella voce suadente e accattivante!
Tenevo sempre gli auricolari per ascoltare della musica, canticchiando ogni tanto, e quando li sfilai dalle orecchie mi parve di aver sentito qualche insolito botto alle pareti. Lì per lì credetti che fossero i miei che se la stavano spassando. Ero andata a chiedere loro quando avevano intenzione di salpare per New York, perché quella sera ricevetti una mail con su scritta la selezione a un concorso musicale della mia band, Damhànalla. Ero al settimo cielo e volevo sapere quando sarebbe terminato quello strazio di gita!
Non mi andava di entrare spesso in quel Palazzo affollato di persone che gridavano e parlavano in una maniera teatrale.
La regina di quel covo di matti era quella signora acida e urtante a cui non mancai mai di rispondere in maniera maleducata. Tutti gli insulti che le feci se li meritava, quella vecchia stronza che mi dava della puttana. Credeva, zuccona allampanata che non era altro, che non mi accorgessi del suo occhio sbieco intento a osservarmi dallo spioncino della porta del suo appartamento.
Secondo me quell'arpia, e spia, passava il tempo a sentire i miei genitori fare... beh... i genitori? Le peggiori persone sono come lei: finte sante che credono di dover santificare gli altri e poi, di nascosto, sono delle cavalle in calore che vorrebbero solo essere trapanate dall'asino di turno.
Mio padre aprì la porta di soppiatto e mi rispose così:
«Claire, ne parleremo domani cara, ti dispiace?»
«Perché, state cercando di avere un altro bambino per caso?!»
«Che?! Per carità no!»
Dal suo sguardo agitato capii che c'era qualcosa sotto che nessuno mi voleva dire. Il giorno dopo infatti mia madre ci comunicò questo:
«Abbiamo deciso di trasferirci qui. A breve firmeremo il contratto che ci farà avere il Palazzo tutto per noi e potremmo abitarci, oltre a insignirlo a museo esoterico.»
Credo di aver avuto il primo sintomo di un arresto cardiaco quando finì di parlare. Charlie, stralunato com'era, pensava che fosse una buona idea. Credeva che sarebbe stato più facile, per un tipo bello e dotto come lui, avere successo in Italia. Non è che si sbagliasse, visto i livelli intellettivi inferiori rispetto a New York.
Courtney, forse perché brilla o forse perché presa da quel tizio impacciato, fece delle risatine favoreggiando una reazione positiva e Christie, invece, non seppe che obiettare oltre il comfort di Long Island che le mancava. Magari era scossa, mai quanto me però.
Io urlai il mio dissenso e scoppiai a piangere, mi ritirai nella mia cabina e pensai a tutti i miei sogni da rockstar andati in fumo. L'unica consolazione che accettavo in quel momento era il formicolio delle zampette pelose di Morticia sui dorsi delle mani.
La mia famiglia cercò di parlarmi, ma non volli ascoltare nessuno quella volta per quanto fossi arrabbiata: io a New York avevo una vita, avevo degli amici, una scuola in cui ero popolare e una band! Come potevano essere così egoisti?!
«Finirò per ammazzarmi!» mi dissi esasperandomi tra le pieghe del cuscino.
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