𝚄𝚗𝚊 𝚌𝚊𝚜𝚊 𝚊𝚌𝚌𝚘𝚐𝚕𝚒𝚎𝚗𝚝𝚎

ᴄ'è ꜱᴛᴀᴛᴀ ᴜɴᴀ ɢᴜᴇʀʀᴀ ᴄʜᴇ ᴍɪ ʜᴀ ᴄᴀᴍʙɪᴀᴛᴏ,
ᴇᴅ è Qᴜᴇʟʟᴀ ᴄʜᴇ ɴᴏɴ ʀᴀᴄᴄᴏɴᴛᴇʀò ᴍᴀɪ ᴀ ɴᴇꜱꜱᴜɴᴏ.

Arrivarono alla porta, entrambi ancora scossi da quel momento magico, in cui con un solo sguardo sembrava si fossero detti mille parole. Jimin, dentro di sé, era maledettamente nervoso: non aveva mai portato a casa sua nessun'altra persona oltre ai suoi unici amici, Taehyung e Seokjin, e il pensiero che per la prima volta avrebbe portato qualcuno di diverso nel suo posto sicuro lo destabilizzava.

Cercava di non farlo vedere però, non si fidava ancora del tutto di Jungkook, per quanto avesse rischiato tutto per lui aveva paura di essere tradito da un momento all'altro.
Jimin girò la chiave nella serratura e, con un respiro profondo, aprì la porta. Jungkook dietro di lui, appena varcata la soglia, si tolse le scarpe con rispetto e si guardò intorno.

Tutto era così bello e perfettamente in ordine che gli sembrava surreale. Era una casa di modeste dimensioni e ogni cosa era al suo posto. Più Jimin gli presentava le stanze e più quella casa gli sembrava perfetta e uguale al carattere del proprietario.

Il tour iniziò dal salotto, molto semplice ma elegante, un divano nero e di pelle abbastanza grande era situato di fronte alla televisione. C'erano anche alcuni mobiletti con delle ante di vetro che facevano intravedere al loro interno molti trofei, per i quali Jungkook si incuriosì, avvicinandosi e osservandoli da vicino.

Vedendo l'altro vicino ad essi, Jimin andò dietro di lui
«Questo fu il mio primo trofeo» sussurrò al suo orecchio delicatamente, prendendo il più piccolo tra di essi in mano. «Lo vinsi alla mia prima gara di arti marziali... invece questo è l'ultimo» continuò mostrandone uno molto più grande che stranamente Jungkook non aveva notato. «L'ho vinto un anno fa»

Jungkook era davvero molto sorpreso, notando di che trofeo si trattasse. Era riguardante il torneo più difficile che un mafioso potesse fare, 지하 세계의 용, tradotto come Drago Degli Inferi, il torneo in cui cento mafiosi si lottavano per il potere, ma solo uno vinceva, o per meglio dire restava in vita.

Il più giovane era senza parole, sorpreso e incuriosito dal voler sapere con chi l'altro avesse dovuto fare l'ultimo scontro finale, così si girò verso di lui, a pochi centimetri l'uno dall'altro e glielo chiese. Non l'avesse mai fatto perché appena pronunciata la domanda, la scintilla degli occhi di Jimin si spense. Jungkook decise quindi di non insistere, cosa che l'altro apprezzò.
«Siediti sul divano» disse quindi Jimin, ancora molto vicino a lui «P-perché» chiese Jungkook intimidito dallo sguardo così profondo di Jimin.

Quest'ultimo non rispose e, vedendo che l'altro non faceva quello che egli stesso gli aveva ordinato, decise di agire, spingendo gentilmente Jungkook sul divano vicino a loro. Kook mise le sue mani sul divano, guardando Jimin dal basso. Cosa voleva fare? E perché dentro di sé sentiva che qualsiasi cosa l'altro volesse compiere, lui l'avrebbe lasciato procedere senza nessuna esitazione?

Qualsiasi cosa fosse passata per la testa di Jungkook in quel momento non diventò reale, perché Jimin dopo alcuni secondi spesi per guardare l'altro dall'alto, lo lasciò da solo in salotto, tornando minuti dopo con disinfettante e garze, per curare alcune delle ferite procurate nel trasposto verso il cimitero e all'interno della tomba.

«Cosa c'è?» Chiese il maggiore, vedendo l'altro impegnato a fissarlo spaesato e in imbarazzo. «Non vorrai mica che ti lasci le ferite che hai sul corpo aperte, sarò un mafioso ma non sono un pezzo di merda, almeno non in questo caso» fece notare di conseguenza supponendo che Jungkook lo stesse guardando in quel modo perché non si aspettava così tanta cura da parte sua, non sapendo però dei pensieri non molto casti di quest'ultimo proprio sulla sua persona.

Disinfettate braccia e gambe, mettendo delle garze sulle ferite più profonde, Jimin passò al labbro spaccato e al taglio sul sopracciglio. Si avvicinò abbastanza all'altro da poter vedere bene la ferita al labbro, tamponando piano, riuscendo a sentire persino il respiro e il battito accelerato di Jungkook.

Kook non riusciva a sentire dolore, quasi come se solo la presenza di Jimin lo guarisse.
Finito di disinfettare anche le ferite del viso Jimin andò verso il bagno per mettere tutto apposto, facendo cenno a Jungkook di seguirlo.
Arrivati a destinazione Jimin mise apposto le cose prese in precedenza e diede a Jungkook un asciugamano, dandogli la possibilità di lavarsi, uscendo dalla stanza chiudendo la porta dietro di lui e lasciando l'altro da solo.

Jungkook cominciò a svestirsi e, più lo faceva, più notava le ferite sul suo corpo. Aveva vari ematomi sulle gambe, ma specialmente sull'addome. Quando si trovò completamente nudo entrò in doccia e cominciò a lavarsi. Finita la doccia uscì, era molto più rilassato, ma aveva comunque un peso all'altezza del cuore. Doveva pianificare con Jimin un modo per recuperare il suo migliore amico.

Si asciugò, uscendo dal bagno e andando nella stanza in cui avrebbe dormito per i prossimi giorni dove trovò sul letto un pigiama pulito e della biancheria. Dopo essersi cambiato scese le scale per cercare Jimin, volendo parlargli di quella questione importante, trovandolo ai fornelli intento a cucinare.

«Che buon profumo» disse Jungkook quasi incantato «Che cosa stai preparando?» chiese poi con un'acquolina in bocca. «Kimchi, con un ingrediente segreto della famiglia» rispose Jimin girandosi per fare l'occhiolino all'altro.

Jungkook si sedette al tavolo, adocchiandolo con interesse il più basso lavorare ai fornelli paragonandolo ad un'opera d'arte. Non poteva negare che avesse il suo fascino, e che fascino oserebbe dire.

Lo osservò finire di cucinare e portare tutto a tavola per mangiare, mentre il diretto interessato, pur sapendo di essere fissato, cercava di far finta di nulla.

Mangiarono in silenzio, tranne per alcuni complimenti del moro fatti per il grande talento del biondo nel cucinare e, dopo aver finito, Jungkook si offrì per lavare i piatti, cercando di ricambiare in qualche modo il gesto gentile.

Jimin aspettò che finisse, accompagnandolo poco più tardi verso la porta della stanza degli ospiti, salutandolo con un gesto della mano e augurandogli la buona notte, per poi andare anche lui nella propria stanza.

Fu un sonno tranquillo per entrambi, dimenticandosi ambedue dei loro problemi almeno per una notte, e sognandosi a vicenda.

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