𝐏𝐓.𝐈𝐈: 𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐬𝐞𝐜𝐨𝐧𝐝𝐨
Quel giorno il tempo era piuttosto bello, nonostante fosse arrivato l'autunno e iniziasse a fare più freddo, le nuove divise erano di un celeste più chiaro e tra poco i detenuti avrebbero dovuto iniziare ad indossare il giacchino al posto della semplice felpa. Si poteva dire che fosse un pomeriggio come ogni altro, erano tutti impegnati a spendere la solita ora quotidiana all'aria aperta, tra chi si limitava a passeggiare lungo il bordo della recinzione ammirando gli spazi esterni che sapevano di libertà e quasi benessere, chi era impegnato in accese conversazioni di gruppo e chi come Wooyoung si stava semplicemente godendo la leggera brezza che soffiaviava imperterrita accarezzandogli e solleticandogli ogni porzione di pelle scoperta.
San era impegnato a conversare con Jongho in un angolo della recinzione, i due avevano risolto più o meno le cose. San aveva fatto intendere all'altro di essersi reso conto di aver agito troppo impulsivamente, senza in ogni caso dare delle vere e proprie scuse. D'altro canto al rosso non importava più tanto ormai, anzi, si poteva dire che fosse addirittura grato al corvino per aver preso quella decisione che lo aveva portato a reincontrarsi con Yunho. Naturalmente il loro rapporto era molto mutato, stavano più distaccati di prima e non lo avevano più fatto insieme, San avrebbe voluto ma il minore aveva promesso al rosa che non ci sarebbe più andato, ed infatti non lo aveva fatto. Nonostante ciò, insieme a Mingi e Wooyoung, restava l'unica persona con cui il corvino parlasse volentieri, l'unica che non avesse la più minima paura di lui.
Wooyoung, però, non aveva voglia di passare il suo tempo con loro, già stare con San ogni notte lo stava facendo andare sempre più fuori di testa, se fosse stato con lui anche durante quel poco tempo, probabilmente avrebbe avuto una crisi. Quel sentimento che provava per il maggiore lo stava letteralmente mangiando da dentro e la cosa che piu lo feriva era che l'altro non si accorgesse di niente. Mentre quel mostro, che la gente chiamava amore, scavava tra le sue viscere costringendo il suo cuore a battere più velocemente pur di restare in vita, San continuava a comportarsi come sempre non dando peso a nessuna della sue azioni o parole. Ma Wooyoung non sapeva neanche cosa farci, non poteva fare altro che sopportare in silenzio, di parlarne con lui non ne aveva la più minima intenzione, solo pensare alla reazione che avrebbe avuto si sentiva male. Sapeva quanto l'altro fosse privo di sentimenti di ogni tipo, si vedeva da come si comportava costantemente, e Wooyoung aveva paura che se lo avesse ammesso, sarebbe passato come qualcuno fragile che si lasciava trasportare dal cuore, ovvero qualcuno che a San non sarebbe piaciuto per niente, e Wooyoung avrebbe tanto voluto piacere a San. Aveva paura che se il corvino lo avesse scoperto, lo avrebbe allontanato, perché era evidente quanto fosse spaventato da qualsiasi cosa che coinvolgesse il cuore e le emozioni. Ed in tutto questo il minore non poteva fare nulla se non restare a guardare l'altro con sguardo languido e provato.
D'improvviso mentre camminava sul prato immerso nei suoi pensieri, una figura si avvicinò spaventosamente veloce a lui puntando dritto nei suoi occhi e con una mano ferma in tasca. Si trattava di niente meno che Jeongin, colui che aveva dato un pugno nell'addome a Wooyoung perché questi aveva tentato senza successo di impedirgli di prendere la droga per Hongjoong. I due non erano amici, ma nonostante le cose che il castano aveva combinato, Wooyoung non si era scoraggiato ed aveva continuato a tentare di mandarlo sulla giusta strada, ma aveva fallito miseramente ed oramai le speranze di capire cosa avesse portato quel ragazzo ad essere così schivo ed egoista nei confronti degli altri si stavano facendo sempre più deboli.
«Wooyoung! Ecco tienilo» parlò senza dare il tempo a Wooyoung di elaborare la cosa, che si sentì un oggetto posato sulla mano successivamente stretta a pugno «C-Cosa?» balbettò non capendo, ancora il suo cervello doveva elaborare il fatto che Jeongin si fosse avvicinato a lui dopo l'ultimo loro contatto. «Non so cosa farmene e se lo tengo rischio di finire nei guai» lo sorpassò dopo aver farfugliato quella decina di parole per poi sparire tra gli altri individui presenti là attorno. Wooyoung non reagì subito, non si aspettava della mossa da parte dell'altro, e quasi non sussultò appena vide cosa stava tenendo in mano.
Un cacciavite.
Un'arma.
Una delle cose che mai e poi mai si sarebbe dovuto ritrovare in mano mentre stava in carcere.
Preso dal panico più totale, si guardò intorno come se improvvisamente non ricordasse più il luogo in cui si trovava, il suo cervello era focalizzato solo su quell'unico punto fisso e ci mise interi secondi a tornare alla realtà. Si rese conto di star muovendo la testa da una parte all'altra senza però osservare una minima cosa, immediatamente chiuse gli occhi facendo un bel respiro ed infilò il cacciavite nella tasca della felpa, tenendolo stretto per scaricare almeno in parte la tensione che aveva.
Non poteva restare con quell'oggetto in mano, e Jeongin era troppo lontano per poterlo raggiungere senza dare nell'occhio, non c'era nessun altro da cui si sarebbe fidato ad andare, a parte Yunho. Così, facendo attenzione a dove stavano le guardie, si incamminò a passo piuttosto spedito verso l'interno, e una volta lì poté fare un respiro di sollievo e muoversi più tranquillo, prestando solo attenzione agli agenti che sostavano all'inizio e alla fine dei vari corridoi. Andò nella cella del rosa, ma lui non si trovava là, inizialmente Wooyoung rimase stranito da ciò, in genere se non stava fuori stava in cella, non avrebbe avuto motivo di stare da un'altra parte.
Wooyoung pensò allora che potesse essere in cucina, ed in ogni caso, anche se il rosa non fosse stato là, quello gli sembrò il posto migliore dove poter nascondere, almeno momentaneamente, l'oggetto. Camminò per poco, impegnandosi a frenare le goccioline di sudore che scendevano lungo la sua fronte a causa della troppa ansia. Quando girò l'angolo e vide che le guardie, che in genere sostavano all'entrata della mensa con annessa la cucina, non c'erano, si rilassò ulteriormente alla realizzazione di non doversi inventare una scusa plausibile per la quale stava letteralmente correndo verso quel luogo.
Entrò senza pensarci due volte, per poi rimanere sconvolto da ciò che vide.
Rimase paralizzato per qualche secondo, quasi disgustato da quella visione. Quello era il posto in cui preparavano il cibo, e Yunho e Jongho avevano liberamente deciso di trasformarlo in qualcosa che non sarebbe mai dovuto essere. Ma poi Jongho non stava parlando fuori con San? Questa domanda attraversò la mente del moro mentre rimase per quei pochi secondi ad osservare il maggiore che si muoveva in modo ritmato dentro l'altro, che nel frattempo era appoggiato al bancone in acciaio e si copriva la bocca con la mano per non urlare. I capelli di Yunho erano chiaramente umidi di sudore e appiccicati sulla fronte mentre si lasciò andare ad un gemito roco che era scappato alla sua presa, riempiendo così la stanza prima in silenzio. «Fate schifo!» urlò Wooyoung per essere sicuro che lo sentissero, ed immediatamente entrambi si voltarono verso di lui ancora fermo dove l'entrata. Sarebbe scoppiato a ridere nel vedere le loro facce sconvolte per l'essere stati colti in fragrante, ma il pensiero di cosa aveva in tasca lo fece restare serio ed uscire immediatamente senza aspettarsi alcuna risposta dai due.
Non gli interessava sapere se si sarebbero fermati o se sarebbero arrivati fino in fondo, a quello avrebbe pensato successivamente facendo una bella ramanzina a Yunho e soprattutto senza mai più toccare neanche con un dito quella porzione di superficie. Al momento stava pensando ad altro, così riprese imperterrito la sua ricerca per sbarazzarsi di quel cacciavite.
☾︎☽︎
Seonghwa intanto stava a casa, quel pomeriggio aveva deciso di riposarsi e non andare a lavoro, anche se ormai il riposo era una cosa che non vedeva da tempo. Da quando Yeosang lo aveva abbandonato, non era più riuscito a riprendersi totalmente, si dice che il tempo curi ogni ferita, ma certe volte esse sono troppo profonde e i sensi di colpa talmente forti da non poter tornare a stare come prima. È impossibile, e Seonghwa era sicuro che anche se fossero passati anni e anni, non si sarebbe mai dimenticato della folta chioma bionda e di quel viso appunta che rendevano Yeosang simile ad un angelo, anzi, per Seonghwa era quasi un Dio, e proprio come tale poteva solo credere di averlo vicino, seppur in realtà non fosse così.
In quell'anno senza di lui, Seonghwa si era impegnato a migliorare, aveva lottato duramente contro se stesso per riuscire a diventare una persona migliore di quella che era. Con il suo nuovo lavoro non aveva mai più fatto un solo sbaglio, i suoi errori gli avevano insegnato ad essere sempre molto puntiglioso e preciso più di quanto lo fosse prima. L'ansia di commettere un errore veniva paragonata dalla sua mente a quella sensazione di vuoto che aveva provato dentro di sé quando quel pomeriggio si era ritrovato solo nella casa semi vuota. Ed era capitato fin troppe volte che crollasse in pieno orario di lavoro dopo aver rivissuto nella sua mente gli eventi passati, certe volte stare in quella stanza lo mandava letteralmente fuori di testa, sentiva le pareti stringersi attorno a sé e delle voci ripetergli continuamente di non aver fatto abbastanza, gli dicevano che avrebbe dovuto lottare di più per non perdere l'amore della sua vita, che era stato debole e codardo, e che era tutta colpa sua. Il respiro gli si affannava, si sentiva soffocare e i brividi gli percorrevano tutto il corpo, e quando finalmente riusciva a riprendere possesso delle sue facoltà mentali, iniziava a piangere in modo incontrollato senza un apparente motivo. Non era pazzia, erano attacchi di panico causati da un demone che si portava dentro da ormai troppo tempo e contro il quale si ritrovava ogni volta a dover combattere da solo. Ma la cosa peggiore era quando quel demone lo lasciava veramente in pace, perché era allora che si sentiva profondamente e terribilmente solo.
Era passato un anno, e le cose andavano sicuramente meglio dell'inizio, ma ancora stava faticando a trovare una stabilità, che non pensava di poter riuscire mai a raggiungere. Dentro di sé desiderava profondamente che l'altro tornasse, magari non lo dava a vedere troppo esternamente, anche se i colleghi avevano comunque notato come oltre al lavoro avesse cambiato drasticamente anche l'umore e i comportamenti, ma nel suo cuore quello restava il desiderio più grande mai esistito. Proprio per questo ogni giorno, si ritrovava a tentare di chiamare Yeosang, tempestandolo di squilli con la speranza che rispondesse, ma ciò non accadeva mai e, più il tempo passava, più si rendeva conto di quanto fosse improbabile che potesse sentire di nuovo la sua voce, anche solo per un'ultima volta, per avere qualcos'altro su cui piangere che non fossero i vecchi vocali su WhatsApp. Non gli importava se lo avesse trattato male, se gli avesse detto di non volerlo più sentire, se gli avesse urlato in faccia, almeno in senso figurato, di odiarlo profondamente, o neanche se gli avesse risposto solo per sbaglio e lui avesse potuto sentire nient'altro che il respiro del suo angelo; tutto quello che voleva era sentirlo di nuovo per una volta, anche se sarebbe stata l'ultima, voleva ascoltare quella sua voce soave e poter scorgere in essa qualcosa che richiamasse la felicità, avrebbe solo voluto sapere che l'altro stesse bene e fosse felice. Non avrebbe provato a convincerlo a tornare, sapeva di non averne il diritto, gli avrebbe solo fatto capire quanto si pentisse di ciò che aveva fatto e quanto bramasse stringerlo tra le sue braccia una volta ancora.
Ma puntualmente il dispositivo suonava e suonava per secondi interi, Seonghwa non aveva mai il coraggio di riattaccare, così lasciava che fosse la chiamata ad interrompersi da sola mentre una sola lacrima gli scorreva lungo la guancia, aveva pianto talmente tanto che credeva di essersi disidratato a quel punto. E anche quel pomeriggio, mentre stava con gli occhi puntati fuori la finestra, si era quasi incantato con il ritmo degli squilli, finché poi la segreteria lo fece risvegliare di soprassalto, ormai troppo ascoltata perché potesse fargli effetto, allo stesso modo di qualsiasi altra registrazione che avesse.
'Se non vi ho risposto c'è un motivo, indizio: non voglio parlarvi. Evitate di lasciare messaggi tanto non li ascolto'
⟨⟨𝑻𝒆𝒍𝒍 𝒎𝒆 𝒕𝒉𝒂𝒕 𝒚𝒐𝒖 𝒍𝒐𝒗𝒆 𝒎𝒆
𝑻𝒆𝒍𝒍 𝒎𝒆 𝒕𝒉𝒂𝒕 𝒚𝒐𝒖 𝒍𝒊𝒌𝒆 𝒎𝒆
𝑫𝒐𝒏'𝒕 𝒔𝒘𝒂𝒍𝒍𝒐𝒘 𝒊𝒕 𝒊𝒏 𝒂𝒏𝒅 𝒕𝒆𝒍𝒍 𝒎𝒆
𝑰 𝒏𝒆𝒆𝒅 𝒚𝒐𝒖⟩⟩
-Ok questo capitolo è orribile, lo so, ma non mi riusciva di farlo venire meglio, sorry.
Ma a parte ciò.
Domanda un po' scontata, vorreste che Yeosang ricomparisse prima della fine della storia? Bc ho in mente due evoluzioni leggermente diverse delle vicende.
Comunque volevo dire anche di non prendere le costanti telefonate di Seonghwa come una cosa malata, è solo il suo modo di sentirsi ancora vicino a Yeosang nonostante questi non ci sia più. In qualche modo sapere che l'altro non ha mai cambiato numero lo risolleva e gli fa credere che non volesse chiudere definitivamente tutti i rapporti, o che per lo meno non ne avesse il coraggio. Quindi ecco poi questa cosa si chiarirà magari più avanti, però il suo comportamento è dovuto ad un'abitudine presa e impossibile da troncare, perché quella è l'unica cosa che di fatto gli permette di sapere che Yeosang c'è ancora e che non lo ha cancellato completamente dalla sua vita.
Va bene ora smetto prima di iniziare a fare discorsi troppo profondi, bye-
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