ღ¸.✻'ʙᴀᴄᴋsᴛᴏʀʏ: ᴍɪsᴀᴋɪ sᴡɪғᴛ ᴇ ᴀᴋᴀɴᴀ sᴛᴏɴᴇᴡᴀʟʟ-sʜᴀʀᴘ '✻.¸¸ღ

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Prima di iniziare vi consiglio di leggere il testo ascoltando la canzone sopra, ovvero "Piccola anima", di Ermal Meta ed Elisa. Buona lettura!
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«Dai, passa!»
«Ma io... non so tirare»
«E allora para questa, Misaki!»

L'oscurità che d'improvviso aveva preso possesso della mente della ragazza andava diradandosi. Avevano vinto? Come era finita la partita?
Ricordava il punteggio: uno pari. Mancava ancora molto alla fine, potevano farcela.
E poi?
Cos'era successo?
I suoi ricordi erano solo immagini disconnesse.
Ricordava lo sguardo d'intesa tra lei e suo fratello.
Ogni volta, quando dalla telecronaca si sentivano le parole "Swift ottiene il possesso di palla", i tifosi si chiedevano sempre di chi dei due si stesse parlando. Quella partita, si era trattato di Nathan.
Non di lei.
O per lo meno, non all'inizio.
Si erano guardati.
Poi, gli insicuri occhi di Misaki si erano posati su Yami, che a centrocampo sperava solo di poter eseguire con lei e Akana la loro tecnica micidiale. Avrebbero segnato di sicuro.
All'improvviso, si era ritrovata la palla davanti.
Un sorriso.
Da parte di suo fratello.
Incoraggiante come quello di nessun altro.
«Dai, passa!» le aveva urlato la seconda punta dell'Inazuma Japan. E da lì, gli eventi erano precipitati.
Le era tornata in mente una bambina.
Albina.
Un pallone che usciva dal giardino.
Una ringhiera.
E guardando la cicatrice che le percorreva in diagonale il dorso della mano, aveva capito.
Lei, era sempre stata lei e non se n'era mai resa conto. La testa aveva preso a girarle, la mente ad annebbiarsi.
Come aveva fatto a non capirlo?
Poi, il buio più totale calò su di lei.

«Crede che si riprenderà, mister?» chiese una voce, che inquadrò più avanti come quella di Jude. «Sta bene, almeno?» più o meno, era stata questa la domanda di Yami, di Akana e di...
«Misaki!»
La ragazza si sentì subito stritolare in un abbraccio collettivo. Le sue amiche - e immancabile anche Nathan, che si era accorto per primo del suo risveglio - le si erano fiondate addosso.
Abbraccio che lei non aveva avuto momentaneamente la forza di ricambiare.
«Cos'è successo?» volle sapere Akana. Mai e poi mai avrebbe più guardato quella ragazza, da tanto tempo considerata una sorella, allo stesso modo. La familiarità del suo volto, prima così inspiegabile, aveva trovato una motivazione.

«L'hai fatto andare dall'altro lato!»
La bimba albina aveva abbassato gli occhi.
«Dirai tutto a Nathan, vero? E a mamma e papà»
Lei aveva sorriso. «Aiutami a scavalcare»

Misaki si liberò di colpo dalla stretta di tutti, respirando affannosamente. «Non mi hai mai detto nulla» saltò su la ragazza. Il fratello la guarda mestamente. Come aveva potuto sperare di riuscire a tenere tutto nascosto? Ingenuo.
«Era la cosa migliore per tutti e tre»
Yami non ci impiegò molto a capire che in quella faccenda non erano coinvolti solo i due Swift. «Allora, si può sapere di cosa andate farneticando?» sbottò, spazientita.
Yami Stonewall non era mai stata capace di attendere. Intervenne il mister in quella situazione. La partita, intanto, era stata sospesa.
«Credo sia meglio Misaki spieghi cos'è successo» concluse saggiamente.

«Akana, non riesco a scendere»
«Fai piano. Devi solo scavalcare e...»
Un tonfo. Seguito da un urlo. E una bambina in lacrime.
«Misaki!»

Si poteva leggere lo stupore sul volto di tutti i componenti della squadra. Caleb, Jude, Mark, Shawn, persino Axel. Jordan e Xavier non erano da meno. Scott, per la prima volta, non sembrava in vena di scherzi.
«E lei sapeva tutto, mister?» aveva chiesto il capitano, guardando prima Nathan, poi la sorella di lui e infine Akana. E pensare che conosceva i primi due sin dagli albori dei tempi.
Il signor Hillman aveva annuito.
Così.
Semplicemente.

•| ⊱✿⊰ |•

«Me lo sono ricordata» aveva iniziato a raccontare Misaki, che non aveva ancora la forza di alzarsi da terra. Già era un miracolo che stesse seduta.
Si era ricordata una cosa che forse sarebbe stato meglio dimenticare.
La cicatrice sulla mano sembrava essere tornata aperta.
«Eravamo sorelle» aveva mormorato davanti al volto preoccupato di Akana. E per un secondo, tutta la squadra aveva temuto svenisse anche lei. «E giocavamo sempre insieme. Come abbiamo fatto in tutte queste partite. A calcio»
D'un tratto, anche nella mente dell'albina comparve il ricordo di quel giorno.

«Com'è successo?»
«S-sono caduta, N-Nathan»
La bimba continuava a piangere.
E le lacrime bagnavano il dorso della mano sinistra, ora solcato da un profondo taglio grondante sangue.
«Ho calciato io la palla... è tutta colpa mia» aveva detto l'altra piccola. Spaventata. Dispiaciuta.
Disperata

Stavano giocando nel cortile di casa, questo entrambe lo ricordavano. Akana era stata adottata oramai due anni prima, e tra le bambine era nata subito una splendida amicizia. Misaki, i capelli azzurri già lunghi all'età di sei anni e il ciuffo calato sull'occhio sinistro, osservava come fosse alieno la palla davanti a sé. «Dai, passa!» la incitava l'altra, con un sorrisone stampato in volto.
Misaki si era tirata indietro, timida. «Ma io... non so tirare» aveva bisbigliato. Quasi se ne vergognasse.
Akana Stonewall-Sharp, che allora si chiamava ancora Akana Swift, aveva preso il pallone e si era allontanata.
«Allora para questo, Misaki!» e aveva tirato. Più forte che poteva. La bimba, che allora aspirava al ruolo di portiere, era riuscita a bloccare il pallone.
Seppur con una certa difficoltà. Aveva anche rischiato di andare a sbattere contro la ringhiera alle sue spalle.
Però aveva sorriso.
Felice.

«Già da piccole eravate brave» aveva spiegato Nathan, che a quei tempi si interessava solo di atletica. Tutti lo guardarono. «Chi si aspettava saremmo arrivati fino a questo punto, tutti e tre?».
Il mister gli aveva fatto segno di tacere, in modo l'altra potesse continuare a raccontare.

«Ricordo che avevi tirato la palla troppo forte» riprese Misaki. Gli occhi blu di lei sembravano inchiodati in quelli della ex-sorellastra.
Invece di parare il tiro, la bimba aveva guardato la palla andare oltre la ringhiera.
Passare sopra gli spuntoni taglienti. Le due si erano guardate.
E lei aveva sorriso. «Aiutami a salire» le aveva chiesto, e così l'albina aveva fatto. Misaki, piccola bimba coraggiosa, si stava arrampicando per andare a riprendere il pallone in strada.
Arrivata in cima, però, aveva esitato. Quegli spuntoni le facevano paura.

«Se non ti avessi fatta salire, a quest'ora saresti in campo a giocare come portiere» si era rimproverata Akana. Ignorando il broncio di Mark.
Era tutta colpa sua.
Misaki, con l'aiuto di Yami, si era rialzata.
In quel momento, si notava benissimo come la ragazzina indossasse una divisa maschile. Ma a lei piaceva così.
E le aveva asciugato una piccola lacrima che, solitaria, le rigava una guancia pallida. «Se avessi giocato come portiere, non avremmo messo a punto la nostra tecnica, che nessuno è ancora riuscito a rendere inoffensiva».
Aveva sorriso.
«Adesso, se avessi giocato come portiere, non saremmo una squadra perfetta». Anche se, con squadra, intendeva solo loro tre.

«Credo tu debba finire il tuo racconto» le ricordò il mister. E lei aveva continuato. Schiarendo i ricordi di Akana.
«Non riesco a scendere» aveva implorato aiuto Misaki, bloccata.
Akana fece come se dovesse superare un ostacolo. «Fai piano. Devi solo scavalcare»
E lei si era fidata.
Ciecamente.
Però, mentre imitava i suoi movimenti, aveva perso la presa.
Cadendo.
«Misaki!»
Lei aveva cercato di tenersi, ma nel tentativo di aggrapparsi alla ringhiera uno spuntone di metallo le aveva procurato un taglio sulla mano.
Profondo.
Grave.
Ora la bimba era a terra, il braccio rotto dolorante e la mano intrisa del suo stesso sangue.
Piangeva.
Akana, però, era corsa in suo aiuto.
Aveva chiamato il fratellastro, rientrato a casa, e insieme si erano presi cura di lei.

Il resto, come si suol dire, è storia.

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