Amie avec le hanches
21 ottobre, 2023
Diario bello,
hai ragione a palesare la tua disapprovazione nel silenzio di una copertina lasciata in bella mostra sulla scrivania di una stanza da letto. È da due giorni che non registro novità sulle tue pagine, ma è per due motivi. Il primo è che la Gregoriano- quella di greco- ci ha caricato di versioni e di conseguenza non ho un minuto per respirare; vivere e pensare. Per non parlare delle interrogazioni del venerdì! Sono uno strazio che non puoi immaginare! Caterina Gregoriano ha un modo tutto suo per interrogare, intimidatorio e fastidioso. Quando arriva sulla soglia della classe, il silenzio cala implacabile sulle nostre teste come una cappa e il timore, l'ansia ci incatena alle sedie. In quel frangente ci rendiamo conto di non aver possibilità di salvezza. Juan, il venerdì, si autosomministra una pillola in più per non avere crisi di ansia simili a quelle degli epilettici; Arcangelo prega e spera di confidare nel suo aspetto attraente, esercitandosi sullo schermo del telefono a passare dagli occhi dolci al broncio infantile; Alexandra insiste sull'avere da me dei suggerimenti, qualora dovesse essere la malcapitata di turno. Di solito annuisco, nonostante l'ora precedente passata a ripassare insieme. Quanto vorrei in quei casi lasciarla al suo destino.
Edgardo non è richiesto da nessuno semplicemente perchè non vuole aiutare. Immerso nel suo individualismo estremo, osserva tutti quanti dall'alto in basso, come a ribadire il nostro essere dei plebei senza speranza di sopravvivenza nel mondo. Ricambio la sua occhiata a labbra serrate, sotterando nelle viscere il mio odio e la tentazione di scuoiarlo vivo; solo perchè mi ha dato ripetizioni di greco, non vuol dire che ha il diritto di trattarmi da oggetto.
Giovanni è assente, come sempre. Dice che deve aiutare in negozio, ma sappiamo che è una scusa per saltarsi il supplizio. Petunia torna spesso dal bagno e recita 'L'Ave Maria', passando sulla lingua ogni parola come le sue dita sulle perline di vetro del rosario che porta con sè. Una prostituta che si finge credente, magnifico.
La professoressa -un donnone tarchiato, avvolto in un cardigan stile anni 40 e truccato pesantemente, come se i cappelli arricciati dal parrucchiere non bastassero ad appesantire il look- si siede alla cattedra, prende una bacchetta di legno e gracchia cognomi a caso. I disgraziati, come zombie, obbediscono, avvicinandosi alla lavagna in gesso ricoperta da funzioni matematiche e voltano la faccia su essa. Domande a raffica, a cascata, che possono essere gocce d'acqua gradite o sangue. Se qualcuno osa rispondere male, tentennare o tacere per cinque minuti, il suo fondoschiena riceve una dolce carezza dalla bacchetta del boia: una striscia violacea sulla pelle nuda.
Nessuno piange quando avviene. O meglio, alcuni sì, ma sono quelli che ricevono le bacchettate extra e gli insulti più pesanti. Per quanto mi riguarda, non sono mai stata battuta. O forse faccio troppo paura a quella donna viziata e sociopatica. O forse sa che spiego meglio io e con più passione e che i compagni mi stanno a sentire, a differenza sua. Perciò, non mi picchia e mi fissa docile come un agnello, un po' tremante.
Per le versioni, la cosa è simile, solo che le bacchettate si ricevono sulle mani.
Ieri, appunto venerdì, sono stata interrogata e ho dato il meglio di me. Ero contenta e, per premiarmi, sono andata in cortile col nuovo libro comprato nella libreria vicina a casa mia. L'azzurro del cielo pareva una superficie liquida da cui scendevano grandinate di sole. Il vento, leggero, correva inseguendo e facendosi inseguire dalle foglie morte. La vita e la morte sempre di corsa, senza una pausa. Un po' come noi, penso, aspirando una boccata dalla sigaretta che tengo ben nascosta nella giacca. Qua e là erano sparsi gruppi di ragazzi intenti a conversare su cazzate di cui non ero al corrente, in quei giorni. Oggi non avevo voglia di tornare a pranzo, nè di rincontrare i miei, tornati dal viaggio di lavoro. Volevo camminare per le strade, perdermi, farmi violare e autoviolarmi, avvizzire come queste cose vecchie della natura e non farmi più sentire. Essere tutt'uno con le ombre del giorno. Per farlo, non dovevo passare a casa di Arcangelo come gli altri. Lì si fumava erba e si discuteva di notizie sconnesse, dopo la pizzata da Hamid, il kebabbaro di fiducia di Arcangelo. Odio il kebab, non lo posso soffrire.
In quel momento, è arrivato il Vispis, fuso con una pelliccia di castoro. Conrad Vispis, quarant'anni, sposato con un'attrice da cui vorrebbe separarsi tra due anni o più e un figlio più giovane di noi con cui litiga sempre. Quando mi ha visto fumare, si è avvicinato a me, mi ha tolto la sigaretta con eleganza dalla punta delle dita e ha scosso la testa, con disapprovazione.
-Fanno male alla salute queste cose, lo sai.- non mi sgrida, mi sussurra. Mi incanta. Con un sorriso, mi scuso.
-Sa, è stata una mattinata stressante. Mi hanno interrogato in greco e non sapevo se avrei risposto a tutto o no.-
E non era vero, perchè avevo consumato sui libri ogni fibra del mio io, pur di avere il controllo, di essere pronta.
- Ma sei andata bene, no?- il suo volto delicato è screziato da un'espressione maliziosa, ma allo stesso tempo affettuosa. Cerco di non arrossire.
-Certo, certo. Mi hanno messo nove, credo. Devo controllare.- ribatto, ruotando il busto per prendere il telefono.
-Sei fantastica! Dovresti festeggiare, non credi?-
-Forse lo farò-
-Che stai leggendo?- il suo dito lacera la copertina del mio acquisto. Glielo mostro, tanto per fare qualcosa
-Germinale. Di Zola- la mia voce si fa orgogliosa, come se volessi dimostrargli qualcosa, un fatto essenziale della mia vita. Il Vispis si illumina.
-Meraviglioso! Un capolavoro della speranza e della voglia di lottare per i propri diritti! L'ho letto trenta volte, anzi quaranta. - mentre parla, gesticola a caso per la gioia. Non so se ridere o no.
-Allora deve essere bello- sussurro tutta d'un fiato.
-Meraviglioso! Dimmi che ne pensi, la prossima volta che ci vediamo.-
In quel frangente, la campanella si è messa a suonare e sono scappata.
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