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Amie avec le hanches

23 ottobre
Sono sull'autobus. Non so dove stia andando; non ho direzioni precise, nè appuntamenti, nè un'attesa.

Tengo sulla punta delle dita il mio biglietto sbrindellato, rosso e nero, cosparso di macchiette di sporco.

Sono seduta all'angolo, tra un finestrino che dà su una sequenza monocroma di alberi sempre più spogli. Sento il loro freddo. Sono nudi, così come la mia anima. Intanto scrivo.

Davanti a me, un vecchietto coperto dalla sua giacca imbottita verde da quattro soldi sta dormendo. Mentre russa, delle tossi scuotono il suo corpo ad intermittenza, un monito di morte. Vorrei che non soffrisse così tanto, ma la Fine arriva per Tutti; la legge non cambia: il mondo deve ruotare pure senza di lui.

Stringo le labbra, riducendole in due fessure. Fessure da cui non traspare suono apparente. Appoggio la testa sul sedile e chiudo gli occhi, sperando di dormire. Il veicolo è così vuoto, stasera: ci sono solo io, il vecchio e l'autista, un figuro così magro, nero  e ostile alla vita da far paura! La comunicazione non è la nostra priorità, purtroppo.
Nel frattempo, gli alberi rimangono sempre uguali.

All'improvviso, l'autobus si ferma davanti ad una fermata circondata da foglie rosso marcio. Sale il professor Vispis. Non riesco a non sussultare, te lo confesso! Riconoscibile nel suo pizzetto nero che si rifiuta di tagliare, egli mette il piede sul predellino e scuce con il suo sguardo altezzoso ciò che attornia la sua visuale. Persino me. Cammina lentamente, ondeggiando i fianchi in maniera aristocratica e si pone in piedi, non poco distante da dove sono seduta.

Si regge sulla sbarra verticale e mi ignora. Sopprimo il desiderio di urlare; le guance vanno a fuoco e tremo. Mi stringo nel cappotto, simulando malessere. Mi stringo così forte da affondare le unghie nelle braccia e tengo gli occhi bassi.

Comincio ad avere paura.
Paura che mi rivolga un saluto.
Paura che bevendo dai miei occhi sappia tutto, capisca tutto.
Paura che- piegando da un lato la bocca per spiegare il suo sorriso più bello -possa farmi soccombere.
Paura di rompermi in frantumi.

Frantumi di porcellana,
Frantumi della tua anima dannata

Allora, solamente allora, ho desiderato la morte. Il cuore si ferma; mi rammarico di non fatto testamento prima, sebbene sotto sotto sono felice di trovarmi in uno stato di fragilità psichica. Amo e odio il mio corpo in balia dei capricci della Salute: se un giorno sono nel pieno del vigore, un'altra volta mi ritrovo a tremare e a staccarmi, pezzo per pezzo. Si, proprio come una bambola!

Sono peggio di Fosca, quella donna bruttissima, colta e malata che lotta con tutta sè stessa per avere Giorgio al suo fianco, come amante; come guardiano; come fratello. Lui, per non peggiorare la sua malattia e la sua isteria, finge di amarla, nasconde la sua attrazione per la dolce Clara. Ma chissà se il professore farà una cosa simile? Non voglio, onestamente. Non voglio succhiargli la voglia di vivere alla stregua di una creatura mitologica, non sarebbe decoroso!
Non sono una parassita, parassita.

L'autobus procede e l'insegnante guarda avanti a sè, nel vuoto. Non mi bada e ciò mi procura un notevole sollievo, ma anche una profonda afflizione. Le due espressioni dell'io lottano tra loro nell'anima, strappandosi gli arti. Richiudo gli occhi fingendo di dormire.
L'autobus si ferma e il Vispis scende, non essendosi mai accorto per tutto il tragitto della mia presenza.

Grazie a Dio!

24 ottobre
Il sangue gocciola dalla ferita aperta sul polso; un taglio sottile, perfetto, su uno squarcio di pelle rigato da lacrime di vita che se ne va giù, giù, sempre più giù. Sono seduta per terra, sul pavimento che si sta colorando di cremisi.

Potente Morena, tu che passi su sentieri innevati; che attutisci i rumori della Natura con il tuo strascico di tenebra, ascoltami.

Una preghiera pagana che ho trovato su internet vive e smuore nella voce che si fa sempre più tremante, debole, strozzata. Un modo per distogliere il pensiero dal mio nemico. Nemico immorale.

Non ho mai acceso- nel cuore di una notte senza luna e scossa dal vento- candele dalla luce pallida, come si fa nei funerali?  Non ho mai squarciato per te il ventre di una cerbiatta in procinto di abbandonare la vita, lasciata sola dai piccoli che ha abortito? Non ho mai gettato nei fondi più torbidi dell'acqua neonati deformi?
Ascolta, ascoltami potente Morena!

Ho sempre reputato affascinante il paganesimo, sopratutto la mitologia slava, con le sue divinità nascoste tra gli alberi della tundra russa; tra i sussurri del vento e i canti degli uccelli e delle donne in preghiera. Ho una predilezione per Cernobog (il dio del male); Veles (il dio della guerra, della magia); e Morena, sopratutto lei, la spietata Morena, dea della morte e dell'inverno! I miei genitori sono contro questi culti, però non mi interessa e li pratico di nascosto, senza farmi sentire, mentre tutti sono assopiti.

In questo momento, ancora spaventata dalla mia ossessione per il Vispis che sta tormentando voluttuosamente le viscere, mi sto tagliando con un coltello da cucina e sto recitando una preghiera affinché la minaccia della mia innocenza possa levarsi dai piedi per sempre. Magari con una morte violenta.
Guardami, guardami Morena come mi sto sfacendo per amore di te! Andrò dallo psichiatra, per questo.
E il sangue ingioiella il polso di gemme liquide. E io perdo forza, scoloro.
Potrei finirla qui, chiamare aiuto e dimenticare il più possibile ma devo procedere! Il Vispis deve sparire e questo avverrà solo se pregherò intensamente.

Oh Morena, io mi appello alla tua presenza. So che sei minacciosa, che non perdoni le offese e che assisti i meritevoli. Perciò, fa che Conrad Vispis possa morire tra dolori atroci, lenti. Fa che il suo cuore cessi di battere, che il respiro gli si blocchi in gola e che il suo corpo possa contorcersi tra spasmi brutali! Morena, Morena esaudisci il desiderio di devota che mi sta devastando!

Immersa nell'oscurità, con solo una candela accesa ai miei piedi,perdo sempre più forza. Il sangue forma una viscosa pozzanghera. Mi accascio.
Credo di non vederci più.
Il polso è ormai un quadro di disperazione mobile, porpora variabile. Si sentono dei passi frettolosi; la porta si apre. Mio fratello deve avermi scoperto.

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