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Undici, dodici, tredici, quattordici..

Lasciai andare il fiato di colpo tossendo e tendendo il petto con una mano per l'intensa fitta che mi scuoteva fino in fondo alle ossa.
Avevo sempre pensato che se fossi riuscita a contare fino a venti, non avrei sentito più nulla.
Sarebbe morto tutto.
Il mal di stomaco, il dolore alle ossa e alle articolazioni, il cerchio alla testa, la stanchezza, la tristezza..
Ma la realtà era che il mio cuore era troppo debole per riuscire a reggere per ben 20 secondi senza respirare.
Mi sentivo viva in quei momenti però.
Quel battito che solitamente era quasi impercettibile iniziava a pompare sempre più velocemente come se volesse uscirmi dal petto e tirarmi un ceffone per farmi smettere.
Era come se stesse cercando di dirmi "Hey tu, sono qui e sto cercando di fare il mio lavoro al meglio. Smettila di mettermi a dura prova o prima o poi cederò"
Ma non potevo farne a meno. 
Avevo bisogno di sentirmi viva alle volte, non solo il piccolo scheletro che in realtà ero.
Avevo bisogno di sentire che appartenevo ancora a questa terra e che non ero un fantasma.
Per questo quando le cose andavano male veramente, mi sdraiavo sul letto, mettevo le cuffie e accendevo la musica classica a tutto volume e poi cercavo di trattenere il respiro il più a lungo possibile.
Non vincevo mai. 
Non ero capace di fare nemmeno quel piccolo gesto fino alla fine.
Non portavo a termine nulla.

Quella sera era stata tosta.
Mamma aveva cucinato gli spaghetti al sugo trasudanti di olio e sale.
Già mentre scendevo dalle scale sapevo che sarebbe finita malissimo.
Adoravo gli spaghetti col sugo.
Adoravo tutto in realtà.
Il cioccolato, la pasta, il gelato, la pizza, persino le zucchine..
Amavo mangiare un tempo. 
Come c'ero finita in quel vortice?
Avevo le lacrime agli occhi mentre mi sedevo a tavola e la pancia si girava e rigirava chiedendomi se almeno quella sera avrei messo fine a quel supplizio.
Mamma mi guardava con lo sguardo carico di speranza mentre mi serviva una minima porzione di cibo.
Sapeva che vederne grandi quantità nel piatto mi metteva in agitazione.
Aveva imparato con gli anni a capirmi.

C'era voluto del tempo, prima affinché capisse che ero ammalata e poi ad accettarlo.
"Fa molto sport e cura l'alimentazione"
Ripeteva alle sue amiche quando le facevano notare che stavo dimagrendo in fretta.
Forse sapeva già che ero sull'orlo del precipizio o forse credeva davvero che fossi più forte di ciò che in realtà ero.
Non si era preoccupata molto finché non l'avevano chiamata da scuola per dirle che sua figlia era caduta dalle scale lussandosi la spalla.
I primi controlli, gli esami del sangue, qualcosa che manca..
E poi gli psicologhi, i miei genitori arrabbiati che mi chiedevano cosa mi saltasse in testa, i miei genitori in lacrime che si chiedevano dove avessero sbagliato, i miei genitori che controllavano ogni mio gesto e poi le bugie..
Non aveva più potuto mentire mamma quando le mie ossa avevano iniziato ad essere così sporgenti.
"Mia figlia è ammalata"
Aveva dovuto ammetterlo a sé stessa prima che a tutti gli altri.

"Assaggiali tesoro"
Mi aveva detto con un filo di voce papà mentre giocavo con il sugo nel piatto.
Non facevo altro che spostare il cibo da una parte all'altra leccando alle volte la forchetta per fingere di nutrirmi.
La mia lingua sembrava bruciare quando sentiva il sapore del pomodoro su di sé e il mio stomaco faceva male più che mai mentre implorava la sua parte.
Era facile non mangiare quando non avevi il cibo davanti agli occhi.
Avevo imparato ogni trucco.
Dormire il più a lungo possibile per non pensare, bere enormi quantità di acqua, fare attività fisica..
Quando si metteva proprio male il dolore mi era d'aiuto.
Avevo visto tante ragazze tagliarsi con la lametta nei centri in cui ero stata, sapevo che era una costante comune..
Io non ero mai arrivata a tanto. Mi mettevo l'elastico dei capelli intorno ad un polso per poi tirarlo e lasciarlo andare sulla mia pelle con uno schianto. Finché faceva male, finché non diventava tutto blu.
Ero così magra e fragile che era semplice lasciarmi dei lividi.
Pochi giorni prima mi ero alzata da tavola per fuggire via e papà mi aveva afferrata per il polso obbligandomi a sedermi.
"Tu ora mangi ragazzina o ti carico di peso in macchina e ti riporto in quel cazzo di centro dal quale sei appena fuggita. Mangia!"
Aveva urlato facendomi scoppiare in lacrime.
Avevo pianto io, aveva pianto mamma.. Aveva pianto anche lui più tardi la sera quando era entrato in camera mia convinto che dormissi ed era rimasto lì accanto al mio letto sussurrandomi parole dolci.
Aveva guardato il mio polso notando il livido e non era più riuscito a trattenere tutti quei sentimenti che gli stavano lacerando l'anima.
Li stavo distruggendo.
Stavo distruggendo i miei genitori e loro non capivano cosa avessero fatto di male per meritarsi una figlia come me.
Entrambi erano avvocati, studiosi, intelligenti e borghesi.
Avevano fatto grandi progetti per la loro unica figlia non aspettandosi che sarebbe diventata un peso del genere.
Così piccola e magra, ma come un macigno sulle spalle.

"Tesoro"
Mamma aveva allungato la mano dandomi una leggera spinta per spronarmi a mangiare qualcosa.
avevo messo la forchetta in bocca masticando il cibo e chiudendo gli occhi per assaporare ogni secondo di quel supplizio.
Così buono, così bello, così doloroso, così ingiusto.
"Non posso"
Avevo detto riaprendoli e fuggendo in camera mia.
Mi ero rifugiata nel letto dove ancora un ora dopo li sentivo urlare al piano di sotto.
"È colpa tua Mike, sei stato troppo molle con lei!"
"E tu eri sempre in giro alle tue serate di beneficenza al posto di preoccuparti di cosa combinasse tua figlia!"
"Tu le hai permesso di uscire dalla comunità"
"E tu le permetti di non mangiare, di ammazzarsi così"

Colpa mia, colpa tua, colpa loro..
Colpa del piatto che si era appena frantumato contro la parete.
Colpa del mio cervello, colpa del mondo, colpa di nessuno..

"Undici, dodici, tredici, quattordici.."

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