CAPITOLO 12 - 12.2 La tua strada
Il giorno della gara Taiki era prontissimo. Parlare con Eiji gli era stato di grande conforto. Nessuna ansia, nessun timore: c'erano solo lui e quella piscina.
Lo starter invitò i nuotatori sulla pedana e dopo il fischio di partenza gli atleti dovettero arrendersi alla sua formidabile prestazione. Oltre alla vittoria, Taiki segnò infatti il record stagionale. E non solo, anche i compagni salirono sul podio e con i punti accumulati il loro liceo conquistò la vetta provvisoria della classifica.
"Ragazzi, mi avete fatto il più bel regalo di Natale che potessi desiderare", li ringraziò Junichi euforico. "A ogni modo siamo a metà del percorso, non possiamo abbassare la guardia. Quindi..."
"Almeno le vacanze, Ju!", si lamentò Toru.
"Vi lascerò fino al ritorno a scuola, dopodiché non avrò pietà."
Cavoli, e adesso come faccio? Dirgli che dovrò smettere è più difficile del previsto.
"Ehi, campione, oggi ti sei superato. Anche se hai avuto poco tempo per prepararti, la tua prestazione è stata sbalorditiva", lo elogiò il capitano.
Questo perché non sai che razza di allenamenti faccio ogni giorno.
"Credo che il merito vada soprattutto al vostro sostegno e..."
Ma il proprio riflesso nello specchio dell'armadietto sembrò dirgli di confessare.
"Non è vero, è merito della tua costanza. Ci sei stato di grande aiuto e siamo contenti di averti avuto in squadra."
Taiki si sporse dall'anta di ferro pensando di essersi immaginato la frase. Junichi lo stava fissando in attesa di una risposta.
"Ecco... che cosa succederebbe se per caso, con l'anno nuovo, non potessi continuare?"
"Nel migliore dei casi non ti saluteremmo più e metteremmo una tua fotografia fuori dagli spogliatoi con scritto io non posso entrare."
"E nel peggiore non lo puoi neanche immaginare", lo minacciò Toru puntandogli l'indice al naso.
"Smettetela, che il fessacchiotto poi ci crede", aggiunse Jotaro.
Taiki era incredulo, ma Junichi chiarì la questione.
"Sapevamo sin dal primo incontro che ci sarebbe stata questa possibilità. Pieno di impegni come sei hai trovato anche del tempo da dedicare a questo gruppo di scalmanati. Ne abbiamo parlato: ti saremo per sempre riconoscenti, ma vogliamo che tu sia felice. Quando sarà, potrai ritenerti sollevato dall'incarico. Troveremo un altro novellino da infastidire."
"Sappi che per te e Eiji ci sarà sempre un posto in squadra", sottolineò Toru.
Taiki li ringraziò spiegando che molto presto sarebbe tornato a casa, che avrebbe avuto nuove responsabilità, perciò si era visto costretto a fare delle scelte. La più grande difficoltà era in assoluto comunicarlo agli amici. Si scusò per il poco preavviso, ma gli altri furono comprensivi.
Jotaro prima di uscire si fermò accanto alla porta.
"Ehi, Taiki. Tieniti libero per la premiazione. Quella coppa, in ogni caso, la dovrai alzare con noi."
"Allora, papà: stasera Miu non ci sarà. Mi raccomando, aspetta che sia Taiki a dirtelo, non iniziare a tartassarlo con domande inopportune. Le altre raccomandazioni te le ricordi?"
"Sì, sì, colibrina. Adesso andiamo."
Naora liberò il padre dalla cintura che teneva bloccata con entrambe le mani. Erano di fronte a casa del collega da qualche minuto, ma prima di scendere si era voluta sincerare che il passeggero non portasse con sé la tristezza che da giorni lo affliggeva, al pensiero del giovanotto che stava per tornare alla sua vita. Nel vedere il genitore allungarsi per prendere il regalo dal sedile posteriore, lo anticipò: non poteva permettere che un oggetto tanto delicato finisse a terra.
I due citofonarono, il cancello scattò e dalla porta sbucò Taiki in tenuta da cuoco, un regalo del capo: un campo di teschi colorati si stagliava sullo sfondo nero del grembiule di qualche taglia più grande.
"Accomodatevi, è quasi pronto."
Il signor Fujita si guardò intorno compiaciuto.
"Complimenti, ragazzo, hai davvero buon gusto."
"Merito di Naora!"
"Ma no, cosa dici?", domandò la collega, che nella sua falsa modestia aspettò con calma di ricevere altrettanti complimenti dal padre per il proprio, innegabile, talento di arredatrice.
"La mia colombella? Impossibile, troppo colore."
Stizzita dalla risposta, impiccò i cappotti all'appendiabiti.
"Venite, la cena è servita."
Entrando in cucina un misto di profumi e vapori si levò dal centro del tavolo ricolmo di portate. Padre e figlia annusarono il gran lavoro fatto dal padrone di casa.
"Oh! Giusto, ci sono tre piatti perché siamo in tre. La tua amica..."
La faccia del signor Fujita si fece di colpo scarlatta, quando Naora, con tutta l'energia della propria zeppa, gli pestò il piede.
"Anche Maramao sarebbe tanto voluto venire, ma poi si è addormentato", si affrettò a concludere la frase, sperando di aver scampato il pericolo.
Taiki la guardò e strizzando l'occhio face spallucce.
"Più cibo per noi."
I tre presero posto e iniziarono a mangiare.
"Ragazzo mio, è tutto squisito. Che cosa hai messo in questi involtini? Sento come un sapore di agrumi, ma non riesco a capire di cosa si tratti. Avanti, sputa il rospo", lo provocò il capo assaporando un altro boccone.
"Non posso rivelare i miei segreti."
"Su, non fare il misterioso. È come se, non so, ci fosse una punta acida che..."
"Ehi, voi, basta parlare di ricette, non siamo al lavoro. Ma ammetto che sei proprio uno chef provetto. È tutto buonissimo."
"Non è che adesso avrai troppe cose da fare e resterai indietro con lo studio?", riprese il signor Fujita.
"Taiki lo sa che se ha bisogno di aiuto con le faccende domestiche non ha che da chiedere. E poi le sue orecchie troveranno pace dai tuoi borbottii continui."
"Vuoi dire che è colpa mia se ha deciso di tornare qui?", domandò l'omone, prossimo a una crisi di pianto.
"Ma, no. Al massimo sono scappato dalle canzoni di Naora!"
"Visto, papà? COS'HAI DETTO TU?"
◾◾◾
La cena volse al dolce e il verdetto del signor Fujita fu più che positivo. Molte volte, tra un mugolio di approvazione e l'altro, aveva sottolineato quanto si sentisse fortunato ad avere al suo fianco due bravi giovanotti ad aiutarlo.
Naora recuperò il regalo che aveva lasciato in salotto. Dalla tasca del cappotto prese anche un altro pacchettino, preparato prima di sapere che Miu non ci sarebbe stata e rientrata in cucina, allungò il primo al destinatario.
"Un pensierino da parte nostra. Sappi che non è nulla in confronto a tutto il bene che ti vogliamo."
Stretto in un cordino argentato e avvolto in una carta rosso rubino c'era qualcosa che, al tatto, assomiglia a una scatola sottile.
"Non so che cosa dire..."
"Dai, dai, aprilo", lo incitò il signor Fujita.
Taiki tolse con delicatezza l'involucro da cui estrasse una moderna cornice di legno e metallo che adornava una vecchia fotografia. Sulla sinistra il signor Fujita aveva in spalle un bambino di non più di cinque anni, stretto forte ai suoi capelli, un tempo ricci e scuri quanto le sopracciglia. Sul lato destro, il signor Kikuchi, che se non fosse stato per la barbetta avrebbe potuto essere scambiato per Taiki, aveva un braccio attorno alle spalle di un'adolescente con la maglia sbiadita di un vecchio gruppo rock, e i capelli castani a caschetto. Sullo sfondo c'erano il ristorante, un grosso cartello con scritto inaugurazione e un nastro rosso ancora da tagliare.
Naora ruppe gli indugi notando che il padre, concentrato a non piangere, non era in grado di pronunciare il discorso che si era preparato.
"Non so se ti ricordi, ma questo marmocchio sei tu. Mia madre era morta da poco più di un anno e sia io che papà facevamo fatica ad andare avanti, perché tutto nel locale ce la ricordava. Stavamo pensando di chiudere l'attività, ma una sera tuo padre, già all'epoca un cliente abituale, si fermò oltre l'orario, ci chiese di sederci con lui e ci mise di fronte al fatto che il Fujita Sushi doveva continuare a esistere. Era così convinto delle proprie motivazioni che le accompagnò con una sfilza di lettere dei cittadini che ci dicevano quanto fossimo importanti. Dopo quel meeting nacque il ristorante che conosci oggi. Con questo regalo vogliamo dirti che per noi sei e sarai in eterno parte della nostra famiglia. Voi Kikuchi avete il cuore d'oro."
Taiki si mise a piangere e Naora gli asciugò le guance, ma anche per lei arrivò il momento di lasciarsi andare.
"Penso sia uno dei doni più belli che abbia mai ricevuto. Sappiate che vi considero anche io una famiglia già da molto tempo."
Il signor Fujita si alzò e tra imponenti singhiozzi abbracciò entrambi: non aveva più motivo di trattenersi.
Per concludere la serata Naora riportò un po' di brio raccontando aneddoti divertenti: le cene a notte fonda per finire i lavori di ristrutturazione, quella volta che Taiki decise di martellare il dito del padre e le prime gite con il pick up.
I Fujita avrebbero voluto aiutarlo a finire le pulizie, ma per quella sera erano in ferie.
Prima di andarsene, però, la collega porse a Taiki un secondo pacchetto.
"Sarebbe per Miu. Se volessi darglielo ne sarei contenta."
Lui annuì e lo infilò nel grembiule.
Rimasto solo, si sedette a contemplare la fotografia. Sapeva che il suo posto sarebbe stata la mensola di fronte al tavolo, ma una volta riposta, restò da capire cosa fare del regalo per Miu.
Un vigoroso bussare lo allertò.
"Taiki, sono io. Mi sono dimenticato una cosa."
Corso ad aprire, il capo si schiarì la voce grattandosi la testa con l'imbarazzo di chi non era esattamente a proprio agio.
"Ragazzo, sono fiero di te. Nonostante le difficoltà che hai dovuto affrontare ti sei risollevato. Sei un giovane uomo, mi hai dimostrato di saperti prendere cura di te stesso e, anche se mi piacerebbe che restassi con noi, voglio che tu sappia che hai il mio sostegno", si interruppe mettendogli entrambe le mani sulle spalle. "Però io, vedi, non sono un tipo da addii, quindi: quando vorrai prendere definitivamente la tua strada, da solo o in compagnia di chi riterrai degno di starti accanto, basta che tu mi dica che sei fiero di aver lavorato nel miglior ristorante del paese. E io capirò."
Voltandosi senza dare a Taiki il tempo di rispondere, fuggì goffo in macchina dove Naora lo attendeva. Tra i due cominciò un'animata conversazione di gesti finché sgasando lei mise in moto il pick up e infine scomparvero.
Prendere la mia strada, da solo o in compagnia di chi riterrò degno?
Quei versi accompagnarono il padrone di casa per il resto del riordino; si chiese anche che idea potessero essersi fatti i Fujita degli ultimi mesi, ma doveva ammettere che quella sera era come se per tutti fosse stato un bel modo di salutarsi. O dirsi addio.
In un lampo tornò in sé: non era il momento di essere tragici, ma di pensare al presente.
Miu quella mattina lo aveva avvisato che entro un paio di giorni si sarebbero riuniti a Zemlyan.
E avrebbe dovuto essere pronto ad affrontare l'abisso.
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