Zawsze in Love
Finalmente il mio ciondolo era stato riparato.
Shuu, in piena notte, mi aveva dato quella splendida notizia, dicendomi che me lo avrebbe portato fra qualche giorno in cui sarebbe stato ricontrollato per scoprire se ci fossero eventuali danneggiamenti.
Dopo tanto tempo passato a rimuginare durante notti insonni, finalmente avrei scoperto chi era la bambina della promessa: Chitoge, Onodera, Tachibana o Yui?
Tutta la storia era iniziata quella semplice mattina di scuola, quando Chitoge mi aveva dato una ginocchiata che mi aveva fatto rimpiangere gli schiaffi di papà. Da allora conobbi quelli che avrebbero formato il mio gruppo di amici, e diventai più intimo con quelli che già conoscevo. Era strano come da quel giorno tutto cambiò. In pratica Chitoge, con quella sua ginocchiata micidiale, aveva dato una svolta alla mia precedentemente noiosa e monotona vita. Ma di certo quel cambiamento era positivo.
Un'altra cosa che era cambiata era il mio cuore, o meglio, i miei sentimenti. Non ero più sicuro, infatti, di ciò che provavo per Onodera. Mi sentivo confuso, e non sapevo se era una cosa positiva o negativa. Dovevo ammettere però che avevo paura di scoprire l'identità del mio primo amore: avrebbe cambiato qualcosa sapere?
"Non contano i sentimenti di quando eri bambino, conta quello che senti adesso"
Ma era quello il punto, cosa sentivo in quel momento?
Non lo sapevo minimamente. Forse aprire quel ciondolo avrebbe fatto chiarezza sia nella mia mente che nel mio cuore, ma nulla era certo.
Quel giorno, all'ora di pranzo, riunii i miei amici per fargli sapere la splendida notizia. Shuu, che sapeva già cosa avrei detto di lì a poco, sorrideva soddisfatto, come se tutto il lavoro fosse stato svolto da lui stesso.
Avevamo raccontato la situazione del finto fidanzamento anche a Tachibana, Tsugumi e Yui, ritenendole degne di fiducia.
Tachibana aveva fatto salti di gioia dicendo che mi avrebbe sposato e iniziando a descrivere le suddette nozze, mentre Tsugumi per poco non mi staccò la testa dal collo, ritenendo che io stessi illudendo Chitoge riguardo al "fidanzamento".
Ci pensò lei a rassicurarla e calmarla, e spiegare meglio l'intera situazione a quelli che prima non la conoscevano. Io, preso dall'entusiasmo, avevo infatti saltato parti molto importanti della storia, uscendomene con solo un "io e Chitoge non siamo fidanzati"; frase molto equivoca per la pericolosa guardia del corpo della femmina di gorilla.
Yui invece si era limitata a sorridere in modo enigmatico. Battei le mani per rimettere ordine in mezzo a quelle urla ed esclamazioni sorprese, ottenendo una fulminata dalla "dolce e gentile" Tsugumi.
-Ragazzi, fate silenzio! Vi devo dire una cosa importante!-
Subito si incuriosirono, e divennero muti come pesci mentre mi guardavano come se volessero cavarmi le parole di bocca.
-Il ciondolo è stato riparato, quindi fra qualche giorno, ovvero quando lo riprenderò, scopriremo chi era la bambina delle promessa- dissi entusiasta.
Le ragazze ebbero reazioni molto diverse: Onodera arrossì leggermente, Tachibana iniziò a descrivere la nostra futura vita insieme dopo che ci fossimo sposati, Yui semplicemente sorrise contenta, mentre Chitoge... lei si irrigidì e divenne pallida come un lenzuolo.
Non sembrava felice della notizia, e fui molto confuso da suo tale comportamento.
-Chitoge, stai bene?- le chiesi avvicinandomi a lei -sei sbiancata all'improvviso- le spiegai davanti al suo sguardo confuso.
Feci un altro passo avanti verso lei, mentre lei mi sorprese facendone uno indietro, annuendo velocemente.
-Si, sto bene. Vado a prendere una boccata d'aria-
E dopo di che corse verso il cortile, senza che potessi fermarla.
Restai con un braccio sospeso nell'aria, stordito da quello che era appena successo.
"Ma che le è preso?" mi chiesi infatti "non si è mai comportata così, nemmeno con me"
Mi girai verso i ragazzi, che fissavano la porta da cui era uscita di corsa altrettanto allibiti.
-Ho detto qualcosa di male?- chiesi preoccupato di averla involontariamente ferita in qualche modo.
-No, hai solamente detto che il ciondolo è stato riparato- scosse la testa Tsugumi.
Da un po di tempo aveva smesso di comportarsi in maniera strana con me, tornando naturale nei comportamenti di tutti i giorni; ma comunque non avevo capito il perché dei precedenti suoi rossori e allontanamenti da me, e purtroppo lei si rifiutò di svelarmi il mistero.
Feci per andare a cercare Chitoge, ma la guardia del corpo, nonché migliore amica della diretta interessata, mi fermò mettendomi una mano sul braccio, scuotendo nuovamente la testa.
-Quando fa così vuole essere lasciata sola- disse solamente, lasciandomi andare.
Le diedi ascolto, ma l'ansia non cessò di attanagliarmi il cuore.
"Ma perché mi preoccupo così tanto? E' soltanto andata a prendere un pò d'aria, cosa c'è di male in questo?" mi chiesi confuso del mio comportamento, non riuscendo a darmi una risposta.
Appena la campanella suono, segnando l'inizio di una nuova ora di lezione, Chitoge fece il suo ingresso in classe. Le rivolsi uno sguardo interrogativo, ma lei mi fece segno che mi avrebbe spiegato dopo.
-Scusi, professoressa? Potrei andare a casa? Non mi sento bene- chiese a bassa voce e con sguardo rivolto verso il terreno, la frangia a coprirle gli splendidi zaffiri che erano i suoi occhi.
-Certo... fammi sapere quando starai meglio- annuì lei, sbattendo ripetutamente le palpebre alla strana richiesta della ragazza.
In un paio di secondi sistemò la sua cartella, e con un'occhiata notai che non avesse mangiato il suo pranzo.
"C'è qualcosa che non va"
Divenni subito serio a quella vista: non succedeva mai che non toccasse il cibo, ormai ero abituato a darle pure la metà del mio. Anche quando era piena fino all'orlo, non esitava a ingurgitarne altro; quindi era ovvio che il suo comportamento nascondeva un motivo non da poco.
Non mi ero accorto che intanto, mentre io riflettevo, lei aveva afferrato la cartella e, tenendo ancora lo sguardo basso, se ne era andata salutando fiocamente.
Non fui molto attento durante le lezioni rimanenti, ero troppo preso a pensare a Chitoge e al suo stranissimo e inconsueto comportamento.
Finalmente, quando fui libero dal peso della scuola, mi riunii con gli altri nel cortile.
-Cosa le è successo?- mi chiesero in coro preoccupati.
Chitoge era sempre stata una ragazza solare, allegra, con un sorriso difficile da smorzare; nessuno di noi voleva vederla triste.
-Lo chiedete a me? Mi ha fatto segno che me lo avrebbe detto più tardi, ma poi se ne è andata. Non ha nemmeno toccato il suo pranzo, l'ho visto intatto nella sua cartella-
-Cosa?!- l'urlo si levò in coro, e non feci nulla per fermarlo, perché, per una volta, erano giustificato di tale baccano.
-N-non può essere v-vero. De-devi aver visto m-male- balbettò incredula Tsugumi.
-Non sbaglierei mai su qualcosa di così importante- dissi serio.
Nessuno disse più nulla, ognuno immerso nei propri pensieri a formulare ipotesi su ipotesi. Alla fine mi venne un'idea tanto banale e scontata quanto geniale:
-Potremmo chiamarla al telefono e chiederle cosa aveva- mi illuminai infatti.
Senza aspettare risposta tirai fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni e composi il numero che stranamente conoscevo a memoria. Non feci caso a tale assurdità, mi occupai solo di tenerlo vicino all'orecchio nell'attesa che rispondesse alla mia chiamata.
-Che vuoi, Raku?- sentii la sua voce priva della solita gioia che contagiava ognuno di noi anche nei momenti più tristi.
Era sempre lei a tirarci su di morale e a renderci nuovamente felici, facendoci dimenticare delle emozioni negative che a volte si impossessavano di noi.
-Ehm... volevo chiederti se stai bene-
-Sto bene, grazie per aver chiamato. Ciao...- e fece per chiudermi il telefono in faccia, ma la fermai appena in tempo.
-Aspetta!- esclamai -sei sicura di star bene? Ho visto che oggi non hai minimamente toccato il tuo pranzo-
-Lo hai... notato-
Più che una domanda sembrava un'affermazione, ed io annuii, dimenticando che lei non poteva vedermi. Restai comunque confuso dal suo tono così tanto sorpreso.
-Beh, si. Ho lanciato uno sguardo dentro la tua cartella, prima che la chiudessi e te ne andassi- le spiegai.
-Ah...- sussurrò allo stesso modo di prima.
-Davvero stai bene?-
-Si, sto bene. Ho solo... mh... un pò di mal di testa... si... ho mal di testa-
Sembrò insicura mentre pronunciava quelle parole, quasi come se stesse mentendo; ma non pensai nemmeno per un attimo a tale eventualità: perché avrebbe dovuto mentire? Lei sapeva che di me si poteva fidare cecamente.
-Sicura?- le domandai nuovamente per assicurarmi che fosse solo un pò di mal di testa.
-Si, tranquillo. Ma ora devo andare. Ci vediamo...- sussurrò con una tonalità quasi fredda, incolore, apatica; dopo di che mi attaccò in faccia, e quella volta non potei fare nulla per impedirlo.
Chiusi il cellulare, mettendolo in tasca con un sospiro e mi scompigliai i capelli con entrambe le mani, più confuso di quanto lo fossi prima della telefonata.
-Allora?- mi chiesero iniziando a tartassarmi di domande a cui non sapevo rispondere.
-Ha detto di stare bene, ha solo un pò di mal di testa- li rassicurai, e non accennai al fatto che aveva risposto senza il minimo accenno di emozioni nella voce, o al fatto che tentennò visibilmente quando le chiesi cosa aveva, e non dissi nulla neanche sul fatto che avesse chiuso il telefono in un modo che non aveva mai usato.
Tenni per me quelle informazioni, deciso ad andare fino in fondo a quella storia.
"Ho un brutto presentimento..." pensai, ma decisi di non farci molto caso.
-Tranquilli, sarà il cambio della temperatura ad averle causato qualche giramento. E' normale, ora che sta iniziando la primavera- li rassicurai con un sorriso palesemente finto, ma che loro sembrarono non notare.
Sorrisero a loro volta, meno preoccupati di prima, e annuirono in un modo così sincronizzato da incutere timore.
Chi più chi meno, tutti tenevamo a Chitoge, era quasi una sorella maggiore per tutti noi.
Ci salutammo prima di dirigerci ognuno alla propria casa.
Il giorno dopo Chitoge non venne a scuola, e nemmeno quello dopo.
La terza mattina dopo l'ultima volta che l'avevo vista, prima di dirigermi verso l'istituto scolastico, la chiamai per assicurarmi che non le fosse successo nulla.
-Ehi, Chitoge! Come va?- chiesi quando mi rispose.
-Tutto bene, tu?- chiese lei con voce quasi affannata, come se avesse appena corso una maratona.
-Io sto bene. Ti ho telefonata per sapere come stavi, è da un po che non ti si vede in giro. Sei malata?-
-Ehm... si... sono... sono raffreddata- balbettò leggermente.
-Ma cosa stai facendo per avere il fiatone?- chiesi curioso, mentre uscivo di casa.
-Niente!- rispose troppo velocemente -il fatto è che... ho... ho il naso tappato e non riesco a respirare molto bene!- concluse agitata.
-Spero che tu guarisca presto. Dopo vengo a casa tua per darti gli appunti di scuola, ok?-
-Cosa?! No!- esclamò facendomi stranire.
-Perché?- chiesi infatti, sapendo quando ci tenesse a tenere abbastanza alti i suoi voti.
-Io... i-io non vorrei contagiarti... m-meglio se n-non vieni-
-Tranquilla, non c'è problema!- la rassicurai con un sorriso stampato sul volto, contento che si fosse preoccupata per me.
"Perché sono così felice?" mi chiesi dopo aver realizzato i miei stessi pensieri.
-Ora vado... ciao- mi saluto lei.
-Ci vediamo in giro?- chiesi non volendo che attaccasse così in fretta.
-Si...- disse con voce insicura -forse...- concluse con un sussurro che pero io udii benissimo.
-Aspetta, Chitoge! Cosa hai detto?! Perché "forse"?!- esclamai, ma ormai aveva chiuso la telefonata.
"Perché ha detto "forse"? Dopo scuola vado da lei, deve spiegarmi cosa succede, e non la lascerò stare finche non risponderà a tutte le mie domande" decisi seriamente.
Una volta arrivato, incontrai i ragazzi, quindi gli raccontai la conversazione che avevo avuto con Chitoge, tralasciando la parte in cui sarei andato da lei quel pomeriggio ed il suo tono insicuro.
-Possiamo solo sperare che guarisca presto- concluse Yui, sorridente come sempre.
Quando iniziò la pausa pranzo, tutti ci eravamo riuniti in cortile e ci stavamo godendo il pasto, quando Shuu, con una tranquillità devastante, disse:
-Ah, Raku, dimenticavo, ti ho portato il ciondolo-
Appena udii quelle parole gli sputai addosso la bibita che stavo bevendo.
-E ti sembra il modo di dirlo?!- gli sbraitai contro, non scusandomi nemmeno per la sua faccia allagata.
-Scusa- farfugliò iniziando a pulirsi con un fazzoletto che Miyamoto gli aveva dato.
Subito dopo tornò sorridente, e, iniziando a frugare in tasche che non immaginavo nemmeno esistessero, lo tirò fuori in tutto il suo splendore, e me lo porse.
Lo presi con mani tremanti, stringendolo poi al petto, rendendomi conto che nel periodo in cui mi era stato privato, una parte di me mancava; e si colmò nello stesso istante in cui toccai quel pezzo di metallo dal valore affettivo così grande.
-Allora? Cosa state aspettando? Provate le chiavi- disse ovvia Miyamoto, sorseggiando il suo succo di frutta.
-Ma non c'è Chitoge- ribattè Onodera.
-Beh, potrebbe restare malata per settimane intere. Volete aspettare tutto questo tempo o cercare di aprire ora il ciondolo e comunicargli poi i risultati?- chiese retoricamente lei.
-Lo facciamo?- chiesi io seriamente, ricevendo in risposta i capi scossi in segno di assenso da parte delle tre ragazze in questione.
Presi un profondo respiro e chiesi a Shuu:
-Quando tempo rimane prima della fine della pausa pranzo?-
Lui controllò il suo orologio da polso, poi mi rispose:
-Cinque minuti circa-
-Non bastano- constatai con l'amaro in bocca.
-Facciamo così- iniziai, trovando una soluzione adeguata -alla fine delle lezioni ci incontreremo tutti quanti qui, in questo punto, e proveremo ad aprirlo; va bene?-
Tutti acconsentirono, d'accordo con la mia proposta.
L'attesa fu estenuante: un solo minuto sembrava racchiudere ore intere, e rilasciai un sospiro di sollievo quando uscii dall'aula. Andai di corsa nel cortile della scuola, trovando già i ragazzi ad aspettarmi.
-Siete pronti?- chiesi guardandoli seriamente uno ad uno.
-Si. Ora o mai più- dissero in coro.
-Bene. Chi inizia?-
-Io! Io!- iniziò a saltellare Tachibana, facendo tornare, con il suo entusiasmo, il buon umore nel gruppo.
Prese la sua chiave e senza esitare nemmeno un attimo la ficcò nella serratura del pendente.
-E' entrata- inspirò forte lei.
-Tutte le chiavi entrano, ma una sola farà scattare il meccanismo d'apertura- la informai, parlando abbastanza forte da farmi sentire da tutti.
Con uno scatto del polso Tachibana provò a girare la chiave, ma essa non si mosse.
-Cosa?- disse la sua voce incredula -non è possibile-
Provò nuovamente a farla girare, ma non ottenne nessun risultato.
-Vuol dire che non è la chiave di Marika Tachibana che lo aprirà- disse Tsugumi.
-No!- urlò teatralmente la diretta interessata, riprendendosi subito dopo.
-Non importa! Raku-sama sarà ugualmente il mio futuro marito!- ed iniziò a sognare ad occhi aperti cose che non avrei mai lasciato accadessero.
-Ora provo io- si fece avanti la sorellina Yui.
Mise la sua chiave dentro il ciondolo, poi provo a rotearla, ma neanche questa volta si aprì.
-Pazienza- sospirò lei con un sorriso -un ciondolo ed una chiave non cambieranno il mio rapporto con Raku, vero fratellone?-
-Puoi starne certa, sorellina- e la abbracciai affettuosamente.
Rimaneva solo Onodera, e diversamente da come sarei stato tempo prima, non fui nervoso. Tenni la mano sulla quale giaceva il pendente aperta, ed invitai Onodera a provare ciò che avevano provato le altre.
La sua mano tremava, mentre lentamente si avvicinava con la chiave ben stretta fra le dita pallide. Sospirò profondamente, prima di infilarla in quello stretto buco al centro del ciondolo.
Poi la girò, ma la chiave non si mosse.
La ragazza lentamente la sfilò, e fece un sorriso triste mentre scuoteva la testa.
"Ma... se nemmeno la chiave di Onodera l'ha aperta... vuol dire che...-
-La bambina della promessa è Chitoge!- concluse il mio pensiero Shuu.
Ero immobile, tutti i muscoli del corpo contratti davanti a tale scoperta.
-Non è sicuro al 100%. Prima dobbiamo provare la sua chiave, poi potremmo confermarlo- disse Miyamoto.
A quel punto raccontai ciò che avevo tralasciato in precedenza: ovvero la mia decisione di andare a casa della diretta interessata ed il suo strano tono di voce.
Dopo qualche minuto mi ritrovai a camminare verso la casa di Chitoge, ovviamente circondato dai ragazzi.
-Dovevate venire per forza?- sbuffai scocciato, le mani incrociate sulla nuca.
-Perché? Volevi tenerla tutta per te?- mi provocò con un sorriso malizioso Shuu.
-Cosa?! Che diavolo vorresti insinuare?!- andai in panico, iniziando poi a balbettare parole senza senso.
"Perché mi sto agitando così tanto?- mi chiesi cercando di calmare il rossore che si era impossessato del mio viso, ma non trovai risposta a tale quesito.
Arrivammo davanti all'immensa villa in cui abitava Chitoge, quindi suonammo il campanello, e il cancello si aprì, facendoci entrare nell'abitazione. Entrammo e salutammo tutti cortesemente l'uomo che ci attendeva all'ingresso:
-Buon pomeriggio, signor Kirisaki-
-Buon pomeriggio a voi. A cosa devo questa vostra visita?- ci sorrise calorosamente.
-Siamo qui per Chitoge. Le ho portato gli appunti di scuola- dissi io, mostrandogli la cartella.
Il suo sorriso si smorzò di colpo.
-Chitoge non ve lo ha detto?-
-Detto cosa?- inclinai leggermente il capo lateralmente, confuso da tale domanda.
-Che se ne è andata- disse senza giri di parole.
Sentii mancarmi la terra sotto i piedi, sconvolto.
-C-cosa? S-sta s-scherzando, ve-vero?- balbettai.
-Non ne avrei il motivo- scosse la testa triste.
-Per favore, potrebbe spiegarci la situazione?- chiese Yui, vedendo che io non riuscivo piò a spicciare parola.
-Certo- annuì lui.
Dopo di che cominciò a parlare.
-Qualche giorno fa, Chitoge è arrivata più presto del solito, quindi le ho chiesto il perché, ma, senza darmi spiegazioni, mi ha domandato se potevo procurarle un biglietto di sola andata per l'America. Ovviamente le ho chiesto il motivo, ma mi ha semplicemente detto che qui in Giappone non si trova molto bene, e che preferirebbe tornare nella casa che abbiamo in America. Quindi, seppur molto dispiaciuto, le ho procurato il biglietto. Le ho anche chiesto se vi aveva detto della sua decisione, e mi ha risposto affermativamente, ma a quanto pare, per qualche motivo, ha mentito-
Dentro di me sentivo il vuoto, non riuscivo a dire ne a pensare nulla, ma la mia mente continuava a ripetere come una mantra:
"Se ne è andata. Se ne è andata"
-A questo punto direi che stiamo parlando del giorno in cui Ichijou-kun ci ha detto che il ciondolo era stato riparato- ragionò Onodera.
La cartella mi cadde di mano, mentre realizzavo che se ne era andata per colpa mia.
-Qu-quando è p-partita?- riuscii a domandare.
-Un paio di ore prima che voi arrivaste, lei è partita per l'aeroporto. In questo momento dovrebbe essere a bordo dell'aereo. L'unica cosa che ha preso è una piccola valigia ed il pupazzetto che le hai regalato per il suo compleanno- spiegò lui con tono cupo.
Senza dire nulla, mi incamminai verso le scale, diretto alla porta della camera della ragazza che da giorno albergava costantemente nei miei pensieri.
Con passo traballante salii le scale, e tremante aprii la porta della sua stanza perfettamente immacolata. La chiusi alle mie spalle, non volendo vedere nessuno. Mi dimenticai completamente della questione del ciondolo, sentendo gli occhi pizzicare dalle lacrime che stavo trattenendo.
Mi sedetti sul suo letto e, nel tentativo di distrarmi, osservai intorno a me le cose che mi riportavano inevitabilmente a lei.
"Perché te ne sei andata? Perché?!"
Mi passai le mani sulla faccia ripetutamente, cercando di calmarmi, e quando le tolsi notai un foglio bianco al centro del letto che l'aveva ospitata ogni notte.
Lo presi delicatamente, quasi come se ci fosse la possibilità che scomparisse da un momento all'altro, e riconobbi subito la scrittura goffa e ancora cosparsa di errori qua e là di Chitoge.
"Caro Raku (si, so che sei tu a leggere questa lettera, perché nessun altro oltre a te sarebbe tanto masochista da venire nella mia camera da letto dopo aver saputo che me ne sono andata), probabilmente nel momento in cui stai leggendo queste parole mi odi per non averti dato nessuna spiegazione, per essere scomparsa nel nulla, per essermene andata senza dirti niente, quindi ti sto scrivendo per comunicarti alcune delle cose che affollano i miei pensieri notte e giorno; o per meglio dire, ti scrivo per scusarmi.
Scusami per tutte le volte in cui ti ho picchiato, a volte senza un motivo.
Scusami per quando, ogni giorno, mangiavo gran parte del tuo pranzo.
Scusami per le volte in cui ti ho obbligato a cucinare per me.
Scusami per tutte le volte che ti ho copiato i compiti, avendo dimenticato di farli.
Scusami per i pomeriggi in cui sei stato costretto a passare il tuo tempo con me.
Scusami per essere stato obbligato ad essere il mio finto fidanzato.
Scusami per avere una delle quattro chiavi.
Scusami per essere quella che sono.
Scusami se per me non sei un semplice amico.
Tua, Chitoge Kirisaki"
Lessi quelle parole scritte dalle sue mani lattee, sentendo gli occhi sempre più umidi, e questa volta non riuscii a trattenermi dal versare silenziose lacrime che iniziarono a scendere sulle mie guance in una lenta e dolorosa danza.
Mi soffermai sulle ultime parole della lettera:
"Scusami se per me non sei un semplice amico"
"Non mi considera neanche come amico... mi odia così tanto?" pensai stringendo quel pezzo di carta su cui iniziarono a cadere calde e salate gocce d'acqua.
Fra le mani intrappolai ciocche di capelli che iniziai a tirare disperatamente, e mi alzai da quel morbido materasso, iniziando a fare avanti ed indietro per la stanza.
"Al diavolo" pensai asciugandomi le lacrime con la manica della divisa scolastica.
Misi la lettera nella tasca dei pantaloni, e la mano incontrò il cellulare.
In un gesto istintivo lo presi e lo aprii, mandando un messaggio alla ragazza che mi stava facendo letteralmente impazzire:
"Scordatelo"
Una semplice parola, che però racchiudeva dentro di se più di mille significati diversi, stava a lei interpretarla nel modo giusto.
Con uno scatto aprii la porta, uscii, e la richiusi, iniziando a scendere freneticamente le scale. Afferrai la mia cartella, la quale giaceva sul pavimento lucido, e dopo un veloce saluto uscii da quella casa, iniziando a correre verso la mia.
Appena arrivato andai direttamente in camera mia, lanciai la cartella in qualche angolo remoto della stanza, e mi cambiai con degli abiti più comodi: una tuta e una maglietta a maniche corte. Tolsi la lettera dai pantaloni e la infilai nella tuta, insieme al cellulare, poi andai da mio padre.
-Papà, scusami se ti disturbo, ma è importante- dissi mentre entravo nella sua camera, trovandolo intento a leggere un romanzo.
-Dimmi, Raku- iniziò sorridente, ma la gioia si spense non notandone nessuna nel mio volto.
-Cos'è successo?-
-Mi potresti procurare un biglietto per l'America?- chiesi senza inutili giri di parole.
-Cosa? Perché?- chiese stranito da mia tale richiesta.
-Chitoge- risposi solo.
-Faccio subito- mi disse annuendo e uscendo dalla stanza, probabilmente per contattare qualche compagnia aerea.
Mi passai le mani sulla faccia, e iniziai a tamburellare ripetutamente un piede per terra, impaziente di avere una risposta. Dopo un quarto d'ora circa, mio padre entrò nuovamente nella stanza:
-Fatto. Il primo volo parte alle undici di questa sera- mi comunicò dandomi il biglietto aereo che aveva stampato.
-Grazie mille, papà. Non so davvero come ringraziarti. E' molto importante...- gli dissi con un sorriso riconoscente.
-Non darmi spiegazioni inutili, ma pensa a farti un pisolino per non essere stanco, più tardi- mi fece l'occhiolino, riprendendo a sorridere come suo solito.
-Grazie, davvero- lo ringraziai nuovamente prima di andare in camera mia, per seguire il suo consiglio, ma non prima di impostare la sveglia alle dieci.
Non fu difficile prendere sonno, e presto mi lasciai avvolgere dalle braccia di Morfeo.
Mi svegliai di soprassalto per colpa della sveglia del cellulare, ma non persi tempo a spegnerla e ad alzarmi. Come avevo immaginato prima di addormentarmi, i miei sogni riguardarono tutti la ragazza che mi aveva fatto così tanto preoccupare nel giro di qualche giorno.
Tirai fuori una piccola valigia dal mio armadio, la lanciai sul mio letto, e misi dentro alcuni vestiti e lo stretto indispensabile per quel viaggio. Quando, dopo a malapena dieci minuti, ebbi finito di infilare il tutto, chiusi la cerniera e lasciai la valigia a terra. Andai in bagno e mi feci una veloce doccia di dieci minuti spaccati.
Mi vestii e, i capelli, mi limitai ad asciugarli alla ben e meglio con un asciugamano. Mi misi una tuta, una maglietta a maniche corte, e una felpa sopra di essa, tutto rigorosamente nero.
Presi la lettera, il biglietto dell'aereo, il ciondolo, il cellulare, il portafogli contenente contanti e documenti, afferrai la valigia, e dopo di che uscii dalla mia camera.
"Ok. Ho 35 minuti per arrivare all'aeroporto. Ce la posso fare" mi incoraggiai.
Nel corridoio intravidi una figura incamminarsi verso di me, quindi assottigliai lo sguardo per riuscire a vedere nel buio che circondava la casa ormai addormentata.
-Papà?- strabuzzai gli occhi stranito.
-Non hai tempo ne per sorprenderti ne per chiamare un taxi, quindi tieni queste e sbrigati- mi lanciò un piccolo mazzetto di chiavi, che contenevano quelle della macchina e quelle di casa.
-Grazie papà, sei fantastico- lo abbracciai.
-Non so quando torno- gli comunicai.
-Tranquillo, tu vedi di riconquistare la tua bella- e mi strizzò l'occhio, facendomi avvampare.
-Da quando arrossisci così?- ridacchio lui, provocandomi palesemente.
-Non lo so- risposi sincero, scuotendo la testa.
-Io invece credo che lo sai, nel tuo profondo. Ma non importa, hai ben otto ore a tua disposizione per darti una risposta. E mi auguro che sarà quella giusta-
-Vuoi dire che sai il perché mi comporto così?-
-Forse...- rispose evasivo.
-Ora vai, o farai tardi. Tieni questi, per le eventuali multe; e questi, per quando sarai in America- e mi porse un bel gruzzoletto di denaro si giapponese che americano.
-Non so per quante volte ancora dovrò ringraziarti-
-Smettila con questo comportamento da femminuccia! Devi solo pensare a riportare mia nuora a casa, hai capito?-
-Certo che riporterò tua nu... aspetta, cosa?! Papà!- esclamai diventando più rosso di prima.
Lui scoppiò a ridere davanti alla mia espressione furibonda, resa esilarante per via del colore della pelle.
-Oh, andiamo! E' la tua ragazza, e di conseguenza è mia nuora!-
-Non è realmente la mia ragazza!- gli ricordai incrociando le braccia al petto.
-Ne sei sicuro?- mi chiese inarcando un sopracciglio.
Restai spiazzato da quella domanda, e mi ritrovai a balbettare parole senza senso.
-Ora vai!- iniziò a spingermi verso il portone principale -ci penserò io ad avvisare tutti, compresi i tuoi amici e la scuola-
-Grazie, papà. Ci vediamo presto- lo abbracciai, affondando il viso nel suo collo come ero solito fare da bambino.
-Sei cresciuto così tanto- disse con gli occhi lucidi, ricambiando la stretta.
Dopo un ultimo saluto iniziai a correre verso la macchina.
-Se non riporti mia nuora, ti caccio di casa!- urlò divertito.
-Papà!- gridai con tono di rimprovero, andando per l'ennesima volta a fuoco.
Aprii in fretta la macchina con le chiavi che mi aveva dato mio padre e misi la valigia nel bagagliaio, dopo di che misi in moto e partii sgommando.
-Ok. Ho circa 20 minuti di tempo- mormorai controllando l'ora sul cellulare.
Spinsi il piede contro l'acceleratore, aumentando sempre di più la velocità, fino ad arrivare ai 175 km/h.
In un quarto d'ora arrivai a destinazione, e per fortuna non incontrai nessun poliziotto lungo la strada.
Parcheggiai e spensi la macchina, quindi uscii e presi la valigia. Misi il mazzetto di chiavi in tasca e mi incamminai verso l'aeroporto. Mi chiesero documenti e biglietto, che feci prontamente vedere, e, non volendo sprecare tempo prezioso, porsi immediatamente la mia valigia, che gli addetti ispezionarono accuratamente.
Dopo di che mi fecero salire sull'aereo grazie ad una scaletta appena collocata, quindi trovai il mio sedile, fortunatamente vicino al finestrino, e sospirai, sollevato di aver fatto in tempo e di non aver nessuno seduto accanto.
Appoggiai la fronte contro quel pezzo di vetro, rilassandomi un pò e chiudendo gli occhi.
O almeno, restai calmo finché non mi venne in mente una cosa alquanto importante che mi fece spalancare di scatto gli occhi:
"Ma io non so dov'è la casa di Chitoge! Mio dio, sono un cretino!"
Ma, come fosse stato uno strano scherzo del destino, in quel momento il mio cellulare vibrò, avvisandomi di aver ricevuto un messaggio.
Lo aprii, rivelando così un numero sconosciuto. Nel messaggio c'era scritto il nome di una via e, in fondo, c'era scritto:
"Da tuo suocero"
-Il signor Kirisaki...- sussurrai incredulo, non riuscendo ad impedire ad un ampio sorriso di prendere alloggio sul mio viso -deve aver capito le mie intenzioni fin da quando sono uscito da casa sua-
Poi, però, mi resi conto della sua allusione, e mi misi a sbuffare.
"Ma si sono messi contro di me?! Comunque a questo punto il problema è risolto. Ho il nome della via, e in inglese non me la cavo male, basterà chiedere indicazioni e la troverò"
Mi lasciai andare contro il sedile imbottito, rilasciando l'ennesimo sospiro sollevato. Misi il telefono in modalità aereo e, nel mentre che gli addetti eseguivano gli ultimi controlli, pensai al motivo per cui Chitoge se ne era andata.
"Il signor Kirisaki ha detto che lei non si trovava bene in Giappone, ma sono sicuro che abbia mentito. Era sempre raggiante e di ottimo umore, e raccontava sempre di quanto era felice di trovarsi qua, o almeno finché non ho detto ai ragazzi che il mio ciondolo era stato riparato. Quindi perché è tornata in America?"
Non riuscii a darmi risposta, quindi mi accontentai di aspettare finché, volente o nolente, non me l'avrebbe data lei. Guardando l'oggetto che aveva dato inizio a tutta la storia, mi ricordai di ciò che avevo scoperto quel pomeriggio.
"Ne Tachibana, ne Yui, ne Onodera sono riuscite ad aprirlo; e questo vuol dire che c'è una buona percentuale di possibilità che il mio primo amore sia stato Chitoge"
Mi ritrovai ad arrossire senza rendermene conto.
"Ma c'è un'altra cosa che non riesco a spiegarmi" pensai mentre l'aereo decollava "perché non mi sono sentito nervoso quando è stato il turno di Onodera? Tempo fa sarei letteralmente impazzito da quell'emozione, e mi sarei messo a piangere disperato quando la chiave non ha fatto scattare la serratura. Ma in quel preciso istante, mi sono sentito quasi... sollevato..." realizzai sorpreso.
"Mi sento molto strano in questo periodo, soprattutto negli ultimi giorni, ma non capisco il perché. Forse sono triste per il fatto che Chitoge non riesca a considerarmi nemmeno come un semplice amico. Le chiederò delle spiegazioni, questo è poco ma sicuro. Ma ora è meglio dormire, sarà un lungo viaggio" e mi lasciai andare contro il morbido sedile su cui mi trovavo, stanco nonostante le ore di sonno che mi ero fatto prima di partire.
Inconsciamente mi addormentai, pensando ai quei capelli biondi ornati da un nastro rosso.
Quando mi svegliai, sbattei ripetutamente le palpebre per poter mettere a fuoco ciò che mi circondava, e mi stropicciai gli occhi come un bambino. Non potei nemmeno trattenere un rumoroso sbadiglio, mentre mi giravo verso il finestrino, constatando che fosse l'alba.
Fermai un hostess che stava passando per chiederle un informazione:
-Mi scusi, quanto manca per arrivare a destinazione?-
-Circa due ore- mi sorrise gentilmente, prima di allontanarsi.
Mi concentrai nuovamente sul paesaggio che potevo ammirare attraverso quel piccolo pezzo di vetro ovale, e restai meravigliato da tale spettacolo.
I caldi e fiammanti raggi del sole rincorrevano quelle bianche nuvole sfumate di rosa somiglianti a batuffoli di zucchero filato, creando una fantastica danza che ornava il cielo ancora leggermente blu e cosparso di piccoli puntini bianchi, guidati da una luna sempre meno visibile.
Scattai persino una foto, volendo avere qualcosa che me lo ricordasse anche una volta tornato a casa.
Sbloccai poi il telefono, il quale segnava le cinque del mattino.
Passai le restanti due ore con la testa attaccata al finestrino, riflettendo su ciò che era successo in soli tre giorni. Interruppi quella meditazione soltanto una volta, bisognoso di usare i servizi.
Non mangiai niente, per via dello stomaco chiuso da una stretta morsa di preoccupazione e tristezza, ovviamente causata dalla stessa ragazza per cui mi ritrovavo in quell'aereo diretto verso l'America.
Non potei che gioire quando esso atterrò: l'attesa era stata estenuante, e riflettere su di lei non migliorava certo la situazione, anzi, tutt'altro.
Macinai velocemente le scale sotto di me, e in un lampo andai all'aeroporto, nel quale, scocciato di restare ancora con le mani in mano, aspettai impaziente la mia valigia. Appena la adocchiai sopra il nastro trasportatore, la afferrai e corsi verso l'esterno.
"Okay, d'ora in poi dovrò parlare in inglese. Credo di essere fottuto" pensai mentre correvo verso un taxi parcheggiato lì vicino.
Attirai l'attenzione del tassista, dopo di che misi la valigia nel bagagliaio, salimmo entrambi a bordo e gli mostrai l'indirizzo.
Non parlai molto, volendo evitare di fare figure di merda.
Essendomene dimenticato in precedenza, tolsi la modalità aereo dal cellulare, dopo di che mi concentrai sulla strada che scorreva veloce dietro il finestrino. Essendo che ci stavamo muovendo davvero troppo lentamente per i miei gusti, lanciai uno sguardo alla parte dietro il volante.
"50 km/h?! Ma stiamo scherzando?!" pensai allibito.
-Excuse me, I am late, can we go faster?- dissi impacciatamente in inglese, sperando di non aver sbagliato nulla.
-Sure- acconsentì lui, premendo di più il piede sull'acceleratore, e subito si poté sentire la differenza di velocità rispetto a prima.
Poco dopo, quando arrivammo all'inizio della via, giungemmo davanti a una meravigliosa villa a due piani, completamente bianca e circondata da un giardino curato e rigoglioso. C'era persino una piscina in esso. Fermai il tassista, capendo immediatamente che era quella la casa dei Kirisaki.
"Certo che fanno la bella vita qui" pensai divertito, trattenendo un fischio di apprezzamento.
Pagai il tassista, dopo che mi ebbe detto quanto gli dovevo, quindi uscii dalla macchina e presi la valigia.
Il taxi partì subito dopo, probabilmente alla ricerca di un altro cliente.
Presi un respiro profondo e salii i due gradini che portavano alla porta principale. Notai un campanello vicino ad essa, quindi lo suonai, aspettando in ansia una risposta che non tardò molto ad arrivare.
-Who is it?- sentii dire attraverso il citofono da una voce rotta, ma pur sempre inconfondibile per me, grazie anche all'evidente accento che aveva.
-The postman- dissi titubando un po e cercando di mascherare la mia vera voce ficcando la bocca dentro la felpa.
-Mh... yeah... I'm coming...- sentii dire da quella voce resa ancora più dolce e tenera grazie alla insicurezza che si poteva udire in essa.
Sentii scattare la serratura della porta, quindi mi preparai a bloccare il suo sicuro tentativo di richiuderla.
Come previsto, appena la aprì e mi vide, spalancò gli occhi e con uno scatto tentò di chiuderla nuovamente, ma io, previdente, avevo messo un piede per bloccarla.
Non avevo mai visto Chitoge in quelle condizioni: gli occhi arrossati e gonfi dal pianto, i capelli spettinati, il fiocco rosso sciupato, e le evidenti occhiaie che albergavano sotto i suoi occhi spenti per colpa di un'evidente tristezza.
-Che ci fai qua?- chiese freddamente, cercando invano di non balbettare e di trattenere la sorpresa.
-Potresti farmi entrare?- chiesi ignorando la sua domanda.
-No- rispose lei acida, facendo un ulteriore tentativo per chiudere la porta, ovviamente fallendo.
Con un veloce scatto la spalancai ed entrai in casa, lasciando poi la valigia in qualche remoto angolo dell'atrio in cui mi ritrovai.
Una volta dentro chiusi la porta a chiave e infilai quest'ultima in tasca.
Prevenire è meglio che curare.
-Sai che potrei urlare così da far venire della gente qui, vero?- mi domandò incrociando le braccia al petto e cercando di mantenere un'aria calma, ma si notava a miglia di distanza il suo nervosismo e la sua incredulità nel vedermi lì, a miglia da casa mia.
-Lo sappiamo entrambi che non lo faresti mai- la sfidai con lo sguardo a controbattere, ma si limitò a sbuffare sonoramente.
Quel suo comportamento freddo e distaccato mi stava ferendo non poco, e non riuscivo a capirne lo strano ed assurdo motivo.
-Te lo ripeto: che ci fai qui?- mi chiese nuovamente.
Feci un passo verso di lei e, come già avevo sospettato, Chitoge ne fece uno indietro.
Continuai a farla indietreggiare finché non si trovo con le spalle al muro.
Letteralmente.
Quando sentì la fredda superficie a contatto con la sua schiena, girò sorpresa il viso verso quella stessa parete, diventando sempre più agitata. Io non ero da meno, ma avevo intenzione di nasconderlo fino al momento giusto. La inchiodai al muro mettendo le braccia ai lati del suo capo, e mi sporsi leggermente verso di lei.
-Mi devi delle spiegazioni- soffiai in un sussurro serio, facendola voltare nuovamente verso di me e riuscendo a mascherare egregiamente le emozioni che mi dava; una di esse era il circo che in quel momento avevo al posto dello stomaco, altro che farfalle.
-Sei troppo...- iniziò lei cominciando a sudare freddo.
-Vicino?- la interruppi con un ghigno, avvicinando sempre di più il mio viso al suo.
Lei deglutì nervosamente, e io mi trattenni dal fare lo stesso.
Inconsciamente mi misi a osservarla più nel dettaglio: quei grandi zaffiri lucidi di lacrime, la pelle più pallida del solito, le guance leggermente arrossate e le sue perfette labbra, in quel momento screpolate e dischiuse, stavano mandando il mio cuore a ballare la samba con un piccione viaggiatore.
Come a leggermi nel pensiero, Chitoge passò la lingua su di esse per inumidirle.
Un rantolo mi sfuggì di bocca, quasi un ringhio, mentre cercavo di calmare i miei ormoni impazziti.
"Ma lo fa apposta?!" mi ritrovai a pensare, tornando a concentrarmi sui suoi occhi.
-Non ti devo nulla- ribatté con voce traballante.
-Almeno potresti dirmi che ti ho fatto per farmi odiare così tanto da non farmi considerare neanche come un semplice amico?- domandai più insicuro e con il tono intriso di infelicità.
-Ma l'hai letta la lettera?- corrucciò lo sguardo.
-Si, l'ho letta. Infatti ti sto chiedendo perché mi detesti così tanto- cercai di essere più chiaro, non riuscendo a trattenermi dall'incrinare la voce e abbassare lo sguardo.
Contro ogni previsione, lei scoppiò in una fragorosa risata.
-Che hai da ridere, ora?- le domandai leggermente offeso.
-Ma sei serio?- continuò a ridere di gusto.
Ero felice di averle fatto migliorare, anche se di poco, l'umore; ma non capivo il motivo per cui si stava comportando in quel modo.
-Perché non dovrei?-
Lei tornò improvvisamente seria.
"Ma è bipolare?" pensai confuso.
-Sai una cosa? Lascia stare. Meglio se non capisci- scosse le testa, tentando poi di liberarsi dalla gabbia che avevo formato grazie alle braccia, ma ovviamente non la lasciai andare.
-Vuoi dire che non mi odi?-
-No- disse lei -anzi...- udii in un sussurro così impercettibile che mi domandai se non me lo fossi immaginato.
-Allora cosa volevi dire con quelle parole?-
-Niente- disse in fretta, troppo in fretta.
Lasciai perdere quell'argomento, ma lo avrei nuovamente tirato in ballo più tardi.
-Come stai?- le chiesi tornando preoccupato.
-Non importa come sto io. La tua ragazza, piuttosto? Come sta?-
-Non me lo vuole dire- scrollai le spalle trattenendo un sorriso divertito.
-La tua vera ragazza, intendo- sottolineò.
-Non lo so-
-Perché non la chiami, allora? Sarà preoccupata-
-Hai ragione, ora le telefono-
Presi il cellulare e composi il numero della mia suddetta ragazza, dopo di che feci partire la chiamata.
Uno squillo si fece largo nell'abitazione, e Chitoge estrasse il suo telefono.
Rispose alla chiamata non guardando neanche chi fosse la persona che l'aveva telefonata.
-Pronto?- chiese lei portando il cellulare all'orecchio.
-Ciao! Come stai?- risposi io.
Lei di scatto si voltò verso di me.
-Mi stai prendendo per il culo?-
-Hai detto di chiamare la mia ragazza per chiederle come stava, e io l'ho fatto-
-Ho detto di chiamare la tua vera ragazza per chiederle come stava- ribatté lei.
-L'ho fatto- risposi innocentemente.
-Sei impossibile- borbottò lei, infilando l'apparecchio elettronico nella tasca del pigiama che stava indossando.
-Però seriamente, come sta la tua nuova fidanzata?-
-Non ne ho una-
-Ti aspetti che io ti creda?-
-Perché dovrei mentire?-
-Non lo so, ma lo stai facendo-
-E sentiamo, chi è la mia nuova ragazza?-
-Kosaki, ovviamente- la sua voce assunse una strana incrinazione.
-Perché dovrebbe essere la mia fidanzata?- mi stranii.
-Dopo che lei ha aperto il tuo ciondolo, e palese che vi siate messi ins...-
-Frena, frena, frena- la interruppi -Onodera ha aperto il mio ciondolo?-
-Si, e quindi?-
Le mostrai il pendente perfettamente intatto estraendolo da sotto la felpa.
-Non è riuscita ad aprirlo?!- spalancò gli occhi allibita.
Scossi la testa in risposta.
-Perché eri così sicura che l'avesse aperto?-
-Beh, siete fatti l'uno per l'altra, quindi ero sicura che la bambina della promessa fosse lei- mi spiegò non rinunciando a quella faccia sorpresa.
"La sua logica lascia a desiderare"
Normalmente sarei avvampato e avrei cercato in tutti i modi di negare, ma in quel momento mi sentivo stranamente calmo.
-Cosa te lo fa pensare?-
-Oh, andiamo! Vuoi negare l'evidenza? Si vede che vi amate a vicenda, solo non avete il coraggio per esprimere i vostri sentimenti!- sbottò forse troppo forte.
-Io... piaccio ad Onodera?- chiesi titubante.
"Perché non sto facendo i salti di gioia? Perché non mi sto mettendo a piangere dalla felicità? Perché sento che vorrei essere amato da una specifica persona che però non è Onodera? Io la amo da sempre... no?-
Mentre io riflettevo, Chitoge si abbassò e passò sotto un mio braccio, liberandosi e mettendo qualche passo di distanza tra noi due. Non tentai nemmeno di fermarla, preso com'ero dai miei pensieri.
-O sei cretino, cosa molto probabile, o sei talmente idiota da non renderti conto che buona parte delle ragazze della scuola ti ronza intorno- sbuffò lei distogliendo lo sguardo dal mio.
-Ma che stai dicendo?-
-Vuoi che te le elenchi?- mi chiese non aspettando nemmeno una risposta -Kosaki, Marika, Tsugumi, Haru, Yui, e molte altre di cui non conosco il nome. Probabilmente l'unica ragazza del nostro anno che non ti vede in modo romantico e Ruri; e sappiamo bene il perché-
"Ha detto che l'unica è Miyamoto? Questo vuol dire che... no, non è possibile. Avrà dimenticato di dire che a parte Miyamoto c'è anche lei. Anzi, è così scontato che non c'è neanche il bisogno che lo dica. Ma, allora... perché il cuore mi sta battendo così forte?"
-Alla fine chi era la bambina della promessa? Marika o Yui?- chiese cambiando discorso, forse non volendo approfondire il precedente argomento.
-Ne l'una ne l'altra- sussurrai, mentre mi ricordavo della possibilità che quella bambina fosse Chitoge.
-Bella battuta- disse ironica -vuoi rispondere seriamente?- disse diventando sempre più nervosa.
Iniziò perfino a tamburellare il piede per terra.
-Lo sto facendo. Ne Onodera, ne Tachibana e ne la sorellina Yui, sono riuscite ad aprirlo-
-Stai scherzando?!-
Scossi la testa in segno di diniego.
-Questo vuol dire che ci deve essere un'altra ragazza in possesso di una chiav...-
-O forse vuol dire che quella bambina eri tu- la interruppi.
-Dovresti fare il comico- ridacchiò nervosamente.
-Perché non dovresti essere tu? Le chiavi sono solo quattro, lo sappiamo bene tutti e due, e le prime tre non l'hanno aperto. Questo vuol dire che è la tua chiave quella che farà scattare la serratura- espressi ad alta voce uno dei pensieri che mi avevano attanagliato durante il viaggio.
-E'... è i-impossibile- balbettò lei scuotendo la testa ripetutamente.
-Perché lo dovrebbe essere?- la provocai.
-Non avresti mai fatto una promessa con... una come me- disse amaramente.
-Che vuoi dire?-
-Sono violenta, rompiscatole, una scocciatura, e non sono per niente femminile. Chi mai farebbe una promessa come quella in questione con me?-
-Io- dissi semplicemente.
-Ci deve essere per forza un errore, non ero io quella bambina. Forse Kosaki ha inserito male la chiave, o l'ha girata con troppa poca forza, non lo so. Ma non sono io, questo è poco ma sicuro- concluse categorica.
-Chitoge- la richiamai.
-Perché te ne sei andata?- le chiesi serio come poche volte nella mia vita -Perché non hai detto niente a nessuno?-
-Non devo nessuna spieg...-
-Perché non hai detto niente a me?- la interruppi cogliendola di sorpresa.
-Perché avrei dovuto? Se ti stai preoccupando per la questione del finto fidanzamento, tranquillo: i Beehive e gli Shuei ormai sono, se non amici, alleati; quindi non c'è più bisogno di continuare questa messa in scena-
-Credi davvero che mi sia fatto 8 ore di aereo solo per parlarti della nostra finta relazione?-
-Si, oltre che per farmi una bella strigliata. Ora, visto che abbiamo risolto la questione, puoi anche tornare in Giap...-
-Tu parli troppo, per i miei gusti- dissi prima di fare una cosa che nemmeno io mi sarei mai aspettato.
La spinsi contro il muro intrappolandola nuovamente tra le mie braccia, e la baciai.
Premetti le mie labbra sulle sue con un veloce scatto, e in quel momento i miei dubbi lasciarono spazio a certezze.
Quando mi dicevano "se sai perché ti piace una persona, allora è una cotta; se non sai perché ti piace, allora è amore", non avrei mai pensato di sperimentarlo sulla mia pelle.
"Perché mi è sempre piaciuta Onodera? Perché è carina, dolce e simpatica. Invece Chitoge perché mi piace? Perché... beh... io... non lo so! Come ha detto lei stessa, è violenta, una rompiscatole e non è minimamente femminile. Ma forse è proprio per questo che la amo: perché con me è sempre naturale, e non cerca di nascondersi dietro false maschere. Io amo Chitoge perché, semplicemente... è Chitoge"
Solo in quel momento mi sentii in pace, come se un pezzo del mio cuore fosse tornato al suo posto, e feci chiarezza nei miei sentimenti.
"Non ho mai amato Onodera, era semplicemente un senso di amicizia così forte, che l'ho scambiato per amore. Ma non poteva esserlo. Con Onodera ero costantemente nervoso, agitato, e non riuscivo a comportarmi naturalmente; cosa che invece, con Chitoge, mi viene spontanea. Anche se litighiamo ogni due per tre, in un lampo ci riappacifichiamo, e torniamo a scherzare e ad insultarci senza un vero motivo. Durante i nostri finti appuntamenti non mi sono mai sentito a disagio perché era quello che volevo: passare il tempo con lei-
Mi staccai lentamente dalle sue soffici labbra che sapevano di fragola, e mi preparai a un pugno ben assestato.
-Ora di certo mi odi, perché credo che fosse il tuo primo bacio e io te l'ho praticamente rubato. In più sono sicuro che avresti voluto darlo al ragazzo che ti piace, ma...- non mi lascio finire che si buttò su di me, dandone inizio ad un altro.
Lanciandosi verso di me, allacciò le gambe intorno alla mia vita, quindi io la strinsi per i fianchi, ricambiando prontamente quel bacio che nascondeva in se parole non dette.
Quando si allontanò da me sentii un improvviso senso di vuoto, che lei si affrettò a colmare appoggiando la sua fronte sulla mia.
-Sei la mia piccola koala- sussurrai riferendomi alla sua posizione.
-Tua?- inarcò un sopracciglio.
-Dopo quello che è appena successo puoi anche scordarti che io ti lasci a qualcun altro-
-A chi dovresti lasciarmi, scusa?-
-Al tipo che ami- borbottai amaramente.
-Davvero non ci sei arrivato?- rise lei.
-A cosa?- le domandai confuso.
-Ce l'hai la lettera?- ignorò la mia domanda.
Annuii lasciandole appoggiare i piedi per terra. La estrassi dalla tasca e gliela porsi. Lei si parò davanti a me, e mi indicò le ultime parole.
-Cosa c'è scritto?-
-Non pensavo non sapessi leggere ciò che tu stessa hai scritto- soffocai una risata mentre lei mi fulminava con lo sguardo.
-Ok, ok!- alzai le mani in segno di resa.
-Scusami se per me non sei un semplice amico- lessi, anche se quelle parole ormai erano ben impresse nella mia mentre.
-Tu cosa hai capito leggendo questa frase?-
-Che mi odi così tanto da non considerarmi nemmeno un semplice amico- farfugliai abbassando lo sguardo e iniziando a fare dei piccoli cerchi immaginari con un piede.
-Giuro che se non la smetti di comportarti come un bambino dolce e tenero, ti salto addosso- mi avvertì seriamente, e sapevo che non mentiva.
-Se mi odiavi così tanto prima, non immagino ora che ti ho baciata senza il tuo consenso-
-La seconda volta chi è stato a baciare chi?-
-Tu hai baciato me-
-Ti ho picchiato dopo che mi hai baciata?-
-No-
-Ti sembra che in questo momento ti odio?-
-No, e ora che mi ci fai pensare, non capisco il perché-
-Semplicemente perché quello che provo in questo momento non è odio- sorrise impacciata.
-E cosa, allora?- domandai sempre più curioso, arrivando a pendere dalle sue labbra.
-A...re...- sussurrò così piano che non capii ciò che era uscito dalla sua bocca.
-Cosa?- le chiesi giustamente, avvicinandomi a lei.
-Am...e...- mormorò un pò più forte.
-Puoi alzare un po' la voce?-
-Ti amo!- urlò lei.
Sbattei ripetutamente le palpebre, non riuscendo a credere a ciò che era uscito dalla sua splendida e morbida bocca.
-P-puoi ri-ripetere?- balbettai incredulo.
-No, è imbarazzante- borbottò lei avvampando.
-Senti, so già di non essere ricambiata, semplicemente non riuscivo più a tenermi tutto dentro. Ora che te l'ho detto e che ho la coscienza a posto, posso anche sentire ciò che dirai pe...-
Non riuscì mai a terminare la frase, perché nessuno può parlare se ci sono delle labbra incollate alle proprie.
-Perché credi che io ti abbia baciata due volte e ricambiato il tuo bacio?- le chiesi quando mi allontanai, restando comunque abbastanza vicino da riuscire a sentire la dolce fragranza dei suoi capelli.
-Mi hai baciata per farmi zittire e hai ricambiato per non ferire i miei sentimenti- rispose lei lentamente, certa della sua risposta.
-E il cretino dovrei essere io?- chiesi retorico.
-Si, visto che hai creduto che ti odiassi, quando chiunque altro avrebbe capito subito ciò che volevo dire. Era una dichiarazione, cavolo!- sbottò lei.
-E avresti preferito dichiararti tramite una lettera invece di parlarmi faccia a faccia?-
-Si, perché almeno ora non avrei il cuore a pezzi, sapendo che ami Kosaki- sorrise amaramente.
-A questo punto credo che siamo uno più cretino dell'altro- sospirai io.
-Lo vuoi chiaro e tondo?- mi preparai mentalmente a dire ciò che sentivo in ogni singola cellula del mio corpo.
-Cosa?-
-Chitoge, ti amo-
Sbatté le palpebre ripetutamente, esattamente come avevo fatto io quando era stata lei a dire quelle due semplici parole.
-Scusa? Sono sicura di aver capito male, pensa che mi è sembrato di sentire "ti amo"- rise agitatamente lei.
-Hai sentito bene-
-Cosa?!- si bloccò di colpo.
-Ti amo- ripetei, più sicuro di prima.
-Sei serio?-
-Credi che scherzerei su qualcosa del genere?-
-Ma... tu ami Kosaki! L'hai detto tu stesso!-
-Hai origliato una mia conversazione con Shuu, vero?- sospirai scompigliandomi i capelli con una mano.
Lei annuì colpevole.
-Cosa hai sentito, esattamente?-
-Che ami Kosaki, poi sono corsa via- ammise.
-Non ho mai amato Onodera. Credevo che fosse amore quello che provavo per lei, ma era soltanto amicizia. Non avendo mai provato questo sentimento, ero certo che mi piacesse in senso romantico, ma mi sbagliavo. L'amore l'ho scoperto per la prima volta solo grazie a te- la guardai dritto negli occhi, non staccando nemmeno per un istante lo sguardo.
I suoi zaffiri stavano diventando sempre più lucidi e umidi di lacrime, fino a che non riuscì più a trattenerle.
-Mi... ami?-
-Si, ti amo, femmina di gorilla- cercai di sdrammatizzare.
-Posso sapere chi era quella persona che ti piaceva?-
-Tu-
-Io?!- esclamai.
-Tu- ripeté lei.
-Davvero?!-
-Ma sei serio? Mi sono appena dichiarata, chi altro potrebbe essere?!- sbuffò lei, cercando di asciugare le guance con le maniche del pigiama.
Avanzai verso di lei e la abbracciai strettamente, cosa che lei non esitò a fare a sua volta.
-Perché te ne sei andata?- chiesi con la bocca attaccata al suo collo, sperando di ottenere risposta.
-Quando hai detto che il ciondolo era stato riparato, ero certa che la bambina fosse Kosaki, e che quindi, quando lo avrebbe aperto con la sua chiave, di certo vi sareste dichiarati. Ho pensato che tu avresti trovato un modo per annullare il nostro finto fidanzamento, così da poter intraprendere una vera relazione con lei. Quindi me ne sono andata per non provare ulteriore dolore- tirò su col naso.
-Ti sei ridotta così per colpa mia?- la indicai sentendomi un verme.
Lei scosse la testa.
-No, non per colpa tua, ma per colpa del mio essere codarda e aver paura di affrontare di petto le situazioni difficili-
Non parlammo più per non so quanti minuti, rimanendo stretti tra le nostre braccia.
-Vuoi aprire il ciondolo?- le chiesi dopo un lungo lasso di tempo.
-Non sono sicura di avere la chiave giusta-
-Tentar non nuoce- cercai di convincerla, anche se ero ormai più che certo che si sarebbe aperto.
-Ok...- farfugliò insicura contro la mia spalla.
Ci sedemmo a terra, e lei con una calma incredibile si sfilò la maglia del pigiama, rimanendo con una maglietta a maniche corte un pò troppo attillata. Deglutii nervosamente distogliendo lo sguardo dal suo petto accentuato.
-Pervertito...- sentii il suo borbottio mentre si sfilava la catenella con la chiave dal collo.
Come per vendicarmi, anche io mi sfilai la felpa, rimanendo a mia volta con una maglia nera a maniche corte. Lei però, al mio contrario, non si voltò da un'altra parte, anzi: si mise beatamente a guardare le mie braccia leggermente muscolose e i miei quasi inesistenti addominali. Arrivò persino a tastarli con un dito.
-Ma che fai?!- esclamai imbarazzato.
-Che vuoi? Tutto questo- e mi indicò da capo a piedi -è di mia proprietà, ormai-
Avvampai di botto, sorpreso da suo tale coraggio.
-Allora anche questo- e quella volta fui io ad indicarla in ogni suo dettaglio -è mio-
-Se vuoi...- sussurrò impacciata.
-Se voglio?! Stai scherzando?!- esclamai.
-Che vuoi dire?-
-Mh... beh... io... ecco... non so spiegartelo a parole- sospirai non riuscendo a descrivere le emozioni che sentivo in quel momento.
Sfilai il pendente dal collo e lo misi sopra il palmo della mano destra. Lei avvicinò la chiave con mani leggermente tremanti.
-Sei nervosa?- le chiesi comprensivo.
-No! Io?! Nervosa?! Certo che no!- esclamò sarcastica.
-Anche io lo sono- ammisi.
-Davvero?- mi domando incredula -sembri l'essere più calmo del mondo-
Senza rispondere le presi la mano libera e la posai sul mio cuore.
-Questo è l'effetto che mi fai- sorrisi.
Le si illuminò lo sguardo a quelle parole, come un bambino a cui avevano dato un lecca-lecca; e gli occhi cominciarono a luccicarle dalla gioia che da un po' di tempo non vedevo più sul suo viso.
Poi fu lei a prendere la mia mano libera, e a posarla sulla parte sinistra del suo petto.
Sentii dei battiti veloci e forti, quasi il suo cuore fosse un tamburo; ma non riuscii comunque a non arrossire.
-Questo, caro ragazzo pervertito, è l'effetto che tu mi fai- mi sfotté con un ghigno.
-Oh, andiamo! Non è colpa mia! Sono pur sempre un adolescente!- cercai di difendermi inutilmente.
-Anche io lo sono, ma non mi metto ad arrossire per ogni singola cosa-
Inarcai un sopracciglio, facendo una domanda muta.
-Ok, arrossisco come te! Però almeno non ho strani istinti come i tuoi- borbottò lei, gonfiando le guance rosee.
-Comunque, proviamo ad aprire questo ciondolo- cambiò strategicamente argomento, inserendo la chiave nella serratura.
-Lascia fare a me, o finirai col romperli nuovamente entrambi-
-No, faccio io-
-Facciamolo insieme- la guardai seriamente negli occhi.
-Sai che suona molto male ciò che hai detto, vero?-
-E poi sarei io quello pervertito- farfugliai rosso in viso, prima di stringerle la mano che impugnava la chiave.
Sospirammo entrambi contemporeanamente, quindi con uno scatto girammo la chiave.
La serratura scattò.
Spalancammo gli occhi, ma ci imponemmo di riprenderci così da poter scoprire cosa conteneva al suo interno il pendente.
Lo aprii delicatamente, rivelando un biglietto di carta e due anelli in argento.
Estrassi il biglietto e, cercando prima il consenso nello sguardo di Chitoge, lo sfogliai, rivelando una sola frase scritta su di esso:
"Zawsze in love"
Mi si inumidirono gli occhi, e spostando lo sguardo sulla ragazza di fronte a me, vidi che aveva avuto la mia stessa reazione.
Presi poi i due anelli: diedi il più piccolo a Chitoge, e cominciai ad osservare quello restante.
Lo rigirai tra le mani fino a quando la ragazza non attirò la mia attenzione:
-Ehi, Raku, guarda qua- disse indicando l'interno dell'anello.
Socchiusi gli occhi e vidi la sagoma intagliata di un cuore con accanto una scritta:
"Femminuccia"
Solo allora notai che lo stesso cuore con una scritta accanto si trovava anche sul mio:
"Femmina di gorilla"
-Ci chiamavamo così anche dieci anni fa- ridacchiai malinconico.
Non ottenni nessuna risposta, quindi alzai di scatto lo sguardo, scoprendo che Chitoge si era commossa e stava piangendo.
Feci un verso intenerito, quindi mi sporsi e la abbracciai dolcemente. Ci staccammo dopo un pò, e per fortuna riuscii a trattenermi dal versare delle lacrime.
-Sembrano avere la nostra misura- notai stranito.
- Mi sembra di ricordare che commissionammo questi anelli ai nostri padri, dicendo che ci sarebbero serviti per sposarci quando saremmo cresciuti. Ma è sorprendente che siano perfettamente della nostra misura- concordò lei.
-Posso?- indicai il suo anello.
Lei annuì semplicemente e me lo porse.
Le presi la mano destra e, prendendo un respiro profondo, feci la fatidica domanda:
-Vuoi tu, Chitoge Kirisaki, femmina di gorilla, essere la mia ragazza?-
Lei si portò la mano libera alla bocca, e i suoi occhi minacciarono di versare nuovamente dolci lacrime; ma comunque annuì, quindi le infilai l'anello nell'anulare destro.
-Ora tocca a me- tirò su col naso, indicando con modo infantile il mio.
Glielo porsi subito, pronto a rispondere alla sua domanda.
-Da ora in poi tu, Raku Ichijou, femminuccia, sarai il mio ragazzo-
E senza aspettare il mio consenso mi mise l'anello sullo stesso dito su cui si trovava il suo.
-Ma non avresti dovuto prima domandarmelo?- chiesi con la voce che si alternava tra il sbalordito e il divertito.
-Non ho bisogno di un tuo consenso per farti mio- scrollò le spalle.
-Anche questa suonava parecchio male- ridacchiai.
-Pervertito del cavolo- borbottò gonfiando le guance.
-Ehi, abbiamo dimenticato una cosa!- urlai d'un tratto.
-Cosa?!- si allarmò subito.
-Questo- dissi prima di tirarla verso di me e dare inizio ad un dolce e lento bacio.
-E così ti piacevo già da piccolo, eh?- la provocai in un roco sussurro.
-Potrei dire la stessa cosa per te- disse con le labbra leggermente arrossate e gonfie dal bacio, mettendomi le braccia sulla spalle e giocando con i capelli che si trovavano sulla base della nuca.
-Già- mormorai semplicemente mentre prendevo ad accarezzarle un fianco.
All'improvviso il mio cellulare squillò, facendomi sbuffare infastidito.
-Rispondi, potrebbe essere importante. Però metti il viva-voce- mi esortò allontanandosi leggermente, così da lasciarmi prendere il telefono.
-Gelosa?- la provocai con un ghigno.
-Perché dovrei essere gelosa di qualcosa che è già mio?- ribatté lei a tono, facendomi arrossire.
Risposi alla chiamata, vedendo che era mio padre, e misi il vivavoce.
-Pronto, papà?-
-Ehi, Raku! Come stai? Mi sono preoccupato visto che non mi hai chiamato nemmeno una volta-
-Scusami, ma ero occupato- gli risposi continuando a guardare Chitoge negli occhi.
-L'importante è che stai bene. A proposito, quando tornerai in Giappone, stai attento, i ragazzi hanno intenzione di massacrarti per non averli presi con te- ridacchiò.
-Se li avessi portati con me, avrebbero intralciato i miei piani- ghignai verso la mia ragazza, facendola diventare un pomodoro.
-Immagino...- sghignazzò lui.
-A proposito- continuò come ricordandosi di una cosa importante -hai riconquistato mia nuora?-
-Si, papà, l'ho fatto; e possiamo dire che ora è la tua nuora a tutti gli effetti- continuai a provocare indirettamente Chitoge, facendola fumare di imbarazzo.
-Giuro che ti uccido- mimò con le labbra, passandosi un dito sulla gola, chiara allusione su un futuro sgozzamento.
-Siete ancora vergini?- chiese poi d'un tratto, facendo arrossire anche me.
-Papà! Ma ti sembrano domande da fare?!- sbottai.
-Scusa, ma non vorrei diventare nonno prima del dovuto. Almeno usate le protezioni, ok?-
-Papà!- gridai ottenendo la stessa identica colorazione di Chitoge.
-Ok, ok!- rise lui -prendetevela comoda, ho avvertito la scuola, quindi non abbiate fretta di tornare-
-Grazie papà, ci vediamo!- lo salutai, chiudendo subito dopo la chiamata.
Sospirai sentendo il viso in fiamme, quindi mi passai le mani sulla faccia nel vano tentativo di regolare la mia temperatura corporea.
Mi ricordai poi del messaggio che avevo mandato a Chitoge prima di partire.
-Ehi, Chitoge- la chiamai infatti -l'hai letto il messaggio che ti ho mandato ieri?-
Lei scosse la testa in segno di diniego.
-No, avevo il telefono spento, non volevo sentire nessuno. Cosa mi avevi scritto?- mi chiese prima di prendermi il telefono.
-Scordatelo- lesse.
-Cosa vuol dire?- chiese confusa.
-Scordati che ti lascerò andare via così- sorrisi.
Rilasciò un verso intenerito prima di lanciarsi verso di me e riempirmi la faccia di baci. Dopo un po' si fermò, ma tenne comunque il suo viso molto vicino al mio.
-Mi sono sempre chiesto una cosa, cosa vuol dire "zawsze in love"?- le chiesi curioso allacciandole la braccia alla vita.
-Non ne sono sicura, ma dovrebbe significare "amore eterno", o qualcosa del genere- rispose in un soffio.
-E' incredibile, vero? Anche dopo dieci lunghi anni, ci siamo ritrovati e abbiamo ripreso ad amarci anche più di prima-
-Io mi chiedo ancora come ho fatto a farti innamorare-
-Non lo so neanche io, probabilmente perché quando sei con me ti comporti come sei realmente: non cerchi di nascondere il tuo vero essere, non camuffi il tuo vero carattere con uno falso. In più sei veramente splendida- le spiegai.
Lei avvampò di botto alla mia ultima frase, ed io seppi di averla sconvolta con mio tale azzardo di parole.
-Ti amo, Raku- fu lei a sorprendermi, quella volta.
-Anche io, Chitoge, e ti amerò per sempre, perché il nostro è un amore eterno-
Sugellai quella promessa con un ennesimo bacio, ed entrambi sapevamo che non sarebbe mai stata infranta, perché anche se ci saremmo dovuti separare per lunghi ed interminabili anni, il nostro puro sentimento ci avrebbe ricongiunti, così come aveva già fatto.
"Zawsze in love"
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