CAPITOLO 1 - Dawn

Il cavo sfrigolava e ondeggiava su e giù creando delle piccole scintille blu notte che sfociavano in un colore rossastro.
Qualcosa, probabilmente un topo, aveva mordicchiato i fili provocando un blackout generale in tutta la base.
Dawn indossò un paio di guanti di lattice per evitare di prendersi la scossa.
Dalla torcia infilata tra i denti proveniva una luce fioca che la costringeva a stringere gli occhi per mettere meglio a fuoco.
Dawn si pentì di non essersi portata dietro i suoi grandi occhiali da vista, ma erano terribilmente fastidiosi.
Non facevano altro che scivolarle sul piccolo naso a patata e tirarli su ogni volta era una tale scocciatura che aveva iniziato a non portarli più.
Con un paio di forbici color verde menta procedette al taglio della parte di filamento ormai rovinata.
Recuperò il cavo compatibile saldando le parti di quello vecchio con quello nuovo.
Una volta legati i due cavi li rivestì con tre livelli di nastro isolante per evitare incidenti spiacevoli.
Infilò il vecchio cavo nella tasca anteriore della salopette blu il cui materiale era talmente usurato da essere sbiadito in alcuni punti.
Avrebbe dovuto liberarsene, probabilmente tra qualche mese sarebbe diventata un insieme di filamenti stracciati, ma era uno dei pochi ricordi che possedeva ancora di sua madre: copilota Amanda Farley, deceduta nella missione Dalton 748 a causa di un'esplosione.
Dawn strinse le labbra con forza quando le parve di udire nuovamente la voce del giornalista rimbombare nelle sue orecchie.
Aveva scoperto della morte della madre tramite il notiziario locale un anno fa.
Vedere la foto della donna che amava più di ogni altra persona al mondo sulla tv mentre annunciavano il suo decesso l'aveva completamente destabilizzata.
Aveva passato giorni interi bloccata a letto senza riuscire a parlare, a mangiare e muoversi.
Si sarebbe lasciata morire se non fosse stato per suo padre e la sua sorellina Neptune: le diedero la forza di riprendere la sua vita in mano.
Dawn ripose i guanti nella cassetta di metallo in cui teneva tutti gli attrezzi, poi si passò una mano sul volto dilaniato dal dolore.
Ricordare sua madre le provocava sempre una fitta al petto, così straziante da farle venire le vertigini.
La ragazza si rialzò in piedi, le gambe leggermente atrofizzate a causa della posizione scomoda in cui era rimasta fin troppo a lungo.
Alzò la leva del contatore e quando udì lo scatto si allontanò leggermente per precauzione.
Le luci sul soffitto vibrarono e si accesero una dietro l'altra, Dawn batté forte le palpebre per riabituarsi a quella luminosità accecante.
Si sgranchì la schiena e, dopo aver recuperato tutte le sue cose, risalì al piano superiore.
Odiava i sotterranei a causa del freddo, dell'umidità e del buio.
Quella mole di oscurità le dava la sensazione di poterla inghiottire da un momento all'altro, di strapparla una volta per tutte da quella vita assurda che si ostinava a continuare a vivere.
Avrebbe lasciato tutto se non fosse stato per la sua famiglia, avrebbe lasciato che l'oscurità prendesse il sopravvento su di lei non lasciando nient'altro che un misero ricordo.
Dawn entrò nella sua cabina e dopo aver poggiato la cassetta degli attrezzi a terra gli tirò un calcio facendola finire ai piedi della brandina sulla quale era solita riposarsi quando le giornate si rivelavano troppo lunghe da sopportare.
Sciolse i lunghi capelli castani e poi si ripulì il volto e le mani con una salvietta umidificata.
Si diede una rapida occhiata allo specchio: quelle dannate occhiaie violacee non ne volevano sapere di andarsene, rendevano i suoi occhi grigi spenti ed insignificanti.
Eppure, si ricordava di essere stata felice un tempo.
Si ricordava di quando le luccicavano gli occhi rendendoli simili a due specchi d'acqua.
Alla vista del volto leggermente scavato abbozzò un sorriso tirato: mangiare con la costante sensazione di vuoto nello stomaco le provocava una forte nausea e raramente riusciva a terminare un pasto completo.
Sua madre non avrebbe voluto questo per lei, e Dawn, in cuor suo, sapeva che la stava deludendo ma questo non riusciva comunque a spronarla.
Dawn portò i capelli dietro le orecchie e quando sentì qualcuno bussare alla porta strinse le spalle.
Non avrebbe risposto, aveva bisogno di stare da sola e non poteva sopportare la vista di un altro essere vivente.
La ragazza sbuffò rumorosamente quando la persona che si trovava al di fuori della porta bussò nuovamente: chi diavolo poteva essere?
Fu solo quando udì la sua voce che si decise ad andare ad aprire.
Il ciuffo di capelli castani gli ricadeva leggermente sui grandi occhi verdi, avrebbe dovuto accorciarli poiché sembravano altamente fastidiosi.
Il ragazzo ammiccò un sorriso e si fece spazio all'interno della piccola cabina metallica.
Dawn richiuse la porta alle sue spalle appoggiandovisi con la schiena.
Quel giorno lo trovava più bello del solito, si morse la lingua per non confessargli quel pensiero completamente fuori luogo.
Il ragazzo sfilò le braccia dal retrò della schiena mostrando a Dawn un vecchio libro rilegato da una copertina marrone.
La ragazza sgranò gli occhi stupita quando riuscii a leggere il titolo: L'Isola del Tesoro di Robert Louis Stevenson.
Sembrava una vecchia edizione, Dawn era così impaziente di sentirla tra le sue mani che si slanciò in avanti per prenderla.
Il ragazzo alzò il braccio all'ultimo impedendole di appropriarsene.

«Non fare lo stronzo, Alex!» gli occhi ridotti in due fessure infuocate «Dammelo dai.»

Alex si grattò il mento facendo finta di pensarci su, poi rispose:

«Va bene, ma voglio qualcosa in cambio.»

Dawn sapeva esattamente ciò che voleva da lei, si avvicinò al suo volto olivastro lentamente.
Quando Alex chiuse gli occhi pensando di ricevere un bacio, lei gli sottrasse il libro dalle mani lasciandolo lì impalato come uno stoccafisso.
Dawn si sedette sulla brandina ignorando il broncio di Alex e sfogliò le pagine del romanzo inebriandosi del dolce profumo di carta che emanavano.

«Dove l'hai trovato?» domandò con un sorriso stampato sul volto.

Alex sospirò, poi prese posto accanto a lei.
Il materasso si abbassò sotto il suo peso riducendosi ad una sottiletta: Alex sembrava essere fatto all'80% di muscoli ed al 20% di acqua.

«L'ho rubato dal magazzino» disse e, prima che Dawn potesse fargli la ramanzina, aggiunse «Tranquilla, nessuno ne sentirà la mancanza.»

Dawn lo osservò attentamente, era così premuroso con lei.
Non riusciva a capire il perché lei gli piacesse, non era particolarmente bella e neppure così simpatica.
Probabilmente si era accontentato di lei pensando che nessun'altra l'avrebbe considerato, ma Dawn era perfettamente al corrente del fatto che all'interno della base vi erano almeno una decina di ragazze che gli morivano dietro.
Ma allora perché lei tra tutte?
Era sicura che Christina Goelder rispecchiasse a pieno il suo tipo: era un po' svampita, certo, ma aveva dei bellissimi boccoli dorati e delle gambe lunghe e snelle che facevano invidia alle modelle.
Alex le stampò un bacio sulla tempia, Dawn abbozzò un sorriso imbarazzato.
Quando lui si sporse in avanti per assaporare le sue labbra lo lasciò fare e si abbandonò a quel contatto rude e spassionato.
Le morse il labbro inferiore facendole uscire un gemito soffocato dalla bocca.

«Sai di caramelle» mormorò Dawn sulle sue labbra piene e morbide, Alex sorrise dolcemente.

«E tu di bruciato!»

La stuzzicò e lei in risposta lo spintonò leggermente.
Alex rise, Dawn rimase incantata da quel suono dolce e bambinesco che emetteva quando qualcosa lo divertiva.

«Questo è quello che ti spetta quando ti avvicini un po' troppo ad un ingegnere» sbuffò.

«Lo dici come se la mia vicinanza non ti facesse piacere.»

Strizzò gli occhi scrutandola con attenzione, come per cogliere il minimo accenno di una bugia.

«Magari è così, non credi?» ribatté guardandolo dritto negli occhi color smeraldo.

Alex stava per ribattere quando un susseguirsi di colpi insistenti alla porta lo interruppe.
Fu Dawn ad alzarsi per andare ad aprire: oltre la porta vi era Charles Maddox con i capelli scombinati ed il viso pallido come quello di un cadavere.
Sbatté più volte gli occhi cerulei cercando di mettere a fuoco la situazione che si ritrovò di fronte.

«Oh, siete entrambi qui» mormorò senza fiato, sembrava aver corso una maratona.

Alex lo scrutò infastidito, poi si alzò in piedi affiancando la figura minuta di Dawn.

«Spero vivamente ci sia un valido motivo a fronte di questa tua interruzione!» esclamò il ragazzo arricciando il naso, Dawn gli tirò una leggera gomitata per farlo calmare.

Charles sembrava già abbastanza sconvolto, ci mancava solo Alex ad intimidirlo.

«Il comandante Hunt ha indetto una riunione nella sala generale» li informò Charles passandosi una mano tra i capelli.

Dawn e Alex si scambiarono un'occhiata preoccupata.
Il comandante non era solito a indire riunioni nel mezzo della settimana, solitamente la squadra si riuniva la domenica per gli aggiornamenti.
Che fosse successo qualcosa di grave?

Vedendoli senza parole e rigidi come delle statue Charles esclamò:
«È urgente!»

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