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Il viaggio di ritorno verso casa fu, per Xenya, un po' come gli ultimi istanti di un sogno prima di svegliarsi e tornare alla vita di tutti i giorni - a metà tra reale e surreale.
Il mondo, da dentro l'automobile, sembrava scorrerle tutt'intorno come se la stesse studiando, come se non vi appartenesse più.
Zenith guidava, veloce, con il rombo del motore che stava palesemente irritando Undrel nel sedile del passeggero. Nel piccolo divanetto dietro erano invece premuti l'uno contro l'altro, in ordine, Zehekelion, Xenya e Yekson.
Nonostante il rumore del vento, del mezzo di trasporto, della polvere alzata copiosa dalle ruote e dal sobbalzare dei passeggeri, Xenya attorno a sé percepiva solo silenzio. Come se stesse guardando la scena da un luogo distante, freddo e buio. La mano di Zeke premuta sulla sua era l'unica ancora che impediva alla mente di Xenya di allontanarsi troppo e tornare nel sogno.
Nessuno parlava, nessuno aveva le parole giuste da dire.
E Xenya li capiva, davvero, al loro posto avrebbe faticato a iniziare una conversazione in tali circostanze, ma aveva bisogno di sapere, ed era certa che persino loro volessero venire a conoscenza di ciò che era successo ai Palazzi. Ma nessuno di loro aveva la forza di rivangare tali ferite, così fresche e così profonde. Ad esempio... Cos'era successo a Fronds, dopo il raid di Eclipse e del Progetto E?
Come se la stesse leggendo nel pensiero, Yekson la guardò in volto e pronunciò le prime parole dall'inizio del viaggio.
«Si chiama Roots, adesso.» Sospirò. «Fronds, dico. Abbiamo dovuto cambiare luogo, anche se Ger dubita che David vorrà venire a farci visita ancora.»
Xenya si morse le labbra e si limitò ad annuire.
«È più piccolo» aggiunse Zenith, stringendo appena la presa sul volante.
Xenya fu costretta ad abbassare lo sguardo. Se tutto ciò era successo, era a causa sua. Era l'essere più ricercato di Fronds, ed era l'unico motivo per cui la pace degli elfi era stata turbata in tal modo.
«Non è colpa tua» le disse Zehekelion, accarezzandole il dorso della mano con un movimento circolare del pollice. «Anzi, dovrei scusarmi io per aver permesso che ti prendessero. È colpa mia: ero lì e non ho potuto fare nulla.»
«Tu... tu eri lì?» Xenya era scioccata. Non ricordava Zeke al momento del rapimento di Eclipse.
«Sì, ma sono arrivato troppo tardi. I soldati dello Strength mi hanno tenuto a distanza e poi mi hanno stordito non appena lui ti ha portata via.»
«Non che avresti potuto fare molto contro quell'arma umana...» scherzò Undrel, girandosi verso i sedili posteriori e scatenando un ghigno divertito su tutti.
«Avrei potuto almeno fare da distrazione...»
«Con la tua bellezza, magari?» Zenith come sempre si divertiva a punzecchiare il suo gemello.
Per un istante, tutto sembrò tornare alla normalità. Solo che nulla era più come prima.
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Roots altro non era che una versione più minimale di Fronds. Era stato innalzato lo stesso perimetro in palizzata di legno, solo che la circonferenza aveva dimensioni ridotte.
Il cuore di Xenya si strinse. Zenith le passò un braccio attorno alle spalle, stringendola appena e accompagnandola attraverso il portale d'accesso, adornato come un tempo con fiori freschi.
Sorrisi, applausi e persino fischi di gioia accolsero i giovani appena giunti. Xenya sentì come un abbraccio amichevole provenire dagli occhi degli elfi che la guardavano esaltati dal suo ritorno... Infervorati dalla sua presenza.
Xenya arrossì, fermando il suo cammino e prendendo per un istante consapevolezza del suo aspetto alquanto pietoso per la leader che sarebbe dovuta essere. Eppure tutti la salutavano, acclamando lei e i suoi compagni come se fossero stati eroi della guerra.
Forse lo sarebbero stati, ma quello non era ancora il loro momento.
All'interno, la conformazione dell'accampamento era pressoché la stessa, con la zona politica vicina all'ingresso, l'area residenziale più avanti e gli edifici delle attività nella zona più distante, accanto alla mensa. L'unica differenza era che tutti i luoghi che in precedenza erano capanne in legno, erano ora tende attaccate tra loro, senza l'ombra di giardini personalizzati.
Xenya aveva amato Fronds. Non l'aveva fatto per la sua apparenza, per la sua organizzazione, per la sua estetica, ma per il cuore delle persone che la abitavano - quelle stesse persone che erano ora dentro Roots. E, a giudicare dall'accoglienza ricevuta, anche loro tenevano a lei. Non si spiegava il motivo, ma ne era entusiasta.
«Andiamo» la invitò Zeke, posandole una mano alla base della schiena e sospingendola con delicatezza. «Ger vorrà di sicuro vederti.»
La tenda, tale e quale a come Xenya l'aveva lasciata a Fronds, la riaccolse come se se ne fosse andata due minuti prima.
Assai più glaciale, invece, fu il bentornato riservatole da Ger Peace.
«Nipote» esordì, alzandosi dalla seduta a capotavola e incrociando le braccia al petto. «Dev'essere stata un'esperienza... turbolenta.»
«Non penso ci sia aggettivo migliore per definirla, no.» Xenya sorrise appena, felice di rivederlo nonostante le circostanze. Intimorita dallo sguardo del nonno, la ragazza alzò una mano verso la guancia destra, dove il sangue fuoriuscito dal taglio procuratole da Eclipse si era seccato. Lo grattò via con le unghie.
«Zenith mi ha riferito che l'intero piano era premeditato da David Strength, lo confermi?»
Xenya si voltò verso Zenith, perplessa.
«Sì, lo confermo. Anche se non comprendo come lo sappia.»
«Connessione Mentale» tagliò corto lei. «Ho tentato anche di avvisarti del nostro arrivo, ma temo...»
«No, no...» la interruppe Xenya. «È arrivato. Il messaggio è arrivato. Non capivo cosa fosse successo, ma ora si spiega. Grazie Zenith.» Le sorrise.
«Tornando a noi» riprese Ger. «Cosa sai dirci su Eclipse e ciò che sta escogitando?»
«In sostanza, è una macchina. Di umano, nel suo corpo, penso sia rimasta solo la testa.»
Un brivido percorse l'intera tenda.
«Immaginava che avremmo preso di mira Zabu, e quindi ha fatto in modo che le poche informazioni che aveva fossero inutili.»
«I suoi prossimi passi?»
«La guerra. Si sta preparando allo scontro diretto, e dovremmo farlo anche noi.»
«Il suo obiettivo» intervenne Zeke, affiancandosi a Xenya «È iniziare la guerra di depurazione, e nel frattempo sbarazzarsi di noi.»
«Quindi vuole iniziare e concludere il piano della stirpe Strength. Nulla che non abbiamo già affrontato.» Ger si sedette di nuovo sulla sedia, emettendo un profondo respiro. «Dobbiamo solo ucciderlo.»
«Nulla che non abbiamo già affrontato?» sbottò Yekson. «Abbiamo a che fare con una macchina!»
«È pressoché immortale, Ger» lo spalleggiò Zenith.
«Non la testa. L'avete detto voi» minimizzò lui, alzando le sopracciglia. «Basta avvicinarsi a sufficienza e sparargli in testa.»
«Non ci lascerà mai avvicinarsi. Se lo aspetta, è astuto.» Zeke si strinse nelle spalle. Il ricordo dell'impotenza che aveva provato mentre portava via Xenya... Un brivido lo percorse. Scacciò di mente l'immagine che lo aveva tormentato ogni notte.
«E ha dei cecchini che sorvegliano i Palazzi» fece notare Undrel, ricordando come Zabu era stato ucciso a distanza.
«E le guardie» puntualizzò Xenya.
«Ma tu...» Ger indicò Xenya, schiarendosi la voce. «Ti lascerebbe avvicinarti.»
«Non abbastanza, non ora.» Xenya sospirò esasperata. «Ha chiaramente detto che ci saremmo rivisti sul campo di battaglia. Ora vuole la guerra: non c'è nulla che desideri di più. Potrei provare ad avvi-»
«E allora la sua guerra avrà.» Ger la interruppe e si alzò ancora in piedi. «Zeke, voglio che tu vada a radunare i capi mutanti: abbiamo una guerra da organizzare.»
«Ma...» tentò di intervenire Xenya.
«Nessun ma» la bloccò subito Ger. «Dobbiamo farlo fuori il prima possibile, ma per farlo ho bisogno del supporto dei mutanti.»
«No» lo zittì Xenya, come comandata dall'istinto. «Non hai bisogno dei mutanti. Non sei necessario nemmeno tu.» Si passò una mano tra i capelli, sentendo uno strano bruciore sul palmo sinistro. «Servo solo io. David vuole me, e mi avrà... Ma io lo ucciderò. Sul campo di battaglia.»
«Cosa stai dicendo, Xenya?» Yekson assunse un'espressione perplessa.
«La verità.» Le mani iniziarono a riscaldarsi, sudando. «Devo tornare alla grotta dello smeraldo, e se non mi accompagnerete, beh, andrò da sola.»
Ger roteò gli occhi al cielo.
«Sei appena tornata a casa, il tuo popolo ha bisogno di te.»
«Questa non è la mia vera casa» tuonò Xenya. «E hai ragione quando dici che gli elfi hanno bisogno di me, ma non perché io li conduca allo sterminio davanti a una potenza molto più preparata di noi. Io li devo salvare. La leggenda-»
Ger sbatté forte le mani sul tavolo, producendo un forte rumore che sembrò risvegliare Xenya dalla rabbiosa trance in cui si era persa.
«Smettila con questa storia della leggenda. Tu resterai qui, a disposizione nostra e sotto il mio comando.»
«No» sbottò Xenya. «Puoi comandare chi ti pare e piace qui, ma non me... Sono qui per aiutare voi, non per essere il tuo burattino.»
«Dimentichi che anche tu hai bisogno di noi.» Ger inclinò la testa, calmo ma acido. «Dove saresti adesso, altrimenti?»
«Hai ragione.» Xenya ridacchiò amara, guardando altrove per contenere le lacrime. «Se in effetti fossi stata davvero importante, non mi avresti abbandonata al Cinquantatré. O avresti evitato che finissi a marcire nel Progetto X.»
E sputato quel veleno che la corrodeva da tutta la vita, Xenya si voltò e uscì. Buio era tutto ciò che vedeva.
Non appena si calmò e il respiro divenne più regolare, notò che fuori dalla tenda alcuni elfi nelle immediate vicinanze la guardarono, immobili, con ogni probabilità richiamati e intimoriti dalle urla.
La ragazza forzò un sorriso, e loro ripresero a camminare verso le loro mete. Verso il loro destino.
Le mani ancora le tremavano dalla rabbia che, rossa, quasi le oscurava la vista. Come poteva Ger, dopo constatato la verità della leggenda e il potere della sua lealtà, ancora rifiutarsi di darle in mano il potere che le spettava di nascita? Il potere che meritava di avere.
Si guardò le dita, affusolate e fredde alle estremità. Le unghie, ancora sporche di sangue, erano scure e le falangi si muovevano appena a causa del nervosismo.
Nonostante ciò che vedeva fosse motivato, Xenya percepiva un qualcosa di inspiegabile.
Ruotando i polsi, si guardò i palmi che sentiva pulsare in modo anomalo.
Ed eccola, sulla mano sinistra, l'ustione circolare che le era apparsa dopo il suo contatto con lo smeraldo dell'eclissi.
La pelle viva, rossa e calda, le inviò una scarica elettrica lungo il braccio. Xenya strinse i denti per non urlare. Cosa stava succedendo?
«Xenya» la chiamò Undrel, appena uscito dalla tenda.
La ragazza abbassò in fretta il braccio, assunse un'espressione calma e si voltò verso l'amico.
«Ger avrebbe bisogno-» provò a parlare lui.
«E io avrei bisogno proprio di te, Undrel.» Lo pregò con gli occhi. «Devi farmi un favore e non parlarne con nessun altro.»
«Va tutto bene?»
«Non sono mai stata meglio.» Sorrise. «Possiamo procedere?»
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La tenda di Undrel era tra una delle più grandi di Roots, eppure il fatto che fosse piena di materiale proveniente dall'ex capanno scientifico di Fronds la rendeva piuttosto angusta.
«Ger voleva porgerti le sue scuse» disse, chiudendo la cerniera della tenda e separando i due dalla vita quotidiana degli elfi.
«Perdonami se fatico a crederci.»
«Diciamo che Zeke lo stava convincendo a farlo ragionare. Ma tu sei davvero così determinata a farti ancora del male con lo smeraldo?»
«Vedi, Undrel... Non si tratta di autolesionismo. Si tratta dell'unica possibilità che abbiamo per spodestare un monarca illegittimo, convinto di essere guidato da forze superiori per sterminare gli esseri diversi da lui. Lo smeraldo è un'arma che solo io posso maneggiare e, al di là delle profezie, è potentissimo e potrebbe permettermi di uccidere David senza nemmeno spargere il suo sangue.»
«Ma quello smeraldo ti ha fatta sparire per un'intera settimana, tu stessa hai detto di aver visto cose inspiegabili. Stargli vicino affligge anche te.»
«Ma stargli lontano è ancora peggio.» Xenya allungò la mano sinistra verso Undrel, mostrandogli il palmo ustionato.
«Ma questa è...»
«La stessa ustione di quando sono tornata» confermò. «Sì.»
«Com'è possibile?»
«Non ne ho la minima idea.»
Undrel era confuso, e osservava ammaliato la pelle appena pulsante, sorreggendo la mano dell'amica con la propria.
«Lasciami misurare.»
Undrel estrasse da una cassetta in legno una stecca dello stesso materiale con incise delle tacche equidistanziate. La appoggiò sulla pelle calda della mano di Xenya, e lei lo lasciò fare pur mordendosi le labbra per trattenere il dolore del contatto.
«Come immaginavo.» Undrel era ancora più perplesso e affascinato. «È un cerchio perfetto. E non ho la minima idea di come sia possibile. Forse dovremmo...»
«No» lo bloccò subito Xenya. «Non chiederemo a Zenith, non chiederemo a Zeke, non chiederemo a nessuno. Tu adesso mi darai una benda e terremo nascosto questa piccola anomalia fino a che non capiremo qualcosa di più.»
«Ma Zenith potrebbe fare dei test extra.»
«Ma non voglio che li faccia. L'obiettivo è tornare allo smeraldo, e capire meglio come funziona affinché io possa usarlo per uccidere Eclipse.»
«Ma questa ustione potrebbe essere il modo per capire...» Si zittì da solo guardando lo sguardo infuocato di Xenya. «Basta che tu sia sicura.»
«Lo sono, Un.»
«Per quanto riguarda le bende, penso dovresti chiedere in mensa. Non ne ho io qui.»
«Perfetto, grazie mille.» Xenya si allungò per aprire di nuovo la cerniera della tenda.
«E prova a chiedere anche un impacco per le scottature» aggiunse Undrel. «Forse potrebbe aiutare.»
«Lo farò.» Annuì, sorridendo. «Ma ora dovremmo tornare dagli altri.» Si alzò e fece per uscire, ma una mano di Undrel le strinse il polso, costringendola a guardarlo.
«Xenya» la chiamò, quasi stentasse a riconoscerla. «Sicura di stare bene?»
«Diciamo che è da diverso tempo che non mi sento così lucida... E la sensazione è davvero bella. Liberatoria.»
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