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«Undrel è partito.»
Xenya non credeva di aver mai corso così veloce. Era sudata, con il viso rigato di lacrime. Aveva spalancato la porta della tenda e aveva detto quella frase con tutte le energie che le erano rimaste, senza nemmeno far caso a chi era presente. La sua voce era stata poco più di un veloce sussurro - le parole scottavano sulla lingua, non come fiamme ma come acido.
Una persona che non riconobbe oltre la sagoma corse verso di lei, prendendola per le spalle.
«Cosa? Ripeti!» Era Yekson. Era di nuovo nella tenda. E lei gli aveva appena recapitato la notizia più brutta del mondo.
Xenya annuì, la testa così confusa e pesante da muoversi da sola. «È andato alla recinzione» spiegò meglio.
Zeke li aveva raggiunti, e Xenya poteva immaginare lo sguardo preoccupato che aveva. Era immobile, statuario nella sua altezza che osservava senza dire nulla la situazione.
«Non può essere lui...» sussurrò Yekson. «Me l'avrebbe detto.» Si voltò verso Zeke. «Me l'avrebbe detto, vero? Xenya deve essersi sbagliata!»
«L'ho visto» ribadì lei. «Gli ho parlato, ho provato a convincerlo a restare...» un singhiozzo le sfuggì e sentì le ginocchia cederle. Zeke, prontamente, la sorresse per la vita e la aiutò a sedersi su una sedia del tavolo.
Xenya prese a piangere convulsivamente, premendosi i palmi delle mani sugli occhi quasi cercasse di allontanare dalla sua mente l'immagine di Undrel che si allontanava sull'auto.
«Ehi, ehi...» la chiamò Zeke, accovacciato davanti a lei mentre cercava di rimuoverle le mani dal viso. «Sei sicura?» Nonostante cercasse di dissimulare, persino il suo di tono era ansioso.
«Sì, ha detto che non avrebbe potuto vivere con se stesso se non avesse fatto qualcosa» riuscì a dire tra i singhiozzi. Osò poi alzare lo sguardo verso Yekson.
Era immobile, rigido e con lo sguardo puntato sul nulla.
«Ecco perché» disse, la voce rotta dal dolore. «La mia uniforme di riserva, i miei racconti...»
«L'allenamento di ieri» dissero in contemporanea lui e Xenya.
Gli occhi di Yekson si focalizzarono finalmente su quelli di Xenya.
«È andato a morire e non me l'ha detto. Ci ha provato a dirmelo, ma ho sempre minimizzato.» Strinse i pugni.
«Non potevi farci nulla» gli disse Ger, dall'altro lato del tavolo. «Ha fatto una scelta, e dobbiamo rispettarla.»
«Tu lo sapevi?» Gli occhi di Yekson erano fuori dalle orbite mentre allungava lo sguardo verso Ger. «Tu lo sapevi!»
Zeke si alzò in piedi, scioccato. Anche Xenya guardò l'ultimo parente che le restava che nonostante ciò restava la persona più estranea in quella stanza.
«Nessuno lascia l'accampamento senza la mia autorizzazione» si giustificò, quasi fosse una motivazione sufficiente.
Xenya si voltò a guardare Yekson, onestamente spaventata dalla reazione che avrebbe potuto avere. Il ragazzo contrasse e rilassò la mascella una serie di volte, la bocca ridotta a una linea sottile mentre le prime lacrime iniziavano a scorrergli sul volto.
Xenya fece per alzarsi a consolare l'amico, ma Zeke le mise una mano sulla spalla senza neanche guardarla e la mantenne seduta. Stava per lamentarsi quando notò anche lei come le mani di Yekson stavano tremando sempre più forte, fino a coinvolgergli tutti gli arti nel giro di un battito di ciglia.
Zeke si fece avanti e lo prese per le braccia un istante prima che le gambe gli crollassero. Lo adagiò piano a terra, mentre i tremiti si facevano sempre più violenti.
A quel punto Xenya si alzò, asciugandosi meglio che poteva gli occhi dalle lacrime. Lanciò uno sguardo carico di odio a suo nonno prima di fare quei pochi passi che la separavano dall'amico.
Era raggomitolato su se stesso, scosso sia dai singhiozzi di pianto che da quelli che erano diventati veri e propri spasmi.
«Yekson...» lo chiamò, addolorata.
Zeke la guardò, accovacciato ancora accanto a lui e scosse la testa per avvisarla.
«Colpa mia» sussurrò Yekson tra un singulto e un altro. «Sua!» urlò poi.
Aveva gli occhi aperti, spalancati nel vuoto. Di colpo poi si alzò da terra, instabile mentre tentava di raggiungere la porta a carponi.
Zeke lo placcò subito, faticando comunque a tenerlo fermo mentre i tremiti e la forza dei suoi muscoli collaboravano per farlo fuggire. E proprio come si era alzato, crollò di nuovo a terra scivolando dalle braccia di Zeke.
Xenya era scioccata, immobile mentre osservava la scena come se nemmeno fosse presente.
«Sta avendo un attacco di panico» disse poi Zeke, frapponendosi tra lei e Yekson. «Devo portarlo via da qui.»
«Ti aiuto» si propose Xenya.
«Credi di farcela?»
«È morto!» pianse Yekson un'altra volta.
«Non posso lasciarlo così.»
Zeke annuì. «Un braccio a testa, lo portiamo in infermeria.»
«Non avranno spazio» provò a spiegare Xenya.
«Fidati di me.»
Fu il turno di Xenya di annuire. Si avvicinarono poi a Yekson, ruotandolo sulla schiena prima di issarlo in piedi e passarsi ognuno un suo braccio attorno il collo.
«Tornate presto» disse Ger. «Stiamo attendendo novità.»
Xenya si voltò, e l'ira che provò nel vederlo seduto come se non fosse successo nulla fu così forte che non riuscì nemmeno a schermare il suo lato cattivo.
«Vaffanculo!» gli sbottò, giusto prima di oltrepassare la porta e dirigersi verso l'infermeria.
Circa a metà strada, Xenya si accorse che anche Zeke stava piangendo in silenzio. Anche lei aveva i segni delle lacrime sul viso, che non si curava di asciugare mentre barcollavano lungo la strada.
Diverse persone stavano facendo la spola con barelle consunte per trasportare i morti alla fossa comune che era stata scavata qualche chilometro fuori dal perimetro più esterno.
Raggiunsero l'infermeria parecchio sudati, così nessuno si soffermò particolarmente sulle loro facce bagnate.
I medici non sembravano trafelati, cosa che sorprese Xenya visto ciò che aveva visto solo qualche ora prima. Molte brande erano libere. Zeke diresse la comitiva verso quella più distante, più a ridosso della parete della baracca. Lasciarono lì Yekson, ancora tremante che di tanto in tanto parlava senza senso.
«Vado a cercare Clair» annunciò Zeke, tirando su col naso e finalmente passandosi una mano sulle guance per rimuovere le tracce.
Xenya lo seguì senza nemmeno farglielo presente. Era improbabile che Yekson di colpo stesse meglio.
Trovarono in fretta quella che doveva essere Clair: una donna sulla sessantina che spiccava sugli altri per la crocchia di capelli neri che aveva, così in contrasto con il camice bianco candido che indossava. Senza dubbio, un medico.
Zeke le spiegò in velocità la situazione, indicando il grosso ragazzo rannicchiato sulla branda sgangherata.
Clair mugugnò.
«Non posso promettere di avere tempo per aiutarlo a superare lo shock che ha causato il problema, non sono nemmeno la figura più indicata per farlo. Ma di sicuro lo terrò d'occhio.» Aveva una voce melodica, così giovanile che sembrava impossibile uscisse proprio da quel corpo.
«Cosa possiamo fare?» chiese Xenya.
«Dategli questo, nel frattempo.» Mise le mani nelle tasche piene del camice e allungò loro una bottiglietta scura. «Solo un sorso, mi raccomando. È un sonnifero potente: il sonno forzato dovrebbe aiutarlo. Non psicologicamente...» gli lanciò un'occhiata, oltre le spalle dei suoi interlocutori. «Per quello temo non ci sia alcuna cura immediata.»
Zeke e Xenya la ringraziarono, tornando al capezzale di Yekson. Zeke lo forzò a bere un sorso del sonnifero e, una volta ingerito, Xenya riportò la bottiglia a Clair. Per qualche istante straparlò ancora prima di cadere in un riposo senza sogni. Lo guardarono.
«Dovremmo tornare alla tenda?» chiese poi Xenya, guardando Zeke.
Sul volto del ragazzo comparve un sorriso malefico che non gli vedeva da tempo. Così fuori luogo in quel momento...
«Mi è piaciuto come hai risposto a Ger» le disse, voltandosi a osservarla. «Ti amo.»
Xenya, a quelle parole, riprese a piangere. Yekson non aveva avuto occasione di dirle a Undrel. Non avrebbero mai potuto dirsele. Non avrebbero potuto più creare quella vita insieme che di sicuro immaginavano, esattamente come Xenya immaginava la sua con Zeke prima di addormentarsi la notte.
Il sorriso di Zeke si addolcì e la abbracciò lasciando che le sue lacrime gli bagnassero la maglia. La tenne stretta, baciandole la testa e accarezzandole la schiena mentre anche le sue lacrime cadevano sui capelli di Xenya.
«Non volevo che ci fossero altre perdite» sussurrò Xenya. «Soprattutto... non così.»
«Era un suo diritto, X» le sussurrò, premendole una guancia sulla testa. «Ciò che mi fa male è che non si sia sentito abbastanza al sicuro con noi per confidarci le sue intenzioni.»
«Potrebbe essere stata una decisione d'impulso...»
«Era giorni che si informava sulla guerra. Mi era sorto il sospetto ma...»
«Non ci hai dato peso, perché è Undrel. La persona più riflessiva e meno guerrigliera della Terra.»
«Già.»
«Mi mancherà» dissero poi, all'unisono, lasciando che le lacrime sgorgassero e, con loro, il lutto. Anche se, esattamente come per Zenith, quella parte del cuore che si era annerita non sarebbe mai guarita del tutto. A ogni evento, bello o brutto che fosse, avrebbero ricordato che mancavano due persone con cui affrontarlo.
Il tempo avrebbe anche potuto alleggerire il peso della loro assenza, ma non avrebbe mai cancellato quello dei ricordi rubati.
«Adesso dovremo vincere anche per lui» sussurrò Zeke.
«Per lui e Zenith.»
Rimasero stretti un alto po'. Yekson era finalmente immobile, salvo per i respiri profondi che faceva.
«Comunque, X, ti amo sul serio. E se decidessi di sacrificarti per l'ideale, ti supporterei.»
«Anche io ti amo. E anche io ti supporterei, però soffrirei tanto.»
«E io ti elencherei i motivi per non farlo.»
«Ma non cambierebbe nulla, lo sai.»
Zeke rise piano, premendole sulla testa l'altra guancia.
«Per caso ti stai asciugando le lacrime su di me?» gli chiese Xenya.
«Nulla di diverso da quello che stai facendo tu.»
«D'accordo, grande genio.» Si staccò il necessario per guardarlo negli occhi. «Se vuoi andare alla tenda, resto io con lui.»
Zeke annuì. «Adesso non solo devo consigliarlo nella guerra, ma anche limitare i danni che la tua uscita a effetto ha causato.»
Si staccarono dall'abbraccio ed entrambi sorrisero. Erano sorrisi vuoti, mere promesse che si sarebbero adeguati ancora una volta al dolore, ma esattamente come si erano promessi la sera prima, quando Undrel era ancora con loro, non si sarebbero più puniti per ciò che è stato.
Zeke per voltarsi e andarsene, ma Xenya lo tirò a sé e lo baciò. Lo fece profondamente, assaporando il salato che le lacrime gli avevano lasciato sulle labbra e respirando lo stesso profumo dei suoi capelli sul viso di lui. Gli lanciò le braccia al collo mentre lui le avvolse la vita e la avvicinò ancora di più. Xenya dovette trattenersi dall'agganciargli le gambe attorno ai fianchi per percepirlo di più, per assicurarsi che entrambi fossero ancora lì, reali.
Quando si separarono, erano entrambi senza fiato.
«E questo a cosa lo devo?» le sussurrò Zeke, lasciandole un altro bacio a stampo sulle labbra.
«Non so quando ancora avrò l'occasione per dartelo.»
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Le ore passarono, tingendo il cielo sereno di sfumature violacee prima di toglierli la luce. Xenya aveva trascorso quel tempo seduta a terra, guardando i medici rimbalzare da un letto occupato a un altro mentre gli allarmi di richiamo per le squadre suonavano incessanti. Yekson in tutto ciò ancora dormiva - con grande sorpresa dell'amica.
«Prima di domattina non si sveglierà.» La voce di Clair riscosse Xenya dai suoi pensieri. Si girò a guardarla meglio prima di alzarsi in piedi. Era la quarta o quinta volta che Clair veniva a controllare Yekson, assicurandosi che anche la ragazza al suo capezzale stesse bene.
«Potrebbe aver bisogno di qualcuno presente, al suo risveglio?»
«Sarà così intontito da non rendersi nemmeno conto di dov'è per il tempo necessario che qualcuno arrivi.» Clair sorrise, accentuando le rughe che aveva disseminate sul viso. «So che siete tutti molto impegnati: se devi andare posso assicurarti che qualcuno lo terrà d'occhio, anche quando arriveranno i feriti tra un po'.»
Xenya lanciò un'occhiata sui numerosi letti vuoti che molto presto sarebbero stati riempiti da moribondi tornati dal fronte. Come Undrel, se mai fosse tornato. Le si strinse il cuore nel petto al pensiero, ma forzò comunque un sorriso verso Clair.
«Grazie mille.»
«Spero solo di poter ricambiare il ringraziamento molto presto, non appena saremo tutti salvi.» E con un cenno del capo, la donna si dileguò ondeggiando come un fantasma tra le file di letti.
Dunque tutti sapevano che Xenya sarebbe stata la loro arma finale. Cercò di non elaborare troppo quel pensiero - altrimenti le avrebbe gravato fin troppo sulle spalle - mentre usciva dall'infermeria e si dirigeva a lunghi passi verso la tenda. Dovette stare attenta, lungo il cammino, a non intralciare il percorso dei vampiri in piena mobilitazione verso il fronte che, con ogni speranza, si era spinto ben dentro le viscere di Clock.
Ad attenderla, con grande sorpresa, dentro la tenda c'erano tutti i capi mutanti, Ger e Zeke. A giudicare da come tutti si voltarono a osservarla confusi, doveva appena aver interrotto un consiglio generale. C'era quindi da temere che l'attacco non fosse andato a buon fine?
Zeke si affrettò ad alzarsi dalla propria sedia per andarle incontro, rivolgendo un sorriso rilassato ai capi là presenti.
«Non sapevo fosse...» gli sussurrò, non appena il ragazzo si avvicinò a sufficienza.
«È stata una cosa improvvisata» le disse lui, avendo cura di non farsi vedere dai presenti che avevano già ricominciato a confabulare. «Yuki e Terrence sono arrivati a chiedere aggiornamenti, e a quel punto sono stati chiamati anche gli altri.»
Xenya lanciò un'occhiata al tavolo: era incredibile come persone anche visualmente così differenti fossero state riunite allo stesso tavolo nel nome di un ideale condiviso.
Ed è stato per merito tuo, si ricordò.
«Sono riusciti?» chiese Xenya. «La recinzione...»
«Sì, è esplosa» le confermò Zeke. Stava per dirle altro quando la voce di Ger li interruppe.
«C'è un po' di cibo anche per te, Xenya» le disse, guardandola con quegli occhi sempre carichi di disappunto per tutto.
Dovette sforzarsi per assumere un'espressione accondiscendente mentre distoglieva lo sguardo da Zeke e faceva un passo verso il tavolo.
«Grazie» gli rispose, cercando di ignorare il fatto che l'ultimo scambio che avevano avuto si era concluso con lei che gli inveiva contro.
Per evitare di rendere troppo dispersiva la stanza, Xenya decise di sedersi tra Terrence - Capo degli gnomi - e Carmen - Sire dei vampiri -. A quanto pareva ancora non scorreva buon sangue tra le due comunità dall'incomprensione di qualche mese prima.
Zeke le portò un piatto di zuppa ormai solo tiepida, e per la fame e la disperazione Xenya la trangugiò in fretta nonostante fosse molto più annacquata e insapore rispetto i consueti standard elfici. Anche Zehekelion doveva averlo notato, perché quando catturò il suo sguardo si limitò ad alzare le spalle in modo impercettibile.
«Come stavo dicendo» iniziò Ger, «abbiamo perso un'auto nell'esplosione, non è chiaro se ci fossero persone a bordo. Le altre due rimaste dall'attacco stanno facendo spola per portare i soldati al fronte e indietro i feriti, mentre tutte le altre sono impiegate per ricognizione e avanzamento delle truppe.» Con un dito fece segno sulla mappa, dove i chiodi verdi si erano espansi sia a destra che a sinistra del luogo dell'esplosione, costringendo Clock a indietreggiare fino al Settore 17 da un lato e 27 dall'altro.
La fiamma della speranza di Xenya stava ricominciando a bruciare. Undrel ce l'aveva fatta: era riuscito a lasciare il segno fornendo loro l'occasione di cui avevano bisogno.
«E i morti?» chiese il capo stregone. Xenya e Zeke si scambiarono un'occhiata.
«Non possiamo permetterci di riportarli indietro in questa fase» spiegò Ger, appoggiandosi alla sedia. «Sempre che sia rimasto qualcosa, dopo la nostra vittoria sarà la priorità.»
Tutto intorno al tavolo ci furono cenni di assenso.
«E ora?» domandò Yuki, il successore di Gwen come Capo stregone.
«Si tratta solo di attendere, temo.»
E Xenya sapeva cosa si stava attendendo: il momento adatto per uccidere Eclipse. E fino ad allora si trattava di osservare e pregare affinché la loro superiorità numerica fosse almeno sufficiente per trattenere quella di armamenti di Clock.
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Quando Xenya uscì dalla tenda era già notte fonda. Si era congedata dal consiglio di mutanti con la scusa di doversi alzare presto il mattino seguente - cosa non falsa ma non era il vero motivo. Gli allarmi avevano continuato a ululare, quasi incessanti, mandando sempre più gente al fronte e causando a Xenya un mal di testa come non ne provava da tanto tempo.
Zeke le aveva promesso che l'avrebbe raggiunta non appena le sentinelle vampiro in arrivo gli avessero dato un aggiornamento sullo stato degli attacchi. Xenya aveva tanta voglia di credergli, ma già sapeva che non sarebbe riuscito ad andarsene fino a quando i capi mutanti non fossero stati soddisfatti delle strategie future pianificate da Ger.
Stava camminando sotto il cielo scuro, senza alcuna stella a causa delle nubi plumbee, diretta verso il suo giaciglio quando si scontrò con un uomo. Con la poca luce che c'era si rese solo conto che era spettinato e col fiatone.
«Chiedo scusa» gli disse, facendosi da parte per permettergli di proseguire.
«Niente, niente» rispose trafelato prima di riprendere la sua corsa. Solo quando le diede le spalle Xenya si accorse che stava trasportando una barella.
Urla proruppero dalla sua destra: il personale medico era molto più affaccendato rispetto a quella mattina, e coordinava lo spostamento dei feriti tra le baracche e l'accoglienza di nuovi malati appena arrivati dal fronte.
Ancora una volta, Xenya non riuscì a resistere l'impulso di aiutare - questa volta però mettendosi al servizio di chi ne sapeva più di lei.
Entrò nell'infermeria più grande, quella dove c'era pure Yekson ancora addormentato, e zigzagò tra le persone fino a quando non individuò Clair.
«Clair!» la chiamò, superando un altro paio di infermieri prima di ritrovarsi faccia a faccia con la donna. «Come posso essere d'aiuto?»
«Bisogna trasportare i feriti dentro le tende infermeria» le disse senza alcuna cerimonia. «Purtroppo o per fortuna c'è un certo ricambio di posti letto...»
«Pensavo più a ricucire ferite...» cercò di sdrammatizzare Xenya.
«Quando la situazione sarà più calma, se vuoi ti insegnerò.» Clair la squadrò da capo a piedi. «Fuori dalla recinzione ci sono tutte le persone tornate dal fronte. Aiuta gli altri a portare i feriti: solo quelli ancora vivi, o che secondo te hanno una possibilità. I morti lasciali là, i terminali vanno portati qui solo per essere ricongiunti alle famiglie.»
Xenya annuì.
«Sii veloce ed efficiente, e al termine della guerra potremo anche parlare di un tirocinio.» Clair le rivolse un tiepido sorriso prima di voltarsi. E in quell'istante Xenya scoprì che non le sarebbe dispiaciuto affatto diventare una persona che salva le vite anziché toglierle.
Iniziò subito a trasportare i primi feriti. Di barelle non ce n'erano più, quindi fu costretta a trasportare di peso le persone con la conseguenza che già dopo cinque persone le sue braccia iniziarono a chiedere pietà. Seguì alla lettera le istruzioni di Clair e quelle che le diedero successivamente: infetti da proiettili di sangue agli arti distesi pronti per l'amputazione, e coloro in grado di camminare seduti.
«Così si capisce subito chi è messo peggio» le avevano spiegato.
Al settimo giro di trasporto le diedero un altro compito: ogni infetto da proiettili di sangue agli arti andava anche denudato fin sopra la prima articolazione sana. Diversi medici - tre solo nella struttura più grande - erano armati di seghe e martelli e procedevano inesorabili tra i letti cercando di amputare gambe e braccia più velocemente possibile affinché il veleno non si diffondesse ulteriormente. Altri medici li seguivano, raccattando gli arti tagliati e bendando i feriti.
Xenya invidiò Yekson che, dal suo angolo di sonno forzato, non rabbrividiva a ogni urlo e rumore di osso spezzato. La ragazza si domandò più volte nel corso della sua spola se la modalità adottata dai medici - tagliare senza anestesia né ritegno - fosse la più efficace per i pazienti. Non ne era sicura, ma di certo quelle persone erano le migliori che avevano a disposizione, e magari l'anestetico era semplicemente finito. Una parte di lei però trovava ingiusto come la maggioranza di quelli che riuscivano a essere amputati fossero elfi - la maggior parte degli altri mutanti moriva sul colpo o, peggio, lungo il tragitto verso Roots.
Uscendo un'altra volta dalla recinzione, Xenya dovette sorpassare le pile di corpi esanimi, accatastati per facilitare il trasporto alla fossa comune e per indicare come non ci fosse più nulla da salvare. Erano quasi tutti gnomi, fatta eccezione per uno stregone dagli abiti viola e un paio di vampiri.
Le cataste di cadaveri aumentavano, disseminate appena fuori dall'accampamento, mentre i feriti stavano terminando. Con glaciale freddezza si rese conto che nessuno di quelli era Undrel.
«Xenya...»
Un flebile richiamo.
Xenya prese a guardarsi attorno, confusa. Era impossibile. Doveva esserselo immaginato.
«Undrel?» lo chiamò a gran voce. «Dove sei?»
«Qui.»
Era trascinata, ma indubbiamente era la voce di Undrel. Xenya corre verso la direzione da cui proveniva la sua voce..
«Dove?» domandò di nuovo.
«Sono qui!»
Procedette qualche passo, cercando di aguzzare il più possibile la vista per individuare il ragazzo nell'ombra.
Lo trovò poco più avanti, nell'ultimo gruppetto di persone non ancora accatastate, premuto tra uno gnomo morto e un vampiro che lo sarebbe diventato presto.
«Un ferito!» urlò verso il cancello, in modo che qualcuno andasse a occuparsi del vampiro.
Si chinò poi tra i corpi, sfilando Undrel con più delicatezza possibile ma facendolo comunque gemere dal dolore.
«Sei vivo» gli sussurrò, le lacrime che minacciavano di sfuggirle dal controllo mentre un altro elfo accorreva per trasportare il vampiro all'infermeria. «Cazzo, sei vivo!» Lo abbracciò, incapace di contenersi.
Era vivo. Ce l'aveva fatta. Era tornato. Yekson sarebbe stato meglio. Avrebbero avuto tutta la vita davanti...
«Non cantare vittoria troppo presto.» Xenya lo fece scivolare fuori dall'abbraccio e si risvegliò dal suo sogno a occhi aperti quando Yekson si indicò con un cenno del mento l'addome. Era ricoperto di sangue, la maglia zuppa e incollata al torace.
Non c'era tempo da perdere, e di certo non poteva trasportarlo dentro.
«Vado a chiamare la dottoressa. Non ti muovere.»
«È difficile che mi muova tanto.»
Xenya poteva udire il sorriso nel suo tono, nonostante il chiaro dolore che lo pervadeva. Non avrebbe esitato e non avrebbe lasciato che nessuno si frapponesse tra lei e salvare il suo amico.
Corse a perdifiato dentro l'edificio principale dell'infermeria, nella speranza di trovare là Clair. Nessuna traccia. Corse fuori e poi dentro un'altra baracca, ed eccola là nel suo camice molto meno bianco della mattina. Xenya non ricordava cosa le avesse detto - o meglio, farfugliato - ma in qualche modo era riuscita a trascinarla fuori fino a dove stava Undrel.
Per fortuna la dottoressa aveva una piccola pila tascabile - Xenya non ci aveva pensato - con la quale illuminare il povero Un.
Lo osservò attenta. A Xenya batteva forte il cuore, non riusciva a udire altro. Clair gli spostò la maglia che aveva aderito, procurando una smorfia di chiaro dolore in Undrel.
Xenya capì subito di cosa si trattava: gli avevano sparato all'addome, ma con una ferita del genere sarebbe dovuto morire diverse ore prima. A meno che...
«È un proiettile di sangue» iniziò la dottoressa, guardando Xenya e puntando la luce fredda sulla ferita. «Inesploso, ma lo è.»
Xenya si sporse e proprio là, nel mezzo delle viscere di Undrel, era incastonata la munizione il cui angolo appena visibile brillava come un rubino carico di dolore e morte. Undrel non era morto perché era stato fortunato, ma solo perché un proiettile pensato per esplodergli all'interno aveva fatto cilecca. Guardò Undrel, madido di sudore, e poi la dottoressa.
«Si può rimuovere?» le domandò, la voce flebile.
«Non senza scoppiarlo, temo.» Anche il medico aveva abbassato il tono. Fissava Xenya negli occhi, come per leggerle dentro e per farle intuire le conseguenze.
«Cosa... Cosa mi ha bucato?» domandò Undrel, agitato.
«È difficile dirlo con precisione al buio, ma l'intestino è stato preso di sicuro. È molto a fondo...»
Non c'era molto da fare. Se il proiettile fosse scoppiato lì a causa di una rimozione mal riuscita, Undrel sarebbe marcito da dentro in poche ore, e non c'era amputazione che avrebbe potuto salvarlo.
«C'è possibilità che sopravviva? Con il proiettile dentro?» chiese Xenya in un tentativo disperato.
Undrel appoggiò la testa a terra, un sorriso disperato in volto.
«No. Una minima pressione anche solo per ricucirlo farebbe saltare il proiettile, si vedono già le crepe. Si accelererebbe solo l'inevitabile. Se non muore per il sangue puro, morirà per dissanguamento entro domani pomeriggio.»
E, come per enfatizzare quel giudizio finale, Clair spense la pila facendo inghiottire al buio la ferita.
«Cosa vuoi fare, Un?» gli domandò Xenya. Lui aveva il diritto e il dovere di scegliere per se stesso. «Vorresti provare a rimuoverlo? Magari...»
«E rischiare di marcire dall'interno?» E sghignazzò con una risata vuota, che al buio era ancora più macabra. «No. Non toglietelo. Lasciatemi andare come Undrel, non come un mostro. Alla fine questo, per me, è solo tempo regalato.»
In effetti era vero. Anche Xenya si era già rassegnata alla morte di Undrel. Lui stesso, partendo, doveva aver dato per scontato che non avrebbe fatto ritorno. Eppure, vivere quella perdite due volte in un giorno solo era davvero crudele - per lui e tutte le persone che gli volevano bene.
«C'è Yekson dentro» gli disse, cercando di non far vedere il dolore. «Ha avuto un attacco di panico quando gli ho detto che eri partito. Clair l'ha sedato, dovrebbe svegliarsi domani mattina.»
«Riuscirò a vederlo?» chiese Undrel alla dottoressa, tutto d'un fiato. La mancanza, il dolore e il senso di colpa dovevano averlo consumato in quelle poche ore. Xenya lo capiva.
«Sì, ma devi riposare e restare fermo. Mantenerti idratato.» Poi Clair si rivolse a Xenya. «Portiamolo dentro.»
Senza ulteriori cerimonie, le due donne si avvicinarono a Undrel e, con enorme cautela, lo alzarono per le ascelle e cosce e lo trasportarono dentro.
Il ragazzo gemette a ogni lieve sobbalzo, e Xenya a ogni passo sofferto si maledisse per non aver cercato più a lungo una barella. Appena rientrate nell'edificio principale le due donne si guardarono negli occhi, e al volo seppero che non c'era posto per Undrel là - tutte le barelle erano occupate e persino buona parte dello spazio tra queste.
Quasi le stesse leggendo nel pensiero, Undrel parlò strozzato.
«Mettetemi dove vi pare, basta che non mi torturiate ancora.»
Xenya cercò di sorridergli come se avesse trovato divertente la sua battuta, e poi si concentrò di nuovo su Clair. Le braccia stavano per cederle.
«Potremmo metterlo vicino a Yekson?» propose, lanciando un'occhiata a quell'angolo ancora piuttosto libero.
Senza nemmeno rispondersi, le donne ripresero a camminare e trasportare il ferito fino a quell'angolo.
«Ti mettiamo per terra» disse Xenya, iniziando ad abbassarlo. Quando il ragazzo soffocò un gemito per il contatto con il terreno, si tirò di nuovo in piedi. «Adesso vado a chiamare Zeke. Con lui spostiamo Yekson per terra e te sulla branda.»
«Non è necessario...» iniziò.
«Non dire stupidaggini» lo interruppe Clair. «Con il sonnifero che gli ho dato, lui può dormire anche sui sassi.»
«Resti tu qui con lui?» chiese Xenya a Clair.
«Non penso di potere, nell'altra infermeria siamo in difficoltà.»
«Non è che io possa improvvisamente guarire» sottolineò Yekson, tirando poi qualche colpo di tosse. «Da qui non mi muovo.» E chiuse gli occhi.
«Torno tra poco» lo rassicurò. «Grazie Clair.» E, congedatasi, riprese a correre sotto la luce sempre più fioca delle stelle.
Poco tempo dopo, con le prime luci dell'alba che scaldavano l'orizzonte, furono due le persone confuse e sollevate dentro l'infermeria che osservavano gli altri due ragazzi addormentati, i respiri perfettamente coordinati.
Xenya si strinse addosso a Zeke, commossa nello shock e nella bellezza della scena che aveva davanti. Lui le passò una mano attorno le spalle, stringendola di più a sé e dandole un bacio sulla tempia.
Dopo aver spostato Undrel anche le sue mani erano sporche di sangue, ma non importava più. Il loro amico era tornato - per un minuto, un'ora o un giorno era comunque tornato da loro.
Il medico finì di medicare il ragazzo per evitare che la situazione peggiorasse più del naturale decorso e se ne andò. Xenya e Zeke si sedettero, schiena al muro, accanto al corpo ancora raggomitolato di Yekson.
Ancora per una volta, con ogni probabilità l'ultima, restarono in quattro a dormire in mezzo al caos del mondo che infuriava dentro e fuori da lì.
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Solo una manciata di ore dopo, il gruppo - e con ogni probabilità ogni presente nell'infermeria - venne svegliato dalle urla di Yekson. Xenya, con la mente annebbiata dal poco sonno e la tanta stanchezza, non riuscì a capire bene cosa l'amico stava gridando. Era certa fosse passato da è qui a è morto fino a giungere a è vivo. La ragazza cercò di tirarsi subito in piedi, notando come il collo le doleva dopo aver dormito sulla spalla di Zeke.
Yekson era in ginocchio, piangente davanti a una versione alquanto cinerea e confusa di Undrel. Al primo sguardo era chiaro che era in procinto di lasciarli - e per davvero quella volta.
Xenya non fece nemmeno in tempo a fare i due passi verso la branda che Yekson aveva già passato le braccia attorno al torace di Yekson, cercando di tirarlo a sedere o di stringerlo in un abbraccio.
«Piano, piano» lo pregò Undrel, la voce roca e l'espressione nauseata. «O le mie ore di vita verranno dimezzate.»
Xenya arrivò da dietro Yekson e lo staccò delicatamente dal giaciglio. Stava piangendo, e dai singhiozzi che lo scuotevano da capo a piedi la ragazza temette che stesse per avere un altro crollo nervoso.
«No, no» pianse. «Non ore di vita... Sei appena tornato, non puoi andartene di nuovo...»
Xenya si inginocchiò accanto a lui e lo abbracciò, lanciando un'occhiata addolorata verso Zeke che si stava avvicinando. Lui, quasi leggendola nel pensiero, si voltò e sparì fuori dall'infermeria lasciandola a consolare Yekson.
Quando tornò assieme a Clair, Yekson si era quietato e fissava con aria assente Undrel. Quest'ultimo aveva gli occhi gonfi e le palpebre pesanti, ma sorrideva placido al suo amore. Ogni secondo in loro compagnia metteva sempre più a dura prova la stabilità emotiva di Xenya.
«È un piacere vedervi entrambi svegli» esordì Clair, appena giunta. «Non voglio rubarvi tempo prezioso, ma credo che delle spiegazioni siano d'obbligo.»
La donna, con grande sorpresa di Xenya, aveva un aspetto impeccabile e lo sguardo rilassato e determinato nonostante il numero di ore di sonno non era stato superiore a quello che avevano avuto loro. Il suo camice era di nuovo candido, e la cosa fece prendere coscienza a Xenya di quanto in realtà lei fosse sporca. Aveva macchie di sangue secco altrui secco fino ai gomiti, le mezzelune delle unghie annerite e gli abiti incollati alla pelle. Una parziale consolazione era che nemmeno gli altri avevano avuto occasione per ripulirsi - le circostanze in cui si trovavano avevano tutt'altre priorità.
Clair spiegò a tutti la situazione: la morte di Undrel era ormai certa, e se era riuscito a scamparla era solo questione di fortuna. La scelta, dunque, spettava a lui: morire di lì a poche ore oppure accelerare la cosa estraendo il proiettile.
«Perché non vuoi provare a toglierlo?» gli domandò Yekson, piangendo. «Se andasse a buon fine...»
«Non lo farà» tagliò corto Undrel. Rispetto alla sera prima, aveva lo sguardo ancora più affaticato e rassegnato. La pelle scura aveva un sottotono freddo e nauseato. «Voglio essere seppellito come Undrel, non come qualcosa che nessuno riconosce.»
«Ma se c'è una possibilità di riuscita...» Yekson si voltò verso Clair, gli occhi gonfi dal pianto. Lei scosse la testa.
«Abbiamo già appurato che il proiettile è scheggiato. Anche solo premendogli un po' troppo forte l'addome potrebbe scoppiare.»
«E volete lasciarlo morire? Così?» Yekson si voltò verso Xenya e Zeke che, fianco a fianco, osservavano impotenti la scena. «Xe...» la pregò.
Il fiato, di colpo, le mancò. Realizzò che non c'era nulla che potesse dire per migliorare la situazione o anche solo giustificare le ingiuste modalità con cui un altro amico li stava lasciando. Abbassò lo sguardo, sentendosi in qualche modo colpevole.
«Ha diritto di scegliere» intervenne Zeke. «Tutti noi, venendo qui, sapevamo quali erano i rischi. A maggior ragione lui che è partito per una missione suicida per il bene di tutti.»
«Non puoi farci nulla Yek» disse Undrel. Deglutì qualche volta di seguito. «Non vale la pena di sprecare questi momenti.» Allungò la mano e prese le dita di Yekson, attirando la sua attenzione.
«Non saresti dovuto andare, sei stato stupido ed egoista» lo sgridò, piangendogli nel petto. A quel punto anche Undrel iniziò a lacrimare.
«Lo so» disse. «Ma avevo bisogno di andare. Per me e per te.» Deglutì ancora una volta. «Non volevo essere un altro nome dimenticato, un'altra fine non importante.»
«Sei sempre stato importante per me... Non è stato abbastanza?»
«È stato tutto. Se non fosse stato per te, non avrei mai trovato il coraggio per dimostrare a me stesso chi sono. E preferisco andarmene prima come la persona che voglio, piuttosto che dopo come qualcuno con cui non posso convivere.»
«Potevo aiutarti, potevo venire anche io...» Yekson alzò la testa e lo guardò.
«Questa era una cosa che dovevo fare da solo per me stesso, e l'unica cosa di cui mi pento è il dolore che ti sto causando. Adesso conosci fino in fondo chi sono, e spero che amerai anche questa versione di me.»
«Con ogni mio respiro.»
Undrel sforzò un sorriso e, alzando un braccio, avvicinò il viso di Yekson al proprio.
«Ti guarderò da qualunque universo in cui finirò. Ti cercherò con tutte le forze che avrò, farò il tifo per te con tutta la voce che avrò e ti amerò con tutta l'anima che mi resterà.» Grosse lacrime gli scivolarono lungo gli zigomi. «Non avere paura di cambiare, non avere paura di essere chi vuoi essere. Hai così tanto da dare al mondo, non limitarti a ciò che è stato pensato per te.»
E lo tirò a sé per baciarlo. Xenya distolse lo sguardo, decisa a lasciar loro un ultimo momento privato. Alzando lo sguardo verso Zeke, si accorse di come entrambi stessero piangendo in silenzio. Senza nemmeno parlarsi, si allontanarono dall'angolo dove gli ultimi attimi di una storia d'amore bruciante e fondamentale si stavano consumando. Il tizzone di Undrel si stava consumando, ma aveva dato fuoco a così tante cose e persone che era come se, una volta che se ne fosse andato, la sua vita avesse continuato a esistere tutt'attorno a loro.
Con quella realizzazione nel cuore, Xenya e Zeke uscirono dall'infermeria respirando finalmente un'aria che non fosse intrisa di farmaci e odore del sangue. Nessuno dei due si era asciugato le lacrime, con ogni probabilità ormai assuefatti alla sensazione di sentirle sul viso.
«Dovremmo essere alla tenda» notò Zeke con voce quasi robotica mentre osservava il sole salire sempre più all'orizzonte. Gli allarmi continuavano a suonare, richiamando sempre più persone al fronte che con ogni probabilità si era di nuovo spostato. Presto sarebbero arrivati anche altri feriti.
«Hai qualche altra ovvietà da dirmi?» gli chiese Xenya, alzando il viso per guardarlo con un sorriso un po' forzato ma sinceramente divertito.
Zeke girò la testa per guardarla attraverso le lunghe ciglia. «Hai un aspetto spaventoso.»
«Okay, ritiro tutto.» Roteò gli occhi, ma in realtà aveva apprezzato l'alleggerirsi della situazione. «Non che il tuo sia tanto meglio.»
«Hai qualche altra ovvietà da dirmi?» la prese in giro lui.
Si sorrisero, timidamente, come se il solo gesto li scottasse.
Xenya fece per ribattere quando Terrence, il Capo degli gnomi, si parò loro davanti.
«Buongiorno» lo salutò Zeke, assumendo il tono di voce che aveva sempre quando parlava di cose diplomatiche con persone diplomatiche.
«Ger mi ha detto che vi avrei trovati qui.» Li squadrò dal basso in alto, incapace di nascondere la sua perplessità alla vista delle braccia insanguinate di Xenya. «Eclipse sta trasmettendo un comunicato all'holojournal.»
Il cuore di Xenya saltò un battito. Si voltò di scatto verso Zeke: lui la stava già guardando, specchiando il suo stesso sguardo carico di anticipazione e paura.
«Quando avrà finito la trasmissione lo ascolteremo tutti alla tenda» riprese Terrence. «Siete tutti richiesti.»
«In realtà...»
«Temo sia un ordine, Comandante. Per tutti.» E con la stessa andatura con cui era arrivato, il Capo si voltò e ripercorse la strada verso la tenda.
«Credi sia una resa?» domandò Xenya.
«Non so a che punto siano i fronti dopo la notte. Ma lo sai anche tu...»
«Non si arrenderà prima di aver avuto la possibilità di uccidermi.» Xenya annuì tra sé.
Ma non ne avrà la possibilità.
Si voltarono e rientrarono nell'infermeria. Ogni fibra nel corpo di Xenya era contraria all'idea di dover salutare Undrel, ma ancora di più a quella di dover trascinare Yekson alla tenda dopo tutto ciò che stava passando. Eppure un ordine era un ordine... E quello che avrebbe ascoltato all'holojournal era tutto ciò che davvero importava per Xenya e il suo ruolo in quella guerra.
«Non sento più le gambe e le braccia.»
La voce di Undrel, rotta da potenti singhiozzi, scosse nel profondo Xenya. Scambiò uno sguardo con Zeke: non sarebbero andati via dall'infermeria fino a quando Undrel non se ne fosse andato, e a giudicare da quanto avevano appena udito non ci sarebbe voluto molto.
Il ragazzo si voltò e prese a correre alla ricerca di Clair.
Xenya invece scattò verso la direzione opposta, verso la branda dove i suoi amici stavano piangendo, stringendosi forte le mani e guardandosi negli occhi.
«Undrel» lo chiamò Xenya. Chiamarlo per nome le bruciava la gola e gli occhi. Chissà quante altre volte avrebbe potuto farlo. Poche. Forse neanche più una. Il ragazzo voltò lentamente la testa verso di lei.
«Non sento più niente» ripeté, respirando veloce in mezzo al pianto. Stava andando in panico?
Xenya lanciò un'occhiata a Yekson: era calmo, si stava senza dubbio struggendo, ma restava fermo e lucido per il suo amato.
«È tutto okay» mentì Xenya, accovacciandosi accanto a Yekson per essere più vicina a Undrel. Gli poggiò una mano sulla spalla. Scottava attraverso la maglia.
«Sta succedendo?» chiese lui, voltando la testa per fissare il soffitto.
«Zeke è andato a chiamare Clair» disse Xenya. «Respira, andrà tutto bene.» E allungò l'altra mano per poggiarla sulla spalla di Yekson. Questo la guardò, gli occhi che trasmettevano tutto il dolore e la devastazione che gli stava avvenendo dentro. Scosse la testa, disperato, come a scacciare l'idea di ciò che da lì a pochi istanti sarebbe accaduto.
«Ho paura» ammise Undrel. Le lacrime gli scendevano copiose sul volto.
Clair e Zeke li raggiunsero, affaticati dopo la corsa.
«Che succede, Undrel?» gli chiese Clair, sorprendentemente calma e fredda.
«Sto morendo» ammise lui. «Non sento più gli arti, ho caldo e freddo assieme, ho paura.»
«È una cosa bella, rendersene conto» gli disse.
Xenya si voltò verso di lei, scioccata e arrabbiata. Come poteva dire una cosa del genere?
Zeke si avvicinò, prese la ragazza per le spalle e la allontanò dalla branda in modo che Clair potesse prendere il suo posto. Xenya era confusa, ma si fidava di Clair.
«Sono pochissime le persone che riescono a vivere queste sensazioni, sai?» continuò il medico, toccandogli il collo. «Sei fortunato a vivere anche la morte. E, proprio come la vita, puoi scegliere come affrontarla.»
«Ho paura» ripeté Undrel, i singhiozzi sempre più forti.
Clair fece il giro attorno a Yekson e sollevò le bende nell'addome di Undrel. «Senti dove ti sto toccando?»
Undrel si limitò a scuotere forte la testa.
Clair si posizionò di nuovo vicino a Undrel, inginocchiandosi accanto a lui.
«Sei contento di come hai vissuto, Undrel?» gli chiese.
«Sì.»
«Cambieresti qualcosa?»
«Cercherei di essere più coraggioso. Sempre. Anche quando Zenith se n'è andata.»
«Ma sei stato coraggioso alla fine, no?»
«Sì.»
«E vuoi essere coraggioso anche adesso?»
«Sì. Ma ho tanta paura. Non voglio andarmene.»
«Perché no?»
«Perché penso a tutte le cose che potrei fare se restassi.»
«E per farle cambieresti le tue scelte?»
«No.»
«Vedi, Undrel, questo è il vero coraggio. Sapere cosa potrebbe essere e scegliere comunque quello che è giusto.»
«Ma ho paura.»
«Non devi. I tuoi amici sono qui, per te e con te. Non ti lasceranno finché non darai tu loro il permesso.»
«Non voglio lasciarli. E restare solo.»
«Veglierai su di loro dall'aldilà, e con te ci sarà Zenith, no?»
«Sì.»
Undrel chiuse gli occhi. Xenya crollò sulle ginocchia, coprendosi la bocca con entrambe le mani per evitare di fare troppo rumore mentre il suo dolore usciva come lacrime e gemiti. Zeke la prese al volo, evitando che sbattesse a terra, e la resse tra le sue braccia mentre anche lui piangeva.
«Hai qualche richiesta da fare ai tuoi amici? Io gliela dirò.»
«Un funerale con tanti fiori, dopo la guerra.»
«E dove vuoi riposare?»
«Qui nel Deserto Centrale.»
«C'è altro che vuoi che sappiano i tuoi amici?»
«Dì a Yekson che lo amo con tutta l'anima e mi mancherà. Dì a Zeke che se inventa qualcosa deve chiamarlo Undrel. E dì a Xenya che deve vincere.»
Clair si mise una mano in tasca ed estrasse il sonnifero che aveva dato a Yekson. Si bagnò un dito con esso e poi poggiò la goccia dentro le labbra di Undrel. Tutti attesero qualche istante, nel silenzio rotto dal pianto. Il respiro di Undrel si fece più leggero, le lacrime smisero di corrergli lungo il viso.
«Dimmi Undrel, vedi Zenith?» gli chiese Clair, sussurrando.
«Sì» sussurrò lui.
«Sei pronto ad andare?»
«Sì.»
«Buon viaggio Undrel, e ricordati di tutte le persone che hai amato.»
Clair si alzò e fece cenno a Zeke e Xenya di avvicinarsi per salutarlo. Loro lo fecero, quasi correndo al suo capezzale per stringerlo delicatamente e lasciargli baci sulla fronte. Yekson era silezioso, gli teneva la mano e lo baciava e piangeva in silenzio.
«Alla fine siete rimasti solo voi» sussurrò Undrel. La voce era appena udibile. Tutti attorno a lui si fermarono e trattennero il respiro per udire cosa avesse da dire. «Ironico. Solo voi. X, Y e Z.»
E con un ultimo, freddo soffio d'aria la brace di Undrel si spense.
Undrel se n'era andato.
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