35

Le ore successive trascorsero in un tumulto generale. Xenya credette che il terreno le venisse a mancare sotto i piedi.

Non ebbe nemmeno il tempo di uscire con entrambi i piedi dalla tenda che Ger prese la cornetta del sistema d'allarme e ordinò al primo gruppo di prepararsi all'attacco, e al secondo di attendere in stand-by.

«Non sono più sicura di aver fatto la cosa giusta» ammise a Zeke, il quale la stava aspettando poco distante. Già sentiva dentro la sua testa le urla di tutti quei mutanti che Ger stava mandando a morire, almeno all'apparenza senza alcuna strategia.

«Non è più un tuo problema.» Lo sguardo di Zeke era serio, determinato. Era come se fosse stato lui stesso chiamato a combattere. «Non appena tu riuscirai a eliminare Eclipse, si tratterà solo di questioni politiche che per Ger saranno giochi da ragazzi.»

«Perché allora non vado direttamente io ad affrontare Eclipse? Perché mandare a morire tutta quella gente?» Il senso di colpa iniziava già a divorarla. Sapeva che Ger non si sarebbe fermato davanti a nulla pur di ottenere la vittoria.

Non è forse questo ciò di cui abbiamo bisogno? sibilò Ivy. E, per quanto dolesse a Xenya, aveva ragione.

«Siamo in inferiorità tecnologica, sì, ma noi abbiamo numeri molto più alti di Clock. E per far uscire allo scoperto la testa del serpente è prima necessario tagliargli la coda.»

«Pensi che Ger attaccherà direttamente Clock?» Xenya non sapeva più cosa sperare. Tutte le opzioni che erano davanti a loro erano pessime, e iniziò a sentirsi sollevata di aver scaricato quelle responsabilità verso qualcuno senza doversi odiare anche per quello.

«Non lo penso» iniziò Zeke. «Ne sono certo

Proprio in quel frangente Ger uscì dalla tenda, la determinazione e l'ego che sembrava lo rendessero di stazza ancora più grande, e forse addirittura ringiovanito.

«Zeke, mi servi dentro» tuonò.

Zeke lanciò uno sguardo di scuse a Xenya e fece qualche passo in direzione di Ger.

«E tu cosa ci fai ancora qui? Credevo avessi degli allenamenti da fare.» Al rimprovero del nonno, Xenya raddrizzò automaticamente la schiena e annuì.

I due uomini procedettero a passo spedito nella tenda, lasciandola sola, in piedi, mentre tutt'intorno esplodeva l'inferno.

E in quel preciso istante, quando l'istinto e le nozioni inculcate dall'infanzia risposero al posto suo, si rese conto di ciò che era, spogliata da tutti i titoli che altri avevano coniato per lei.

Sono Xenya Cass, e sono un'arma.

Il tiro al bersaglio è sempre stata una delle migliori abilità militari di Xenya. Sparare mentre era in volo, per quanto quello sforzo complicasse le cose, non era da meno. Doveva solo stare attenta a non concentrarsi troppo né sull'una né sull'altra azione: Undrel, che insieme a Yekson e altri mutanti supervisionava gli allenamenti in corso nei vari spiazzi tra gli accampamenti concentrici, aveva infatti notato come Xenya tendesse a lasciarsi in caduta libera mentre sparava.

«Sei perfettamente in grado di prendere la mira e muoverti al contempo» l'aveva rimproverata una volta tornata a terra per bere qualche sorso d'acqua.

«A me infatti sembra di farlo.» Xenya era dubbiosa, ma si fidava dell'amico.

«Le ali le lasci spiegate, sì» attestò lui. «Ma non le muovi. Mentre spari le usi semplicemente per rallentare la tua caduta, e non va bene.»

«Non vedo perché no.» Xenya bevve un altro sorso d'acqua, un po' irritata ma intenzionata a non lasciare che l'irascibilità data dalla pressione parlasse al posto suo.

«Perché se uno da terra come me se ne accorge dopo due minuti, cosa credi che farà Eclipse? Di fatto gli stai mostrando uno schema di movimento, e non appena lo capisce tu diventi prevedibile e muori.»

«D'accordo.» Xenya sbuffò. «Adesso ci riprovo. Resti qui a guardarmi?»

«Solo se poi facciamo un po' di corpo a corpo, io e te.»

Xenya lo guardò perplessa, scorrendo lo sguardo sul ragazzo che, in effetti, era in tenuta da combattimento.

«Non ti sarai unito a un qualche gruppo...» Xenya era sorpresa di vederlo vestito in quel modo. Era un gran bel ragazzo, molto più atletico di tanti altri che si stavano allenando attorno a loro, eppure non riusciva proprio a immaginarsi Undrel in mezzo alla mischia.

«Chi, io?» Lui ridacchiò imbarazzato. «Ho preso solo in prestito i vestiti da Yekson.»

Xenya tenne per sé tutti i possibili commenti riguardo allo scambio di vestiti e si librò di nuovo in aria.

Cercò di essere più consapevole di come l'aria le sferzasse le braccia mentre teneva davanti a sé una pistola. Si mosse a zig zag, salì e poi scese lasciando che il suo corpo si abituasse ancora una volta all'entusiasmante sensazione di essere tutt'uno con il cielo. Ovviamente non era saggio alzarsi di molto, ma restando sotto la linea degli alberi non rischiava di divenire un bersaglio per l'Ordine che ancora era riparato oltre la recinzione.

Incominciò a sparare ai bersagli posizionati poco più in basso di lei, planando sopra di loro. E, per quanto le dolesse ammetterlo, Undrel aveva ragione: sfruttava la tattica della planata per non muovere le ali mentre sparava, e ricominciava ad acquistare metri in altezza solo dopo aver centrato i bersagli.

Si sforzò quindi di restare in movimento, rendendosi però conto di come la sua mira venisse influenzata dalla scarsa coordinazione provocata dal battere le ali.

«Proprio così!» le gridò Undrel da terra, probabilmente perché non si accorgeva di come Xenya stesse mancando i bersagli.

La sua frustrazione crebbe in fretta, tristemente consapevole di come minimi movimenti inconsulti a quell'altezza potessero portare tremende conseguenze a terra.

Non puoi permettertelo con i proiettili a smeraldo le ricordò Ivy funesta. E aveva ragione, anche se realisticamente non avrebbe affrontato David a quelle distanze, quanto piuttosto se lo sarebbe trovato davanti, pronto al corpo a corpo.

«Prova a stendere di più le ali per bilanciarti meglio!»

Undrel aveva ragione - di nuovo. Abituata com'era a tenerle strette a sé sotto la giacca e a richiamarle al corpo per muoversi più agilmente in aria, Xenya faticava a sfruttare i suoi muscoli artificiali per estendere del tutto quel telaio meccanico che era ora parte di lei. Una parte del suo cervello pensava di essere troppo visibile in cielo: esporre così tanta superficie significava dover volare più in alto per ridurre le probabilità di essere colpita.

Non devi nasconderti dai soldati se li uccidi prima che riescano a colpirti.

E con quel pensiero in mente, Xenya stese le ali, planando sopra ad alcuni bersagli, neutralizzandoli prima di prendere ancora quota e volteggiare in modo - seppur vistoso - assai controllato. Sparò di nuovo, muovendosi e lasciando in parte che le correnti d'aria che fendevano le fronde la sospingessero. Si abbassò e sparò. Prese quota ancora una volta e si diede una forte spinta con l'ala destra. Richiamò di colpo le ali su di sé, stendendole a mo' di scudo dietro la schiena e assecondando il momento con un brusco movimento delle spalle, Xenya stava piroettando.

Il suolo si stava avvicinando in un turbinio di cielo blu, alberi verdi e costruzioni. Xenya sapeva che poco più in là avrebbe trovato altri bersagli. E poco prima di trovarsi a un'altezza che nel campo di battaglia l'avrebbe messa a rischio, la ragazza distese del tutto le ali, lasciando che le fibre sintetiche si gonfiassero di aria per lasciarla planare e rallentare la discesa. Con un movimento del bacino e conseguente battito d'ali asimmetrico, Xenya virò a destra e sparò a tre bersagli. Poi ripeté la mossa a sinistra, sparando ad altri cinque nemici fittizi.

Quindi non era così difficile prendere fiducia nelle proprie capacità.

Xenya tornò da Undrel, facendo del suo meglio per nascondere il sorriso di soddisfazione che comunque era certa trapelasse sotto lo sguardo attento dell'amico.

«Non vorrei toccare un tasto ancora dolente» iniziò a dire lui, non appena Xenya poggiò i piedi sul terreno - una sensazione che in poco tempo sembrava diventata estranea. «Ma Zenith sarebbe dannatamente fiera di te.»

Il sorriso di vittoria si spense, diventando uno di amara realizzazione.

«Dovrebbe essere qui.» Xenya aveva perso il conto di quante volte aveva ormai detto quella frase - o anche solo pensata - come se fosse l'unica a sentirne la mancanza.

«Ed è per questo che bisogna far contare ogni singolo istante.» La terapia aveva fatto molto bene a Undrel: si era ripreso dal lutto, e nei suoi occhi non c'era più nessun rimpianto. Dentro le sue iridi scure aveva iniziato a bruciargli un fuoco così caldo che pure Xenya riusciva a percepirselo addosso.

In quel preciso frangente, anche se per il tempo di un solo respiro, Xenya credette che ce l'avrebbero fatta. Loro, insieme, avrebbero vinto la lotta del secolo.

Xenya tentò in tutti i modi di distrarsi da ciò che stava accadendo attorno a sé, di concentrarsi solo sulla sua arte e perfezionarla cosicché tutto quel caos potesse essere una sola, breve pagina del libro che in quei giorni si stava scrivendo.

A Roots non arrivavano le urla della guerra che stava infuriando nei pressi della recinzione. Ma Xenya poteva anche solo immaginarle, un tarlo ai confini della sua mente, notando come mano a mano le squadre di mutanti venissero chiamate per partire. E ancora. E ancora.

Non era un buon segno, lo sapeva, ma tutto ciò che poteva fare era restare presente e lavorare, perché quando sarebbe stato il suo turno - e sarebbe arrivato, non ci sarebbe stato margine d'errore.

Quel tardo pomeriggio, incuranti del coprifuoco che anche loro avrebbero dovuto rispettare una volta che il sole fosse sceso, Undrel e Xenya si ritrovarono per il combattimento corpo a corpo che il ragazzo aveva chiesto.

«Non andarci piano con me» disse Undrel mentre si toglieva la giacca. Eppure la temperatura stava diminuendo.

«Perché non la tieni addosso?» chiese infatti Xenya, avvicinandosi perplessa. «Ha delle caratteristiche che potrebbero esserti utili.»

«Nel corpo a corpo sarebbe solo un appiglio per il nemico... O almeno Yekson mi ha spiegato così.» Il ragazzo fece spallucce.

«Se Clock dovesse entrare a Roots, la tua giacca sarebbe davvero l'ultimo dei problemi.» Xenya sorrise amara, realizzando come non avrebbe potuto fare nulla per proteggere l'amico se mai l'ora di un'invasione fosse giunta.

«Non importa. Voglio imparare bene... Voglio imparare come voi

«Dovrei insegnarti anche qualcosa sulla repressione di ogni sentimento umano, in tal caso.» Xenya gli mise una mano sulla pelle. Nonostante l'aria sempre meno calda, il braccio di Undrel quasi scottava. «Battersi non è tanto questione di fisico, quanto piuttosto di spirito» gli spiegò. «Se credi in ciò per cui lotti, la volontà e lo spirito di conservazione faranno il resto - posso assicurartelo.»

«Ma...»

«Sì» lo interruppe subito. «Adesso combattiamo. Ma voglio che tu sappia che se il tuo cuore non è in uniscono con la tua mente allora puoi essere grosso tre volte il tuo avversario ma potresti perdere ugualmente.»

«Chiaro.» Undrel roteò le spalle per riscaldarsi. «Iniziamo?»

Xenya sorrise appena: stava ancora pensando se quell'incontro sarebbe stato per allenarlo fisicamente o per insegnargli una lezione sull'arroganza. Decise che la seconda sarebbe stata più proficua nel suo caso.

Fece un passo indietro e incrociò le braccia al petto, inclinando appena la testa per osservarlo attraverso le ciglia con aria di sfida. Per quella lezione le sarebbe servito che attaccasse senza pensarci due volte.

«Che stiamo aspettando?» gli domandò, distaccata.

Un ghigno guizzò sul volto dello sfidante, che come previsto si spinse in avanti per colmare la distanza e piombarle addosso. Xenya si rese conto che le avrebbero fatto comodo le ali libere per bilanciarsi meglio nello svolgimento della mossa che aveva in mente, ma non aveva intenzione di dargli una scusa per dire che lo scontro non era stato alla pari.

Senza spostare il piede sinistro, Xenya allungò il destro in un passo laterale, piegando il ginocchio e abbassando tutto il corpo su di esso. Strisciò poi veloce la gamba sinistra per fare lo sgambetto a Undrel che, concentrato com'era sul colpo che voleva assestrare lui, non fece caso a come aveva distribuito in modo errato il peso sulle sue gambe.

Nel roteare così veloce e così sbilanciata, Xenya dovette faticare per tenere le braccia incrociate al petto. Allargarle almeno in parte le avrebbe fatto comodo per non rischiare di perdere l'equilibrio, ma quella era una lezione sull'ego e se doveva fare l'arrogante allora l'avrebbe fatta fino in fondo.

Si assicurò che il suo stinco colpisse la caviglia con l'intensità e l'angolazione che voleva, e mentre fermava la sua rotazione, Xenya sentì un soddisfacente tonfo a terra alle sue spalle. Si rialzò, sempre a braccia incrociate, e si voltò a guardare Undrel che era a terra.

«Fare il cazzone non è mai una buona tattica» gli disse con un sorriso malvagio. «Specialmente se non sei lontanamente preparato quanto lo è il tuo avversario.»

Il ragazzo non disse niente mentre si alzava e si spolverava i pantaloni dal terreno secco.

«Devi essere consapevole di tre cose in ogni istante di uno scontro corpo a corpo: tutto te stesso, tutto l'avversario e tutto l'ambiente circostante. Tu non eri attento a nessuna delle tre.»

«A cosa potrebbe servirmi l'ambiente circostante?»

«A molte cose.» Xenya si guardò attorno per individuare qualche esempio. «C'è una conformazione del terreno che potrebbe darti qualche vantaggio? O darlo all'avversario? Ci sono armi o oggetti che potrebbero diventarlo?» Indicò qualche palo di legno rimasto dalla costruzione delle palizzate. «Le condizioni del luogo dello scontro impediscono l'uso di qualche tecnica?»

«Ad esempio?»

«Magari ha appena piovuto e quindi non si può contare sul solito attrito del terreno, o magari fa così caldo che il tuo avversario nudo e sudato è difficile da afferrare.»

«Come faccio a imparare tutte queste cose?»

Xenya corrugò le sopracciglia. «Solo con l'esperienza, temo. Non sono cose che si possono insegnare, sono cose che bisogna sperimentare.»

«E cosa puoi insegnarmi, allora?»

«Proviamo a scambiarci qualche pugno, e vediamo se riesco a correggere qualche errore.» Gli sorrise incoraggiante. «Spero tu sappia che non sei destinato al fronte almeno per un po'.»

«No, no... Ci mancherebbe altro!» Undrel ridacchiò.

Passarono un bel po' di tempo a picchiarsi a diverse intensità, scambiandosi pugni e poi calci e poi entrambi. Undrel non era un cattivo combattente - aveva la fisicità e i riflessi dalla sua, ma gli mancavano tutte quelle attenzioni da soldato che solo l'esperienza potevano dargli.

Quando suonò l'allarme che indicava l'entrata in gioco dei vampiri - e il conseguente coprifuoco per gli altri - Yekson li raggiunse.

«Cosa fate ancora qui?» domandò.

I due erano parecchio accaldati, entrambi senza giacca e sporchi di terra. Undrel aveva uno zigomo un po' troppo gonfio, ma solo perché aveva deciso di raggiungere lui stesso con la faccia il pugno che Xenya gli aveva tirato poco prima.

«Unisciti a noi» gli propose Undrel.

«Nel caso non ve ne foste accorti, è scattato il coprifuoco» li sgridò.

«Oh, ce ne siamo accorti eccome» rispose Xenya, dando uno schiaffo alle braccia di Undrel. «Tieni alta la guardia» gli ricordò.

«Sbaglio o dovresti essere un soldato anche tu?» lo sfidò Undrel, alzando le braccia. «Dimostralo.»

Yekson sbuffò, ma alla fine si tolse anche lui la giacca e si sgranchì polsi e spalle.

«Quale sarebbe l'obiettivo di tutto ciò?» domandò, cercando di mascherare l'interesse che lui stesso iniziava ad avere.

«Io sto giocando» ghignò malignamente Xenya. «Undrel invece le sta prendendo.»

«Non così tanto!» protestò lui, allungando il braccio per un gancio. Xenya lo parò e gli assestò uno schiaffo alla bocca dello stomaco.

«E io cosa dovrei fare, quindi?» Yekson, non più infastito, si avvicinò ai due.

«Mettiti anche tu contro di me» propose Undrel. «Vediamo se uno scienziato del Deserto Centrale riesce a tenere a bada ben due soldati del Progetto X.»

«Tecnicamente non ne stai tenendo a bada neanche uno» precisò Xenya, alzandosi in punta dei piedi per tirargli uno schiaffo in cima alla testa.

«Hai lanciato una sfida adesso, e mi dispiace se stanotte non riuscirai a dormire dal male.» Yekson schioccò il collo e si lanciò nella mischia.

Più che un vero a corpo a corpo, la situazione era quasi giocosa. I due soldati si alternavano nell'infastidire Undrel che, dal canto suo, non si difendeva affatto male. La stanchezza però lo stava cogliendo impreparato, allungando i suoi tempi di risposta già troppo lunghi per una lotta.

I due soldati lo stuzzicavano con schiaffi - più o meno lievi - alle zone che non teneva coperte e che si sarebbero potute rivelare ferite gravi o mortali. Lui assestava sempre più stancamente qualche pugno agli avversari. Xenya era comunque contenta: stava imparando a cosa avrebbe dovuto fare più attenzione se mai la guerra fosse arrivata fino a Roots.

Continuarono la loro sgangherata coreografia senza accorgersi del tempo. Quando Xenya risparmiò un respiro per guardarsi attorno, la luna riluceva alta nel cielo.

«Abbiamo di sicuro perso la cena» commentò, lei stessa a corto di fiato mentre Undrel cercava di colpirle il fianco approfittando della sua distrazione.

«Abbiamo cose più importanti da fare» espirò Yekson.

Xenya fu incapace di trattenere un sorriso mentre pensava a quanto fosse stato necessario quel momento. Loro tre, sfiniti e indolenziti sotto le stelle che avrebbero potuto non vedere mai più, che giocavano alla guerra come tre bambini e si isolavano da ciò che realmente imperversava fuori dalla loro bolla. Un momento necessario, per tutti.

I ritmi dell'allenamento rallentarono sempre di più mentre il buio li inghiottiva. Gli unici rumori attorno ai tre amici erano i loro respiri affannati, qualche animale selvatico, e i passi dei vampiri che perlustravano il perimetro degli accampamenti.

D'un tratto però, mentre i tre a malapena riuscivano a distinguere i loro lineamenti nel buio e sempre più colpi andavano a segno, un rametto si spezzò poco distante da loro. Xenya e Yekson si bloccarono di colpo, lasciando Undrel perplesso. Li copiò subito dopo.

Xenya tese le orecchie, respirando il più piano possibile e cercando di ignorare il battito ruggente del suo cuore. Foglie secche scricchiolarono dietro di loro. La ragazza si accovacciò subito ed estrasse le pistole dai suoi stivali. Erano cariche? Non ricordava, diamine.

Yekson la seguì senza pensarci due volte, facendo segno con la mano a Undrel di abbassarsi. C'era un luogo dove Undrel poteva nascondersi? L'apertura nella recinzione non era abbastanza vicina per farlo procedere ai livelli più interni di Roots senza che attirasse su di sé l'attenzione.

Accovacciata, Xenya si avvicinò piano piano ai due ragazzi, dando loro la schiena. Sperò che capissero i suoi intenti. Vide Yekson annuire appena mentre anche lui si avvicinava e premeva la propria spalla su quella di Xenya. Undrel, il più rumoroso di tutti con quel respiro che non accennava a calmarsi, a sua volta diede le spalle ai suoi amici e si voltò verso l'esterno.

Se erano venuti a prenderli, si sarebbero fatti valere. Nel silenzio rotto da passi in avvicinamento - pareva una sola persona persona -, si udì appena il fruscio che produsse Yekson quando estrasse due pugnali dalle sue fondine e ne passava uno a Undrel. Xenya cercò di non pensare che due coltelli avrebbero fatto ben poco e con attenzione rimosse la sicura alle sue armi.

Una sagoma si delineò in linea visiva con Yekson - Xenya la vide per prima. Non si stava nascondendo, avanzava con passo quasi trascinato. Un ferito? Yekson si irrigidì accanto a Xenya, chiaro segnale che anche lui aveva individuato il nemico.

Sempre ammesso che lo fosse.

Xenya avrebbe potuto riconoscere quella silhouette ovunque, ma la risata le fuggì dalle labbra solo quando il viso dello sconosciuto incontrò un lieve fascio di luce. Non fece nemmeno a tempo ad alzarsi in piedi che Undrel si lanciò come una furia sul malcapitato, facendoli cadere entrambi con un tonfo plateale.

I due soldati si alzarono e accorsero, trattenendo a stento le risate mentre l'attaccato aveva piantato Undrel a terra, bloccandogli il braccio con il coltello sopra la testa.

«Zeke!» esclamò Undrel, a corto di fiato mentre il pugnale gli scivolava dalla mano.

«Sì!» rispose lui, spingendosi in posizione eretta e guardando accigliato l'amico. «Assurdo! Vengo attaccato pure dagli amici!»

Xenya e Yekson stavano ridendo come matti, piegati sulle ginocchia e incapaci di controllarsi.

«L'adrenalina ti è andata alla testa?» chiese Xenya scherzosamente. Undrel si alzò da terra a sua volta, ancora sconvolto.

«C'è poco da ridere» tagliò corto Zeke con voce fredda e distaccata.

Xenya dovette sforzarsi per capirlo in quel buio, ma altrimenti sarebbe stato evidente: Zeke era stanco, spettinato al di là della semplice caduta e con una postura che non ricordava di avergli mai visto portare.

Tutti si ammutolirono, lasciando che l'ilarità, il divertimento e l'adrenalina scemassero nel vento notturno.

«Stanno morendo tutti» si limitò a dire Zeke, lasciandosi quasi cadere a terra e sedendosi abbracciando le proprie ginocchia al petto. Gli altri tre lo seguirono.

Xenya prese posto accanto a lui, passandogli meglio che poteva un braccio attorno alle spalle. Credeva che li avrebbe sgridati per aver violato il coprifuoco, che si sarebbe lamentato per non averlo incluso - e sarebbe stato meglio. Zeke appoggiò la testa sul braccio di Xenya, assumendo con il collo una strana angolazione. Forse chiuse gli occhi.

«Tre squadre diurne, una di vampiri di cui ancora non sappiamo l'esito. I proiettili di sangue li stanno decimando. Dovevamo sfiancarli, procedere con tempi ravvicinati per far sì che non potessero riorganizzarsi ma solo rispondere. Non è servito.»

Nessuno ebbe il coraggio di rispondere. Cosa avrebbero detto? Noi stavamo giocando mentre migliaia dei nostri morivano? La vergogna li colpì tutti e tre.

«Però stanno finendo» aggiunse Zeke, alzando la testa e iniziando a fissare il cielo punteggiato da stelle.

«I proiettili?» domandò Yekson.

«Sì. E a quel punto lanceremo la vera offensiva.»

Tutti presero a osservare il cielo, lanciando una silenziosa preghiera al firmamento affinché potesse dar loro le risorse o almeno una strategia che li portasse alla vittoria il più velocemente possibile.

«E noi stavamo giocando» sussurrò Undrel, abbassando la testa. «O meglio, abbiamo fatto corpo a corpo ma con scarsa serietà.»

«Non potevate fare altro» espirò Zeke. «Prepararci per quando verremo sopraffatti e goderci la compagnia reciproca è tutto ciò che possiamo fare.»

Nemmeno Xenya si prese la briga di contraddirlo. Chi era lei, cosa poteva fare lei per evitare che David si prendesse tutto ciò che aveva giurato di rubarle? Si passò una mano sulla fronte - il sudore si era raffreddato in fretta, proprio come il suo spirito. Fu Zeke ad abbracciarla, avvicinandola a sé prima di lasciarle un bacio sulla tempia come se l'avesse letta nel pensiero.

La ragazza si chiese se, per caso, quella sera fosse stata l'ultima che avrebbe trascorso in compagnia dei suoi amici.

«David si è visto?» chiese poi Yekson, a mezza voce. Undrel lo abbracciò.

«Ancora nulla» rispose Zeke.

«Arriverà» sussurrò Xenya prima ancora di aver formulato il pensiero. Chiuse gli occhi. «Arriverà.»

I quattro si guardarono negli occhi: erano partiti in cinque in quell'avventura scellerata, e sotto quelle stesse stelle Zenith se n'era andata. Chissà cosa sarebbe successo prima che Xenya riuscisse a uccidere David.

«Ce la farai» la incoraggiò Yekson.

«Basta solo che lo prendi a schiaffetti dove non è coperto, proprio come con me» aggiunse a Undrel.

Xenya trattenne una risata.

«Schiaffetti?» chiese Zeke. Il suo tono era tornato il solito, come se il ragazzo di cui Xenya si era innamorata tempo addietro non avesse subito alcuna perdita, alcun dolore. «E perché non mi avete invitato? Non c'è nulla di più divertente di vedere Undrel prenderle.»

«Ehi!»

Gli occhi di Xenya, senza fornire alcun preavviso, si riempirono di lacrime. Così decise di lasciarsi andare a un pianto liberatorio mentre passava un braccio attorno alla nuca di Zeke e un altro attorno a Yekson. Gli altri si unirono all'abbraccio di gruppo, stringendosi mentre Xenya singhiozzava senza alcun ritegno addosso ai loro petti e fu come se per una frazione di secondo tutto il mondo si fosse aggiustato e nessuna aspettativa gravasse più su alcuno di loro e Zenith fosse ancora lì e addestrare Undrel al corpo a corpo fosse la cosa più inutile e...

«Siamo tutto ciò che resta» sussurrò Zeke, anche la sua voce rotta dalla commozione. «Non puniamoci mai più per ciò che è stato.»

«E nemmeno per ciò che sarà» aggiunse Yekson. «Questa è la situazione più instabile della Terra, e ciò che viviamo potrebbe condizionarci come non vorremmo.»

«Non puniamoci e basta» sussurrò Xenya, tirando su col naso e lanciando un'occhiata alla luna. «Vogliamoci bene e proteggiamoci, nonostante tutto.»

L'abbraccio si strinse ancora un po'.

«Nonostante tutto.»

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