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Guardarla dormire era sempre bellissimo, ma farlo sapendo perché avesse quell'espressione beata era ancora meglio.
Zehekelion cercò di cacciare indietro l'orgoglio che sentiva montare e di lasciar trasparire solo la sua gioia non appena Xenya mugugnò.
«Buongiorno» le sussurrò, infilandole dietro l'orecchio la ciocca di capelli fiammanti che le era finita sul viso.
Lei borbottò qualcosa e si voltò dall'altro lato. Le accarezzò la testa e, incapace di trattenersi, fece scivolare le proprie dita prima sulle spalle e poi sulla schiena nuda di Xenya. Seguì con i polpastrelli il contorno dell'innesto delle ali dove la pelle pallida si era ispessita.
Lei si divincolò appena, solleticata dal tocco.
«Sei bellissima» le disse, chinandosi per lasciarle un bacio sulla tempia che non era premuta sul cuscino.
«Tu di più» bofonchiò.
«E sai come potresti esserlo ancora di più?»
Xenya si girò sulla schiena e aprì appena gli occhi, confusa e fin troppo assonnata. «Come?»
«Con un nuovo piercing per la tua seconda stagione tra gli elfi.»
Gli occhi di lei si illuminarono e di colpo tutta la stanchezza se n'era andata. Con una mano andò a toccare la piccola barretta metallica che aveva sulla punta dell'orecchio.
«Anche tu lo farai?» gli chiese, un sorriso divertito sulle labbra sottili.
«Non ho molta pelle libera ancora, ma penso proprio di sì.» Le accarezzò ancora la testa. «Tu sai già dove vorresti farlo?»
Annuì. «Appena sotto al primo, voglio procedere con ordine» spiegò.
Zeke sorrise. «Ovvio che vuoi procedere con ordine» la canzonò. «Io pensavo invece a sotto l'ombelico.»
«Si può fare?»
«Credo di sì... Comunque chiederò agli esperti.» Le fece l'occhiolino e si alzò, piegandosi sulla schiena perché era impossibile per lui stare eretto all'interno della tenda. «Forza, è tardi e credo che ormai sia ora.»
Xenya non se lo fece ripetere due volte e, dandogli la schiena come se non l'avesse già vista per tutta la notte, prese a vestirsi. Lui decise di lasciarle quel momento privato e uscì dalla tenda, sgranchendosi le spalle indolenzite.
Quando Xenya non avrebbe visto nessuno dei tre scienziati si sarebbe di sicuro allarmata e avrebbe chiesto spiegazioni. Se lei gli avesse chiesto che fine avessero fatto, lui non le avrebbe mentito. Dopotutto era convinto che, con la conclusione della vicenda di Ivy, anche l'ossessione per lo smeraldo si fosse almeno attenuata.
Meritava la verità, e poi era matura a sufficienza da capire che se si fosse avvicinata troppo allo smeraldo avrebbe messo a rischio l'intera missione. D'altro canto, lei si sarebbe preoccupata tanto quanto lui nel sapere i rischi che tutti e tre stavano correndo.
«Eccomi» si annunciò Xenya, uscendo dalla tenda con la cerniera rotta. «Andiamo?»
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Alla mensa, come accadeva solo in rari casi, erano presenti quasi tutti gli elfi. La voce sul fatto che quel giorni si sarebbero fatti i piercing doveva essere dilagata veloce.
Zeke sorrise, sorpreso lui stesso di essere già in fila dietro a Xenya.
«Non ti sei neanche lamentata che non hai ancora fatto colazione» le fece notare Zeke, chinandosi in avanti e sfiorandole la testa con le labbra.
«Beh, il cibo può aspettare.»
L'elfo sorrise, riprendendo a guardare davanti a sé.
Come ogni stagione, davanti alla fila che si districava tra i tavoli c'erano Onatah e Tala, le due signore di antichissima discendenza nativo americana le cui famiglie portano avanti le tradizioni e le condividono con gli elfi da quasi un decennio.
Accanto a loro, il figlio di Onatah - di cui Zeke si era scordato il nome - osservava assorto il lavoro della madre.
«Sono veloci» commentò Xenya, notando come la fila venisse smaltita in fretta.
«Stai forse insinuando che Zenith non fosse altrettanto brava?»
«Non mi permetterei mai.» Xenya ridacchiò e Zeke non poteva non ricordare il totale impegno che ci aveva messo la gemella per applicare il primo piercing ai due nuovi arrivati. Sembrava passata una vita.
In breve fu il loro turno, e Tala scrutò perplessa l'orecchio di Xenya.
«Questo l'hai fatto tu?» domandò, rivolta alla compagna. Onatah scosse la testa, infilando un ago tra le narici di una signora.
«L'ha fatto Zenith» intervenne Zeke. «Eravamo fuori Fronds la volta scorsa.»
«Capisco» si limitò a dire Tala. «Dille che non ha fatto proprio un pessimo lavoro, per essere la prima volta.»
Zeke si trattenne dal far presente che non era proprio la prima volta. Era capitato che lui non si svegliasse in tempo per essere punzecchiato dalle due donne e che quindi avesse chiesto a Zenith di occuparsene perché non voleva interrompere la sua serie.
«Dove lo vuoi, signorina?» chiese Tala.
«Avanti il prossimo» sbuffò Onatah. Zeke dovette andare dall'altra signora e si perse il dialogo di Xenya.
Zeke si avvicinò alla donna robusta e spiegò di volere una barretta al di sotto dell'ombelico. Lei annuì e lo invitò con un cenno della testa a spogliarsi dietro una tenda probabilmente rubata all'infermeria.
Lui si tolse la maglia e si abbassò un poco i pantaloni per facilitare la manovra a Onatah.
Lei nel frattempo sterilizzava i suoi strumenti. Si avvicinò e si chinò per osservare meglio la zona dell'addome che Zeke le aveva indicato. La disinfettò con un batuffolo di cotone poi sembrò prendere la mira.
«Tre, due...» E senza nemmeno attendere l'uno, lo infilzò.
Zeke inspirò profondamente. Non ricordava fosse così doloroso.
«Dovrai disinfettarlo molto bene almeno due volte al giorno» gli raccomandò Onatah, facendo passare la barretta metallica nel buco appena creato. «In questo posto tende a infettarsi con facilità. Ci metterà un po' a guarire.»
«E qualche buona notizia, no?»
Onatah si alzò da terra e lo guardò. «È molto figo lì.» Gli fece l'occhiolino e gli passò un pacco di salviette igienizzanti.
Senza altri convenevoli, uscì da dietro la tenda e Zeke la sentì chiamare il prossimo.
L'elfo si rivestì con molta cautela e, allontanandosi dalla zona piercing, si trovò davanti Xenya con la punta dell'orecchio un po' gonfia.
«Tu non fare la spia con loro, ma Zenith è stata più delicata» commentò lei. A Zeke sfuggì una risata di cui si pentì subito vista la fitta che arrivò dall'addome. «A proposito, dove sono tutti gli altri?»
La ragazza si alzò sulle punte dei piedi e prese a scandagliare la fila.
«In tutta onestà, sono a Minneapolis a fare esperimenti sullo smeraldo» ammise Zeke, tastandosi con la punta delle dita la zona attorno all'ombelico. «Possibilmente per portarti qualche arma utilizzabile. Mi hanno chiesto di non parlartene perché avevano paura che cercassi di raggiungerli.»
Xenya lo guardò storto. Lui sapeva già cosa stava pensando, quindi le fece un timido sorriso colpevole.
«Beh, avevano torto» disse, anche se dal tono di voce traspariva una vena d'ira. «Comunque comprendo il loro ragionamento, non li biasimo.» Sospirò.
La fila stava smaltendo in fretta, e mentre Xenya e Zeke finivano di sorseggiare le loro tazze di the freddo, toccò a Ger.
«Lui li fa sempre per ultimo, è tradizione» disse Zeke, poggiando la tazza sul tavolo.
Tutti i presenti nella mensa stavano in silenzio, e non appena Onatah finì di fargli l'ennesimo buco sull'orecchio, tutti applaudirono. Zeke e Xenya si unirono, anche se il volto della ragazza era perplesso.
«Il gesto di farsi fare i piercing viene vissuto come un rinnovo delle promesse di libertà da Clock, un giuramento alla causa per così dire» le spiegò.
«Credevo fosse tradizione.»
«Lo è. Alla fine, se una persona smette di credere in ciò che gli elfi hanno da offrire, se ne va e basta.»
«È mai capitato?» chiese Xenya.
«Non che io sappia. Ma in realtà quasi tutti gli elfi sono giunti qui di loro spontanea volontà, e i loro figli - nati qui o meno - sono in gran parte troppo giovani per poter comprendere quali sono le alternative.»
«Chiaro.» Xenya annuì tra se stessa, e Zeke capì che forse non avrebbe dovuto accennare ai bambini presenti a Roots. Dopotutto il fatto di essere stata abbandonata era una grossa ferita per lei. Sperava, anche se non ne era certo, che prima o poi si sarebbe rimarginata.
«Grazie a tutti per aver partecipato anche questa volta alla celebrazione della stagione.» Ger stava parlando con il suo tono da Capo degli elfi, e Zeke si stupiva ogni volta di quanto la sua voce fosse in grado di cambiare in base al ruolo che doveva interpretare. «Vi ricordo che oggi, per pura fatalità, coincide anche con il ritrovo dell'assemblea verde in preparazione al conflitto. Vi chiedo di partecipare se ve la sentite, soprattutto perché la guerra è sempre più vicina e se vogliamo proteggerci come la famiglia che oggi abbiamo ribadito di essere, è importante essere tutti un'unica arma.»
A Zeke scappò un sorriso. Erano poche le cose che invidiava davvero a Ger, ma l'abilità di usare le parole con tale maestria era sicuramente in cima alla lista.
«Andrò anch'io» disse Xenya, interrompendo i suoi ragionamenti. «Le persone devono sapere che ci sono per loro e che quindi possono fidarsi di me.»
«Soprattutto dopo gli episodi infelici di Ivy...»
«Hai intenzione di farmelo pesare per il resto della vita?» Nel tono di Xenya non c'era risentimento, solo una vena di vergogna.
«Hai ragione, scusami» le diede un bacio sulla fronte. «Adesso vai e dimostra a tutti che Clock non sarà in grado di reggere il confronto.»
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Xenya aveva preso la parola all'assemblea da qualche minuto, e Zeke era assorto nel sentirla impartire lezioni sulla strategia utilizzata dai Settori e sui punti deboli delle tenute da combattimento di Clock. Diamine, sarebbe stato perso anche nel sentirla disquisire su un sacco di patate.
Tirò fuori il suo taccuino e iniziò a fare uno schizzo della fata. Quella sua espressione concentrata e determinata valeva la pena di essere ricordata.
In poco tempo Zeke perse la concezione del tempo e, intento com'era a rappresentare la sua musa, si perse la spiegazione sul funzionamento delle bombe soniche sviluppate da due elfi ex soldati.
«Tolgono l'equilibrio ai soldati.» Zeke recepiva solo qualche informazione. «Ideali per poi attaccarli con strumenti non letali.»
Molti elfi erano contrari all'uccisione dei soldati di Clock, e Zeke lo sapeva. Nonostante ciò, era combattuto riguardo al fatto che avessero ragione o meno. Di certo il famigerato Progetto E, guardia personale di Eclipse, non si sarebbe fatto scrupoli a sfoderare le sue armi più letali.
Subito dopo fu il turno del maestro di lotta coi bastoni. Zeke aveva finito il suo disegno e lo guardava insoddisfatto mentre tutti gli elfi prendevano i loro bastoni e iniziavano a impratichirsi con gli affondi - tutti tranne Xenya.
«Dove vai?» le chiese Zeke, fermandola mentre cercava di allontanarsi senza dare nell'occhio.
«Ad allenarmi a sparare» rispose lei, come se fosse ovvio. «Se gli altri riusciranno davvero a creare proiettili con lo smeraldo, devo assicurarmi di non sbagliare nemmeno un colpo.»
«Prova ad allenarti con loro, invece» suggerì Zehekelion. «Sono convinto ti possa fare bene e ti possa dare una distrazione efficace contro i pensieri che ti vedo frullare in testa.»
«D'accordo.» Xenya sbuffò e roteò gli occhi, tornando però dove tutti gli elfi si stavano allenando.
Pur essendo passata una settimana dall'ultima volta che si erano riuniti, sembravano un'armata davvero letale.
Zeke lanciò un'altra occhiata al disegno e strappò la pagina, per nulla contento di come aveva rappresentato lo sguardo di Xenya. Decise dunque di iniziare un nuovo schizzo per rappresentare la soldatessa che, forse per la prima volta nella sua vita, tentava qualcosa che non le riusciva subito perfetto.
Aveva preso un bastone un po' troppo lungo per la sua statura e si era messa nelle retrovie. Definire solo sgraziati i movimenti che compiva era riduttivo: le sue manovre erano una copia davvero brutta di quelle degli altri. Zeke trattenne una risata.
Mentre gli elfi si destreggiavano in piroette e attacchi con salti, lei continuava a inciampare su se stessa e lanciare periodiche occhiate verso Zeke come a dirgli vedi che non dovrei essere qui?.
A un certo punto tirò addirittura una bastonata in testa a un grosso tizio davanti a lei, uno nuovo, e Zehekelion scoppiò a ridere.
La cosa più buffa dell'intera scena era che, nonostante le evidenti problematiche che Xenya aveva nel gestire il bastone, i movimenti che faceva erano sinuosi ed eleganti e mandavano a Zeke sensazioni alquanto contrastanti.
Qualche esercizio dopo, l'elfo stanco di ricevere colpi gratuiti si girò di scatto e, al contrario di quanto Zehekelion si aspettasse, iniziò a dare qualche dritta a Xenya. Si scambiarono i bastoni e le insegnò il modo giusto per reggere l'arma.
Il miglioramento fu subito visibile, ma Zeke non poté goderselo a lungo perché la lezione cambiò e fu il turno di Janice, la maestra di corpo a corpo.
Subito Xenya si diresse verso un ragazzo alto e longilineo. Di nome faceva Mateo, Zeke lo conosceva da tanto tempo ed era convinto che fosse stato scelto dalla fata perché aveva corporatura simile a quella di Eclipse.
All'inizio della lotta a coppie, Zeke notò con piacere che era un ambiente molto più affine a Xenya. in poche mosse atterrava il povero Mateo e solo di rado era lei a battere i due colpi di fine perché lui approfittava del fianco sinistro lasciato scoperto.
Alla prima pausa, quindi, Zeke si avvicinò per farglielo presente.
«Non pensavo notassi queste cose» gli sussurrò Xenya, divertita anche se fiera di lui.
«Quando si tratta di te, noto tutto.» Le diede un bacio. «In ogni caso, prova a chiedergli se se la sente di esercitarsi mentre tu voli» le suggerì.
«Sarebbe svantaggiato.»
«Sì, ma tu devi capire come sfruttare le tue ali nel combattimento.» Zeke le prese una mano. «Xenya, sono parte di te e potrebbero essere la chiave vincente per avere la meglio.»
Lei si limitò ad annuire e non appena la pausa finì si diresse da Mateo. Mentre Zeke si allontanava per prendere il suo ottimo posto da osservatore, vide il ragazzo annuire. Un po' gli dispiacque per lui.
Era strabiliante vedere cosa riuscisse a fare usando anche le ali. Bastava una spinta per permetterle di circondare il collo del malcapitato e, continuando la rotazione attorno a Mateo con un altro battito d'ali, si trovò dietro senza che lui se ne accorgesse. Facendo poi leva sul retro della sua caviglia, lo buttò a terra facendogli produrre un tonfo sordo che non faceva molto ben sperare.
Zeke si alzò e corse verso di loro.
Xenya lo stava aiutando ad alzarsi.
«Sto bene, sto bene» la rassicurò Mateo. «Però forse dovresti trovarti un avversario degno... Qualcuno di più robusto.»
Giusto il tempo di finire la frase che Honni, lo stilista mezzo stregone, si fece avanti togliendosi i guanti contenitivi. «Ti ho già stesa una volta, non dovrà essere più difficile ora.»
Zehekelion guardò Xenya, percependo il fuoco del suo orgoglio bruciare al punto da scottarlo.
«Questo lo credi tu.»
Non fu necessario che qualcuno desse inizio alle danze: non appena Mateo fu fuori dal raggio di azione dei due, Honni si scagliò contro Xenya.
Zeke fu sorpreso di notare che, nonostante la stazza, il mezzo stregone possedesse un'agilità estrema. Xenya schivava elegante ogni colpo, ma non aveva tempo di controbattere perché Honni non glielo dava. Dove l'omone non arrivava con i pugni, infatti, ci pensavano le scintille blu che scaturivano dalle sue dita, permettendogli di recuperare fiato e caricare il colpo successivo senza scoprirsi.
La soldatessa aveva colto il consiglio di Zeke e aveva iniziato a fare più attenzione al lato sinistro, usando in modo armonioso anche le ali per difendere le zone più deboli, causando però spasmi a quegli arti neri ogni qualvolta le scintille elettriche di Honni le colpissero. Nulla di grave, per fortuna, ma per qualche frazione di secondo era come se non rispondessero più ai suoi comandi.
Tutti i partecipanti alle lezioni, maestra Janice compresa, si ritrovarono attratti dallo scontro e circondarono i due combattenti lasciandosi andare a qualche raro sospiro di sorpresa che tranciava il silenzio teso.
Honni continuava a lanciarsi in pugni ed elettricità, ma quando a un certo punto tra le sue dita non apparve la scarica sperata Xenya ne approfittò e tentò la stessa manovra messa in atto prima con Mateo. Fallì, probabilmente a causa del peso molto maggiore dell'avversario, e in tutta risposta si prese un pugno alla bocca dello stomaco che la fece indietreggiare.
Zeke trattenne il respiro, preoccupato dell'esito che avrebbe potuto avere lo scontro.
«Già stufa, ragazzina?» la derise Honni, girandole attorno come un avvoltoio mentre si passava da una mano all'altra dei piccoli fulmini.
«Ti piacerebbe» sibilò Xenya. E senza utilizzare il tempo per riprendersi, la fata si scagliò in avanti rompendo il lento moto circolare che stavano avendo i due sfidanti.
Xenya richiamò le ali dietro la schiena e prese a destreggiarsi in calci e pugni a raffica. Nonostante i buoni propositi, la ragazza era lenta - troppo. Honni parava tutto e rispondeva con facilità disarmante.
Zeke ebbe l'impulso di urlare, costringere Xenya a utilizzare le ali e darsi una mossa, ma decise di stare zitto.
E per fortuna, perché quei colpi infelici erano una tattica per distrarre Honni.
Di colpo infatti Xenya si librò in aria, sopra la testa dall'espressione confusa di Honni, e gli tirò un calcio in pieno viso.
Lui barcollò all'indietro, tenendosi una mano davanti al naso che sanguinava copioso, mentre con l'altro braccio lanciava scintille in direzione della nemica.
Xenya dunque si alzò ancora di più nel cielo, sfruttando la mira poco precisa del mezzo stregone e sperando di accecarlo con la luce del sole.
Lui continuò a sparare scintille che però non erano in grado di raggiungere la fata. Ricadevano a terra tra gli spettatori emettendo sibili a contatto con l'erba. Spostò anche l'altra mano dal viso per avere più potenza di fuoco, ma non riusciva nemmeno ad avvicinarla.
Zeke era convinto che Xenya stesse ridendo dall'alto.
Poi di colpo chiuse le ali e piombò giù, atterrando in modo da essere quasi raso terra davanti a Honni. Senza dare il tempo a nessuno di capire cosa stesse succedendo, gli tirò due pugni all'addome seguiti da una ginocchiata. Honni cadde all'indietro.
Ecco, Zeke avrebbe voluto riuscire a catturare proprio quelle pose aggraziate eppure letali con cui Xenya aveva dimostrato il proprio valore.
Tra urli e fischi degli elfi attorno a loro, Xenya si avvicinò all'avversario e gli tese la mano per aiutarlo ad alzarsi.
«Credevo avresti parato il calcio» la sentì dire. Dal tono, Zeke capì subito che stava mentendo... Apprezzò comunque il tentativo.
«Fa niente» disse Honni, alzandosi e sistemandosi da solo il naso in una posizione più naturale. «Almeno adesso siamo pari.»
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