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La lanterna a olio che sfarfallava fu la prima cosa che vide dopo essersi riavuto. Se le luci alimentate a elettricità erano state spente significava una sola cosa: il coprifuoco era già entrato in vigore.

«E allora?» gli domandò Zenith, incrociando le braccia al petto. «Hai trovato quello che ci serve?»

Zehekelion scosse piano la testa. Considerando quel poco che aveva visto, era certo di aver perso i sensi per molto meno tempo del necessario.

La mente del ragazzo vagò per l'edificio scientifico, realizzando che la notte era ormai calata. E che loro, lì, non ci sarebbero proprio dovuti essere.

«Sono stato addormentato troppo poco» spiegò dopo un po', guardando assente un tavolo vuoto. «Mi serve più liquido.»

Al realizzare che la luna era di nuovo apparsa all'orizzonte gli strinse il cuore. Il buio gli ricordava tutti i bei momenti e, soprattutto, gli faceva sentire più che mai la mancanza di Xenya.

«L'ha rapita solo due giorni fa.» Undrel cercò di essere positivo, accarezzando la schiena ricurva di Yekson. «Possiamo riprovare domani, abbiamo ancora tempo.»

«Se l'ha portata ai Palazzi, però...» iniziò Zenith.

«Di sicuro è lì.» Gli occhi scuri di Yekson avevano perso la loro luce.

«E allora cosa aspetta a chiedere un riscatto?» domandò la ragazza, sedendosi sullo stesso tavolo che Zeke stava fissando. «A meno che...»

«Non l'ha uccisa, e non la ucciderà» sentenziò Zeke, perso nell'ennesimo tentativo di ricordare con esattezza l'accaduto. Era sicuro di ciò che diceva; ciò che aveva visto il giorno del rapimento era la prova che non sarebbe successo.

Zenith scosse appena il capo, per nulla convinta.

«Cos'hai intenzione di fare, allora?» Undrel stava pregando i presenti di andarsene. «Se Ger ci scoprisse...»

«Dobbiamo riprovare» interruppe Zehekelion. «Inietta più liquido» ordinò alla sorella, sbattendo poi le palpebre e riprendendosi dallo stato di trance.

«Rischi di rimanerci secco» lo avvisò, avvicinandosi comunque al carrello dove aveva riposto il materiale necessario.

«E guarda quanto me ne importa.» Ridacchiò senza alcuna convinzione, esponendo il collo alla siringa della sorella. «Devo rivedere tutto; se anche un solo dettaglio mi è sfuggito, devo coglierlo.»

La ragazza sospirò e iniettò il liquido della memoria.

Un sospiro.

Fu tutto quello che fece prima di ritrovare davanti a sé la ormai familiare visione di Xenya. La ragazza, seduta nel retro dell'auto dopo il sequestro di Zabu nel Settore Tre, era ancora una volta pallida e madida di sudore freddo mentre pronunciava le parole che Zeke sentiva rimbombargli nella mente da giorni.

«David. È David l'eclissi.»

Zeke vide la propria testa annuire, piano, prima di dare un'occhiata all'esterno e tornare a rivolgersi a Xenya.

«Dovremmo controllare che non abbia nessun localizzatore, te la senti o...»

«Ce la faccio» lo interruppe. «Ce la faccio» ripeté, ancora, quasi per autoconvincersene.

Il ragazzo si ritrovò a guardarla tastare gli avambracci del Primo Consigliere e poi scuotere la testa. Zeke percepì i propri muscoli tendersi in un sorriso prima di riprendere a guardare la foresta del Deserto Centrale che si avvicinava.

Più avanti.

Inspirò di colpo ancora una volta.

Ora Zehekelion si trovava nella tenda, a discutere con Ger sul da farsi. Il piano andava modificato.

Ancora più avanti.

Al terzo cambio temporale, si trovava dove voleva essere. La testa iniziò a dolergli più di quanto potesse ignorare - sforzare la propria memoria in quei termini era pericoloso, ma era disposto a fare di tutto pur di riportare Xenya a casa, sana e salva.

«Zehekelion, stai bene?» gli domandò il ricordo di Ger, scrutandolo accigliato.

«Sì» rispose il ragazzo. «Solo... qualcosa non mi convince. Siamo sicuri che Zabu non abbia nessun localizzatore?»

«Certo, l'abbiamo controllato più volte.» Zenith incrociò la braccia al petto. «E se pensi di poter fare meglio anche di un'ecografia, accomodati pure.»

«Sembra tutto troppo semplice...» Xenya sospirò, appoggiandosi alla parete.

Al rivederla in quel ricordo, Zeke si sentì tremare.

«Dobbiamo solo interrogarlo. Poi lo lasceremo andare, dopotutto non sa dove siamo.» Ger era sicuro di ciò che diceva. Gli sembrava davvero un piano infallibile, al tempo.

«Lasciatemi parlare con lui» propose Xenya, incrociando le braccia con risolutezza.

«Non se ne parla» la voce di Zehekelion uscì gelida come la prima volta. «Non possiamo lasciargli sapere che sei un'elfa, ora.»

«Come se già non lo sapessero, ai Palazzi.» Xenya scosse la testa, ridacchiando.

«Non possiamo esserne certi» anche Zenith intervenne.

«E per questo devi stare distante dalla zona nera» ordinò Ger. «Devi stare fuori dalla portata di chiunque e qualunque cosa anche minimamente collegata ai Palazzi.»

«Ma...»

«Nessun ma. Sei il nostro asso, qualunque cosa succeda. E devi stare fuori dai casini.»

L'avverarsi della profezia aveva scosso chiunque, nel profondo. Soprattutto perché anche ciò che sembrava certo si era sgretolato tra le dita. L'Eclissi, alla fine, non era una vera eclissi: era un giovane invasato a causa della vicinanza a persone ancora più invasate di lui.

«Zeke, stai con lei» intimò Ger, lanciando sguardi infuocati in lungo e in largo per la tenda.

Ma prima che potessero andarsene la porta si spalancò di colpo.

Il volto smunto di Yekson fece capolino nel campo visivo di ogni presente, seguito subito dal terrorizzante pallore di Undrel.

«Sempre insieme, eh?» Zenith cercò, invano, di nascondere la propria preoccupazione.

«Non c'è tempo di fare battute.» Il tono di voce di Yekson era tanto basso quanto fermo. Al solo ripercorrere il ricordo, il sangue si gelò di nuovo nelle vene a Zehekelion. «Stanno arrivando.»

Nessuno ebbe nemmeno l'impulso di dubitare della cosa. Ci credevano, perché nel loro profondo sapevano che qualcosa del genere, prima o poi, sarebbe successo.

«Vado a...» Xenya provò a parlare.

«No» la bloccò subito Ger, intuendo la sua proposta. «Esci dall'accampamento dalla parte agricola. Se David è qui, non deve trovarti. Scappa.»

«Ger» lo pregò, non ottenendo però nemmeno uno sguardo in cambio.

«Zehekelion» ordinò invece. «Devi occuparti di Zabu.»

«Certo.» Il ragazzo si vide annuire, guardando però nella direzione di Xenya.

«Zenith, Undrel, Yekson» chiamò Ger. «Non c'è tempo per suonare l'allarme: insieme a me dovrete evacuare tutti gli elfi che potete. Però dovrete farli uscire dall'ingresso principale: Xenya non deve essere avvicinata da nessuno per nessun motivo.»

«D'accordo.»

«Zeke...» sospirò Xenya, disorientata.

«Me la caverò» la rassicurò, annuendo appena. «Ora devi andartene, per te stessa e per tutti coloro che sono qui.»

La ragazza annuì e, dopo un breve momento di esitazione, si lanciò fuori dalla porta della tenda.

«Andiamo» ordinò Ger, battendo le mani ed entrando di colpo in modalità difensiva.

Quasi si fiondarono all'esterno e, mentre si stavano riabituando alla luminosità esterna, sul volto di Ger si scorse la tipica espressione che assumeva quando sapeva di non aver preso tutte le precauzioni possibili e immaginabili.

«Zehekelion, vai con lei. Ha bisogno di te» disse, serio.

Il ragazzo perse un battito.

«E Zabu?»

«Ce ne occuperemo noi. Vai.»

Zeke corse a perdifiato lungo i sentieri che lo separavano dalla zona agricola. Ricordandolo sentiva ancora il terrore che aveva provato in quegli istanti esatti.

Ma, quando fu arrivato nei pressi dell'uscita, era già troppo tardi.

David Strength. Eclipse.

Il giovane era alto a dismisura, innalzato da due gambe robotiche che gli permettevano di innalzarsi sopra a Xenya di un metro buono.

L'avanzata di Zeke venne bloccata prima dal terrore della realizzazione e, subito dopo, da due enormi soldati che lo sollevarono per le braccia.

Zehekelion sentì ancora l'impulso di urlare morirgli in gola.

Scappa! avrebbe voluto urlare a Xenya. Ma lei, al contrario di lui, era ancorata al terreno.

E non per colpa di due soldati. Né per colpa di Eclipse, nemmeno per colpa della paura glaciale che invece scorreva nelle vene di Zeke.

Ma per via di qualcosa che accecò il ragazzo, qualcosa che brillava negli occhi dei due e che si era in grado di osservare nonostante la distanza.

Un ricordo, un passato che entrambi sapevano non sarebbe tornato ma che ancora li legava.

E rivivendo la scena a mente lucida, Zeke si accorse di quanto evidente fosse che Eclipse non le avrebbe mai fatto del male intenzionalmente. Perché, per lui, Xenya rappresentava qualcosa di molto diverso rispetto a un nemico.

Ma il dolore più forte fu vedere che anche per Xenya, dietro a quel mostro, c'era qualcosa di diverso dal male.

Le ali di Eclipse, identiche a quelle di Xenya per la struttura ma ampie quasi il doppio, nascondevano a Zehekelion quasi la totalità della scena. Il ragazzo poteva solo udire quell'accenno di conversazione che gli sarebbe rimasta impressa nella mente per ogni notte successiva all'accaduto.

«Alla fine le fate si sono riunite» disse Eclipse, fermo, senza nessuna nota di ironia nella voce.

Xenya non rispose, né mosse la chioma rossa che si vedeva da dietro un'ala.

«Non hai nulla da dire?» le chiese il mostro, piegandosi appena sulle ginocchia e lasciando che anche il busto di Xenya fosse visibile.

Presa com'era a sostenere lo sguardo di Eclipse, nemmeno si accorse di Zehekelion che, in distanza, si sentiva scuotere dalla rabbia.

«Cosa ti hanno fatto, David?» chiese Xenya, con un dolore nella voce che Zeke non sapeva spiegarsi.

«Oh» ridacchiò Eclipse. «Non sono più David.»

E, allungando appena un braccio e aprendo il palmo della mano, fece sì che gli occhi di Xenya si ribaltassero. La ragazza si afflosciò sulle proprie gambe, subito sostenuta da Eclipse.

«No!» strepitò Zeke, iniziando a scalciare l'aria mentre i due soldati lo stringevano senza alcuna possibilità di fuga.

L'urlo attirò l'attenzione di Eclipse che, con i suoi lunghi arti inferiori robotici, si avvicinò al ragazzo con una lentezza disarmante.

Si posizionò davanti ai tre uomini, reggendo il corpo esanime di Xenya tra le braccia, anch'esse metalliche.

«Tu devi essere la cavia delle onde stordenti.»

Zeke non riuscì a rispondere, limitandosi solo a stringere i denti, furioso. Anche Xenya doveva essere stata vittima di quell'orrore, viste le condizioni in cui versava.

«Sì, devi essere stato proprio tu a provarle per prime dal drone.» Eclipse inclinò la testa, scrutando l'elfo con un occhio azzurro e uno del tutto bianco. «Dovrei ringraziarti, dunque?»

Non ricevendo nessun segno dal suo interlocutore, Eclipse sorrise appena e si rivolse ai propri soldati.

«Storditelo e richiamate le truppe. Abbiamo tutto ciò che ci serve.»

«Sissignore» risposero all'unisono i due soldati, mollando di colpo Zeke.

Il ragazzo finì a terra ma, prima di essere colpito di nuovo dalle onde stordenti emesse dalle armi dei due soldati, riuscì a vedere ciò per cui aveva rivissuto tutto quel dolore.

Eclipse, con Xenya, diede un primo battito d'ali e volò verso nord. Volò verso i Palazzi.

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