A Kate, pietra d'angolo della trilogia.

«Tieni duro» implorò.

Xenya non sapeva se stesse davvero succedendo.

Non sentiva più le braccia, né le gambe. Aveva la testa pesante. Aveva freddo, davvero freddo.

Si sforzò di aprire gli occhi. Non era certa di esserci riuscita, ma era convinta di vedere il volto di Zeke sopra di lei, i capelli scompigliati e bagnati che ondeggiavano. Anche lui ondeggiava. Tutto ondeggiava.

«Ci siamo quasi.» Xenya vide le labbra del ragazzo muoversi, ma il suono giunse solo successivamente. «I genitori di Yekson...»

«Cinquantatré» si sforzò di dire lei. Sono al Settore Cinquantatré avrebbe voluto dirgli, ma non ce la faceva.

Aveva così male che non sentiva più male. Non voleva sentire più male.

Chiuse ancora gli occhi. Aveva troppo sonno.

«No, no

Mi sveglio di soprassalto, madida di sudore. Sto stringendo le lenzuola tra i pugni.

Mi ci vuole qualche istante per regolarizzare il respiro e ricordarmi che è tutto passato, che sono al sicuro, che sono guarita, che non devo più lottare. Inspiro ed espiro, lenta, proprio come mi hanno insegnato.

Sono salva.

Ma la salvezza è ancora un concetto strano.

Lancio uno sguardo fuori dalla finestra. Il sole si è abbassato di parecchio rispetto a quando mi sono addormentata, dorando i frutteti poco distanti - il mio sonnellino pomeridiano è durato più del previsto.

Tendo le orecchie per udire se c'è qualcuno in casa, ma Zeke non è ancora tornato. Decido quindi di alzarmi e di andare a vedere l'ennesimo tramonto dal tetto della nostra casa.

Recupero la scala a pioli dal ripostiglio e la trascino fuori dalla porta facendole emettere stridii sospetti. La poggio sul muro esterno e prendo un altro respiro profondo.

Sono salva.

Mi erpico sulla scala, lenta, inconsciamente ancora attenta a non dare troppo peso alla gamba sinistra. Sono passati mesi dall'intervento, ma ancora fatico a fidarmi di quell'arto. Giungo in cima al tetto un po' senza fiato, rimproverandomi mentalmente perché presto dovrò ricominciare ad allenarmi se voglio riprendere a fare il mio lavoro.

Sorrido, sedendomi. Yekson è stato gentile a offrirmi di formare le nuove pattuglie. Tutti gli scienziati di quello che fu l'Ordine di Clock stanno lavorando su una cura per i troll, ma finché non verrà trovata dobbiamo assicurarci che le città restino protette dai loro attacchi.

Spingo il mio sguardo avanti, scorgendo quelle costruzioni che erano state la mia mensa, il mio dormitorio, la mia caserma, la mia scuola. Sono edifici tristi e spenti, circondati da piccole costruzioni dove le persone si stanno insediando.

Ridacchio tra me, di colpo consapevole della bellezza dello spettacolo. La nuova città Cinquantatré sta prendendo nuova vita, così strana eppure meravigliosa. I vicini, vedendomi, penseranno che sono pazza - sempre non l'abbiano già capito tempo fa.

Haval, che abita qualche casa più a est, richiama i figli che stanno giocando con gli altri bambini del quartiere. I due lo ignorano, quindi al terzo richiamo passato inudito, l'uomo si toglie i guanti e il giocattolo dei ragazzi gli sfreccia tra le mani.

«Lo sapete che non mi faccio problemi!» li sfida, dando loro le spalle e rientrando a casa. I bambini, sconfitti e imbronciati, lo seguono mesti in casa.

Il sole aumenta la propria velocità di discesa, irrorando i campi con una luce calda e familiare. Le persone al lavoro stanno tornando verso le proprie dimore. Tutto è come sarebbe sempre dovuto essere, e proprio questa realizzazione mi mette in pace.

Il mondo è proprio un vortice. Ti risucchia da un giorno che sembra avere tutte le carte in regola per essere monotono e ti sputa in situazioni che fino a un attimo prima sembravano più grosse di te. A quel punto spetta a te decidere cosa fare.

Non sempre si è perfettamente preparati ad affrontare le situazioni buie. Ma la persona forte sa riconoscere i propri punti deboli e sa muoversi a passo di danza attorno a questi, magari sfruttando ciò che essi le hanno insegnato, fino a quando non esce dall'oscurità ballando.

In alternativa si potrebbe pensare di affrontare il vortice stesso, con o senza coltello tra i denti, in ogni caso fino a uscirne sanguinanti ma magari vincitori. Non è detto che la situazione che ci si parerà davanti sia necessariamente migliore, o quella che ci si aspettava, ma almeno ci si arriva con la consapevolezza che tutto ciò che si è subito, tutte le proprie scelte e tutte le più strane probabilità ci hanno portato lì.

«Eccoti qui» esclama Zeke, salito anche lui sul tetto. Si siede accanto a me e passa un braccio attorno alle mie spalle, attento a non toccare gli attacchi delle ali.

«Com'è andata a scuola oggi?» gli chiedo. Dalla pesantezza del suo braccio che mi avvolge, capisco deve essere stata un'altra giornata parecchio intensa.

«Non è facile insegnare a leggere e scrivere a persone di età così diverse.»

«Lo dici ogni giorno» mi lamento.

«Perché è la verità.» Non mi serve guardarlo per sapere che sta sorridendo. «Non vorrei fare nient'altro, comunque.»

«Lo so, e tutti loro sono davvero fortunati ad averti.»

Zeke sospira. Deve ancora migliorare nel ricevere complimenti, ma il fatto che non cerchi di sminuirsi è già un successo.

«Tra poco è ora di cena» mi informa, stringendo un po' il braccio attorno a me.

«Mi sono appena svegliata...» borbotto, girandomi a guardarlo. I raggi caldi del sole gli colpiscono il viso in modo a dir poco affascinante, disegnandoli contrasti di chiaroscuro sugli zigomi e donando di ulteriore magnetismo le sue iridi calde.

«Viene Yekson stasera, ricordi?» si volta verso di me, un sorriso appena accennato.

«Caspita, vero.» Metto il broncio, poggiandogli la testa su una spalla. «E non è molto rispettoso ignorare il nuovissimo sindaco, vero?»

«Penso potresti passarla liscia visti i vostri trascorsi, ma fossi in te non rischierei.» Mi lascia un bacio sulla testa, e poi mi stringe a sé.

Respiro l'aria fresca del Cinquantatré. Tutto, in questo nuovo mondo dopo il regno di Eclipse, è così naturale e surreale al contempo. Mi accoccolo a Zeke, avvolgendo le mie ali attorno a noi.

C'è chi dice che il fato non esiste. Che tutto avviene per un motivo.

Ma ora, guardando il sole che tramonta all'orizzonte mentre gli ultimi schiamazzi si spengono in favore del rumore delle stoviglie, mi convinco ancora una volta che il fato sia la cosa più spettacolare dell'esistenza umana. Che sia bella o brutta, spetta a noi.

Spetta a me.

Sono Xenya Cass, e sono destinata a grandi cose.

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