8.
Il giocattolaio si avvicinò e mi sollevò con cura dal terreno. Mi ritrovai tenuto in braccio come una sposa, o come una grossa bambola con il vestitino sporco di terra. Era più alto di quanto immaginavo, forse a causa delle zampe da uccello, ipotizzai. Sta di fatto che non osai muovermi per paura di cadere. Troppo debole per poter reagire mi lasciai trasportare fino alla grossa poltrona.
«Oh, ma tu sei ferito!», esclamò notando i graffi sulle mie braccia. «Aspetta qui, vado a prenderti qualcosa per fermare il sangue». Si allontanò verso l'altro lato del tavolo, agitando la coda squamata.
Il mio cuore batteva con una forza tale da sembrare sul punto di sfondare la cassa toracica. Non potevo rimanere così senza reagire. Mi guardai attorno e trovai le scarpette nere che si erano sfilate quando le mie gambe erano diventate quelle di un animale. Non potevano certo aiutarmi quelle. Stavo per arrendermi, quando vidi la lunga forbice da cucito abbandonata sul piattino vicino a me. Senza pensarci due volte la presi, nascondendola tra le pieghe del vestito. Appena in tempo, prima che l'essere tornasse alla poltrona.
«Adesso devi stare fermo.», mi ammonì, versando del liquido chiaro sulle mie braccia. L'odore di alcol misto al medicinale riempì l'aria.
La creatura mi tenne saldamente le braccia, per evitare che le spostassi durante la medicazione. I tagli iniziarono a bruciare, ma sopportai il dolore dando sfogo solo a qualche lamento.
«Lo so, scusa. Ho quasi finito.»
Avvolse sopra delle fasce, con una delicatezza tale che non avrei mai attribuito a uno di quell'aspetto. Si girò poi a cercare qualcosa sul tavolo, ma non trovandola lì iniziò a frugare nella scatola di latta. Alla fine estrasse un paio di forbici più piccole di quelle che tenevo nascoste sotto alla gonna.
«Ecco fatto.», disse lasciandomi finalmente libero di muovermi, anche se per poco.
Sciurus arrivò saltellando e rapidamente mi circondò braccia e gambe con un nastro di tessuto rosso, bloccandomi così in quella posizione.
Il mostro si sedette sulla sedia al mio fianco e prese ad accarezzare la testa dello scoiattolo.
«Hai barato!», esclamai, riprendendomi dallo shock iniziale.
«Dovevi uscire dal cancello, l'hai fatto? No.», rimarcò, lasciando andare l'animale. «Hai perso. Ora rimani qui per sempre.»
Quel ragionamento non mi convinceva molto, ma avevo altro a cui pensare al momento. Da un po' sentivo una strana sensazione alla testa, come se fosse più pesante. Mi guardai attorno, in cerca di qualcosa in cui specchiarmi.
«Vuoi questo?», intuì lui, estraendo uno specchietto dalla scatola del cucito.
Quando mi vidi stentavo a crederci. Le mie orecchie non erano più le stesse, erano diventate quelle di un cerbiatto. La fitta che prima avevo sentito era dovuta alle piccole corna che crescevano.
Il giocattolaio mi appoggiò una mano in testa e ridacchiando scompigliò i candidi capelli.
«Sono un cervo!?», squittii sorpreso.
«Non del tutto, sei giusto il necessario che ti impedisce di andartene.», chiarì il giocattolaio.
«Perché sono un cervo?», insistetti, tornando con lo sguardo alle pelose gambe.
«Vedi, è risaputo che chiunque mangi qualcosa nella Foresta delle Meraviglie subisca una maledizione. Essa è il venir trasformato in un animale.», raccontò lui.
«Non è giusto! Tu mi hai dato il cibo. Perché l'hai fatto?», mi agitai indignato.
«Non potevo darti l'antidoto senza aver prima avuto la conferma che tu avessi già mangiato qualcosa. Ti avrebbe ucciso all'istante.», spiegò con tono calmo.
«Adesso che hai avuto la conferma potresti darmelo subito?! Voglio tornare come ero prima.», lo incalzai.
«Non preoccuparti, hai già preso l'antidoto, ma ci mette un po' a fare effetto. Potresti sentirti male, ti consiglio di mangiare qualcosa nel mentre se non vuoi svenire.», mi avvicinò un piattino di pasticcini.
Ignorai il suo gesto e cercai con lo sguardo qualsiasi cosa assomigliasse vagamente a un antidoto. Sul tavolo non c'erano ampolle di alcun genere. Forse era nel liquido che aveva usato sulle mie ferite, ma qualcosa mi diceva che si trovava altrove. In fine mi arresi e gli domandai dove fosse.
«Vuoi sapere cos'è? Lo tengo qui dentro, è più semplice somministrarlo in questo modo.», rivelò lui, alzando il coperchio della teiera.
Allungai lo sguardo sul tavolo e vidi ciò che galleggiava all'interno del tè. Un cuore grande come un pugno pulsava colorando l'acqua e i petali di sangue.
Avrei voluto vomitare, ma non avevo abbastanza da sputare fuori dallo stomaco, quindi mi limitai a distogliere lo sguardo da quello spettacolo.
«Lo so, non è un granché, ma le ho provate tutte per rendere il sapore migliore. Non ti senti bene? È una buona notizia, vuol dire che sta iniziando a fare effetto. Adesso bevi, ti sarai disidratato dopo lo sforzo che hai fatto.», continuò, versando altro tè in una tazzina.
«Ti ringrazio per esserti preoccupato della mia salute, ma adesso vorrei che mi liberassi. Devo tornare dai miei compagni, anche loro avranno bisogno dell'antidoto.», ripresi ansioso.
«Non puoi andartene, ricordi? Hai perso il gioco, dovrai rimanere qui per sempre.», ridacchiò.
«Non puoi tenermi prigioniero! È sbagliato.»
«Se te ne andrai finirai di nuovo in pericolo, sei una persona parecchio ingenua. Ti terrò io qui al sicuro, sarà divertente passare del tempo insieme. Ti posso assicurare che nonostante le apparenze non sono cattivo. Adesso bevine ancora, ti aiuterà a pensare con chiarezza.», ripeté porgendomi nuovamente la tazzina.
«No, non voglio più niente da te!», risposi freddamente.
«Non puoi continuare così. Se non assumi vitamine finirai per sentirti debole e perdere i sensi. Ecco, prendi almeno un po' d'acqua». Afferrò una caraffa piena del liquido e ne riempì un bicchiere. Avevo le mani legate, quindi lo avvicinò lui alla bocca, ma io mi rifiutai di aprirla.
«È solo acqua, te lo prometto. Non voglio farti niente di male.», insistette spingendo il bordo del bicchiere contro le mie labbra. «Ti prego. Starai male se non prendi qualcosa.»
Spostai la testa, cercando di scappare. In tutta risposta, la creatura, mi afferrò per il mento e con forza mi costrinse ad aprire le bocca. Ci versò dentro un po' del liquido trasparente e mi lasciò andare. «Come stai adesso?»
Non risposi. L'acqua mi era andata di traverso, costringendomi a tossire e sputacchiarla sugli abiti. Avevo impressa negli occhi l'immagine del viso del giocattolaio. Un sorriso forzato, troppo lungo a causa dei tagli alla bocca, e gli occhi spalancati dalla preoccupazione. Sembrava dispiaciuto per quello che stava facendo, ma allo stesso tempo lo voleva.
«Hey, ragazzino. Come ti senti?», domandò l'uomo.
Alzai lo sguardo, mi trovavo sulla strada di mattoni rossi. Tony, Miren e Fumio si erano voltati verso di me con espressione confusa.
«Come ci sono arrivato qui?», mormorai.
Tony si voltò verso gli altri, come per chiedere un aiuto, ma nessuno accennava a rispondergli. A questo punto, con l'espressione più seria che potesse fare, alzò una mano al cielo e attese.
«Non ricordi la guerra?», suggerì la voce fuori campo.
«Che guerra?», domandai, girandomi in cerca della persona che aveva parlato.
«Quella con i cani partigiani.», rispose Fumio sistemandosi il cappello.
«Cani partigiani?», insistetti, ancora più confuso.
«Sì, avevano anche dei grossi carri armati a forma di cane»
«Non ricordo.», sussurrai distogliendo lo sguardo.
In questo modo notai le macchie rosso scuro sul mio abito. Era sangue secco, ma di certo non mio. In mano stringevo, fino a farmi diventare le nocche bianche, un paio di lunghe forbici argentate. Le lasciai cadere a terra e presi a osservare il segno delle unghie rimasto inciso sull'interno del pollice.
Stavo tremando. Sentii in bocca il sapore ferroso del sangue, mi ero morso con forza il labbro.
«Cos'è successo? P-perché sono...», balbettai gesticolando verso il sangue che avevo addosso.
«Ehm, scusate, qual era?», chiese Tony guardandosi intorno.
«Taglia! Non abbiamo tempo.», gridò la voce sconosciuta.
«No, aspetta! Voi avete mangiato il cibo, dovreste essere diventati tutti animali.», mi sforzai di ricordare. «Lui lo è ancora!»
«Stai insinuando che io sarei un'animale?!», esclamò Fumio indignato.
«Sì... No? Il giocattolaio ha detto che...», provai a spiegare.
«Non abbiamo già fatto quelle scene?», sussurrò Tony confuso.
«Non ricordi di averci salvato?», indagò Miren a voce più alta. «Eravamo ormai diventati dei mostruosi ammassi di carne quasi privi di coscienza, quando tu sei arrivato e ci hai fatto bere l'antidoto.»
Sforzai il mio pensiero e riuscii a rivedere alcune scene di ciò che mi era appena stato narrato. Come avevo fatto a dimenticare di essere scappato nel bosco in cerca dei miei compagni? Con me avevo portato anche l'antidoto per salvarli. Per non parlare del terrore che avevo provato una volta visto in che situazione riversavano i loro corpi.
Solo Fumio non sembrava essere stato colpito dalla maledizione, in quanto animale non ci aveva fatto caso.
Era scappato non appena aveva percepito l'inizio della trasformazione degli altri. Avevo impiegato una buona mezz'ora a cercarlo, per poi scoprirlo nascosto nella cavità di un'albero, da lui nominata nuova casa. Non ricordavo altro di quello successo prima o dopo.
«Dobbiamo andare, siamo quasi arrivati!», si affrettò a concludere Tony, riprendendo il cammino.
Miren si avvicinò a me, incitandomi con un gesto a seguirli. Le mie gambe erano tornate normali, e stessa cosa valeva per la testa. L'unica cosa diversa, oltre che al sangue e le bende, era un fiocco nero legato al vestito. Perlomeno da quella esperienza avevo ricavato qualcosa di buono.
La strada di sangue stava per giungere al termine. Non troppo distante potevo vedere il gigantesco castello bianco coperto da rosse nubi temporalesche. Prima di esso bisognava però superare una grossa città. Avvicinandoci distinsi enormi palazzi grigi e grattacieli di finestre.
«La città di REM. Magnifica come sempre.», sospirò Fumio.
«La ricordavo meno... Sai, meno in fiamme.», commentò Miren.
Aveva ragione, in effetti la città era a pezzi e ricoperta di fiamme ardenti. Alcune automobili si trovavano ribaltate ai lati della strada, con i finestrini e le portiere distrutte. I pali della luce e della segnaletica erano stati piegati o strappati da terra e conficcati in qualche vetrina.
«Come arriviamo al castello?»
«Attraversiamo la città.», rispose Tony, in modo ovvio.
«Come possiamo arrivare al castello senza morire?», riformulai.
«Non ci sono altri modi. Il massimo che possiamo fare è percorrere un pezzo nella fabbrica.», spiegò Miren.
«Dove sarebbe?», allungai lo sguardo.
«Vedi quell'edificio laggiù, vicino al grosso nido? Quella è la fabbrica.», sbuffò Fumio, pulendosi gli occhiali con un lembo della giacca.
«Chi vive nel nido?», chiesi, temendo già la risposta.
«I draghi, ovviamente.», continuò lui. «E con questo abbiamo stabilito che è impossibile raggiungere il castello.»
«Non possiamo arrenderci ora!», esclamai.
«Non lo faremo. La regina ha bisogno di noi.», mi rassicurò l'uomo grigio.
«Andate pure senza di me. Sono troppo codardo per gettarmi a combattere i draghi tra le fiamme.», il maiale si tirò indietro.
«Addio.», lo salutò Tony, dirigendosi verso la fabbrica.
Fumio inizialmente sembrò restarci male, ma si limitò a scuotere la testa e ritornare sui suoi passi. Rimasi qualche secondo a guardarlo allontanarsi, poi seguii gli altri.
A ogni curva si ergeva un muro di rosse fiamme. Respiravo a fatica, l'aria era soffocante e mi seccava la gola. Inciampai e finii per rotolare a terra. L'asfalto era caldo, quasi sul punto di sciogliersi, pensai.
Miren non sembrava riscontrare alcun tipo di complicanza. Al contrario, Tony pareva come terrorizzato dalle fiamme, continuando a sobbalzare a ogni passo, senza però volerlo dare troppo a vedere. Fu innegabile la sua paura quando il poncho che indossava prese fuoco. Lo gettò via con una forza tale da lanciarlo dall'altro lato della strada. I successivi cinque minuti li passò a scuotersi come se un insetto gli si fosse posato addosso.
Scoprii così che la pistola che si portava sempre dietro era attaccata alla cintura.
Un'altra informazione che si aggiunse alla mia lista fu l'esatta forma del suo corpo. Una volta in un'intervista l'attore che lo interpretava aveva rivelato di essere spaventato dall'idea di poter diventare magro. Osservando la muscolatura di Tony, attraverso l'aderente maglietta nera che indossava, non avrei saputo come definirlo.
Le numerose missioni svolte nei suoi film ne avevano modellato il fisico robusto, ma il suo amore per il cibo spazzatura gli aveva donato la classica pancetta da bevitore di birra. L'unica cosa che contava però era che a lui non fregasse per nulla di come apparisse, fintantoché non fosse magro.
Una volta raggiunto l'edificio trovammo la porta spaccata da una fila di grossi artigli. Ignorammo i chiari avvisi di pericolo ed entrammo, nonostante il timore che iniziavo a provare. Il silenzio regnava sovrano in quel luogo illuminato solo dal fuoco all'esterno.
«Adesso dove andiamo?», sussurrai.
«Al piano di sopra ci dev'essere una scala per...», iniziò a dire Miren, ma fu interrotto da un urlo.
«Il maiale si è fatto beccare.», ridacchiò Tony.
Dopo pochi secondi, come predetto dall'uomo, si palesò Fumio, intento a fuggire per i corridoi. «Correte! Sta arrivando!», gridò sfrecciandoci affianco.
Un gigantesco rettile sputafuoco lo stava inseguendo. Mai in vita mia avevo visto drago più arrabbiato di quello. Senza pensarci troppo iniziammo a correre anche noi.
Dovetti prendere Tony per mano, perché sembrava proprio intenzionato a combattere il mostro a colpi di arma da fuoco.
Aprimmo una porta, ritrovandoci in una stanza piena di meccanismi, come l'interno di un grande orologio. Una catena di montaggio spediva vari pezzi di metallo in giro per la fabbrica. Iniziammo ad arrampicarci sui rotondi ingranaggi per sfuggire al drago.
«Aiutatemi!», gridò Fumio.
Non riusciva a salire molto in alto a causa della sua stazza e il peso eccessivo. Non potevo rischiare di mollare la mano di Tony, avevo visto nei suoi film i casini che poteva combinare se messo contro una gigantesca creatura assassina.
«Miren!», urlai nella speranza che almeno lui potesse fare qualcosa.
Per un attimo vidi la sua espressione infastidita e temetti che il suo odio verso il maiale fosse troppo profondo. Si voltò, come per andarsene, ma invece di farlo staccò con forza un tubo dalla gigantesca macchina. «Io lo tengo impegnato. Voi scappate.», sentenziò.
Si gettò sul drago, brandendo solo il tubo come arma. Non mi aspettavo qualcosa di così avventato da qualcuno che diceva di non avere un cuore. Mi precipitai a salvare Fumio, lasciando Tony libero di estrarre la pistola e unirsi al combattimento. Il rumore degli spari e il tintinnare del metallo contro la corazza del rettile risuonavano in tutta la struttura, infilandosi fin dentro alle orecchie.
«Dobbiamo scappare!», urlai.
«Lo so.», rispose esasperato l'animale.
Ci addentrammo in un lungo corridoio alla fine del quale potevo ben distinguere una grande porta d'uscita. Percepivo dietro di noi la presenza dalla mostruosa creatura che avanzava sputando fiamme sulle pareti. I due combattenti ci seguivano, cercando in ogni modo di fermare il drago.
«Ci siamo quasi!», li incitai.
Prima che ce ne accorgessimo stavamo all'esterno, le pareti grigie erano state sostituite dal cielo nuvoloso, ma non era ancora finita. Con un ultimo sforzo spingemmo le pesanti porte di metallo, bloccando la creatura all'interno. Rimbombò nell'aria il suo ruggito, ma non restammo in quel luogo abbastanza per sapere se la porta avrebbe retto.
Non ci fermammo finché le fiamme della città non smisero di sembrare calde. Davanti a noi si ergeva ora il bianco castello del regno.
Presto ci saremmo trovati a sfidare il sovrano degli incubi, e qualcosa mi diceva che non sarebbe stato affatto facile.
☆Angolo Autore☆
Siamo quasi alla fine. Mancano solo due capitoli.
Se c'è qualcosa che vorreste leggere, teorie o cose che pensate abbia dimenticato, questo è il momento buono per ricordarmelo in un commento.
☆Commentate e ditemi se vi è piaciuto. In caso contrario fatemi pure notare dove ho fatto errori o come potrei migliorare questo capitolo.☆
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