7.


«Non sarà avvelenato?», domandò Miren, con il suo solito scetticismo.
Da quando il maiale si era unito a noi, l'uomo, aveva dimostrato il suo disappunto attraverso commenti pungenti ed espressioni acide. Per qualche strana ragione sopportava pacatamente l'irritabile comportamento di Tony, ma non la codardia dell'altro.

«Perché dovrebbe esserlo?», rispose l'animale.
«Non lo è.», ci informò Tony, agitando un hamburger mordicchiato nella nostra direzione.
«A te manca proprio il senso del pericolo, e pensare che non sembri proprio uno ingenuo.», commentò Fumio.
«Ingenuo, io? Maiale, ti ritrovi un buco in fronte se lo dici di nuovo.»

«Mi perdoni, non era mia intenzione mancarle di rispetto. Intendevo dire che lei è così coraggioso da fare sempre il primo passo senza neanche esitare.», si corresse.
«Così va meglio.», annuì l'uomo mentre finiva il panino.

Mi guardai intorno. Sotto di noi si vedeva a fatica il terreno, lontano metri di altezza dalla nostra posizione. Non capivo come, ma ci trovavamo su un grande spiazzo fatto di robusti alberi che producevano strano cibo.

«Perché questi funghi hanno gli occhi?», chiesi recuperando la parola dopo la sorpresa iniziale.
«Sono creature viventi, perché non dovrebbero averli?» ribatté Fumio. Staccò poi un fungo da un ramo e lo assaggiò. La piccola creaturina si ritrovò priva di metà testa. Il maiale aveva conficcato i denti in uno dei suoi tanti occhi, che adesso gocciolava a terra con un liquido biancastro. «Sublime. Ne gradisci un pezzo?», domandò rivolto a Miren.

L'uomo grigio aveva però già iniziato a servirsi, prendendo dal ramo più vicino quello che aveva tutta l'aria di essere un piatto di spaghetti con le vongole, ma che in realtà era condito con tanti piccoli occhi di pesce.
«Ti spiace se lo provo anch'io?», chiese Tony sfilandogli di mano la forchetta e servendosi dal suo piatto.
L'altro lo lasciò fare, senza dare troppo a vedere il fastidio che quell'azione gli aveva portato. Gli occhietti nel cibo si agitavano in tutte le direzioni, come a cercare una via di fuga.

«Dovete assolutamente provare i funghi. Quelli con la bocca hanno i denti un po' duri, ma gli occhi ti si sciolgono sulla lingua.», insistette Fumio.
I tre si sedettero su una coperta da picnic a quadri, lasciata a terra da un viaggiatore smemorato. Iniziarono un po' alla volta ad accumulare su di essa pietanze dall'aspetto poco invitante. Tarantole dalle veloci zampe fritte, zuppa di pipistrello triste, lumache di gelatina, uovo sodo con un pulcino all'interno, pasticcio di teste di trota canterine e una bottiglia di vino in cui nuotava un serpente.

«I-io... Penso che andrò a fare un giro.», balbettai.
«Non allontanarti troppo.», mi ammonì Miren.
«Noi rimaniamo qui ancora un po', voglio provare tutto.», disse Tony afferrando un grosso insetto con le ali caramellate.

Senza pensarci iniziai a camminare sui rami con l'idea di allontanarmi da quel posto il prima possibile. Mi disgustava l'idea dei miei compagni che mangiavano quelle povere creature. La nausea mi assaliva se pensavo che per un attimo anch'io avevo avuto la tentazione di addentare il panino che avevo davanti.

Da quanto non mangiavo qualcosa?Dovevo avere ancora da qualche parte la mela che il topolino mi aveva dato, ma anche sapendo dove fosse non l'avrei voluta mordere in questo momento. Avevo bisogno di mangiare e recuperare le forze, come gli altri, ma semplicemente non ci riuscivo.

Mi fermai solo una volta raggiunta la fine di quel percorso e realizzai che non sapevo come tornare indietro.
Dall'albero riuscivo a vedere il giardino sottostante. Tra i grossi cespugli di zucchero filato verde crescevano cupcake dalla glassa colorata, e i fiori nelle aiuole sembravano essere decorazioni di zucchero. Nel mezzo stava una lunga tavolata circondata da tante sedie di diverso tipo, occupate da strane bambole dall'aspetto animalesco.

Qualcuno si mosse al tavolo. Era di spalle al mio albero e inizialmente l'avevo scambiato per un manichino molto grosso. Lo vidi versare dell'acqua in una teiera che conteneva già qualcosa di scuro. Mi sporsi ancora di più per capire di cosa si trattasse, e a quel punto l'albero si mise a parlare. «Non si spiano le persone!», pronunciò dalla sua grossa e secca bocca priva di denti.

Scivolai per la sorpresa e caddi in un cespuglio. Per fortuna non mi feci alcun male, ma la ferita all'orgoglio era molto più profonda di quanto potesse sembrare.
«Venga pure, non la mangio mica.», disse l'uomo al tavolo, facendo cenno di prendere una sedia.

Mi avvicinai, uscendo a fatica dal cespuglio appiccicoso. Il tavolo era fatto di biscotto, notai una volta trovatomi davanti. Sedetti sullo sgabello al fianco dell'uomo, come mi era stato indicato. Lui stava invece su una gigantesca poltrona rosso porpora, intento a girarsi tra le grosse mani un cucchiaino.

Indossava una camicia sotto al gilet per metà bianco e nero, e al collo teneva legato un jabot. Aveva lunghi capelli color corallo, tagliati in modo da lasciarli liberi di crescere come più preferivano. L'unico dettaglio che mi incuteva una certa ansia, oltre che alla stazza, era la bocca. Agli angoli di essa si allungavano due tagli che percorrevano quasi tutta la guancia.

«Gradisce del tè?», domandò versando il contenuto della teiera nella tazzina che avevo davanti.
Il liquido scese di un colore tendente al rosa, con riflessi brillantinati. Potevo vedere dei pezzi di petali galleggiare sulla superficie e attaccarsi ai bordi della tazza color carta da zucchero.
Non era ancora troppo tardi per metterlo al corrente del fatto che trovassi quella bevanda semplice acqua sporca, e per di più calda. Allo stesso tempo, però, il farglielo presente avrebbe potuto offenderlo, e io non ne avevo intenzione.

«L-lei vive qui?»
«Casa mia è poco più distante, ma a volte mi ritiro in questo luogo per lavorare.», rispose porgendomi un piattino di biscotti lilla decorati con gli zuccherini.

«Che lavoro fa?», lo interrogai, trovando il coraggio di parlargli.
«Il giocattolaio.»
«Vende giocattoli qui nel bosco?», mi guardai attorno sorpreso.
«No, ma questo giardino è un bel posto per costruire marionette.», spiegò lui.

«Deve piacerle molto come lavoro», osservai vedendo gli ospiti seduti a quel tavolo.
«È più un passatempo.», scosse le spalle. «Raccontatemi invece cosa ci fate voi da queste parti. Avete intenzione di fermarvi a lungo?»
«Oh, no, siamo solo di passaggio, i miei compagni si sono fermati più indietro. Siamo diretti al castello della regina dei sogni.», risposi, con una mano sulla bocca perché ancora stavo masticando.

«Perché andare in un posto così brutto quando potete rimanere qui.», commentò mentre si versava del tè anche per sé.
«Abbiamo una missione da compiere, dobbiamo salvarla dal sovrano degli incubi.», chiarii.
«Salvare Yume dal sovrano degli incubi? Solo un folle penserebbe qualcosa del genere.», affermò lui ridacchiando.

«Ma qualcuno dovrà pur farlo. È la regina del regno, in fondo. Tutti non vedono l'ora che venga liberata.», mi impuntai.
«Io non vorrei tornasse, e dicerto anche Poe e Sciurus la pensano come me.», ribatté l'uomo.

«Chi sono?», inclinai la testa.
«Il procione e lo scoiattolo.», rispose indicando i due animali seduti al tavolo.

A vederli dall'albero li avevo scambiati per bambole ben fatte. Poe mi salutò con un gesto della zampa e tornò a leccare il barattolo trasparente che stringeva. Sciurus, invece, decise di ignorare la mia presenza, troppo concentrato a fissare la ciotola di ghiande dall'altro lato del tavolo.

«Perché non ti piace la regina?», insistetti, tornando a prestare attenzione all'uomo.
«Non è poi così simpatica come dicono, sai... Non lo bevi quello?», indicò con un cenno.

Mi accorsi di aver passato tutta la discussione a rigirare il cucchiaio nella tazzina, nonostante la bevanda non fosse troppo calda e non gli avessi aggiunto nulla. Per non sprecare il tè appoggiai delicatamente le labbra sul bordo di ceramica della tazza e ne bevvi un sorso. Sapeva di dolce, con un retrogusto ferroso che pensai fosse dovuto all'eccessiva foga con cui vi avevo immerso il cucchiaino.

«Ti piace? Ci ho messo il cuore per farlo.», sorrise, bevendo a sua volta.
Annuii per non offenderlo, ma posai subito la tazzina sul piatto senza bere altro.

Non riuscivo proprio a guardarlo dritto in faccia senza abbassare gli occhi, i due tagli mi incutevano un certo timore. Perlomeno il tè non gli uscì di bocca, ma per un attimo vidi due lunghi e affilati canini.
Spostai lo sguardo ritrovandomi così a guardare il mio riflesso sulla superficie della teiera argentata. Qualcosa di quell'immagine aveva un non so ché di disturbante, quasi mi stesse fissando da molto prima.

«Vuoi una fetta?», offrì l'uomo, avvicinandomi il piatto che conteneva la grossa torta di panna e fragole.
Scossi la testa, iniziavo a sentire una strana sensazione di nausea.

«Se non ti piace puoi prendere tutti i pasticcini che vuoi, ne ho di ogni tipo.», insistette indicandomi il vassoio di dolci.
Muffin al cioccolato, cannoli alla crema, pasticcini con frutti di bosco, bignè al pistacchio, sfogliatelle, crostatine alla fragola, cassatine, meringhe e paste varie. Per quanto tutto questo fosse un bello spettacolo per gli occhi non riuscivo a prendere niente. Una forte fitta mi fece portare una mano alla testa, dove mi parve di sentire uno strano rigonfiamento.

«I-io de-devo andare.», pronunciai a fatica.
«Aspetta, hai mangiato pochissimo! Non ti piacevano i biscotti? Il tè era troppo freddo? Posso rifarlo con l'aroma che preferisci. Ho quello classico, ciliegia e cannella, zenzero e menta, ananas e bacche, cioccolato e vaniglia, limone e arancia...»
«No, non è questo. Era tutto fantastico, ma ora mi sento poco bene e vorrei tornare dai miei amici.», lo interruppi.

«Se stai male ho un motivo in più per non lasciarti andare. Potresti ferirti mentre cerchi di raggiungere i tuoi compagni.», continuò sempre più preoccupato. «Rimani qui. Ti farò una tisana, una camomilla o quello che preferisci. Potresti anche aiutarmi con il vestito che sto cucendo per la nuova bambola. Prenderò le tue misure e sarà la marionetta più bella di tutte.»

Si piegò e tirò su da terra una scatola di biscotti che strabordava di strumenti per il cucito. Dall'interno estrasse un metro da sarto molto lungo.
Si alzò le maniche della camicia fino ai gomiti e legò i lunghi capelli rossi. Solo ora riuscivo a intravedere gli occhi, molto simili a quelli di un rettile.

In un primo momento non avevo fatto troppo caso alle dimensioni fisiche del giocattolaio, ma ora iniziavano seriamente a incutermi timore. Perché mai una persona che costruisce bambole dovrebbe avere una muscolatura da bodybuilder? Per non parlare del fatto che le lunghe unghie appuntite non dovevano essere facili da gestire con ago e filo in mano.

«Devo proprio andare ora.», mormorai.
«Facciamo un gioco, so che ti piacciono.», propose l'uomo estraendo dalla scatola un grosso orologio da taschino. «Hai un minuto di tempo per uscire dal cancello. Se non ci riesci rimarrai per sempre al sicuro in questo luogo.»

Osservai il cancello da lui indicato. Si trovava a non meno di cinque metri da me, ed era l'unica uscita che potevo vedere. Per un attimo, dalla paura, sentii freddo. Ero indeciso se prendere seriamente quello strano uomo o fare una piccola risata. Il suo sguardo convinto, però, mi diede conferma della veridicità delle sue parole.

«Il gioco inizia... Adesso!», esclamò piano, guardando l'orologio.
Senza pensarci due volte mi alzai in piedi. Persi subito l'equilibrio e caddi, sbattendo il mento contro al tavolo di biscotto, sbriciolandone una parte. Mi ritrovai così col sedere a terra, le mie gambe non avevano retto il peso del corpo. Le cercai con lo sguardo e rimasi sorpreso nel trovare un paio di zampe da cervo.

«Ancora quaranta secondi!», mi ricordò l'uomo.
Non avevo tempo da perdere, avrei cercato di capirci qualcosa più tardi.
Cercai di rialzarmi in piedi, ma caddi di nuovo. Presi a trascinarmi con i gomiti verso il cancelletto bianco del giardino. Qualcuno lo aveva lasciato aperto, avevo quindi almeno una speranza di riuscire nel mio intento di fuga.
Raggiunsi la stradina fatta di chiari ciottoli appuntiti. Le ferite sulle braccia che mi ero fatto nella grotta si riaprirono in diversi punti. Cominciai a sentire bruciore sulla mia pelle.

«Venticinque.», continuò lui.
Cercai di trascinarmi con più foga, ormai mancava davvero poco. Fu in quel momento che il procione, Poe, ebbe la geniale idea di saltarmi sulla schiena. Persi qualche secondo cercando di cacciarlo via, ma lui non fece altro che spostarsi sulle gambe e bloccarle, nella speranza di farmi perdere altro tempo.

«Dieci»
Nel mentre il giocattolaio si era alzato. Lo potevo vedere con la coda dell'occhio farsi più vicino.
«Otto secondi.», disse entrando nel mio campo visivo.
Continuavo ad avanzare, ma rimasi spiazzato nel vedere che al posto di normali gambe, l'uomo, avesse gialle zampe da gallina. Si mise proprio al fianco del cancello, attendendo il mio arrivo mentre agitava per aria la squamata coda da rettile.

«Quattro.», fece segno con le dita.
Mancavano solo pochi passi all'uscita. La testa non sembrava smettere di pulsare, vedevo tutto confuso e in continuo movimento. Cercai di urlare per chiedere aiuto, ma la mia gola non riusciva a produrre più di un mormorio.

«Tre»
Allungai la mano, ma il giocattolaio chiuse il cancello con un colpo di coda.
«Due», sussurrò.
Alzai lo sguardo. Dovevo sembrare molto disperato, perché l'essere distolse l'attenzione dell'orologio solo per rivolgermi un sorriso.
«Tempo finito.», concluse, mettendosi l'oggetto in tasca.

☆Angolo autore☆
So che tecnicamente i cancelli, e le porte in generale, si richiudono dal lato opposto, ma avrei dovuto tranciare via le mani al protagonista per farlo. Quindi no, grazie...
Ho bisogno che rimanga intatto, per ora... AhahahAHAHAHAH

Commentate e ditemi se vi è piaciuto. In caso contrario fatemi pure notare dove ho fatto errori o come potrei migliorare questo capitolo.

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