5.


La cosa faceva strani versi di dolore. Sembrava avere un aspetto simile al mio e a quello dell'essere con me, probabilmente venivamo dallo stesso posto.
«Q-Qualcuno mi tiri giù!», urlò.
Senza esitare andai verso essa, cercando un modo per aiutarla. Sembrava legata in qualche modo e appesa alle grandi strutture che riempivano quel luogo.

«Spostati.», ordinò l'essere che mi accompagnava, prendendo ad arrampicarsi in alto verso ciò che teneva stretta la cosa.
In pochi secondi la liberò, facendola cadere davanti a me. La cosa prese a dimenarsi tra ciò che la teneva prigioniera, ma in poco tempo si rialzò come se niente fosse.

«Vi ringrazio per avermi soccorso. Non sapete da quanto tempo ero bloccato lassù.», sospirò, ricomponendosi.
«Da quanto?», domandai incuriosito.
«Non so, non me lo ricordo.»

«Tu riesci a ricordare chi sei?», insistetti.
«No», rispose dopo aver riflettuto a lungo.
«Noi pensiamo sia dovuto a questo posto.», spiegai.
«Ci conviene uscire da qui.», ricordò l'altro essere, riprendendo il cammino.

Superati i folti alberi ci trovammo finalmente all'esterno del bosco. Il sole era già alto in cielo e illuminava la strada di sangue sotto i nostri piedi. Avevamo passato la notte in quel luogo, forse provando e riprovando ad attraversare il bosco senza averne memoria.

Ora che riuscivo a ricordare il nome delle cose mi voltai per osservare i miei compagni. Tony, che fino a pochi secondi prima sembrava uno sconosciuto ai miei occhi, era ora qualcosa di familiare. Il suo bizzarro modo di vestire era probabilmente la cosa che più lo distingueva, sembrava proprio un barbone uscito da un film Western.

Osservai l'altro soggetto, intento a passarsi una mano sui vestiti che nella caduta si erano macchiati di sangue. Non sbagliavo nel pensare che mi assomigliasse, ma dire che fosse effettivamente un essere umano non era corretto.

La sua altezza superava di poco quella di Tony, raggiungendo i due metri. Non era questa, però, la caratteristica che mi portava a dubitare della sua umanità. Il suo intero corpo, compreso ciò che indossava era di una strana tonalità di grigio. Per non parlare poi del grosso buco che stava all'altezza del cuore, quasi gli avessero scavato il petto con un cucchiaio.

«Cosa sei?», gli chiesi.
«Il mio nome è Miren, e sono un essere umano, o almeno lo ero un tempo.», rispose, spostando una ciocca di capelli dietro all'orecchio.

«Cosa ti è successo?», indicai il buco nel suo corpo.
«Il sovrano degli incubi. Quell'essere è la causa di questo vuoto nel petto e l'assenza del mio cuore.», disse colmo di rabbia.
«Quindi a questo la gente si riferisce quando racconta della persona che gli ha rubato il cuore.», commentò Tony con un po' troppa serietà per poter essere uno scherzo.

«Non molto tempo fa lavoravo a palazzo, ero il consigliere di corte. Il mio compito era quello di osservare la situazione del regno e riferirla alla regina affinché governasse al meglio il suo popolo. Passavo molto tempo in sua compagnia a dialogare. Yume è sempre stata la creatura più buona e dolce del regno, la regina perfetta. Più tempo passavamo insieme più mi rendevo conto di amarla. La cosa andò avanti fino a ché un giorno decisi di rivelarle i miei sentimenti.», raccontò ignorando il commento dell'uomo.

«Ti ha rifiutato?», sussurrai.
«Sì, ma non per cattiveria. La verità è che non poteva innamorarsi di nessuno. Il sovrano degli incubi, una creatura spietata e crudele, nata dall'oscurità e la paura degli esseri viventi. Esso si nutre delle nostre debolezze lasciandoci sprofondare nel timore della vita. Quell'essere disgustoso aveva posato i suoi occhi sulla bellissima regina, minacciando chiunque osasse anche solo rivolgerle parola.», continuò.

«Ha scoperto del tuo amore per lei e ti ha strappato il cuore.», conclusi.
«No, fu la regina a farlo. Con un incantesimo me l'ha portato via, così che io non possa più provare alcuna emozione per lei.», spiegò.

«Perché?», domandai sorpreso.
«Forse per paura che quella creatura mostruosa potesse farmi del male. Ma così facendo mi ha privato della possibilità di provare tutte le emozioni. Ora sono solo un guscio vuoto, senza colori e incapace di amare.», sospirò tristemente.

«Riprenditi il cuore se lo vuoi. È tuo no?», lo incitai.
«È quello che avevo intenzione di fare, prima che i servi del sovrano degli incubi mi intrappolassero nel Bosco dell'Inconscio. Ho intenzione di raggiungere la regina e spiegarle la mia situazione. Lei capirà come mi sento e mi restituirà il cuore.»

Osservai quell'uomo grigio. Corti capelli sul davanti e una lunga treccia che gli arrivava fino alla tasca posteriore dei pantaloni. Vestiva con una giacca di un completo in stile vittoriano e delle scarpe con il tacco, ora macchiate leggermente dal rosso della strada. Sembrava determinato a compiere quella missione per riprendersi ciò che era suo.

«Noi stiamo andando al castello a liberare la regina dal sovrano degli incubi. Vuoi venire con noi?», proposi.
«Ragazzino, non invitare gente senza prima interpellarmi!», esclamò Tony.
«Liberare? Se la regina è in pericolo sono con voi.», decise Miren.

«Nessuno di voi andrà al castello! Questa è la mia missione, e io lavoro da solo.», continuò l'altro uomo.
«Io verrò per salvare la regina e recuperare il mio cuore.», sentenziò il consigliere.
«E io vi seguirò in cerca del cane bianco.», mi aggiunsi.

Tony non fu contento della nostra scelta, ma non disse nient'altro per fermarci. Riprendemmo subito il viaggio. Il paesaggio consisteva in un verde prato illuminato dal sole splendente.
I tacchi ai piedi di Miren picchiettavano sulla strada producendo un rumore secco. Anche le mie scarpette nere avevano dei tacchetti, ma, a differenza di quelli dell'uomo adulto, il suono dei miei quasi non si percepiva.

L'aria diventava fresca man mano che ci avvicinavamo alla catena montuosa. Nonostante la loro grandezza le avevo viste solo una volta trovatomi nei pressi del paesino ai piedi della montagna più grande.

«N-non riesco a muovermi.», balbettai notando improvvisamente come le mie gambe faticassero a compiere anche solo un passo. Sembrava quasi che stessi camminando nella gelatina. Qualcosa mi impediva il movimento, e questo mi provocava una fastidiosa sensazione di prurito al cervello.

«Non ho intenzione di fermare la mia missione solo perché il signorino ha male alle gambe.», rispose Tony infastidito.
«Non riesco a raggiungervi, sono bloccato. Aspettatemi!», esclamai provando a fermarli.
«Non ho tempo da perdere.», continuò lui.

Lo guardai allungare il passo e allontanarsi sulla strada, diretto verso il paesino. Miren, dopo un attimo di esitazione, tornò da me.
«Qual è il problema?», domandò preoccupato.
«Le mie gambe sono come intrappolate in qualcosa.», spiegai.

Osservò per qualche secondo il mio corpo, studiando i movimenti che potevo fare, poi mi tirò su. Mi ritrovai sollevato a due metri di distanza dal suolo. Le mie narici furono punte dal forte odore di pino che circondava l'uomo. Pensai volesse portarmi sulle spalle per il resto del viaggio, ma mi accorsi che stavamo uscendo dal percorso.

«Dove stiamo andando?», chiesi osservando la rossa strada farsi più lontana.
«Penso di aver capito come liberarti, ma non penso ti farà piacere. Vedi solo di non arrabbiarti troppo.», mi ammonì Miren.

«Perché dovrei arrabbiar-». Non ebbi neanche il tempo di finire la frase perché fui lanciato in aria come un sacco di farina. Per un attimo mi sentii leggero, caddi pochi secondi dopo in acqua.
Agitai le braccia finché non riuscii a sedermi sul terreno fangoso. Il chiaro liquido arrivava all'altezza delle costole e gocciolava dai miei scompigliati capelli bianchi. Mi rimisi in piedi e uscii a fatica da quel piccolo lago.

L'abito azzurro penzolava bagnato sul mio corpo, cercai di fare uscire l'acqua strizzandolo.
Una ranocchia si mise a ridere osservando la scena. In risposta tirai un calcio gettando l'acqua addosso alla ninfea su cui sedeva.

«Adesso riesci a muoverti.», osservò l'uomo tenendosi a una certa distanza dallo stagno.
«Non conoscevi proprio modo migliore?», borbottai irritato, mentre mi sfilavo una scarpetta per fare uscire il liquido dall'interno.

«L'acqua non piace neanche a me, ma al momento non avevo idee migliori.», si scusò.
«Non ti piace l'acqua? Nel senso che non la bevi?», domandai confuso.

«No, il problema è tutt'altro. Da quando il mio cuore è stato sottratto, lasciando questo cratere nel mio petto, non posso più toccare liquidi senza disperdere una scia di grigia sporcizia. Se provassi ancora emozioni ti direi che temo di potermi sciogliere rimanendo in acqua troppo a lungo, ma dato che non ho un cuore non sento paura.», confidò. «Adesso ci conviene rimetterci in cammino, abbiamo ancora tanta strada da fare.»

Da quello che riuscivo a vedere, Tony era entrato nel paesino e stava discutendo con alcuni degli abitanti. Ci affrettammo a raggiungerlo con una piccola corsetta, conoscendo la sua irritabilità avrebbe presto finito per fare del male a qualcuno.

La cittadina era composta da tante piccole casette di legno e paglia. Gli abitanti, dei topolini, indossavano vestiti di ogni genere, che andavano dall'uomo d'affari al clown.
In quel momento una grande folla si era raccolta attorno all'alto uomo dall'espressione molto infastidita. Centinaia di topolini si muovevano in tutta fretta a terra impedendogli di proseguire il cammino.

«Lasciatemi passare!», sbraitò lui, minacciando di schiacciare con lo stivale i piccoli abitanti.
«Cosa sta succedendo?», chiesi, avvicinandomi con estrema cautela.
«Questi ratti non mi lasciano andare avanti. Levatevi dai piedi!», esclamò Tony con rabbia.

Sentii qualcosa arrampicarsi sul mio corpo e risalire il braccio fino a raggiungere il palmo della mano. Sul cammino lasciò rosse macchie a forma di zampa. Si trattava di un piccolo topolino bianco con una divisa da facchino. Rimasi leggermente sorpreso dalla comparsa di quell'animaletto, tanto che mi parve di sentire una strana sensazione di déjà-vu.

«Non ci insulti, signore. Noi stiamo solo cercando di aiutarvi.», squittì con voce acuta.
«In che modo questo mi sarebbe di aiuto?! Sto solo perdendo tempo. Ho una missione io!», ribadì l'uomo.

«Non andate oltre, fermate il vostro viaggio.», continuò l'animale. «All'interno della grotta vive una bestia feroce che distrugge i campi e ruba le provviste. È troppo pericoloso per voi avventurarvi in quel luogo, cercate piuttosto un'altra strada.»

«Impiegheremmo più di tre giorni di cammino per aggirare queste montagne. Dobbiamo a tutti i costi passare da quella caverna e raggiungere il castello il prima possibile.», osservò Miren.

Il topolino bianco strizzo i piccoli occhietti neri e si passò le zampe superiori sul musetto. La mia mano si strinse leggermente attorno a lui per non farlo cadere. In questo modo potei tastare la sua pelliccia, scoprendola più morbida di quanto avessi immaginato.
«Se la vostra ultima decisione è questa, allora non posso che rassegnarmi, ma non dite che non vi avevamo avvertito.», sospirò infine l'animale.

Gli abitanti si fecero da parte, formando così due file ai lati della strada. Tony, senza esitare, riprese il cammino diretto verso la caverna che divideva la montagna. Miren lo seguì stando sempre un passo dietro a lui.

Mi piegai a posare a terra il topolino, rimasto ancora sulla mia mano. Lui mi ringraziò e, scusandosi per avermi macchiato gli abiti, disse di aspettare ancora qualche secondo. Squittì a uno dei suoi compaesani che subito sparì in casa. Quando uscì vidi che stava facendo rotolare una rossa mela nella mia direzione.

«Per te.», offrì.
«Grazie», risposi riponendola nella tasca dell'abito ancora umido.

Sotto lo sguardo attento di tutti gli abitanti feci una corsetta per raggiungere i miei due compagni. Miren si era fermato davanti all'entrata della grotta ad aspettarmi, potevo vedere invece la sagoma di Tony camminare illuminando con una torcia le pareti di pietra.
«Andiamo.», mi incalzò.

La caverna non sembrava accennare a finire. Di visibile c'era solo la nuda roccia e la rossa strada ai nostri piedi. Nell'aria si respirava odore di muffa e umidità.
La torcia infuocata, che Tony aveva tirato fuori da chissà dove, non si stava rivelando molto utile. Illuminava quel tanto che bastava a non farci inciampare troppo spesso nelle buche. Sperai potesse asciugarmi gli abiti e i corti capelli ancora bagnati e freddi, così mi spostai più vicino al fuoco.

«Dite che incontreremo la bestia di cui parlavano?», domandai a bassa voce.
«Qui non c'è nessuna bestia! Sono topi, per loro qualsiasi cosa è una creatura feroce. Si tratterà di un gatto selvatico o un cane troppo affettuoso.», rispose Tony senza alcuna preoccupazione, se non quella rivolta al fuoco che portava.
Gli credetti, almeno finché non udii un verso minaccioso provenire dall'oscurità davanti a noi.

Commentate e ditemi se vi è piaciuto. In caso contrario fatemi pure notare dove ho fatto errori o come potrei migliorare questo capitolo.

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