10.


Rosso. L'acqua dentro il quale ero caduta aveva la stessa tonalità e sapore del ginger. Al di fuori di essa potevo vedere solo una forte luce chiara.
Mi bruciavano gli occhi a furia di tenerli aperti lì sotto. In poco tempo finii l'ossigeno a disposizione. Non riuscivo a ricordare come nuotare, quindi mi lasciai semplicemente trascinare verso il fondale.
Prima ancora di rendermene conto mi trovavo distesa sul morbido terreno. Al mio fianco un fuoco scoppiettava tenuto in vita dalla legna. Una figura familiare mi osservava, tenendosi a debita distanza.

«Come stai?», chiese Fumio.
«Cosa ti è successo?!», esclamai spaventata, vedendo in che condizioni riversava il maiale.
«Questo?», domandò lui indicando il buco al suo petto. «Miren. Voleva un cuore e se lo è preso.»

Era una brutta ferita. Il liquido vitale colava ancora sugli abiti, scuro come solo il sangue sa essere. Sotto di lui si stava formando una grossa pozza bagnata, che avanzava in direzione del fuoco. Il maiale non sembrava fare molto caso al dolore, ma il tono della voce si era fatto più duro.
Sedetti sul pezzo di tronco abbandonato davanti al focolare. Da quello che potevo vedere ci trovavamo all'interno di una piccola grotta sulla spiaggia di ciottoli.

«Vuoi una mela?», dissi porgendogli il frutto che il topolino bianco mi aveva dato.
«Non penso colmerebbe il vuoto.», rispose sconsolato.

«Non possiamo fermarci adesso. Recuperiamo il tuo cuore e convinciamo Miren a tornare. La regina è ancora prigioniera, dobbiamo salvarla. Dov'è Tony?»

Fumio si sfilò la pipa dal taschino e con zampe tremanti provò ad accenderla. «Non lo capisci? Non abbiamo mai avuto nessuna speranza di vincere. Miren l'ha capito e se n'è andato. Tony... Beh, quell'uomo sai com'è fatto, non si sarebbe arreso finché ci fosse stata una missione. Gli hanno assegnato un altro compito, quei cani del governo.»

«Non importa, ci siamo ancora noi due. La storia non è ancora finita.», insistetti cercando di alzare il morale.
«Ti sbagli, ci sei solo tu. Adesso che stai bene puoi andartene da casa mia, e vedi di non farti mai più vedere.», concluse acidamente, facendomi cenno verso l'uscita.

Mi alzai. Non portavo scarpe ai piedi, probabilmente le avevo perse in acqua. I piccoli cumuli di ciottoli grigi si schiacciarono sotto il mio peso. Raggiunsi l'apertura della caverna e mi girai per dare un'ultima occhiata a quel maiale. Soliti abiti, stesso cappello e colore della pelle, l'unica cosa diversa era l'espressione del viso. Non si sarebbe più fidato di nessuno.

«Mi dispiace per non avervi aiutato.», mormorai.
«La realtà non è semplice come nelle favole.», sussurrò lui, senza neanche alzare lo sguardo dal fuoco.

Uscii dalla caverna e mi diressi lungo la riva del mare rosso. L'acqua colorata passava sui chiari ciottoli senza sporcarli. Una leggera nebbia si era alzata su tutta la zona impedendomi di avvistare la fine della spiaggia. Sospirai e presi a incamminarmi verso un punto imprecisato.

Il rumore dei ciottoli sotto i miei piedi era l'unico suono udibile sulla costa. Persino le onde che si agitavano al mio fianco producevano una melodia silenziosa. Raggiunsi dopo poco un piccolo fiume e decisi di percorrerlo nella speranza di trovare qualcosa oltre al liquido. Quello che vidi su quel sentiero fu una grande quantità di bianca neve. Era una fortuna che indossassi gli stivaletti neri, o i miei piedi sarebbero sprofondati in quel freddo materiale. Mi strinsi nel cappotto blu, sistemando anche la sciarpa attorno al collo.

L'acqua del piccolo fiume diventava man mano più scura, fino a raggiungere il colore del sangue. Alcuni scuri e secchi alberi si palesarono lungo tutto il mio cammino. Mi ritrovai così a spingere via i rami dalla mia faccia. Il compito risultava essere abbastanza fastidioso.

Improvvisamente mi ricordai dell'esistenza dell'ombrellino rosso, stretto in mano da ormai troppo tempo.
Lo aprii, sperando di poterlo usare come scudo con gli alberi. La sfortuna volle che la molla al suo interno saltasse via, lasciandomi in pugno solo il manico dell'ombrello. Mi cadde a terra per la sorpresa, e subito mi affrettai a cercare tutti i pezzi finiti in mezzo alla neve. Era fredda e bagnata, e mi pizzicava la punta delle dita scoperte. Per lo sconforto alzai lo sguardo e vidi l'ultima cosa che mi sarei mai aspettata di vedere. Il cagnolino bianco si trovava seduto a pochi passi da me.

«Aspetta!», provai a gridargli dietro.
Lui non mi degnò di uno sguardo e prese a correre, lasciando sulla neve delle impronte. Senza pensarci troppo iniziai l'inseguimento. Il cane era molto veloce. Nella fretta di stargli dietro il mio cappotto si impigliò un paio di volte tra i rami, rallentandomi.

Raggiunsi il piccolo ingresso nella roccia, in tempo per vedere l'animale sgusciarci all'interno. Mi piegai a terra e, a gattoni, ci entrai. L'altro lato era molto più ampio di quanto l'esterno desse a vedere. Alzai lo sguardo una volta rimessa in piedi e mi ritrovai a guardare Yume.

Per la sorpresa spalancai la bocca, ma non fui capace di proferire parola. La regina si trovava girata di spalle su una balconata. Lentamente mi avvicinai alla grande scala di marmo e presi a salire. Dovevo raggiungere la donna prima che altro decidesse di mettersi in mezzo a bloccare il cammino, ma più cercavo di avvicinarmi più l'ascesa sembrava allungarsi. Cominciai a correre, riuscendo così ad avvicinarmi di molti gradini alla regina. Con il fiatone, raggiunsi finalmente la cima. Il balcone era fatto interamente in vetro e sotto esso potevo vedere con chiarezza il cielo stellato.

«Finalmente sei qui.», pronunciò con la sua armonica voce. «Non sai da quanto tempo ti stavo aspettando.»
«Lei è davvero la regina Yume?», domandai in un sussurro. «Come ha fatto a scappare dal sovrano degli incubi?»

Sentii la sua risata cristallina risuonare nel vuoto attorno a noi. Nell'aria aleggiava un odore familiare, ma proprio non riuscivo a ricondurlo a niente che conoscessi.

«Oh, tesoro, io non sono mai stato prigioniero di nessuno». Si voltò, e per la prima volta potei vedere il suo volto. Occhi di un rosso intenso quanto il sangue, naso a punta, labbra perfette. L'unica cosa che non quadrava era il colore nero dei lunghi capelli. Lo percepivo nella mia testa come sbagliato, avrebbero dovuto essere bianchi.

«Sei la sorella del sovrano degli incubi?», ipotizzai.
«Sorella? È questo il massimo che la tua mente è riuscita a partorire in questi pochi secondi?», commentò con espressione divertita. «Amore, io sono il sovrano degli incubi»

«C-Che cosa?! Dov'è la regina, allora?», balbettai sorpresa.
«Sono qui. Non l'hai ancora capito? Io sono Yume, ma se voglio posso essere anche Kage.», spiegò.
«Non capisco, non ha senso.», mormorai scuotendo la testa.
«Senso? Siamo nel mio regno, niente ha senso.», continuò ridacchiando.

«Perché stavi scappando?», insistetti in cerca di chiarimenti.
«Non stavo scappando, eri tu che mi inseguivi.», rispose, come se fosse una cosa ovvia.

«Tu mi hai detto che volevi fermare Yume, cioè te, ma se la regina sei davvero tu, e anche il sovrano degli incubi, io dovrei fermare te dal fermarti?», chiesi cercando di trovare un filo logico in quel discorso.

Sospirò, facendosi più vicino a me di qualche passo. Le bianche scarpe con il tacco e l'abito da sposa diventarono improvvisamente più scuri.
«Non è facile da spiegare, sai? Non riesco a continuare il mio lavoro sapendo che esiste una parte di me che ha il potere di svegliarti.», spiegò, mentre si passava una mano tra i capelli facendone cambiare il colore.

«Questo è un sogno, vero?», realizzai.
«Adesso che l'hai capito sarà difficile rimuoverlo dalla mente, ma dobbiamo farlo di nuovo, altrimenti ti sveglierai.», si affrettò a dire.
«Cosa succede se mi sveglio?», domandai esitando.
«Tutto questo ti sembrerà solo un sogno.»

«Non lo è?», indietreggiai.
«Questo è più di "solo sogno", questo è tutto quello che ho. L'unico modo che conosco per poter parlare con te, per vederti.»
«Stai cercando di imprigionarmi qui per sempre?», cercai conferma, ricordando le strane situazioni in cui mi ero ritrovata negli ultimi tempi.

«Tu non capisci. Mi dici che mi vuoi bene, che non mi dimenticherai mai, che tornerai prima ancora che possa sentire la tua mancanza. Io non ricordo più com'è vivere senza pensare a te!», sbraitò, gettando la corona a terra. «E ogni volta, quando torni, non ricordi più niente! Come pensi mi debba sentire?»

«Io... mi dispiace.»
«Ti dispiace? No, no, no, non devi dispiacerti, non è colpa tua. Me la sto prendendo con te, quando il vero responsabile sono io. Se riesco a intrappolare la parte di me che ti vuole libera, sia anche quella che ti spaventa, potrai dormire in eterno.», si scusò.

«Vuoi rinunciare a una parte di te solo per tenermi qui un po' di più?», ribadii confusa.
«Non è quello che desideri anche tu? Se rimani qui diventerai per tutti la persona più importante del regno. Potrai stare con i tuoi amici, gli darò tutto ciò che vogliono, saranno felici, e lo sarai pure tu.», mi pregò.

«Non penso vorranno più sentire parlare di me. Ho peggiorato tutto, gli ho rovinato la vita.», raccontai con malinconia.
«Non preoccuparti, se li aiuterai ti vorranno bene di nuovo. Ricorda che hai anche me, se desideri qualcosa, qualunque cosa, io te la farò avere con un semplice schiocco delle dita.», cercò di convincermi.

«Davvero qualsiasi cosa?», lo interrogai.
«Se esce dalle tue labbra non esiterò ad avverarla.», rivelò, prendendomi per mano.
«Allora, ti prego, non cancellare quella parte di te che va fermata. Non voglio vederti andare avanti a metà. Ormai sembra tu dipenda fin troppo da me, non è sano.»

Sentii la mia mano venir stretta con forza nelle sue. Per riflesso cercai di sfilarla, senza successo.
«Mi stai chiedendo di rinunciare a te? Morirei piuttosto.», ammise con freddezza.

«Noi non possiamo stare nello stesso mondo. Forse ti voglio bene e non lo ricordo, ma se potessi averne memoria sarebbe certamente doloroso. Non voglio che qualcuno soffra per colpa mia, e tu stai male nel sapere che ogni volta che mi sveglio ti considero solo un sogno.», spiegai.
«Tu non vuoi rimanere qui?», domandò.

«Sì, lo voglio, ma...»
«Mi va bene anche continuare così. Tu che rimani per poco, e poi ti svegli e dimentichi tutto. Lo posso sopportare se questo vuol dire passare del tempo in tua compagnia.», mi tranquillizzò.

«Mi dispiace che sia dovuta finire così.»
«Vuoi passare il resto del tempo a disposizione insieme?», propose.
«Certo. Che cosa facciamo?», approvai.
«Non lo so. Abbiamo passato tutta la notte a giocare ad inseguirci, facciamo qualcosa di diverso. Vuoi che ti racconti una storia? L'ho appena inventata.»

Annuii.
«È triste, la vuoi sentire comunque?», domandò.
«Ti ascolto.», insistetti, mettendomi a sedere a terra.

Esitò. Posò gli occhi rossi su di me, portandosi una ciocca bianca dietro all'orecchio. Sospirò, sedendosi poi affianco a me, facendo attenzione a non schiacciare troppo il grosso abito.

«Quando arrivò la sera portò con sé un vento leggero che frusciava tra le foglie del grande giardino situato sotto di me.
In mano stringevo un leggero bicchiere di vetro che fino a poco prima era stato pieno di un liquido chiaro che gli adulti amano molto.

Non mi trovavo affatto a mio agio alle feste, per questo motivo avevo dovuto allontanarmi dal banchetto. Dentro sentivo che quello sarebbe stato il mio ultimo giorno sulla Terra. Ormai era da un anno che mi sentivo così, ogni volta che incrociavo il suo sguardo mi sentivo sempre più male.

Lui era così ineffabile. Aveva una capacità unica nel suo genere, sapeva leggere le persone. Più volte mi aveva spiegato come le parole apparissero sulla loro pelle come pagine di un libro che solo lui poteva vedere. Io mi sforzavo sempre molto per capirlo, non volevo che pensasse che non mi importasse di lui. Qualsiasi cosa facesse, che fosse anche una cosa orribile o il più piccolo gesto d'amore, io l'avrei adorata.

Passava le giornate a disegnare su un blocco bianco ciò che leggeva sulla gente. Lui giudicava cosa era degno di nota e chi invece era noioso. In cuor mio ho sempre sperato che non riuscisse mai a leggermi, perché se l'avesse fatto avrebbe capito quanto io in realtà fossi inutile.

Ogni pomeriggio, dopo aver concluso i miei doveri, andavo da lui. Bussavo alla porta della villetta, trovandola sempre aperta. Salivo le scale e lo vedevo nel suo studio intento in una folle attività che sapevo avrebbe presto occupato il nostro tempo.

Non è mai stato molto apprezzato dalle persone, se non per il suo lavoro. Era egocentrico e la sua curiosità a volte sfiorava il limite, amava stuzzicare gli umani con i loro punti deboli. A volte non capiva quando era arrivato il momento di smetterla di scherzare e per questo motivo quasi nessuno gli si avvicinava. Ma nonostante questo, lui, avrebbe sempre avuto la mia fiducia, nonostante gli scherzi che a volte mi faceva o i guai nei quali mi cacciava, io gli avrei sempre creduto.

Il mio luogo era sempre stato accanto a lui, né davanti né dietro, ma solo e semplicemente al suo fianco. L'ho osservato così tanto da poterne ricordare ogni piccolo dettaglio, dal viso, al corpo e al carattere. Più volte ho pensato di potergli leggere il pensiero, ma lui con un'azione riusciva subito a smentire ogni mia teoria.

Non so cosa pensasse di me, forse mi vedeva solo come un'assistente o forse nutriva affetto per la mia figura. Mai avevo osato chiedergli troppo, del suo passato non ho mai saputo niente che lui non volesse dire. Pensavo di essere speciale per lui dato che mi permetteva di trascorrere molto tempo in sua compagnia, ma poi è arrivata lei.
La prima volta che la vidi i miei muscoli si irrigidirono e sentii di non riuscire a emettere alcun suono.

Lei era nel suo studio, seduta sulla sedia dove solitamente mi poggiavo io. Stava parlando con lui. Fu per me un grande dolore vederlo interrompere il suo lavoro solo per rispondere a quella donna e ricambiare il suo sorriso.
Ricordo di aver portato una mano alla bocca, solo per ritrovarla sporca di sangue e petali. I delicati petali del fiore che lui tanto amava e che tanto mi ricordavano il dolce colore delle sue labbra. Rapidamente avevo lavato via ogni traccia del liquido cremisi e avevo fatto ritorno allo studio. Nessuno si era accorto di nulla e io ebbi la possibilità di conoscere la nuova arrivata.

Mi venne presentata come una sua vecchia amica d'infanzia che non vedeva da molto e che aveva da poco traslocato lì vicino. Era una bella e giovane donna dai capelli morbidi come zucchero filato e il sorriso di un angelo. Non so che lavoro facesse o quale fosse il suo passato, ma il suo nome mi rimbalzava nella testa nei miei momenti di puro sconforto, come a ricordarmi quante poche chance avessi con lui.

In poco tempo aveva preso possesso di tutti i miei compiti, puliva le stanze, preparava il tè e gli comprava tutto ciò di cui avesse bisogno. Rimaneva in casa anche più tempo del dovuto e sembrava facesse sempre di tutto per tenermi a distanza da lui. Non ho mai pensato che lo stesse facendo apposta, ma lei, proprio come me era rimasta affascinata dell'intelletto di quell'uomo. Per questo motivo non ho mai provato odio verso quella donna, ma solo un enorme senso di inferiorità.

Ogni tanto capitavano degli attacchi di tosse e mi ritrovavo a sputare fuori sangue e petali. In quei momenti mi sentivo come se avessi mangiato troppo, come se il mio corpo non potesse contenere tanto cibo all'interno e dovesse per forza rigettarlo fuori. In verità non provavo questa sensazione da quando avevo avuto problemi con l'alimentazione, ma almeno quelli li avevo superati.

Il dottore mi disse che si trattava di Hanahaki Disease, una malattia che nasce dall'amore non ricambiato, che porta a espellere dapprima sangue e petali, e poi veri e propri fiori dalla bocca. Disse anche che si poteva curare rimuovendo le radici della pianta dai polmoni, ma che ciò avrebbe comportato la sparizione dei sentimenti romantici verso la persona amata. Non volevo operarmi, non avrei mai permesso a nessuno di cancellare ciò che provavo per lui.

Il peggior attacco avuto finora era avvenuto appena pochi minuti prima. Era successo quando la donna gli aveva chiesto di ballare e lui aveva accettato. A fatica avevo trovato l'uscita al balcone e ora mi trovavo sul pavimento. Il mio vestito blu aveva una grossa macchia di sangue sulle maniche e grossi petali gli erano rimasti attaccati. Il mio battito si era per adesso calmato, ma sentendo la sua voce che mi chiamava riprese ad accelerare. Dovevano avermi visto uscire dalla sala e ora mi cercavano tra le grosse siepi del giardino.

Le coincidenze non esistono, si tratta solo dell'universo che ci ricorda della sua esistenza, ma se così fosse l'universo sarebbe davvero un luogo spietato. Vidi la donna che si piegava su di lui per far combaciare le loro due bocche, e lui, inizialmente sorpreso, non la respinse e ricambiò quel romantico gesto.

Il dolore che sentii in quel momento mi fu fatale. Pensai che nessuno avrebbe mai dovuto provare una simile sensazione, era troppo crudele per essere vera. Nessun essere meriterebbe di soffrire tanto per qualcosa di cui non è neanche colpevole.

Sentii il sangue scivolarmi dolcemente fuori dalle labbra semi aperte e questa volta con esso uscì anche un fiore. Mi piegai in due dallo sforzo eccessivo di espellere dalla bocca il vegetale. Non riuscivo più a respirare, i miei polmoni erano bloccati dalle delicate radici della pianta che lentamente mi stava uccidendo.

Così alla fine era successo, ciò che avevo tanto cercato di trattenere all'interno era uscito fuori. In quei petali riuscivo a vedere le parole che non gli avevo mai detto perché non ne avevo il coraggio. Parole d'amore che rivelavano i miei veri sentimenti per lui, che gli dicessero quanto in realtà avevo sofferto per tutto questo tempo.

Sperai che nessuno mi sentisse, non volevo rovinare a tutti quel gioioso giorno, almeno non più di quanto l'avrebbe fatto il ritrovamento del mio corpo. Non volevo neanche disturbare l'uomo che amavo quando aveva appena trovato la felicità che aspettava da tutta la vita e che si meritava.
Anche se, conoscendolo, avrebbe trovato molto interessante questa situazione. Forse gli sarebbe piaciuto farmi un ritratto».

Per un po' non riuscii a riconnettermi con il mio corpo. Era come se il mio cervello si fosse staccato per qualche secondo e poi fosse tornato lì. Stavo uscendo dal sogno.
«Mi sento la testa leggera, come se stessi per volare via.», dissi, dopo un grande silenzio.
«So che è sbagliato, ma non voglio che ti svegli. Rimani qui con me per sempre.», implorò, inginocchiandosi davanti a me.

«Non ci riesco.», mormorai.
«Provaci! Io credo in te.», mi incitò afferrandomi la testa tra le mani.
«Non ce la faccio.», continuai tra le lacrime. «Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiac-...»

Aprii debolmente gli occhi, ritrovandomi circondata da una forte luce. Lentamente cercai di mettere a fuoco l'ambiente che mi circondava. Ero distesa su un letto dalle coperte bianche e pulite. Guardandomi attorno mi accorsi che si trattava di una stanza d'ospedale. Il costante bip di una macchia era l'unico rumore presente.

Le lacrime che ancora percorrevano il mio viso dovevano essere state la causa del mio risveglio. Feci per asciugarle, ma muovendo debolmente il braccio lo trovai bloccato da un tubo. Sollevai la coperta, solo per ritrovarmi a guardare dei flaccidi arti da persona anziana.
Improvvisamente il mio cervello si riconnesse con il presente e ricordai chi ero.

Il mio nome è Blue, ho quasi novant'anni e sono malata. Nella vita non ho mai fatto niente di importante: ho fallito con la scuola abbandonando gli studi di lettere, lavoravo come sarta in una bottega di famiglia. Sono sempre stata di salute fragile. Passavo le mie giornate a leggere e inventare storie.

Non ho mai intrapreso una relazione con qualcuno, né tanto meno ho fatto amicizie che durassero a lungo. L'unico compagno che abbia mai avuto al mio fianco era stato un cane, ma con il tempo anche lui mi aveva abbandonato.

Nessuno è mai riuscito a capirmi, senza volerlo ho sempre allontanato chiunque mi si avvicinasse troppo. Si potrebbe dire che il mondo che abitavo non fosse mai stato adatto a me.

Prendendo in considerazione tutto ciò si può arrivare alla conclusione che la mia vita fosse sempre stata vuota.
Era incredibile quanto realmente mi mancasse quel regno che avevo visitato nel sonno. Sapevo che in pochi secondi avrei iniziato a dimenticare la mia avventura, e con essa le persone incontrate. Questo pensiero mi rendeva triste. È ingiusto che io mi debba scordare dell'esistenza di un luogo adatto a me, dove le persone mi comprendono e apprezzano quello che sono.

Con tutte le forze di cui ero a disposizione mi piegai fino ad afferrare saldamente il cavo attaccato alla macchina e lo tirai. Il suo schermo si fece nero, e l'altro macchinario smise di suonare. Appoggiai di nuovo la testa al cuscino, sperando con l'anima di poter così tornare in quel regno dei sogni.

Fine

Angolo autore
Ciao a tutti ☆

Dopo tante fatiche siete finalmente giunti alla fine di questo libro. Sono felice che qualcuno abbia letto fino all'ultima parola una delle mie storie.
Probabilmente non avrete capito molte cose, nel caso sto scrivendo un manuale qui su wattpad per spiegarvele nel modo più semplice possibile. Scrivetemi pure se avete notato che ho dimenticato qualcosa o ho spiegato male una parte.

Arrivati a questo punto non saprei bene cosa dire. Oltre al fatto che è un brutto finale, ma l'avevo progettato sin dall'inizio, quindi... Scusate se fa schifo e rovina la storia♡

Vi piace come scrivo o quello che scrivo?
Sto sviluppando altri libri, se vi va passate a dare un'occhiata.

Un'attività interessante sarebbe quella di fare delle fan art dei personaggi delle mie storie e taggarmi, sia qui che su instagram, così che io possa vederle e magari raggrupparle in una raccolta.
Certo, questa è un po' un'idea folle da proporre da parte di qualcuno che sa quanti effettivamente sono interessati a quello che scrive, ma è un modo col quale potete mandarmi il vostro supporto.

Grazie per l'attenzione☆

Vi voglio bene ♡

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