1.


Mi trovai in un locale poco illuminato. Le pareti erano tinte di un blu scuro come la notte, e sul soffitto stavano appese delle stelline finte. Sparsi nella stanza potevo vedere dei tavolini rotondi completamente vuoti. L'unico spazio illuminato con chiarezza era il bancone. Esso luccicava davanti a uno scaffale di bevande e boccali.

«Buonanotte, signora.», mi salutò il barman mentre puliva i bicchieri. «Vuole il solito?»

Mi sedetti su un seggiolo nero che si trovava vicino al bancone. Non era scomodo, ma qualcosa mi impediva di rilassare completamente i muscoli.

«Dove mi trovo? Come ci sono arrivata qui?», chiesi guardandomi attorno.
«Come al solito non se lo ricorda, bene. Lei è nella hall del regno.», rispose il ragazzo.
«Quale regno?», domandai confusa.
«Il regno dei sogni, signora. Vuole il solito sogno?», continuò lui.

«Come ci sono arrivata qui?», ripetei.
«Come al solito, addormentandosi.», spiegò con tono tranquillo.
«Non capisco.», balbettai scuotendo la testa.
«Non deve capire, deve solo sognare.», replicò lui alzando gli occhi al soffitto.

«Mi dica la verità, dove sono?», insistetti.
«Io non mento, signora. Le ho già detto dove si trova, e se ha intenzione di chiamare la polizia le ripeto, come ogni notte, che qui non c'è campo.», mi fermò con voce apatica.
«D'accordo, mi dica almeno cos'è il solito sogno.», risposi rassegnata.
«Si tratta del comune inseguimento in una cittadina abbandonata, con tanto di sparatoria e mistero da svelare.», illustrò.

«Ci sono alternative?», domandai.
«Potrebbe inserire qualche persona che conosce, rivedere un suo vecchio sogno, oppure cambiare proprio il genere.», rispose allargando le mani.
«Tu che cosa faresti?», lo interrogai.
«Me lo chiede ogni notte, e la mia risposta è sempre la stessa. Non posso influenzare le sue decisioni. Io ho già avuto il mio momento di scelta.», disse il barman.

«Cosa significa?», chiesi curiosa.
«Vuol dire che io sono già morto. Solitamente le persone morte non stanno in questo luogo, ma ci sono delle eccezioni per chi muore nel sonno o deve scontare altre pene. Quelle povere anime sono costrette a lavorare qui fino a ché la persona a cui sono state assegnate non muore», continuò con la stessa voce spenta. «Ma stia tranquilla, non ho intenzione di farle del male.»

«Mi dispiace», balbettai.
«Non se ne deve dispiacere, non è colpa sua, e poi non durerà mica in eterno.», concluse con un sorrisetto.
Un brivido percorse il mio intero corpo nell'udire quell'ultima affermazione.

«Qual è il suo nome?», domandai senza alcun vero motivo.
«Non ricordo, la mia vita è confusa. L'unica cosa che so per certo è che qualcuno mi sta aspettando con impazienza da molto tempo, e non posso certo deluderlo.», rispose malinconico.

Lo osservai. Era un ragazzo giovane con dei corti capelli arancioni. Gli occhi erano strani alla vista, uno azzurro e l'altro verde. Indossava una larga divisa blu, e sotto di essa portava una camicetta bianca.

«Ma adesso basta perdere tempo. Se non ha ancora scelto un sogno può sempre girare per il regno fino a quando non ne trova uno adatto.», riprese il discorso. «Se vuole cambiarsi o prendere un'arma può andare nella stanza qui affianco.», e indicò una porticina rossa alla mia sinistra.
«Grazie», risposi alzandomi e dirigendomi verso essa.

Ad accogliermi dall'altra parte della porta c'era il buio. Tastai il muro in cerca di un interruttore e finalmente lo trovai. Da illuminata la stanza pareva infinita. Diciamo pure che si trattava di un corridoio senza fine, con alle pareti scaffali ricolmi di oggetti di ogni genere.
Entrai lasciando la porticina aperta dietro di me. Mi diressi verso uno scaffale e curiosai un po' tra gli oggetti e i vestiti. Al momento indossavo il mio pigiama bianco con bordi e i bottoncini rossi, e non avevo intenzione di andare in giro conciata così.

Infilai un braccio dentro una pila di vestiti ed estrassi qualcosa di morbido. Troppo tardi mi accorsi che stavo stringendo un coniglio bianco per le orecchie. Esso, dopo avermi morso la mano per allentare la presa, saltellò via e si nascose tra altri oggetti. Ancora stordita e confusa continuai la mia ricerca degli abiti. Questa volta portai alla luce un lungo cappotto blu scuro con tre grandi bottoni neri. Cercando poco distante trovai un paio di pantaloni neri e una maglietta viola a maniche lunghe.

Mi diressi verso il camerino che si trovava sulla parete destra del corridoio. La tendina rossa era appesa a un robusto tubo dorato. All'interno potevo vedere solo uno sgabello e uno specchio. Mi cambiai in fretta e sostituii le ciabatte lilla con delle calze blu e degli stivaloni neri.
Per farmi forza mi dissi che se anche tutto questo fosse stato solo un reality show non sarebbero certo andati a mettere le telecamere anche nei camerini.

Aprii la tendina, feci un passo indietro e mi guardai allo specchio. I lunghi capelli neri contornavano il mio pallido viso e gli occhi blu. Le mani erano coperte da guanti neri e il cappotto mi arrivava fino sopra il ginocchio. Sentii però che a tutto quello mancava qualcosa. Mi piegai e afferrai una lunga sciarpa azzurra che strinsi distrattamente attorno al collo. Così mi guardai allo specchio e decisi che era venuto il momento di vedere cosa c'era fuori da quel posto.

Lasciai lì il mio pigiama e le ciabatte, fiduciosa che prima o poi ci sarei dovuta tornare lì. Non presi nessuna arma, ma solo un piccolo ombrello rosso per proteggermi dalla pioggia tipica di quel freddoloso periodo. Mi armai di quell'oggetto e tornai nella hall.
Il ragazzo era ancora al bancone a pulire i bicchieri e quando gli passai accanto indicò con un rapido gesto un portone bianco, che prima ero certa non ci fosse.

«È lì che deve andare se vuole uscire», mi informò.

Così mi diressi verso il portone, ma prima di aprirlo mi girai nuovamente verso il giovane uomo. «Prima le ho chiesto chi fosse, ma adesso vi domando chi sono io?»
«Vuole sapere il suo nome, signora?», domandò lui.
«Sì», affermai senza provare vergogna.
«Il suo nome è Blue.», pronunciò.
«Blue...», provai a ripetere quel nome che alle mie labbra suonava molto familiare. «Sì, mi piace.»

Deciso questo aprii il portone ed entrai nel regno dei sogni. Senza rendermene conto mi ritrovai a camminare per una lunga e grigia strada. Mi aspettavo di vedere draghi volanti e unicorni saltellare in giro, ma non c'era niente di tutto questo. Grandi palazzi e case disabitate dai colori spenti popolavano il luogo. Il cielo era bianco, non un bianco latte, ma bensì tendente al grigio. L'aria fresca mi avrebbe congelato le dita delle mani se non avessi indossato i guanti, e di questo ero grata.

Ancora non capivo cosa avrei dovuto fare. Bastava davvero solo camminare in giro per poter entrare in un sogno, oppure tutto questo era già un sogno di per sé? Qualcosa mi diceva che un buon inizio sarebbe stato smettere di camminare per quella strada e esplorare le case, ma in verità mi sarebbe piaciuto scoprire cosa avrei trovato alla fine di essa.

I miei stivali si scontravano con l'asfalto tenendo lo stesso battito di una goccia che cade dal rubinetto. Ormai sembrava per me impossibile che quel ritmo potesse in qualche modo venire interrotto, ma dovetti ricredermi quando sollevando lo sguardo notai di essere entrata in un parco. Mi fermai a osservare il verde dell'erba e i grandi alberi che coprivano il sentiero di ciottoli che stavo percorrendo. Il mio ombrellino rosso spiccava in mezzo a tutti quei colori spenti che mi circondavano, facendomi così sentire al sicuro.

Un rumore alle mie spalle catturò la mia attenzione. Voltandomi non vidi nulla se non cespugli e la nuda strada. L'avevo forse immaginato?
Non volevo davvero muovermi da quel punto, provavo un po' di ansia all'idea di non sapere da dove fosse arrivato quel rumore. Lentamente, però, tornai a guardare il verde parco.
Un altro rumore si udì dietro di me, questa volta molto più vicino. Con uno scatto mi girai, ma ancora una volta non vidi niente che potessi ritenere sospetto. Il silenzio iniziava a fare male. Non mi sentivo più tanto sola e mi era completamente passata la voglia di andare ad esplorare.

Mandai giù la saliva che senza volerlo avevo accumulato ai bordi della bocca. Probabilmente si trattava solo di un'animale, sempre che ce ne fossero in questo mondo. L'opzione migliore che avevo era quella di allontanarmi in fretta da quel luogo e dimenticare l'accaduto. Ma prima che potessi fare anche solo un passo verso l'interno del parco sentii una voce arrivare a qualche centimetro di distanza dal mio orecchio «Ti ho preso.»

Commentate e ditemi se vi è piaciuto. In caso contrario fatemi pure notare dove ho fatto errori o come potrei migliorare questo capitolo.

/// COSA IMPORTANTE ///
I prossimi capitoli hanno un inizio abbastanza strano. Probabilmente penserete di aver sbagliato l'ordine, ma sono fatti apposta per confondere come dei veri e propri sogni.

Grazie per l'attenzione☆

Vi voglio bene ♡

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