1.

Londra, 1848
Quartiere di St.Giles

Un odore nauseabondo permeava le strade del quartiere, rendendole deserte. Un uomo si aggirava tra i vicoli, indisturbato, seguito a poca distanza da altri quattro. Camminavano in silenzio e sembravano tutti guardinghi. Ognuno di loro aveva in mano un arma che non avrebbero esitato ad usare in caso di pericolo.
Raggiunsero un edificio buio e malmesso, con le finestre rotte e sgangherate. Scivolarono accanto alla porta, scardinata ed adagiata contro la parete e si diressero verso delle scale di legno, scricchiolanti e traballanti, che portavano ad un locale sotterraneo. Questo era umido ed illuminato dalla flebile luce di una fiamma tremante che sembrava sul punto di estinguersi. Gocce d'acqua, provenienti dal soffitto a chiazze, cadevano a terra, ticchettando. Il ritmo era cadenzato e quasi ipnotico, se ci si soffermava ad ascoltarlo. Al centro della stanza un tavolino di legno piccolo e fragile, che sembrava aver visto giorni migliori e un paio di sedie, nelle stesse condizioni, che lo completavano.
Seduto su una di esse se ne stava un ometto gracile. Aveva pochi capelli, irsuti, sulla testa di un colore indefinito e due piccoli occhietti neri. Aveva il volto smunto e indossava degli abiti lisi e scoloriti, che gli cadevano addosso.
-Capitano, è un onore incontrarvi dopo così tanto tempo.- nonostante il suo aspetto malconcio, la sua voce era ferma e gioviale.
L'uomo che era appena entrato si sedette davanti all'altro, mentre gli altri quattro rimasero alle sue spalle, leggermente in ombra.
-Vedo che vi siete portato dietro la scorta- continuò l'ometto, estraendo dalla tasca una lettera unta ai bordi. - eppure sapete quanto io vi sia fidato-
-Non si è mai troppo prudenti- gli rispose il capitano, con una voce bassa e profonda e a tratti roca che lo rendeva estremamente virile.
-Ben detto- confermò l'altro poi gli porse la lettera - come mi avevate chiesto, sono riuscito a reperire tutte le informazioni possibili, compresa una fresca.- si sfregò le mani come se avesse sulla punta della lingua la notizia del secolo.
Il capitano fece un gesto secco con la mano, invitandolo a proseguire.
-Domani sera, Lord Huntly e sua moglie daranno un ballo in maschera, in occasione della festa di primavera, e a questo saranno anche invitati coloro che mi avete chiesto di sorvegliare.- gli comunicò, estraendo un altro pezzo di carta - Essendo una festa in maschera ognuno avrà il volto coperto, anche se alcuni saranno facilmente riconoscibili. Del resto le maschere non copriranno poi molto.- l'ometto schioccò le dita, come per riprendersi dal suo divagare e proseguì -Vi ho procurato una falsa identità sotto cui vi celerete tutta la notte, fino a quando agirete. Non dovete preoccuparvi di essere scoperto poiché l'uomo che impersonerete oltre a vivere da anni nelle colonie americane è pure morto, anche se nessuno lo sa.- il capitano non si domandò nemmeno come avesse fatto l'altro ad entrare in possesso di quelle informazioni. A lui interessava solo il risultato finale.  L'ometto gli porse anche quel foglietto che lui si premurò di sistemare nella tasca della giacca.
-Un ultima cosa. Vi ho fatto cercare degli abiti per l'occasione. Salite all'ultimo piano e bussate alla terza porta del corridoio, li troverete una donna. Ditele che vi mando io, lei saprà cosa fare.- gli disse, prima di congedarlo con un rapido gesto della mano.
Il capitano, infastidito da quel gesto, si alzò e fece cenno a due dei suoi uomini di seguirlo. Gli altri due, invece, rimasero insieme all'ometto. Salirono nuovamente le scale e si diressero verso quelle che portavano ai piani superiori. Anche quelle erano scricchiolanti ma sembravano in condizioni migliori delle altre. Tra di loro permeava il silenzio interrotto, ogni tanto, dallo squittio di qualche roditore spaventato dai loro passi. Quando arrivarono all'ultimo piano trovarono il corridoio decisamente più illuminato del seminterrato. Una fila di porte, tutte uguali, correva lungo tutta una parete, mentre quella di fronte era vuota. Lo percorsero e si fermarono davanti alla terza porta, proprio come aveva detto loro l'ometto. Il capitano bussò e dopo qualche momento la porta si aprì.
Una donna di mezza età comparve sulla soglia. Indossava un abito scuro, troppo stretto, che le comprimeva il busto e i fianchi. Aveva i capelli grigi e occhi stanchi. Le mani erano paffute e leggermente arrossate.
-Vi manda Alf?- domandò la donna, con voce stridula per poi schiarirsi la gola.
Il capitano, affiancato dai suoi uomini, annuì. La donna si fece da parte e li lasciò entrare.
Nella stanza in cui si ritrovarono aleggiava un leggero sentore di muffa. Era spoglia e buia. Era illuminata solo da qualche mozzicone di candela poggiato su un davanzale. La donna, in silenzio, li condusse in un angolo, dove si trovava una vecchia sedia a dondolo con le aste dello schienale rotte. Sulla seduta erano stati riposti con cura degli abiti che il capitano avrebbe indossato la sera dopo.
-Ho trovato tutto quello che vi può servire.- gli disse la donna, porgendogli gli abiti.
Il capitano fece cenno a uno dei due uomini che lo accompagnavano di prenderli e nel mentre estrasse dalla tasca della giacca che indossava qualche moneta che porse poi alla donna.
Lei li accettò senza fare una piega.
-Dovrebbero essere della vostra taglia, come mi aveva riferito Alf.-
Il capitano annuì di nuovo, poi tornò verso la porta ed uscì, seguito dagli altri due. Scesero le scale e gli uomini che lo avevano aspettato al piano terra comparvero dopo pochi istanti.
Così come erano entrati uscirono dall'edificio e ripresero la loro strada, lasciandosi alle spalle quel quartiere di miseria.

                                          § § §

La sera dopo il capitano giunse nella casa di città di Lord Huntly quando la festa era già al culmine. Aveva deciso di presentarsi a sera inoltrata quando la sua presenza sarebbe stata difficilmente notata. Aveva una falsa identità a coprirgli le spalle ma preferiva restare comunque allerta. Aveva stabilito, insieme ai suoi uomini, che lui si sarebbe presentato al ballo e si sarebbe infiltrato tra gli invitati, mentre i suoi lo avrebbero atteso fuori dalla casa per la fuga. Era già stato tutto organizzato, compresa la carrozza e il cocchiere, già lautamente pagato. I suoi uomini erano marinai e nessuno di loro aveva mai condotto una carrozza, quindi il cocchiere era stato una soluzione obbligata.
Quando scese dalla carrozza, diversa da quella che avrebbero usato per la fuga, lo accolse il maggiordomo, che si offrì di prendergli la tuba e il mantello e di riporli nel guardaroba insieme agli effetti personali di tutti gli altri ospiti. Poi, quando ebbe fatto, lo scortò lungo un corridoio che conduceva fino all'ingresso della sala da ballo. La sala era gremita di gente e il cicaleccio di quella moltitudine di ospiti era talmente assordante che gli fischiavano le orecchie.
Murdoch controllò che la maschera fosse ben stretta sul suo viso, in maniera tale che non rischiasse di scivolare e si preparò ad entrare.
Scrutò la folla che aveva davanti, facendo vagare il suo sguardo per tutta la sala, in cerca del suo obbiettivo. Era estremamente difficile poiché tutti avevano una maschera sul viso, più o meno elaborata e sembravano tutti la stessa persona. Eppure Murdoch avrebbe riconosciuto il portamento e la capigliatura di Sutherland tra mille.
Quando erano in marina Reed si era conquistato il titolo di Riccioli d'oro, proprio a causa della sua capigliatura che ricordava quella di un putto.
Era davanti al tavolo che era stato allestito per il rinfresco, intento a conversare con un uomo dalla pancia prominente. Ai lati del duca due dame ascoltavano la conversazione. Erano entrambe bionde ma mentre una era bassa e formosa, l'altra era alta e slanciata. Da quella distanza Murdoch non riusciva a capire chi fossero le due, così decise di avvicinarsi.
Quando ormai non gli mancava che qualche passo per raggiungere Reed, questi decise di allontanarsi, accompagnato dall'altro uomo.
Murdoch sogghignò.
Il duca, inconsapevolmente, gli aveva appena semplificato il lavoro. Rimaneva però il fatto che lui non sapesse quale delle due fosse quella che cercava.
-Lady Francine, vogliate perdonarmi per la mia scortesia ma non ho potuto fare a meno di osservarvi per tutta la serata.- la donna alta e slanciata si voltò verso di lui, interrompendo il suo discorso e osservandolo con uno sguardo di sufficienza che riservava a tutti gli uomini che tentavano un approccio.
-Desiderate qualcosa?-
Meraviglioso.
Il suo metodo aveva funzionato.
-Permettete che mi presenti. Sono Lord Charlton Hayter. Mi fareste l'onore di essere la mia dama per il prossimo ballo?- Murdoch sorrise con sguardo ferino, tendendo la mano davanti a sé. Lui aveva lanciato l'amo, ora toccava a lei decidere se abboccare.
Francine aprì la bocca per rispondergli ma venne bruscamente interrotta dalla gomitata che l'altra dama le rifilò. Parlottarono tra loro per qualche momento poi Francine si voltò nuovamente verso di lui.
-Accetto il vostro invito- disse glaciale, poggiando la sua mano delicata sulla sua.
-Non vi ho domandato se il vostro carnet...-
-È vuoto- lo interruppe seccamente lei, come se fosse infastidita da tutte quelle domande.
Murdoch la condusse al centro della sala, dove diversi altri ballerini si erano già disposti per le successive danze.
Si era prefissato di essere affabile e gentile, affinché la ragazza si sciogliesse e si fidasse di lui.
Quando le prime note della melodia che l'orchestra si apprestava a suonare si diffusero nell'aria, Murdoch dovette faticare per trattenere una risata.
Quello era un valzer.
Un ballo intimo e sensuale in cui il contatto era inevitabile, quasi obbligatorio.
Si inchinarono, come prevedeva l'etichetta, poi il capitano posò una mano sul fianco di Francine, stringendo saldamente la presa, come per scongiurare una sua possibile fuga. L'altra mano sorresse quella di lei, racchiudendola nel suo palmo. Cominciarono a danzare, lentamente, guardandosi negli occhi.
Murdoch la osservava, ammirando il suo splendore. Francine indossava un abito rosso scuro impreziosito da un complesso ricamo oro che avvolgeva le maniche larghe e il corsetto, evidenziando il piccolo seno della ragazza. La maschera era completamente oro e le lasciava scoperte le guance e la bocca.
Era alta, per essere una ragazza eppure lui la superava di una quarantina di centimetri. Era lui, in realtà, ad essere un gigante.
Mentre continuava a farla volteggiare la accostò maggiormente a se, fino a che il suo petto di donna, caldo e morbido, sfiorò il suo.
Abbassò lo sguardo per godersi il panorama e si accorse che lei era arrossita, dimostrando che non era fredda quanto sembrava.
Quando la musica terminò, si inchinarono nuovamente, dopodiché lui le offrì il braccio. La condusse dove si trovava il tavolo del rinfresco esaudendo la richiesta della ragazza e pensando già ad un modo per distogliere l'amica da Francine ma, ancora una volta, ebbe fortuna.
Della ragazza bassa e formosa non vi era traccia.
La sua dama, senza dire una parola, iniziò a guardarsi intorno, cercando il duca e l'amica. Fece spaziare lo sguardo in lungo e in largo ma non ottenne risultati; quei due erano spariti.
Murdoch decise di approfittarne, ricordandosi di mantenere un basso profilo.
-Milady, è una serata stupenda e il giardino deve essere un incanto illuminato dalla luna piena. Qui dentro fa caldo e iniziano a fischiarmi le orecchie per il troppo rumore.- si spostò davanti a lei, coprendole strategicamente la vista sulla sala in modo tale che si concentrasse solo su di lui.
-Mi permettereste di accompagnarvi fuori?-
Francine lo osservò, titubante, come se stesse combattendo un conflitto interiore, poi si decise ad accettare.
Infondo, voleva seguire il consiglio di Alicia e godersi la serata senza pensieri, tanto più che il suo cavaliere sembrava un'uomo per bene.
Il capitano le porse il braccio, come poco prima e la condusse verso la vetrata. La scortò velocemente fuori, mentre il timore che qualcuno potesse interferire nei suoi piani continuava a perseguitarlo.
Si sarebbe davvero infuriato se i suoi piani fossero andati a monte per colpa di qualche intruso non gradito e non previsto.
Quando furono sulla terrazza, finalmente all'aperto Murdoch si lasciò sfuggire un impercettibile sospiro di sollievo.
Scesero le scale, sempre a braccetto, mentre lui, di tanto in tanto, lanciava furtive occhiate alle sue spalle per assicurasi che nessuno li stesse osservando o seguendo.
Il sentiero principale era un vialetto di ghiaia, costeggiato da cespugli che arrivavano alle caviglie e che richiamavano lontanamente i giardini all'italiana.
Al centro del viale, era stata costruita una fontana con dei soggetti marini. La oltrepassarono girandoci intorno e continuarono a camminare. Quel giardino era fatto secondo uno schema e quelle porzioni di giardino circondate da cespugli si ripetevano ad ogni incrocio. Dove finiva il quadrato si estendevano altre stradine che conducevano ai margini del giardino.
Passeggiavano in silenzio, lasciando che la quiete della notte li avvolgesse.
Francine continuava a reggersi al braccio di quell'uomo, percependo sotto le dita tutta la sua forza maschia. Aveva cercato di osservare meglio il viso del suo cavaliere ma era riuscita a vedere niente più che i suoi occhi. La maschera, infatti, gli celava gran parte del viso, rendendolo irriconoscibile. Certo, lui si era comunque presentato, rendendo nullo il mistero che portava con se la maschera. Quel nome però, non le diceva nulla.
-Non vi ho mai visto a nessuna festa organizzata da Lord Huntly, nemmeno una delle più intime.- Francine spezzò il silenzio, ponendogli quella domanda che ormai gli ronzava in testa da quando erano arrivati in giardino.
Murdoch rimase per diversi istanti in silenzio. Sapeva che quella domanda sarebbe saltata fuori, prima o poi, era inevitabile.
-Ho vissuto lontano da Londra per tanto tempo e sono tornato soltanto da poco.- le rispose evasivo.
-Ted non ha mai parlato di un suo conoscente nelle colonie- continuò incautamente Francine, esponendo i suoi pensieri.
Murdoch si rese improvvisamente conto che la situazione stava per precipitare.
Si portò due dita alla bocca, sotto lo sguardo perplesso della ragazza e fischiò. Fu un suono lungo e acuto che risuonò tutto intorno.
-Che cosa state...- Francine si interruppe bruscamente quando vide spuntare dal buio degli uomini. Erano quattro e tutti loro indossavano degli abiti logori che, di sicuro, avevano visto giorni migliori. Due di loro indossavano dei capelli, lisi e bucati anch'essi, di un colore indefinito che doveva essere molto differente rispetto a quello originale.
Si avvicinarono sempre di più, chiudendo un cerchio intorno a Francine, come un predatore con la propria preda. Avevano dei ghigni orribili dipinti sul volto, sdentati, marci, gialli. Avevano la pelle sporca ed emanavano un odore sgradevole.
-Prendetela- ordinò Murdoch, rimanendo in disparte a godersi lo spettacolo.
I quattro annuirono poi, in sincrono, si avventarono su di lei.
Francine strillò terrorizzata, mentre tentava di allontanarli. La afferrarono per le braccia e per le gambe, sollevandola da terra e rendendole impossibile la fuga.
Erano più forti di quello che davano a vedere e la sorressero senza problemi. Francine iniziò a scalciare e tirare pugni, nella speranza che mollassero la presa. Le sue scarpe continuavano a colpire la pelle scoperta delle braccia dei due che la sorreggevano per le caviglie ma, nessuno dei due, sembrava preoccuparsi del dolore che potevano arrecare.
Giunsero in fondo al giardino, dove un muro delimitava la proprietà privata dalla strada.
Uno degli uomini che la stava sorreggendo per i piedi la mollò, affiancandosi al muro, lasciando che l'altro le agguantasse il piede rimasto libero. Francine prese a dimenarsi prepotentemente, conscia che uno solo avrebbe potuto benissimo mollare la presa in un impeto di violenza.
L' uomo però, non la mollò.
Il primo, quello vicino al muro, si arrampicò, scavalcandolo, il secondo, quello che ancora la reggeva da solo, la lasciò momentaneamente e si issò a sua volta, rimanendo a cavalcioni sulla sommità. Fece un cenno agli altri due che, esercitando maggior pressione sulle braccia della ragazza, si avvicinarono. L'uomo sopra il muro allungò un braccio e attese che gli altri due si sistemassero, uno davanti e uno dietro.
Francine venne ribaltata e issata per una gamba, in modo tale che non avrebbe potuto ribellarsi e sfuggirgli.
Quando si ritrovò improvvisamente con il mondo sotto sopra si mise a strillare ancor più di prima. Le gonne le finirono sul viso, come una cascata, lasciando che questo assumesse tonalità vermiglie.
Un'altro paio di mani l'afferrò e lei si ritrovò catapultata dall'altra parte, mentre le gonne tornavano al suo posto e il cielo tornava ad essere sopra la sua testa.
I due che erano rimasti dietro di lei avevano già sorpassato il muro e si trovavano nuovamente dietro di lei. La ripresero per le braccia e per le gambe, trasportandola verso una carrozza poco distante.
Il suo cavaliere, intanto, era sparito.
Francine riprese a scalciare.
Quando si accorse che a cassetta della vettura si trovava un cocchiere che indossava abiti ben diversi da quei quattro, incominciò a gridare.
-Aiuto- esalò ma, l'uomo rimase immobile, come se non avesse sentito nulla.
Francine aveva le lacrime agli occhi. Lei era una Sutherland e i Sutherland non si erano mai arresi davanti a nulla però lì erano quattro contro uno.
La issarono sulla carrozza, affidando il compito ad uno di loro di badarle. Rimase il più grosso dei suoi rapitori che, accomodandosi accanto alla portiera, stroncò sul nascere qualsiasi idea Francine avesse di tentare di scappare.
Non rinunciò comunque a dimenarsi e scalciare nel tentativo almeno di scostarlo da sé. L'uomo, infatti, continuava a tenerla stretta, sdraiata sul sedile. Nel farlo, però, il vestito le si arrotolò intorno alle gambe rendendo, ad un certo punto, impossibile qualsiasi movimento. Si era immobilizzata da sola.
L'uomo, che non aveva smesso di osservarla, ghignò come se godesse particolarmente per ciò che aveva appena fatto.
La vettura, nel mentre, si era mossa e ora correva per le strade londinesi, spronata dal cocchiere che continuava ad incitare i cavalli. Francine, da quella posizione non riusciva a vedere quasi nulla anche a causa delle tendine che coprivano i finestrini.
Francine si rassegnò, del resto in quel frangente non avrebbe potuto fare nulla.
Non seppe con precisione quanto tempo passò ma, dopo un pò, la vettura si fermò. Udì parlare concitatamente al di fuori della carrozza poi, si fece tutto silenzioso.
La portiera venne improvvisamente spalancata, facendo sussultare la ragazza, ancora di spalle.
-Falla scendere- ordinò una voce sconosciuta, rivolta all'uomo che ancora la teneva ferma.
-Voi, aiutatelo!-
Continuò la stessa voce, rivolta a qualcuno nelle vicinanze.
Quattro paia di mani l'afferrarono nuovamente ma, questa volta Francine fu ancora più determinata. Scagliò fendenti a destra e a sinistra, indemoniata, convinta che per lei ci fosse ancora una via per la salvezza. La presa sui suoi arti si rinsaldò, dolorosa ma, quando una mano calò sul suo viso ne approfittò e, dopo averla afferrata, strinse i denti con tutta la forza che aveva nelle mandibole, fino a sentire la sua vittima gemere ferita.
Le venne calato, fulmineo, un sacco di iuta nera sulla testa poi le vennero legate le mani con una corda, in una morsa stretta che le avrebbe impedito qualsiasi movimento. La stessa sorte subirono i suoi piedi. Infine, venne sollevata da due mani robuste che, per la seconda volta in quella serata, le fecero vedere il mondo sotto sopra.
Ora si che era veramente fregata.














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Buongiorno, sono tornata.
Si, lo so, ci ho impiegato un po' ad aggiornare ma, in questi giorni, sono un po' presa dall'università, quindi, abbiate pazienza.
Detto ciò, vi è piaciuto il capitolo?

Votate e commentate per il prossimo capitolo, perché lo farete, vero? 😜

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