Inconvenience
If I had only felt the warmth within your touch
If I had only seen how you smile when you blush
Or how you curl your lip when you concentrate enough
Well I would have known
What I was living for all along
What I've been living for
||MARC||
Quando apro gli occhi, quella mattina, quasi sono sorpreso di trovare il corpo di Reina ancora tra le mie braccia.
La conosco bene. Reina è un tornado, una tempesta imprevedibile, un temporale estivo. Ogni sua mossa è inimmaginabile, ciò che pensa in quella testolina imperscrutabile. E' indomabile ed io lo so e non farei mai niente per cambiarla. Ma esserne consapevole è diverso dal convivere con il pensiero di poterne rimanere bruciato in ogni momento. Ed ora che la stringo tra le mie braccia mi chiedo come potrei mai tornare a vivere una vita senza averla così vicina.
"Reina è tardi" mormoro dopo aver buttato un'occhiata all'orologio sul comodino. Reina, che durante la notte mi ha affettuosamente dato le spalle, ma che non ha scostato il mio braccio dai suoi fianchi, emette un mugugno sommesso. Si rigira tra le lenzuola andando a sbattere con il viso contro il mio petto, nascondendolo poi più su, nell'incavo tra il collo e la spalla. Dopo qualche attimo si fa ancora più vicina, portando una gamba a circondarmi il ventre e un braccio il petto.
"Dammi affetto" sussurra mentre le sue labbra mi solleticano il collo.
Scoppio sommessamente a ridere, ma provvedo comunque a stringere le mie braccia attorno al suo corpo.
"Fammi capire, appena sveglia esce il lato tenero e dolce che cerchi di sopprimere durante tutta la giornata?" dico, cercando di non far caso al fatto che la sua gamba sia davvero troppo vicina al limite e che laggiù il mio amichetto stia combattendo con l'alzabandiera mattutino.
Piuttosto mi concentro sul suo respiro sulla mia pelle, che non aiuta troppo, ma è qualcosa.
"Goditi il momento" dice, accompagnata dai tipici mormorii che si aggiungono allo stiracchiarsi mattutino.
"Allora dovremmo andare a vivere insieme" scherzo, spostandole una ciocca di capelli dal viso. Il modo in cui alza metà busto di scatto e mi fissa con gli occhi spalancati mi fa scoppiare a ridere "Andremo a vivere insieme, ti chiamerò amore, ti comprerò i fiori, ti porterò a cena fuori tutti i venerdì sera, mentre il sabato resteremo a casa sotto le coperte a vedere un film e la domenica a pranzo con le nostre famiglie" continuo, elencando tutte le cose che sono sicuro le diano il voltastomaco.
Reina, infatti, si alza definitivamente lasciando cadere via le mie braccia dal suo corpo.
"Scordatelo Marquez" risponde tagliente, nascondendo però un sorrisetto dietro quelle labbra rosee. In ginocchio tra le lenzuola, con i capelli scompigliati e la faccia del sonno, la mia maglia addosso e le gambe scoperte è perfetta. Quando idiota posso essere stato per non essermi reso conto di ciò che ho sempre avuto sotto il naso?
Fa un giro su se stessa e si sposta verso il bordo del letto, ma la fermo prima che possa scendere allungando la mano e trovando il bordo degli slip bianchi dai quali afferrarla per trattenerla.
"E quindi? quest'affetto?" mormoro mentre anche l'altro braccio la raggiunge e la costringe a tornare con la schiena sul materasso, pochi attimi dopo sono su di lei. Reina si dimena, ma con le dita le afferro il mento e lo trattengo quanto basta perchè possa raggiungere le sue labbra e baciarla.
Ricambia il bacio con decisione, facendomi venire voglia di non lasciare mai più questo letto.
Almeno finchè non scambia le nostre posizioni, ritrovandosi su di me, per poi darmi un ultimo bacio e allontanarsi.
"Marc è tardi" mi scimmiotta dall'alto. Leggermente spiazzato, non faccio in tempo ad afferrarla che già è balzata in piedi. Con la maglia stropicciata e i capelli ancora più incasinati di prima, mi fa un'ultima boccaccia prima di sparire oltre la porta della mia camera.
Ed io non posso far altro che restare sdraiato con lo sguardo verso il soffitto, mentre mi chiedo se faccia più male essere investito da un camion o da ciò che provo per Reina.
Domanda senza risposta.
"Voi due siete l'argomento al centro dei gossip questo weekend, non ci credo che hai davvero ceduto alle avances del moccioso" è il saluto di Vale quando ci incrociamo nel paddock, diretti nei nostri rispettivi box. Sorrido divertito al mio avversario, lui è dalle FP-1 che va alla grande e credo che dovrò cedergli la vittoria di domenica se non mi decido a darmi una mossa.
"Se gli avessi detto di no sarebbe stato come togliere le caramelle ad un bambino, e non ero psicologicamente pronta a veder piangere il campione del momento" risponde Reina con lo stesso tono scherzoso, facendo sghignazzare Rossi.
"Marc, ora che hai vinto la ragazza, potresti smettere di vincere le gare?" dice Vale, dandomi una pacca sulla palla.
"La ragazza potrebbe non sopravvivere dopo che scaricherò su di lei la colpa del nostro ritardo e dovrà vedersela con Santi"
"Minchia, io non vorrei affrontare Santi Hernandez. Fatemi sapere se sopravvivi così poi andiamo insieme a dare la lieta notizia a Cal, è il vostro fan numero uno"
Reina si allontana ridendo dopo quest'ultima affermazione, mentre io e Vale ci tratteniamo un secondo in più per scambiarci un cenno d'assenso, un in bocca al lupo reciproco per le prove di sta mattina e le qualifiche di oggi pomeriggio. La cosa che più mi riempie d'orgoglio è sapere di essere un valido avversario per il mio idolo.
In due falcate raggiungo Reina e le poggio placidamente un braccio sulle spalle, mentre entriamo insieme nel box dal retro. La squadra è già all'opera e c'è anche Alex, con la tuta mezza abbassata, che mi guarda sorridendo non appena mi vede. Il turno di prove della Moto3 è stato due ore fa e quando glie lo chiedo conferma il mio presentimento: è primo.
"Santi, ovviamente il ritardo è colpa di Marc" mi precede Reina, andando ad affiancare il mio capo tecnico. Si becca una finta occhiataccia mentre Santi scuote la testa con disapprovazione, ma non è davvero arrabbiato.
"Spero solo che non abbiate fatto tardi ieri notte" dice, guardandomi con le sopracciglia folte aggrottate.
"Ti pare? Prima le moto, poi le donne" rispondo con il sorriso sulle labbra. Sono una persona che è sempre particolarmente felice e sorridente, ma sopratutto sta mattina davvero non posso farci niente, qualsiasi cosa mi sembra divertentissima e tutto mi fa venire voglia di mostrare la mia dentatura.
Sparisco nel retro del box per andare ad infilarmi la tuta e gli stivali, lasciando al team gli ultimi calcoli prima che inizino le prove. Quando torno da loro vengo investito da dettagli di vario genere, che variano dalla temperatura dell'asfalto a quella dell'aria, fredda ma finalmente senza pioggia, le modifiche all'elettronica della moto, i set diversi di gomme per affrontare i tre run. Ogni tanto lancio occhiate a Reina che oggi sembra particolarmente presa dallo studiare la mia Honda. Penso al fatto che non le ho chiesto come si sente a stare nel paddock, se le è passato il disagio della prima volta, se le è tornata la voglia di correre in pista. Sembra passata una vita da quando correvamo nei campionati spagnoli, ma resterà sempre una delle persone che preferisco da prendere a carenate. E questa è la più grande confessione d'amore che possa fare.
"Marc, devi girare almeno con un secondo in meno" mi dice Santi, o meglio, mi impone, quando ad un minuto dall'inizio delle prove mi infilo i guanti. Annuisco, so di potercela fare.
Salgo a cavalcioni della moto e ne accarezzo il serbatoio, chiedendo alla mia piccola di assecondarmi quando scenderò in pista e la porterò al limite, guidandola come una moto di questo calibro merita di essere guidata.
Infilo il casco e lo allaccio sotto il mento per poi spingere la moto con i piedi fino fuori al box. Contemporaneamente all'inizio del countdown per la fine delle prove, accendo la moto con l'aiuto dei meccanici.
Mi giro un'ultima volta prima di abbassare la visiera, alla ricerca degli sguardi della gente che crede in me, che non posso deludere. Santi. Alex. Reina.
Una scossa mi pervade e so che sono pronto per l'impossibile. Apro leggermente il gas per immettermi nella Pit Lane, affiancato da Pedrosa che esce nel mio stesso momento. Raggiungiamo lenti l'incrocio con la pista e poi inizia il bello. Con l'adrenalina che solo correre a trecento chilometri orari può darti inizio a fare il pazzo. Già immagino la voce di Guido Meda, commentatore italiano che preferisco di gran lunga a quello spagnolo, che grida nel microfono Marc Marquez, il cabroncito, indiavolato.
E indiavolato mi ci sento davvero, staccando al limite per recuperare quel secondo che mi distacca da Valentino e gli altri in testa. La voce di Reina mi rimbomba nella testa e mi accompagna mentre all'inizio di ogni curva penso già alla successiva, ricordandomi i punti cruciali del circuito.
Dopo qualche giro leggo un P2 sul cartellone che espongono con il mio numero sopra. Ci sono, ce la sto facendo. Non sono primo, ma almeno il posto in Q2 è assicurato.
Faccio l'ultimo giro prima di andare a fare in cambio gomme e lo faccio superando tutti i miei limiti. Sento un leggero chattering ma continuo a spingere.
Le mie solite scelte azzardate, impulsive.
C'è Iannone davanti a me che gira decisamente più lento ed io non ho intenzione di perdere un giro buono standogli dietro. Lui fa delle curve molto più larghe delle mie, così quando gli sono praticamente addosso intravedo uno spiraglio tra lui e il cordolo e mi butto.
Ma la traiettoria di Iannone lo porta a chiudere la curva esattamente nel punto nel quale lo sto superando. Provo ad aprire ancora di più il gas, sperando di riuscire a scamparmela senza contatto. Finchè non sento una botta contro la moto.
La carenata di Iannone mi fa vacillare eccessivamente, facendomi perdere la traiettoria. Lui passa ed io tento un salvataggio in extremis, ma non appena rimetto il sedere sulla sella il posteriore parte e vengo scagliato via.
Non so per quanti attimi resto per aria, so solo quanto male fa l'atterraggio. Neanche l'air bag riesce ad attutire il rovinoso contatto tra la mia spalla e la ghiaia, mentre la moto con sopra il 93 gira su se stessa fino ad andare a sbattere contro il bordo della pista.
Quel rumore tonfo mi spezza il cuore. Ed io mi sento un idiota.
Non c'è tempo per i sentimentalismi però, devo correre nei box e prendere l'altra moto, continuare a girare.
E lo farei, se non fosse per un piccolo dettaglio.
Quando cerco di rialzarmi mettendo il polso destro a terra, mi cede facendomi tornare per terra accompagnato da un dolore indescrivibile.
"Ti è andata bene Marquez" dice il medico di turno della clinica mobile, lasciando la sua cartellina su un mobiletto per poi avvicinarsi al lettino nel quale sono sdraiato "Hai una contusione accompagnata da un bell'ematoma sulla spalla che dobbiamo tenere sotto controllo, niente di rotto però, neanche il polso è rotto ma si è slogato e ha bisogno di assoluto riposo. Non posso darti il permesso di correre le qualifiche, la gara è un forse"
Le sue parole mi cadono addosso come una valanga di massi.
Credo la mia faccia confusa parli chiaro, perchè il medico mi ripete lentamente non puoi correre.
Non ho mai sentito parole più brutte nella stessa frase.
Cerco di ribellarmi, spostando le gambe fuori dal lettino e dandomi una spinta con l'addome per mettermi seduto, ma non appena la mia spalla lascia la superficie morbida un dolore lancinante mi costringe a tornare nella mia posizione originaria.
"no, no, no" mormoro sotto voce, sentendomi perso. Provo a muovere il polso destro e anche lì la situazione è tragica "la prego, mi riempia di antidolorifici e mi dia il Rider Ok, non capisce, devo correre le qualifiche"
Il medico mi guarda scuotendo la testa.
Resto a fissarlo in silenzio mentre sento il mio mondo spaccarsi in due.
Se non fosse per il mio orgoglio probabilmente in questo momento piangerei.
Il silenzio viene interrotto solo da un toc toc sulla porta che fa scattare entrambi i nostri sguardi. Un attimo dopo la testa di un secondo medico spunta nella stanza.
"Ci sono visite" annuncia, prima di spostarsi per lasciar passare in fila Santi, Reina ed Emilio, il mio manager. Non sapevo fosse qui, deve essere arrivato mentre correvo le prove.
Lascio correre il mio sguardo su tutti e tre cercando un'ancora di salvezza, preso dal panico più totale. Mi soffermo su Reina, che mi studia attentamente, mentre nella sua mente da pilota so che non si sta chiedendo come sta, piuttosto, può correre?
Scuoto la testa da destra a sinistra, rispondendo alla sua domanda implicita.
"Potete lasciarci soli?" chiede Emilio con il suo solito fare duro ma educato, rivolgendosi ai due medici. Quello leggermente affacciato semplicemente sparisce, mentre l'altro annuisce e lascia la stanza chiudendosi la porta alle spalle.
"Emilio fai qualcosa, devono lasciarmi uscire, devo correre" lo supplico e se riuscissi a muovermi probabilmente mi metterei in ginocchio.
"Cosa succede se non corri le qualifiche?" domanda Reina visto il silenzio del mio manager, accostandosi al lettino. So che non mi si avvicinerà più di così, ma apprezzo anche il piccolo gesto. Vorrei che questo bastasse a farmi sciogliere il peso che ho sul petto, eppure credo non funzionerà. Non sta volta.
"Parte dall'ultima posizione" parla Santi, trovando il coraggio di dire ad alta voce ciò che io non sarei riuscito a dire. Parto dall'ultima posizione. Niente più speranze di vincere l'ottavo GP di seguito, niente più speranze di battere il record.
"Emilio... ti prego" mormoro.
"Marc io posso farti uscire" dice Emilio "Ma non ti daranno la possibilità di correre, sopratutto non so se sei in grado di correre"
La verità mi colpisce come uno schiaffo in pieno volto. Non è colpa dei medici, sono io che non riuscirei a reggere cinque secondi in moto in questo momento. E le qualifiche sono tra meno di un'ora.
Sentendomi peggio di prima alzo il braccio buono per passarmi una mano sul viso e poi tra i capelli. Avrei accettato l'essere sconfitto in gara, ma così... buttare un'occasione per un mio stupido errore in prova, mi fa venir voglia di mangiarmi le mani.
"Vado a chiedere di farti uscire" borbotta Emilio. I suoi occhi chiari oggi sono particolarmente spenti e so che non è così, ma mi sento di averlo deluso. Come tutti i presenti e i fan e me stesso.
Santi mi si avvicina per provare a farmi muovere e con il suo aiuto riesco a mettermi seduto, combattendo con il dolore alla spalla ogni volta che per sbaglio la faccio muovere. E non sto ancora facendo i conti con il polso slogato. Sono un cencio.
Reina resta in silenzio ad osservarci, scrutandomi con attenzione. Credo voglia dire o fare qualcosa ma per qualche motivo resta zitta e impalata al bordo del lettino. Ricambio il suo sguardo cercando di non gridare mentre Santi mi muove.
"Marc non credo tu possa metterti su una moto oggi" attesta con voce critica quest'ultimo.
Ma io continuo a guardare Reina.
"Dimmi a cosa stai pensando" la sprono, mentre lei fissa i suoi occhi nei miei.
"E' una follia" mormora, parlando più con se stessa che con me. Sento il mio cuore cominciare a battere più forte, speranzoso.
"Qualsiasi cosa ti passi per la testa, dimmela"
Reina si porta un braccio a circondarsi il petto e il pollice dell'altra mano a torturarsi le labbra. E' nervosa, decisamente troppo nervosa, ma la sua voce non vacilla quando apre bocca per parlare.
"Corro io, corro al posto di Marc"
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