COLD HANDS



The devil may cry,
By the end of the night.


||MARC||

Non sono riuscito a tornare a casa, nei giorni di pausa tra il GP del Qtar e il GP delle Americhe.

Il team ha organizzato per me e Alex test sulla moto e giornate con gli sponsor, e tornare in Spagna per poi ritornare in America sembrava inutile.

Ora però che anche il Gp delle Americhe è stato vinto dovrei stare con la testa all'Argentina, restare lì come ha fatto Alex, e invece nelle prime ore del lunedì mi imbarco per tornare a casa.

E' il 18 Aprile.

Si sta bene a Cervera, il cielo terso e l'aria calda della primavera sanno di casa. Posso girare il mondo quanto voglio, ma il mio cuore resterà sempre in questa piccola città.
Prendo un taxi che mi porta a casa, ma ci sto giusto il tempo di prendere la moto. Ho parlato con la mamma di Reina e mi ha risposto che loro sono già in chiesa. Spero solo non ci sia anche Eric. 

In sella alla moto da cross raggiungo la chiesa di Santa Cruz, con le sue mura possenti e le alte torri che si stendono verso il cielo, dove la funzione è da poco iniziata.

Nessuno si gira quando scanso il portone principale, quanto basta per passare, e resto all'ingresso finché non trovo la famiglia di Reina. Cosa facile, considerando che lei è seduta sola ad uno degli ultimi banchi. Ha il solito cappellino logoro con la visiera calata sul viso, ed anche se per rispetto dovrebbe toglierlo nessuno le dice più niente. Le spalle dritte e il mento alto a dare una parvenza di controllo, di forza.
La solita, inscalfibile, Reina.

Vado silenziosamente a sedermi al suo fianco. Al banchetto davanti ci sono Elèna, sua madre, e il suo fratellino Mati, che si gira con un sorrisone non appena sente il legno della panca che scricchiola. Sono qualcosa come il suo idolo.

Gli allungo una mano, che lui stringe con fermezza tornando serioso. È tutto sua sorella.

Io e Reina abbiamo le spalle che si sfiorano, nonostante la panca sia del tutto libera. Io non so mai come gestire queste situazioni e lei odia esternare la sua debolezza, ma quel contatto in qualche modo le fa sentire la mia presenza nell'unico modo che lei non rifiuta.

Sono sei anni che le sto affianco qui, così, in silenzio, e sono l'unica persona alla quale lei permette di avvicinarsi su questa panca.

In silenzio, ascoltiamo le parole del parroco che rimbombano tra le pareti di pietra. Le lacrime scorrono sulle guance di Reina, da sotto la visiera del cappello, ed io lì, impotente, fingo di non essermene accorto. Con un macigno sul cuore ingoio il groppo che ho in gola.

Quando ci scambiamo il segno di pace, però, Reina mi sorprende. Stringe la mia mano, trattenendola più del dovuto. Io interpreto il segnale e intreccio le mie dita con le sue. Le sue mani fredde e affusolate, le mie grandi e callose. È la prima volta che non rifiuta un gesto del genere.

Poi mi guarda, ed io la guardo. E restiamo a fissarci finché non arriva il momento cruciale della messa. Il parroco guarda verso di noi, d'abitudine, poi prende un respiro profondo.

Aumento un po' la stretta.

Lei fa altrettanto, finché le nocche non le diventano bianche.

«Ricordiamo nostro fratello Julio nell'anniversario della sua morte, che si è spento nella tua luce» dice dall'altare, con le braccia aperte e quella voce profonda, intima, che mi fa rabbrividire.

Julio è il padre di Reina, ed è morto sei anni fa in un modo per il quale sono convito Reina si creda ancora responsabile. Io ho usato tutto il mio fiato per convincerla del contrario, ma lei è testarda, lei sente solo le sue ragioni, e probabilmente porterá questo macigno sul cuore per sempre.

Finita la funzione restiamo seduti mentre tutti escono, con le mani che ancora si stringono con una forza improponibile. È in quel tocco che trova la forza di sembrare impassibile anche in questo momento, osservando con sguardo freddo Elèna e Mati mentre vanno a salutare il parroco. Sembra riprendersi solo quando suo fratello ci raggiunge, gettandomi le braccia al collo in un caloroso abbraccio. Allora lascia immediatamente le mie dita, tornando a fare affidamento solo su se stessa.

«Marc sei qui» dice il piccolo con quella voce da topino che i bambini hanno a dieci anni. Mati somiglia molto al padre, ha i suoi capelli scuri e lo stesso sorriso. Della sorella ha solo gli occhi color cioccolato, profondi, intensi. Credo che gli vorrei così tanto bene anche se non fosse il fratello di Reina.

«Dovevo assicurarmi che stessi svolgendo bene il tuo ruolo di uomo di casa» gli rispondo, passando una mano a scompigliargli i capelli.

«E lo sto facendo?»

«Benissimo»

Mati, con gli occhi che si illuminano, spalanca le labbra e ci regala uno bel sorriso. Sorride pure il mio cuore a vederlo, e non posso fare a meno di allungare le braccia e trattenerlo contro il mio petto. Da dietro la sua piccola spalla scorgo anche un mezzo sorriso che si forma sul viso di Reina.

«Dai piccioncini, non vorrei passare tutta la giornata in chiesa» mormora lei poi, schiarendosi la voce. Si aggiusta il berretto con il numero 39, il berretto di suo padre, e si avvia lungo la navata mentre io mi carico tra le braccia Mati e la raggiungo.

«Marc non ti dovevi disturbare» mormora Elèna quando finalmente riusciamo a salutarci. Il suo bel sorriso oggi è un po' spento, eppure se non sapessi di questa ricorrenza probabilmente non me ne accorgerei neanche. Credo di non averla mai vista senza un sorriso ad ornarle il viso, è davvero fantastica.

«Finché non dovrò scegliere tra questa messa ed una gara, mi troverete sempre qui. Julio era un pilastro della mia vita...»

«Che ne dici se la smettiamo con i convenevoli e andiamo un po' a correre? Devo allenarmi per il Dirt Track» dice Reina, con il solito tono tra il sarcastico e lo scocciato. Però accolgo volentieri questa proposta. L'aria qui è pesante, e ammetto di essere leggermente scosso.

Un giro in moto non riporterà in dietro Julio, ma può aiutare a superare questa giornata.

Mentre Reina e sua madre tornano a casa in macchina, ne approfitto per portare Mati con me. È così piccolo che ho paura a tenerlo alle mie spalle, così lo sistemo davanti, fermo tra le mie braccia tese, e gli do anche il mio casco da cross per quanto possa andargli grande.

Forse io e Reina dovremmo insegnargli ad andare in moto, un po' come suo padre ha fatto con lei e con me. Chissà, magari un giorno potrebbe gareggiare anche lui, gareggiare contro di me.

Mati saluta tutti dalla moto mentre non troppo velocemente percorro le strade della città. Lo faccio anche io quando la gente mi riconosce, e mi fermerei anche per qualcosa in più di un saluto non fosse che ho bisogno di arrivare a casa di Reina il prima possibile, così altrettanto presto lei potrà andare a sfogarsi nell'unico modo che conosce. In selva, su una moto.

Facciamo una tappa veloce da me, giusto il tempo di indossare l'abbigliamento da cross e tutte le protezioni annesse. Poi da Reina.

Mati le corre incontro felice quando la vede appoggiata al cancello di casa. Le chiede se un giorno anche lei lo poterà con sé in moto, se può insegnargli come si guida. Reina sorride, ma non risponde.

Gli passa una mano tra i capelli, poi lo spinge verso casa.
Si è tolta gli skinny e la t-shirt che indossava per passare a scarponi e solito completo nero con le protezioni. Ed è ancora più bella. La osservo mentre sale in sella alla sua moto e si infila il casco.

«Come stai?» mi azzardo a chiederle, ma lei in risposta mi regala uno sguardo tagliente prima di abbassarsi la visiera. Apre il gas e via, non è più il momento di parlare.

Ma qualcosa non quadra, quando arriviamo alla selva. Qualcosa che non c'entra, che disturba l'equilibrio.

Una moto parcheggiata poco prima che inizi il sentiero, che rovina l'armonia del posto.

È una Kawasaki verde e nera. Le moto le riconosco ad occhio, ma comprendo a chi appartiene solo quando il soggetto in questione si toglie il casco. Capello fluente e mascella marcata, Eric ci sorride poggiato al suo gioiellino
«Sapevo che sareste venuti qui, ho pensato di unirmi a voi» dice, sfoderando un sorriso così falso e melenso che mi risale sullo stomaco la colazione di questa mattina.

Peccato che il segno del mio pugno sul suo occhio sia scomparso.



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Buonasssssssera ragazze! Bene, sono le 3.15, sono di ritorno da una festa e la mia sveglia suona tra 2.45h MA oggi vi meritavate un aggiornamento, i vostri commenti sono stati molto belli e ogni stellina in più mi ha fatto sorridere. So che siamo ancora all'inizio, ma più vi fate sentire la più mi viene voglia di scrivere (il che è un bel problema quando sei in biblioteca mentre ti disperi sul libro di Diritto Costituzionale e pensi ah quanto sarebbe bello scrivere di Marc ora) .
Quello di questo capitolo è un piccolo tassello dell'incasinata vita di Reina. Dovete sapere che io adoro le storie complicate, quindi ne dovranno passare delle belle i due.
Bene, non so neanche cosa sto scrivendo qui ora, ma dovevo aggiornare. Ora vado a godermi Morfeo per questo breve tempo.
Grazie a tutte. ❤️ spero vi stia piacendo, un bacio

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